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    Maria diede alla luce un figlio e lo chiamò Gesù. A Betlemme di Giudea: le profezie compiute (cap. 3 di: Nato da donna. Maria, la Madre di Gesù)


    José Miguel Nuñez, NATO DA DONNA. Maria, la Madre di Gesù, Elledici 1998



    La catechesi di Luca ci ha messo di fronte ad alcuni dei dati più rilevanti della prima tradizione cristiana sulla figura di Maria: il suo concepimento verginale e la sua disponibilità verso il progetto di Dio a essere la Madre del Messia. Questo è esattamente il modo con cui la prima comunità credente nella storia della salvezza si è posta di fronte a Maria: Maria di Nazaret è, innanzi tutto, la Madre di Gesù, e nella sua specifica relazione col figlio, nella sua maternità, la Chiesa scopre il ruolo rilevante della Vergine nel progetto di Dio.
    Madre di Gesù e donna credente, ecco il doppio risalto del profilo che Maria di Nazaret acquista per coloro che hanno accompagnato il Maestro fino alla fine e che, investiti della forza dello Spirito, proclamano con coraggio che colui che fu giustiziato sulla croce è risuscitato dai morti per diventare il Signore della storia.
    Infatti, nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli, Luca colloca Maria dentro la comunità cristiana offrendoci la giusta prospettiva per comprendere il suo ruolo nella giovane Chiesa: «Erano tutti concordi, e si riunivano regolarmente per la preghiera con le donne, con Maria, la madre di Gesù, e con i suoi fratelli» (At 1,14). Un testo importante che ha per noi un doppio significato, come le due facce di una stessa moneta: cristologico ed ecclesiale. Cristologico, in quanto Maria appare strettamente legata a Gesù; insieme coi discepoli ci sono alcune donne, e fra loro - come già abbiamo detto - soltanto Maria viene menzionata esplicitamente nel gruppo insieme alla venerabile lista degli apostoli. Il risalto a lei dato ci fa comprendere l'importanza che Maria riveste - al di sopra delle altre donne e insieme agli apostoli - per i credenti, proprio in quanto «Madre di Gesù». Il mistero della madre si svela soltanto - infatti - nel suo stretto legame col mistero del figlio.
    Ma allo stesso tempo il testo di Luca, nel fare riferimento a Maria, possiede anche un valore marcatamente ecclesiale. La Madre di Gesù è la donna credente tra i credenti che sostiene e anima l'attesa dello Spirito promesso. Le icone orientali hanno espresso molte volte, con la sobrietà e la ricchezza teologica che le caratterizza, questa convinzione.
    Vale la pena soffermarsi un po' su quella di p. 10. Rappresentando l'ascensione del Signore, un insieme armonioso dà espressione ai grandi misteri della fede: su due piani, in quello superiore Gesù Cristo, compiuta l'opera di redenzione, ritorna al Padre mentre rimane presente nella Chiesa lo Spirito Santo. In quello inferiore il gruppo degli apostoli e al centro l'immagine di Maria, colonna e fondamento della comunità dei credenti; il suo atteggiamento orante ci ricorda il suo ruolo di intermediaria associata a Cristo nell'opera della salvezza. La linea retta tra il capo di Cristo e quella della Madre, che interseca l'orizzonte, forma una croce perfetta che evoca il mistero pasquale, definitiva alleanza di Dio con gli uomini.
    Madre a Betlemme, discepola per le strade della Galilea fino alla croce e credente tra i credenti nella prima Chiesa. Ecco il cammino, percorso da Maria di Nazaret, che configura la sua stessa storia. Sarà anche l'itinerario della nostra riflessione nelle prossime pagine.

    «DARAI ALLA LUCE UN FIGLIO»

    La testimonianza più antica di cui disponiamo sulla tradizione della nascita di Gesù da una donna, Maria, la dobbiamo a Paolo. Il testo della lettera alla comunità dei Galati, cui abbiamo già fatto riferimento in più di una occasione, ci ricorda che «Dio, quando fu giunto il tempo stabilito, mandò suo Figlio, nato da una donna e sottoposto alla legge» (Gal 4,4). L'Apostolo chiarisce nel suo annuncio ai Galati che l'incarnazione del Figlio di Dio si realizza attraverso la nascita da una donna. Non vi è dubbio che la cosa suoni strana. Si tratta di un dato da collocare nella cornice della storia della salvezza, che lega l'umanità alla divinità indicando lo sconcertante cammino scelto da Dio per portare avanti il suo piano. Ci vorrà ancora del tempo perché la comunità credente arrivi a comprendere meglio il mistero, ma Paolo non esita a sottolineare ciò che da sempre è stata la fede della Chiesa: la maternità divina di questa donna, Maria di Nazaret, la madre di Gesù.
    Contemporaneamente il testo di Paolo ci mette in evidenza un altro dato importante che non possiamo tralasciare: l'umanità di Gesù. Ecco il grande mistero dell'incarnazione. Dio diventa uomo nel seno di una donna. Completamente uomo e completamente Dio, dirà la riflessione della Chiesa in concili successivi, a coloro ai quali ripugnava l'idea di un Dio che si macchiava del fango degli uomini.
    «Darai alla luce un figlio», aveva annunciato l'angelo. Maria visse, sicuramente, il dono della maternità con lo stupore di qualunque donna che genera la vita nel suo grembo e dà alla luce una creatura, ma - allo stesso tempo - nel mistero della fede di chi accoglie Dio senza riserve nella sua storia, perché colui che doveva nascere le era stato annunciato come «figlio dell'Altissimo».
    Luca descrive attentamente la nascita di Gesù nei primi versetti del secondo capitolo del suo Vangelo. Si tratta di un racconto con particolari difficoltà storiche che vengono discusse dai vari studiosi del Nuovo Testamento. Non è nostra intenzione addentrarci in tali questioni. Quello che ci interessa segnalare è che questi testi sono stati scritti - a partire da un nucleo fondamentalmente storico e geografico - con una marcata intenzione teologica nel genere midrásh. Lo stesso evangelista lo dice all'inizio della sua catechesi: ha investigato quanto accaduto, ma i suoi testimoni hanno già «teologizzato» gli avvenimenti vissuti interpretandoli alla luce della storia della salvezza. Occorrerà prestare attenzione, ancora una volta, alla prospettiva della «teologia della storia» in cui questi testi sono redatti.

    «Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire in una mangiatoia...»

    La nascita di Gesù viene descritta in questi versetti di Luca con molta sobrietà e grande semplicità: «Essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto» (Lc 2,7). Forse la cosa meno importante era precisare esattamente dove Maria partorisce, in una locanda o in una grotta, in un albergo o in una stalla - l'esame lessicale accurato permette diverse ipotesi al riguardo -, mentre ciò che realmente era importante è il dato intenzionale dell'evangelista che mette in evidenza le condizioni estreme del parto e la povertà di colui che sta nascendo. Tutto il contesto e l'austerità del racconto ci parlano di un Dio che si fa uomo tra gli uomini nella semplicità di un bambino appena nato nell'angolo più sperduto della terra, senza clamori, come chi arriva in punta di piedi - senza fare rumore - svelando così l'autentico volto del mistero: il paradosso del «Dio-spogliato-del-potere» in mezzo agli uomini.
    Richiama la nostra attenzione un dettaglio che Luca si preoccupa di far risaltare in questi versetti. Dopo aver partorito, Maria avvolge il bambino in fasce e lo mette a giacere in una mangiatoia. Gli artisti di tutte le epoche hanno mostrato in mille modi la tenerezza di questo gesto che racchiude in sé l'affetto infinito di una madre nei confronti del figlio appena nato. Ma nel vangelo dell'infanzia questo dettaglio va molto al di là dell'interesse semplicemente poetico di un appunto letterario. Si tratta di un segno, un segnale dato a coloro ai quali per primi viene annunciato l'avvenimento, cioè i pastori: «L'angelo disse: "Non temete! Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo, che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore. Lo riconoscerete così: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia"» (Le 2,10-12). L'angelo incaricato di dare la «buona novella» (euangelion) ai pastori svela un grande mistero annunciato e atteso dalla notte dei tempi: il messia promesso ha fatto la sua apparizione in mezzo al popolo.
    La sobrietà dell'inizio del racconto contrasta con la vivacità dell'immagine dell'annuncio ai pastori. In mezzo all'oscurità, la gloria del Signore avvolge di luce la stalla e tutta la corte celestiale fa la sua apparizione. Tutto accade nella «notte». E la «notte», nella tradizione e nella letteratura ebraiche, è tempo di salvezza, momento dei grandi eventi nella storia del popolo della promessa. Ciò che è accaduto fa parte di quel bagaglio di esperienze significative e avvenimenti importanti che trasformeranno il corso della storia. Luca lo sa e completa la scena con elementi teologici e letterari che danno al quadro solennità e colore. Colui che è nato è chiamato «salvatore», un appellativo che il nostro autore usa anche nel libro degli Atti degli Apostoli (At 5,31; 13,23) e che normalmente è riservato nella letteratura ellenistica ai re e agli dèi. Ma accanto a questo attributo dato al bambino appena nato, il figlio di Maria viene chiamato «messia» nella menzione che il messaggero fa della città di Davide; è giunto, dunque, il tempo messianico annunciato sin dall'antichità e un messaggio di pace risuona con forza nella notte dei tempi: «Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Si tratta, quindi, del messia atteso; ma, e qui è la novità, costui sarà «Signore», un titolo che nell'Antico Testamento era riservato solo a Dio e che segnala che l'evento supera tutte le aspettative del popolo. Il Messia che nasce è Dio stesso in mezzo al suo popolo: «il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore» (Lc 2,11). L'espressione, ancora una volta, deve essere interpretata nel contesto redazionale catechetico perché Luca, nel mettere sulle labbra dell'angelo questo titolo cristologico, sta proclamando lo stesso kerigma pasquale, ossia sta anticipando l'evento della pasqua alle origini stesse di Gesù di Nazaret.
    Dio ha pronunciato la sua parola e in essa si è fatto lui stesso storia. I pastori - il ceto più basso del popolo - sono i primi destinatari di questa «buona notizia» da parte del Signore e diventano testimoni di quanto accade: «Giunsero in fretta a Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che dormiva nella mangiatoia. Dopo averlo visto, dissero in giro ciò che avevano sentito di questo bambino» (Lc 2,16-17). I pastori «giungono» e «dicono in giro» quanto hanno visto e udito, proprio come faranno i testimoni della risurrezione nella Chiesa delle origini. Allo stesso modo, come ingegnoso costruttore, Luca anticipa anche il linguaggio missionario e testimoniale dei primi passi della comunità credente al periodo dell'infanzia di Gesù. Nel progetto teologico dell'evangelista, come l'annunciazione a Maria è l'anticamera del mistero di Cristo, l'annuncio ai pastori è concepito come l'introduzione al tempo della Chiesa e alla sua missione in mezzo al mondo.
    Nel mistero di Cristo e della Chiesa, ascoltatrice della parola, donna, madre e credente, Maria di Nazaret custodiva nel suo cuore tutte queste cose.

    «I miei occhi hanno visto la tua salvezza...»

    Qualche altro testo in questi «vangeli dell'infanzia» attira la nostra attenzione per il suo forte valore cristologico-mariologico. I genitori di Gesù, come fedeli ebrei, compiono quanto prescritto dalla legge per i primogeniti: la circoncisione all'ottavo giorno e, dopo quaranta giorni - tempo fissato per la purificazione della madre dopo il parto (Lv 12,1-4) -, la consacrazione del figlio al Signore nel tempio. In base alla legge di Mosè, i primogeniti dovevano essere destinati al servizio del Signore (Es 1-2.11-15), ma poiché questo compito era riservato tradizionalmente alla tribù di Levi, essi venivano esonerati da tale servizio pagando l'equivalente di venti denari.
    In questo contesto, Luca descrive l'incontro di Maria, Giuseppe e del bambino con Simeone, un anziano giusto e pio che attendeva il compimento delle vecchie profezie piene di speranza di Israele. Il testo - non vi è dubbio - possiede una grande forza profetica. Con accento messianico, l'evangelista mette in bocca all'anziano parole ispirate al Libro di Isaia (Is 42,6; 49,6) per annunciare il destino di quel bambino che «sarà occasione di rovina» (Le 2,34). La salvezza di Dio si manifesterà nel neonato in cui Simeone - mosso dallo Spirito - riconosce il Messia atteso, la cui missione supera gli stretti limiti di Israele per divenire portatore di salvezza per tutti i popoli: «Con i miei occhi ho visto il Salvatore. Tu l'hai messo davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le nazioni e gloria del tuo popolo, Israele» (Le 2,30-32). L'evangelista vuole insistere sulla missione di Gesù, in stretta relazione coi capitoli precedenti della sua catechesi: si è compiuto il tempo e colui che è nato per noi è il messia di Dio, salvezza per gli uomini.
    Ma quale salvezza? Qualche riflessione in più per comprendere bene l'intenzione teologica di Luca nel racconto. In primo luogo, di nuovo, il segno. Quel bambino è - innanzi tutto - un segno, un segnale per Israele: «Questo bambino sarà occasione di rovina o di risurrezione per molti in Israele» (Lc 2,34). Si tratta di un messaggio velato che stupisce chi lo ascolta e pone tutta la scena nell'ambito del mistero della fede. Teologicamente parlando, il testo dovrà essere interpretato alla luce di alcuni versetti di Isaia che appaiono evocati nel messaggio di Simeone: «Jahvè sarà un santuario, ma anche una pietra di inciampo per il popolo, un laccio, un trabocchetto per i regni di Giuda e di Israele e per chi abita in Gerusalemme» (Is 8,14). Il profeta annuncia al popolo una grande catastrofe che colpirà Gerusalemme, nella quale lo stesso Jahvè diventerà pietra di inciampo per il popolo eletto di Israele, se questi non sarà fedele all'alleanza. In questo contesto, le parole di Simeone acquistano maggiore significato: come il vecchio tempio di pietra significava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Gesù è il nuovo tempio. Si tratta di scegliere tra la morte e la vita: l'opzione per Gesù viene paragonata all'opzione fedele per Jahvè e il suo rifiuto porterà Israele alla distruzione. Questo è il segno, Gesù bandiera discussa, pietra scartata da molti, pietra angolare per altri. Segnale contraddittorio, scandalo per i pagani e vita piena per coloro che credono in lui. Israele, a causa di Gesù, vivrà il dramma della divisione e la sua Buona Notizia andrà molto al di là delle frontiere del popolo della promessa perché questi rifiuterà il Messia di Dio.

    LA SPADA DELLA FEDE

    Luca concentra accuratamente la sua attenzione anche su Maria, che appare nel racconto strettamente legata al figlio. Lo sguardo si muove verso di lei quando le parole dell'anziano si rivolgono alla giovane Madre: «... e a te una spada trapasserà l'anima» (Lc 2,35). Che vuole dire questo testo? A cosa si riferisce la spada?

    «Una spada ti trapasserà l'anima...»

    Molte sono state le interpretazioni che si sono volute dare di questi versetti nel corso della storia. La pietà popolare ha sempre visto in questa spada il dolore della madre ai piedi della croce. Probabilmente bisogna andare oltre e interpretare questa spada profetizzata dal vecchio israelita come la spada che divide in due il popolo eletto: il resto fedele che riconosce e accoglie il segno messianico, e quelli che rifiutano la Parola.
    Sicuramente la giusta prospettiva la avremo solo con Maria ai piedi della croce, quando è prossima la fine ed è difficile conservare la fede in quel Maestro di Nazaret inchiodato a una croce di legno sul punto di morire. Le cose non sono state facili e molti ritornano col capo chino al loro villaggio - esaurite le poche speranze nate mesi prima col messaggio nuovo del profeta della Galilea - pensando che sia tutto finito. È allora - soprattutto allora - che non è facile riconoscere il segno. Cosa vuol dire tutto questo? Né più né meno che anche Maria dovrà percorrere il cammino del discepolo nello sforzo di «comprendere» cosa sta dicendo Dio con tutto ciò. Che anche lei dovrà crescere nella fede e la fede, quando cammina nelle intemperie, diventa spesso dolorosa.
    Per le strade della Galilea, alcuni episodi dell'incontro di Gesù con Maria - lo vedremo più avanti - lasciano trasparire una misteriosa tensione tra madre e figlio. Maria viene invitata a seguire le orme di Gesù superando schemi e relazioni puramente biologiche per collocarsi e camminare nella chiave dell'opzione, della fede e del discepolato.
    Una spada, la spada della fede esigente, dell'opzione decisa e credente per il crocifisso-risorto. La fede di Maria non è un mero privilegio, no: è il cammino di una donna chiamata a vivere, nella libertà e con responsabilità, l'opzione per Gesù di Nazaret, messia di Dio, che trasforma la vita impegnandola a servizio del liberatore degli uomini. La fede di Maria non è soltanto un dono, è una fede nelle intemperie, rischiosa e dolorosa.

    «Ed il bambino cresceva...»

    I dati di cui disponiamo nei Vangeli non ci consentono - in assoluto - di cercare di costruire una «biografia» di Maria. È vero che la pietà popolare ha dato corpo a certe tradizioni che hanno voluto creare una «storia di Maria», ma sono frutto dell'affetto del popolo di Dio per la Madre di Gesù piuttosto che riflessioni basate su dati affidabili. Gli evangelisti non hanno voluto fare una «storia di Maria». Hanno voluto, semplicemente, fare una riflessione di fede sulla Madre del Messia così come veniva vista e vissuta dalle comunità cristiane.
    È chiaro quindi che neanche noi pretendiamo di raccontare la «vita di Maria». Anche se la vita della famiglia di Nazaret è stata oggetto di numerose «pie» riflessioni ricostruite nel tentativo di armonizzare fino all'esagerazione quanto si può ricavare dalla dolcezza della relazione madre-figlio, i Vangeli - in realtà - tacciono in merito e si limitano a segnalare sobriamente: «Intanto il bambino cresceva e diventava sempre più robusto; era pieno di sapienza e la benedizione di Dio era su di lui» (Lc 2,40).
    Ci soffermiamo su un altro elemento: Gesù e la famiglia di Nazaret sono descritti semplicemente come fedeli giudei che osservano la legge. Questa prescriveva tre pellegrinaggi all'anno, sebbene di fatto, normalmente, l'abitudine fosse quella di effettuarne uno solo. Ebbene, Luca si sofferma a spiegare l'episodio del piccolo smarritosi nel tempio di Gerusalemme, dove la famiglia si era recata per osservare la prescrizione pasquale. Che intento ha questo racconto? Nella catechesi di Luca, ha la funzione di anticipare la manifestazione di Gesù come Figlio di Dio prima del battesimo nel Giordano.
    La scena ha il suo punto centrale nelle parole di Gesù - in mezzo ai dottori della legge - che risponde alla madre: «Perché cercarmi tanto? Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?» (Lc 2,49). Come il giovane Samuele serviva il Signore (1 Sam 3,17), anche Gesù si dedicava al servizio del tempio, all'insegnamento della Parola. La catechesi vuole mettere in evidenza quella che sarà la linea di forza di tutta l'attività di Gesù, vale a dire l'annuncio della Parola, la Buona Notizia del Regno.
    Gesù è, dunque, Figlio di Dio. La risposta sorprende Maria e Giuseppe che non arrivano a capire. Il bambino con le sue parole crea distanze e provoca rotture coi suoi, realizzando così dal primo momento l'annuncio profetico di Simeone. Ma di nuovo qui, per capire bene il racconto, abbiamo bisogno di renderci conto delle influenze pasquali che troviamo nel testo. È logico che la prima comunità cristiana affermi che Gesù è Figlio di Dio - è questo un titolo cristologico post-pasquale - e che tale convinzione si proietti sull'infanzia di Gesù, ma ancora nessuno lo poteva sapere e, naturalmente, neanche i suoi genitori.
    Nuovamente, il cammino della fede si presenta duro e difficile. Non è facile comprendere il segno. Maria, da parte sua, «custodiva gelosamente dentro di sé il ricordo di tutti questi fatti» (Lc 2,51), in attesa di vederci più chiaro. La luce arriverà solo alla fine, quando il crocifisso, risuscitato, farà capire a quel pugno di spaventati seguaci che la brezza di Dio aveva fatto guarire le ferite degli uomini. Soltanto allora - anche Maria di Nazaret - compresero il segno. Soltanto allora compresero che non potevano tacere. Ma rimaneva ancora molta strada da fare.
    E il bambino crebbe nella saggezza al cospetto di Dio e degli uomini. Non troviamo più alcun testo nei racconti del Nuovo Testamento sull'infanzia di Gesù. Gli evangelisti omettono altri dati di quegli anni di «vita nascosta». Emergerà, tuttavia, una letteratura parallela - la cosiddetta letteratura apocrifa - che scriverà racconti meravigliosi che riempiranno le zone oscure dei Vangeli alimentando la pietà dei fedeli nei primi secoli.
    Luca, dopo aver concluso i racconti dell'infanzia e il suo racconto di Maria - d'ora in avanti soltanto qualche pennellata al suo profilo di credente -, compie un salto e scrive: «Gesù aveva circa trent'anni quando diede inizio alla sua opera» (Lc 3,23).


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