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    È ancora possibile

    trasmettere la fede?

    Giovanni Meucci

    A partire dal saggio di Armando Matteo Tutti giovani, nessun giovane, cerchiamo di mettere in luce alcuni aspetti che ci mettano in grado di rispondere a una domanda che ormai da tempo affligge la Chiesa in Europa e che è stata al centro anche del recente Sinodo dei vescovi sui giovani e la fede (ottobre 2018).

    L'ora di religione

    Quale idea, immagine o pregiudizio su Dio avranno in testa? È la prima domanda da porsi entrando in un'aula scolastica per l'ora di religione. La materia non materia che non può mettere voti, ma solamente esprimere giudizi e dicui è possibile avvalersi od optare per un'altra attività didattica proposta da ogni singola scuola. Nelle scuole superiori pubbliche statali se ne avvalgono sempre meno alunni, mentre in quelle pubbliche paritarie cattoliche la partecipazione è ancora scelta da tutti, ma ciò non facilita comunque le cose. In quanto andare a catechismo, frequentare la parrocchia, partecipare ai campi estivi, far parte di associazioni cattoliche non vuol dire automaticamente essere cristiani consapevoli o praticanti. È facile accorgersene stando accanto ai ragazzi durante la celebrazione eucaristica tra i quali sono veramente pochi quelli che comprendono e partecipano al rito che si sta svolgendo. Per molti è un momento aggregativo, un obbligo da ottemperare, uno spettacolo poco interessante, un film che non ti prende. E qui non si tratta banalmente di ricercare i presunti colpevoli, ma di prendere atto che ci troviamo in una situazione di criticità dove credere è diventato faticoso.
    In questo senso, sono illuminanti le riflessioni proposte da Armando Matteo in Tutti giovani, nessun giovane. Le attese disattese della prima generazione incredula (Piemme, Milano 2108): «Il crescente ateismo giovanile ha, in verità, assunto da tempo caratteri generazionali. Non si tratta più di qualche caso isolato di giovane che, ricevuta appunto la cresima, si allontana dal mondo ecclesiale per ragioni di aperto o sotterraneo dissenso rispetto a questo o quell'altro punto della dottrina o della morale cattolica; né le ragioni della disaffezione giovanile all'universo della fede vanno ricercate nella volontà tipica dei giovani di differenziarsi dall'universo mentale, e quindi religioso, dei propri genitori e degli altri adulti della società. Il punto di rottura è legato piuttosto alla difficoltà di avvistare un qualche possibile significato di quanto rubricato, lungo gli anni dell'infanzia o dell'adolescenza, sotto la voce "cristiano": alla drammatica e prepotente questione circa il tipo di persona che, crescendo, si desidera divenire, il cristianesimo vissuto da bambini pare non dare più risposte. Insomma, il difficile rapporto dei giovani con la fede si concentra intorno al fatto per cui tutto ciò che in Chiesa si compie per la loro maturazione spirituale non li aiuta a trovare una risposta alla seguente domanda: Che cosa significa essere cristiani, quando si cresce, quando cioè non si è più bambini?» (p. 9).
    In altre parole, è sempre più netta la divaricazione tra l'esperienza di vita che il cristianesimo prospetta e l'esperienza di vita con la quale i nostri giovani si confrontano a partire dai contesti familiari e di appartenenza. Il mondo degli adulti, a cui i giovani aspirano naturalmente a far parte, trasmette altre priorità rispetto al cristianesimo assimilato in parrocchia. Priorità come la sempre maggiore disponibilità di denaro, l'ossessiva ricerca di restare sempre giovani, la possibilità di un esercizio della sessualità e della propria capacità di attrazione erotica senza più alcun limite biologico, la smisurata apertura a tutte le novità che la tecnologia mette a disposizione dei consumatori mal si conciliano con l'esperienza religiosa. Dio, Chiesa, Vangelo, peccato, salvezza, preghiera personale, morte, giudizio, paradiso, inferno, intercessione, non fanno più parte del lessico familiare dei giovani, in quanto semplicemente non fanno più parte di ciò che sta a cuore agli adulti. Per questo, quella nata dopo il 1981, per gli studiosi, rappresenta la prima generazione incredula dell'Occidente che affronta giorno dopo giorno il suo essere in divenire, la sua crescita, il percorso di definizione della propria identità personale, senza avvertire più la necessità di riferirsi al Dio presentato dal Vangelo né all'esperienza di Chiesa che deriva dalla fede in questo Dio. Come mette ben in evidenza Armano Matteo nel suo libro: «tale è la novità di quest'ora della storia con la quale il mondo cattolico deve fare urgentemente i conti. Il sorgere della prima generazione incredula mette direttamente in questione proprio l'elementare capacità della Chiesa di far sorgere nuovi credenti nelle parole di Gesù, che possano succedere ai credenti di oggi. Andrà da sé che laddove tale fecondità ecclesiale entra in crisi inizia l'inarrestabile declino del cattolicesimo. Per dirla con papa Francesco, cosa resta del carattere "materno" – generativo – della realtà della Chiesa, se più nessun giovane decide di restarci dentro?» (ivi, p. 22).

    Il problema da cui ripartire

    Proseguendo nella lettura del saggio di Armando Matteo, troviamo un interessante paragrafo dal titolo: Lo smartphone val bene una messa (di prima comunione) che, parafrasando la famosa frase «Parigi val bene una messa» pronunciata da Ernico di Navarra quando, per salire al trono di Francia, da ugonotto si fece cattolico, getta uno sguardo inquietante sul cammino sacramentale dei nostri giovani. Anche se uno smartphone è ben poca cosa rispetto a un regno. Si tratta di una tendenza iniziata ormai trent'anni fa. Ricordo, infatti, che quando passai a comunione, ed eravamo nel pieno degli anni '80, rimasi scandalizzato non dal pranzo organizzato con tanto di catering sul terrazzo di casa mia, ma dai regali costosi che ricevettero í miei cugini in quell'occasione. Già avevo sopportato a fatica le lezioni di catechismo, l'obbligo della confessione, le prove per ricevere l'ostia. Scoprire poi la dimensione di rito sociale della prima Comunione, che va festeggiata con rinfreschi e vestiti eleganti, più che di un sacramento per cambiare vita, osservare la distanza tra il dirsi cattolici e l'essere cristiani, tra quanto insegnato dagli adulti al catechismo e quanto vissuto dalle stesse persone nel quotidiano appena usciti dalla messa, mí spinse ad abbandonare la parrocchia. Seppur undicenne, ero in cerca di valori autentici su cui fondare l'esistenza e vedere tale ipocrisia provocò una forte disaffezione per il mondo ecclesiale, senza allontanarmi da Dio con il quale continuò una qualche forma di dialogo. Il problema indubbiamente era stato provocato anche dal fatto di vivere in un quartiere di Firenze alto borghese più attratto dallo star bene che dal radicalismo cristiano. Quando, poi, a ventun'anni passai a cresima, nel giorno di ritiro a Montesenario ebbi modo di interrogare i ragazzini della classe dei cresimandi e percepii in loro una certa confusione sul passo che stavano per compiere e una scarsa esperienza di Gesù. Ora tutti loro avranno quarant'anni, forse una famiglia, dei figli, e cosa saranno stati in grado di trasmettere?
    In quegli anni, però, persisteva ancora un certo interesse, c'era curiosità per la religione: negli ultimi tempi i giovani, invece, stanno imparando a vivere senza Dio. Non nel senso di un momentaneo allontanamento dalla Chiesa per esperienze negative come nel mio caso, ma per il fatto di non averne mai sentito parlare. Sta accadendo quanto avvenuto in Russia a seguito della dittatura comunista dove, non parlando più di Dio, le nuove generazioni non lo conoscono più. Lo ignorano. Hanno imparato a farne a meno. Ma tornando al paragrafo citato, dalle indagini «effettuate sulla religiosità giovanile negli ultimi dieci anni, si può agevolmente vedere come quella che si può definire la quota di giovani che con convinzione afferma di non avere alcun interesse per la religione non solo sia in costante crescita, ma che questa crescita abbia carattere esponenziale. La fetta più "giovane" dei giovani – quella che qualcuno ha già ribattezzato come "generazione Z" o "generazione della rete", riferendosi così ai nati dopo il 1995 – accelera tutti i segnali di disaffezione dalla fede già ben presenti e marcati nell'attuale quota di Millennials ormai alle soglie dell'età adulta, ín breve nei giovani "meno giovani". Insomma, soprattutto gli attuali adolescenti esprimono ancora meno interesse per la religione di coloro che li hanno appena preceduti» (ivi, p. 29)!
    Se quanto detto è vero, perché ancora tanti bambini vengono mandati a catechismo e i campi estivi promossi dal mondo cattolico sono così affollati? Forse una delle risposte meno scontate si può ritrovare nel motivo per cuí il filosofo Giovanni Gentile volle inserire l'ora di religione obbligatoria nella sua riforma della scuola fascista. L'introduzione della religione cattolica nelle elementari – spiega la storica Alessandra Tarquini – non nasce dalla volontà di Gentile di fare un gesto a favore della Chiesa cattolica, ma in quanto convinto che la religione cattolica sia una philosophia inferior per preparare i bambini allo studio della filosofia: una via per iniziare a comprendere il senso dell'assoluto e a familiarizzare con la sua esistenza. In questo senso, la religione sarebbe la materia che più avvicina alla filosofia: ecco il senso della sua introduzione nella scuola. Quando poi Giuseppe Prezzolini scrive a Gentile chiedendogli perché proprio quella cattolica, il filosofo risponde ricordando che la religione cattolica è «la religione dei padri e siccome stiamo cercando di costruire la coscienza morale degli italiani per arrivare alla nazione non ci serve una qualunque religione, ma la nostra» (A. Tarquini, La scuola italiana negli ultimi 150 anni, in La scuola del Novecento, del Presente e del Futuro, Edizioni Feeria-Comunità di San Leolino, Panzano in Chianti, Firenze 2018, p. 22). Una visione culturale e identitaria della religione che nel tempo è stata fortemente ridimensionata, ma è ancora indubbio che la frequentazione del mondo cattolico è considerata da molti come un passaggio per la crescita sana dei propri figli: almeno lì, si dice, ancora si fanno certi discorsi, i bambini vengono seguiti e si impara a stare con gli altri, ad avere un minimo di vita sociale. Ecco allora delinearsi l'idea che la fede sia più qualcosa dei bambini e delle bambine. Una bella favola come Harry Potter o i racconti dei fratelli Grimm. Una tappa della formazione ai buoni sentimenti, all'altruismo, alla solidarietà.
    Più radicalmente, scrive ancora Armando Matteo, «diventa un affare da "bambini", legato cioè proprio a quel modo di immaginare e vivere in modo infantile il mondo che poi entra in crisi con l'ingresso deí piccoli nella fase adolescenziale [...]. In un tal mondo "bambino" si crede a Gesù e alla "Madonnina" allo stesso modo con cui si presta fiducia alla presenza e all'attività sommamente importante di Babbo Natale e della Befana, in un tale mondo si prega con la stessa disponibilità con cui si gioca, e si partecipa alla messa come sí vede la televisione insieme con i nonni o la babysitter di turno. Lo stesso catechismo, fatto di disegni, musiche, balli e giochi, non si discosta più di tanto dalle mille attività che caratterizzano l'attuale scuola di base. [...] Si aggiunga che oggi l'unica maniera riconosciuta universalmente valida dalle famiglie per richiedere e ottenere dai piccoli un qualsiasi impegno è quella che passa attraverso la promessa di una lauta ricompensa; si aggiunga ancora la naturale proiezione in avanti che caratterizza l'essere umano in questo stadio della sua esistenza e si avrà che, più cresce nel bimbo il desiderio di diventare grande, maggiore sarà in lui la consapevolezza di dover abbandonare tutto ciò che richiama il mondo dei piccoli. Ed ecco infine il punto di condensazione del ragionamento: poiché la prima forma di "adultità" è oggi rappresentata dal possesso personale di un cellulare, quest'ultimo viene quasi sempre promesso come regalo per la messa di prima Comunione. E allora, per quanto noioso possa a un certo punto diventare il catechismo, per quanto l'aria che si respira anche durante la celebrazione della messa domenicale quasi per nulla richiami quella di un giorno festivo, [.. .] tutto ciò non pesa quasi nulla se paragonato alla conquista di quel pezzo di mondo adulto che lo smartphone promesso per la messa di prima comunione rappresenta. Ed è così che il mondo della fede si configura come del tutto facente parte di ciò che í bambini fanno quando sono bambini e finché sono bambini» (A. Matteo, Tutti giovani, nessun giovane, op. cit., pp. 30-31).

    Si è rotta la cinghia di trasmissione delle fede

    I successivi capitoli del saggio rispondono alla domanda relativa alle cause di un così radicale mutamento che gli adolescenti e i giovani vivono sul terreno dell'esperienza religiosa. Indubbiamente, ciò deriva dal fatto che sono gli adulti, cioè i genitori, ad aver imparato definitivamente a vivere senza Dio e senza Chiesa, con l'effetto che è la vita adulta in sé stessa a essere sempre più immaginata e definita a partire da queste due assenze. In altre parole, si è rotta la cinghia di trasmissione della fede. Una consapevolezza che si è rafforzata nel tempo a partire almeno dagli insistiti appelli dí Giovanni Paolo II circa la necessità di «una nuova evangelizzazione» proprio nei paesi di antica cristianità. Rendendo ormai datata la vecchia distinzione tra territori di missione, dove la fede deve essere annunciata, e territori già evangelizzati, dove la fede deve solo essere aiutata a portare i suoi frutti. Per arrivare a papa Francesco, come ben emerge in un passaggio della sua esortazione apostolica Evangelii gaudium al numero 70: «nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano í genitori che non battezzano i propri figli e non insegnano loro a pregare, e che c'è un certo esodo verso altre comunità di fede. Alcune cause di questa rottura sono: la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l'influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l'assenza di un'accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l'adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale».
    Venendo a mancare l'esempio e la testimonianza dell'adulto che si è allontanato dalla fede perché soggettivismo e consumismo l'hanno portato a sostituire Dio con il proprio io, i giovani non la prendono più in considerazione. A questo si aggiunga che la svolta culturale avvenuta nella postmodernità ha favorito l'imporsi di un soggetto adulto sempre più dispensato da ogni responsabilità generativa, da ogni cura del possibile futuro di questo pianeta, da ogni attenzione al diritto delle nuove generazioni di succedergli, da ogni forma concreta di qualsivoglia devozione religiosa. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle porte laterali aperte su altre possibilità e porta con sé un forte relativismo pratico, secondo il quale tutto viene giudicato in funzione di una autorealizzazione molte volte estranea ai valori del Vangelo. Un'autorealizzazione in cui non c'è posto per l'altro, anzi il prossimo diventa un pericoloso concorrente. Il giovane, quindi, non rappresenta più una risorsa a cui trasmettere il proprio sapere e a cui lasciare in eredità ciò che abbiamo costruitoperché lo porti a compimento, ma piuttosto qualcuno che può rubarti la scena. Lo stesso allungamento della vita non è inteso dal cittadino medio occidentale come un'occasione per realizzare, avendo più anni da vivere, sogni o desideri rimasti ancora irrealizzati, ma più immediatamente con l'opportunità di avere più vite. Ovvero più cicli di esistenza nei quali poter mettere ogni volta in discussione quanto sino a quel momento era ritenuto centrale o decisivo in ordine al proprio cammino e poter avviare un percorso del tutto nuovo e a volte in pieno contrasto con quello sin lì percorso. Quando, in realtà, sarebbe solamente della giovinezza la possibilità di mettere in discussione quanto insegnato dagli adulti per poi trovare la propria strada, l'età della decisione, il tempo di pensare il proprio futuro e di iniziare a dargli forma. Questa volontà narcisistica di bastare a se stessi, di sentirsi immortali, di non voler cedere il passo, crea un grave danno alla società perché impedisce ai giovani di dare il loro apporto nell'età più creativa, più duttile, più produttiva dell'esistenza umana. Tutti giovani, nessun giovane, recita non a caso la prima parte del saggio in questione.
    Mi accorgo di essere andato un po' per sintesi nel rispondere alla domanda sul perché oggi sia diventato difficile trasmettere la fede. Il problema, in effetti, comprende così tanti fattori e solleva questioni che non possono essere racchiuse in un breve articolo. È certo che la crisi dell'adulto e le conseguenze che si ripercuotono sulla condizione giovanile, non riguarda solamente l'aspetto religioso ma investe globalmente individuo e società. Trovare una soluzione a quanto appena sostenuto è fondamentale non solo per la fede cristiana, ma per ogni aspetto della civiltà della vecchia Europa. Per ricostruire un orizzonte di fede credibile dobbiamo ripartire da questa consapevolezza e avere il coraggio di scandagliarne le cause una a una, proprio come sta facendo da anni don Armando Matteo. Il libro di cui stiamo parlando rappresenta solo uno degli esempi più chiari del suo lavoro. Le sue analisi costituiscono uno scandaglio delle profondità dei nostri tempi e possono tenerci lontano dalle secche e dagli scogli su cui potrebbe infrangersi il nostro navigare da cristiani. Leggendole, possiamo diradare la nebbia dagli occhi di molti giovani e adulti dí oggi che, per i motivi che abbiamo appena accennato, non riescono a percepire la visione cristiana del mondo. Una visione che spesso sfugge anche a noi cristiani perché affondiamo, nostro malgrado, nella palude di voler vivere nella dimensione giovanile e di rifuggire l'adultità. Di ascoltare le sirene seppur legati come Ulisse. É del giovane la dimensione della ricerca continua, di non avere risposte definitive, di essere dubbioso, incerto, confuso su cosa vuol fare da grande, di percepire i legami troppo forti come un pericolo nella ricerca dí sé stesso e delle sue qualità. È dell'adulto il portare a realizzazione parte di quanto sognato da giovane, esprimere certezze, generare alla vita, traghettare chi si trova ancora dall'altra parte della riva. Costruire un futuro migliore. 

    (FEERIA, 54(2018), n. 2, pp. 29-34)


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