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    2. Il profilo dell'animatore di stile salesiano


    Elisabetta Maioli – Juan E. Vecchi, L'ANIMATORE NEL GRUPPO GIOVANILE. Una proposta «salesiana», Elledici 1988


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    Per ritagliare il profilo originale dell'animatore salesiano come persona e tratteggiare le caratteristiche della sua azione educativa nel gruppo giovanile, è necessario collocarlo all'interno di un sistema composto da cinque elementi interagenti tra loro:

    - il suo ruolo dentro una comunità educativa con caratteristiche proprie;
    - lo spirito salesiano che egli incarna;
    - l'originale progetto educativo pastorale al cui servizio egli si pone;
    - l'identità che egli va maturando nel suo cammino di formazione a partire dal voler essere animatore;
    - i gruppi giovanili in cui presta il suo servizio.

    1. L'ANIMATORE DENTRO LA COMUNITÁ EDUCATIVA

    Si comprende l'animatore salesiano considerando la sua figura specifica dentro la comunità educativa, cui partecipano, a diverso titolo ma con identica preoccupazione educativa, soggetti vari: giovani, genitori, educatori, insegnanti, tecnici, dirigenti, personale ausiliario.

    Appartenenza alla comunità

    L'animatore appartiene alla comunità fino ad essere sua espressione. Ne condivide le scelte di fondo, alla cui elaborazione partecipa. Il riconoscimento del suo ruolo crea con la comunità degli educatori un legame speciale. Ad essa risponde perché ne incarna la missione educativa, e in essa vive le dinamiche personali più profonde: l'opzione vocazionale, la passione educativa, l'approfondimento spirituale.

    Ruolo specifico

    Nella comunità educativa egli ha un ruolo specifico.
    La comunità prevede e mette in gioco numerose competenze: l'insegnante, il responsabile dell'organizzazione scolastica, il catechista e l'educatore della fede, l'esperto del collegamento tra istituzione educativa e territorio... Tutti, insieme ai giovani, sono considerati educatori gli uni degli altri.
    Così, se la comunità vive le scelte dell'animazione, tutti possono, in un certo senso, chiamarsi animatori. L'animazione viene ad essere come una qualità diffusa che si arricchisce con la diversità delle funzioni e informa tutti i momenti e i processi con i suoi valori e i suoi metodi.
    Tuttavia, in senso più stretto, vogliamo riservare il termine animatore a chi è immediatamente e con continuità inserito in un gruppo giovanile con un ruolo riconosciuto dagli altri educatori e dal gruppo medesimo.
    Specifico dell'animatore è lo stare in mezzo ai giovani per sollecitarli ad associarsi, a maturare assieme attraverso l'esperienza di gruppo. Questa competenza può svolgersi in diverse direzioni nella e dalla comunità educativo-pastorale: nei gruppi spontanei o in quelli proposti, nell'attivazione delle dinamiche di gruppo nelle classiche divisioni istituzionali (classi, gruppi «catechistici» parrocchiali).

    Solidarietà e complementarità

    Il ruolo specifico dell'animatore è solidale e complementare con gli altri ruoli e funzioni della comunità educativa, fino a costituire una mediazione tra gruppo e comunità, tra dinamiche di gruppo e dinamiche comunitarie e istituzionali.
    La comunità educativa ha dinamiche proprie e varie, legate agli obiettivi educativi generali e comuni, e alle sue dimensioni e alla sua organizzazione. L'animatore si fa portatore delle istanze specifiche che nascono dal fare gruppo .e che chiedono, nella comunità educativa, spazio e disponibilità al cambiamento.
    Proprio perché è originale, il compito dell'animatore risulta a volte difficile: egli può incontrare difficoltà o con il gruppo o con la comunità degli educatori. Egli non si sottrae a questo conflitto, ma lo elabora in positivo per il bene dell'intera comunità educativa. Non privatizza il gruppo e non si lascia assorbire da esso e dal suo punto di vista, fino a sentirsi in opposizione con la comunità degli educatori.
    D'altra parte è chiamato anche a uscire dal ruolo di animatore di gruppo per collocarsi, insieme agli altri educatori, nella progettazione e verifica globale, nel clima di amicizia, di festa e celebrazione della fede che caratterizza ogni comunità salesiana.

    2. L'ANIMATORE SALESIANO: LA SUA SPIRITUALITÁ

    Il profilo dell'animatore è dato anche dalla condivisione dello spirito salesiano, cioè di quei tratti caratteristici dell'esperienza evangelica collaudata da Don Bosco e da Madre Mazzarello, quale peculiare stile di vita e quali criteri di giudizio e metodologie di azione.
    Lo spirito salesiano costituisce il punto di riferimento decisivo del modo di pensare, agire e santificarsi dell'educatore, e anche l'indicazione fondamentale per dare vita a progetti educativi, pastorali e di spiritualità con i giovani d'oggi.
    Raccogliamo alcuni tratti di immediata attinenza al profilo dell'animatore.

    Per vocazione tra i giovani

    L'animatore salesiano è uno che per vocazione si dona ai giovani. Lavora a tempo pieno e a piena vita, perché la salvezza si faccia gesto e parola per i giovani oggi.
    Egli crede che valga la pena spendere la vita per educare i giovani. Per questo è disposto a condividere con loro esperienze, valori, speranze, problemi. Tutto quello che fa la vita dei giovani, egli lo assume in proprio, con l'ansia apostolica di alimentare dentro la trama quotidiana dell'esistenza una domanda di senso che sfoci nell'incontro con il Dio della vita.
    I giovani sono il continente della sua missione e la patria della sua vocazione. Sente di non essere semplicemente un educatore che per professione spende il suo tempo di lavoro tra i giovani. Più che il suo impiego essi sono la sua passione. Ama loro più ancora che la visione della vita di cui si sente portatore. Pagherebbe per stare e lavorare con loro.

    La carità pastorale

    Egli è mosso dunque dalla carità pastorale che lo rende sensibile e attento a ogni situazione dove è in gioco la crescita dei giovani e li aiuta a discernere i fattori che collaborano a questa crescita e quelli che la compromettono. Questa carità lo rende capace di donare tutto per incrociare la vita dei giovani.
    Come Don Bosco, sa essere creativo e spingersi là dove essi sono, anche, ai margini di una società che schiaccia impietosamente i più poveri, i più indifesi, quelli maggiormente a rischio.
    L'animatore salesiano non domanda a nessun giovane la carta d'identità: «Basta che sia giovane». Guarda tutti con simpatia e con il segreto desiderio di essere mediazione di una più grande parola, di una più grande speranza.

    La prassi pedagogica

    Egli traduce l'amore per i giovani in una prassi pedagogica, il sistema preventivo, capace di svegliare le risorse interiori di ogni giovane, specialmente del più povero di comunicazione e di esperienze di crescita.
    Le manifestazioni di questo amore sono in primo luogo la capacità di incontro che sa risolvere in fiducia le diverse situazioni. La memoria degli incontri-dialoghi di Don Bosco e di Madre Mazzarello coni primi giovani gli insegna a diventare uno specialista del primo approccio o aggancio, nel quale crea simpatia e suscita aspettative.
    Si manifesta anche nell'accoglienza di quello che il giovane al presente è, di quello che porta con sé e, soprattutto, del suo misterioso destino. Questa accoglienza porta a subordinare tutto al valore della persona.
    Finalmente si manifesta nell'amicizia profonda e autorevole, capace di capire, accompagnare, proporre, arricchendo ciascuno con la propria esperienza e lasciandosi arricchire dalle manifestazioni dello Spirito presente nella vita dei giovani.

    L'unità della vita

    La carità pastorale, tradotta in prassi pedagogica su misura del ragazzo, è la sua via di santificazione. In essa si unifica la vita spesa in molteplici servizi e momenti. L'animatore salesiano crede che per farsi santo, come Don Bosco e Madre Mazzarello, c'è la strada dell'operare, facendo bene ciò che giova alla salvezza dei giovani. Perciò la verifica della sua maturità spirituale è, prima di tutto, la fedeltà dinamica alla propria missione e al proprio dovere.
    La sua spiritualità ha alcuni tratti caratteristici: è semplice e accessibile anche ai giovani.
    - Scorge la presenza di Dio e fa esperienza della sua paternità nel quotidiano della sua dedizione ai giovani. Questa certezza che Dio , è dentro la storia, che ha già salvato ogni uomo e tutti gli uomini, lo aiuta a fare della propria vita il luogo in cui incontrare il Signore e diventa il criterio con cui leggere insieme ai giovani l'esistenza.
    - Non separa mai l'impegno dalla gioia. La gioia è il segno visibile della sua fede nel Signore Dio, della sua fiducia nell'uomo, del suo ottimismo per una salvezza che sa già in atto; è la sua carta di identità perché, come Don Bosco, crede in una santità capace di suscitare entusiasmo. L'impegno è la consapevolezza che il Regno di Dio sulla terra è affidato alle mani dell'uomo, per cui è suo compito- fare il possibile per realizzare qui e ora un mondo più giusto.
    - Vive ancorato al mistero. Come Don Bosco, crede che il rapporto personale con Cristo sia la chiave per vivere un'autentica esperienza di fede, capace di suscitare nella profondità della persona un'intensa vita spirituale e una fedele iniziativa apostolica. La riconciliazione, d'altra parte, sperimentata personalmente, lo porta alla speranza e alla pazienza. Non si affida all'attivismo, ma prende con pace e in pace le resistenze connaturali all'azione, il ritmo delle persone, fiducioso nel dono di Dio.
    - Vive la propria esperienza di Cristo nella Chiesa, sentita più che come riferimento esterno organizzativo, come mistero, come comunione di tutte le forze che lavorano per il Regno, come sacramento o manifestazione rivelatrice di salvezza; sa che essa è il segno della presenza di Cristo e il luogo dell'esperienza evangelica.
    - Crede e sente Maria, Madre del Signore e Madre della Chiesa,
    la prima dei credenti, immagine del suo modo di essere cristiano dentro la Chiesa, a servizio dell'annuncio della buona notizia del Regno a tutti i giovani.

    3. L'ANIMATORE E IL PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE

    Il progetto generale e il progetto concreto

    Il profilo dell'animatore viene ulteriormente chiarito dal fatto che la sua azione è orientata dal progetto educativo-pastorale salesiano. Di esso condivide e assume gli orizzonti antropologici e religiosi, lo sguardo educativo con cui leggere la realtà, il modo di essere attenti ai segni di bene, gli obiettivi da perseguire, il metodo e le strategie , con cui conseguire gli obiettivi.
    Il termine progetto richiama immediatamente il quadro globale, le scelte di fondo che i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno elaborato e codificato in documenti ufficiali, di fronte alle richieste della situazione giovanile, sulla base delle intuizioni e delle opzioni descritte precedentemente e alla luce dei contributi delle scienze pastorali e dell'educazione.
    Lo stesso termine però è usato anche per indicare le scelte più concrete della comunità educativo-pastorale in cui l'animatore è inserito.
    Non è sufficiente che egli si richiami in modo generico al progetto dell'Istituto. Il suo profilo viene a definirsi con l'assunzione creativa del progetto che la comunità educativo-pastorale, in cui egli è inserito, ha elaborato o sta elaborando.
    Il confronto tra progetto e animatore non è mai pensato in modo esteriore, come adeguamento o applicazione meccanica di principi e norme pedagogiche.
    L'animatore conosce a fondo il progetto, lo interiorizza e lascia che i suoi valori e le sue grandi scelte permeino la sua vita personale. L'interiorizzazione è in funzione di un lavoro educativo consapevole, ma anche di un arricchimento personale.

    Il contributo dell'animatore al progetto

    Anzi, al progetto della comunità educativa e alla sua elaborazione egli dà un contributo originale.
    - L'animatore è attento alla qualità educativa del progetto, cioè alla sua capacità di guidare questi giovani a dare risposte personali alle sfide della vita. È dunque critico verso progetti generici, lontani dalle attese giovanili e dai loro problemi, elaborati senza il contributo di tutte le forze della comunità e dei giovani stessi.
    - L'animatore è attento perché la comunità, nell'elaborare il progetto, si orienti verso l'integrazione fra educazione umana ed educazione alla fede. Non può esserci da una parte l'educazione umana e dall'altra quella alla fede; la prima consegnata ad alcuni tempi e ad alcune persone; la seconda affidata ad altri momenti, azioni e persone diverse. Tutti, nel rispetto delle competenze di ognuno, si fanno carico dell'unico grande compito educativo: integrare crescita umana e crescita di fede.
    - L'animatore è attento perché, dentro l'ambiente educativo, si faccia spazio a una partecipazione attiva dei giovani, che non sia soltanto eseguire o fare attività, ma prendere parte alle decisioni che orientano la vita della comunità. Sottolinea che il loro protagonismo nella comunità (e non solo nei gruppi) è essenziale per una identificazione dei giovani con l'istituzione e l'ambiente.
    - L'animatore è attento alle condizioni concrete attraverso cui possono svilupparsi diverse esperienze associative, a seconda degli interessi giovanili e delle possibilità dell'ambiente. Il suo contributo al progetto della comunità consiste nell'evidenziare il bisogno di gruppo esistente nei giovani, nell'indicare gli obiettivi da perseguire, nel suggerire la pluralità delle forme di aggregazione e le loro modalità organizzative.
    - L'animatore .è attento perché il progetto, riconoscendo la diversa situazione in cui si trovano i giovani, preveda per i gruppi percorsi formativi diversificati come sviluppo dell'unico itinerario comunitario.
    - L'animatore è attento a fare del progetto uno stimolo al lavoro educativo, uno strumento per «riprogettarsi» continuamente come comunità e non un documento burocratico. Non lo considera quindi scritto una volta per sempre, ma sempre da riscrivere, per adéguarsi alle esigenze, ai problemi e alle ambiguità emergenti dai giovani.

    4. IL CAMMINO FORMATIVO DELL'ANIMATORE

    Il profilo dell'animatore di stile salesiano si va plasmando ulteriormente nel cammino formativo che egli deve fare. La complessità del suo ruolo e dei suoi compiti fa sì che egli debba inventare continuamente il proprio lavoro sotto la spinta della sua «passione educativa», a partire dall'esperienza acquisita, mediante una riflessione sistematica sempre più acuta.
    Egli cresce così con tratti originali di maturità umana, di competenza professionale e di profondità spirituale.

    La maturazione personale

    L'accumulo di esperienza nel servizio ai giovani porta l'animatore a crescere come uomo e ,ad arricchire positivamente l'immagine che egli ha di se stesso.
    Si rende capace di rispondere in modo sempre nuovo, in continuità con la propria storia, ad alcuni interrogativi personali e di migliorare alcuni aspetti della sua capacità relazionale
    - C'è in primo luogo la propria identità che si rinnova sotto la spinta delle vicende personali e dell'incontro con gli altri. L'animatore sa di non potervi rispondere una volta per tutte, perché gli è richiesta una continua attenzione alla vita e sintesi sempre nuove di esperienze, valutazioni e convincimenti.
    La risposta che il suo servizio educativo gli suggerisce è fondamentalmente ispirata all'amore per la vita. Pur ritrovandosi ogni giorno povero, egli intuisce che dentro la povertà si realizza un mistero grande: è in grado di compiere, nonostante tutto, gesti che danno senso e felicità alla sua vita. Per questo, pur essendo critico e tutt'altro che ingenuo verso se stesso, sa accogliersi senza paure, sa guardar alla propria esistenza con sguardo realista e pieno di speranza.
    - C'è anche l'esigenza di ricercare e approfondire le motivazioni che stanno alla base del suo servizio"educativo, che lo aiutano a chiarire sempre più la sua scelta di fare animazione.
    Queste motivazioni si evolvono a mano a mano che egli fa strada a fianco dei giovani: alcune scompaiono o diventano secondarie, altre si profilano all'orizzonte o acquistano un peso determinante. Consapevole che le motivazioni sono spesso ambivalenti o possono sottendere attese e bisogni di gratificazione, l'animatore purifica continuamente i perché che lo portano a donare la sua vita ai giovani.
    Riscrivere pazientemente le proprie motivazioni non è facile. C'è sempre il rischio di lasciarsi prendere dalla routine quotidiana, di ripetere risposte stereotipate, di non saper più che cosa ci si attende da questo lavoro affascinante e faticoso.
    - Egli deve saper esplicitare a se stesso per quale società e per quale Chiesa vuol lavorare. Non matura interiormente chi non è in grado di passare dalle motivazioni soggettive alle grandi finalità, all'orizzonte umano e di fede entro cui colloca il proprio intervento.
    Per far questo, occorre un lavoro di riflessione che permetta di rileggere con pazienza i problemi dell'oggi, di individuare ciò che è effimero per separarlo da ciò che è duraturo, di intuire le ansie e le attese profonde, germi nuovi che annunciano il futuro dell'uomo, della società e della Chiesa.

    La competenza professionale

    L'animatore è una persona che testimonia i valori perché ne ha fatto esperienza. uno che conosce come ci possono essere incontri che trasformano la vita. Tende perciò a comunicare agli altri la sua vicenda umana e di fede e sceglie, per farlo, una modalità precisa: l'animazione .
    Ma poiché fare l'animatore è un lavoro, una professione, egli, per offrire la sua testimonianza, si rende professionalmente competente. Questa competenza non è un'acquisizione fatta una volta per sempre, all'inizio del suo lavoro in mezzo ai giovani: è qualcosa da approfondire nel tempo. Da questo punto di vista perciò egli non si sente mai un arrivato, anche se è consapevole della ricchezza di esperienza che va accumulando negli anni. Il suo profilo dunque acquista il tratto di chi cerca la perfezione nel lavoro ed è sempre aperto a nuove acquisizioni.
    - Il primo luogo in cui si sviluppa la competenza professionale è la prassi educativa. Con questo termine si riassumono due cammini formativi fecondi, se integrati continuamente tra loro: l'esperienza concreta di lavoro in mezzo ai giovani e la riflessione teorica sull'esperienza.
    L'azione educativa, infatti, mette di fronte ai problemi e suggerisce la ricerca di soluzioni; la riflessione e lo studio offrono elementi per ripensare l'azione, aiutano a stendere nuovi progetti d'intervento.
    L'animazione diventa «prassi educativa» quando si è capaci di agire e di ripensare la propria azione con l'aiuto di un quadro valutativo scientifico e aperto; e quando, nello stesso tempo, lo studio delle discipline educative viene fatto alla luce dei problemi concreti e delle intuizioni che emergono dall'azione.
    - Resta tuttavia indispensabile un'adeguata formazione di base che tenga presenti tre prospettive:
    * l'approfondimento concettuale, teso a formare una «mentalità di animatore». Animare, infatti, è un modo di pensare, di leggere la realtà, di concepire l'azione. Richiede un quadro concettuale teoretico, ma non per questo astratto, che permetta di cogliere l'orizzonte in cui si muove l'animazione e le strategie che usa;
    * la competenza tecnico-operativa, tesa a formare nell'animatore la capacità di agire efficacemente, a seconda dell'ambito d'intervento che gli viene affidato. La competenza tecnico-operativa dell'animatore non si riduce al «che cosa fare», ma sa individuare il «come» farlo. Questo comporta l'elaborazione di una serie di criteri di azione e valutazione, il dominio delle dinamiche che facilitano la partecipazione, la conoscenza dei contenuti, da offrirsi sulla misura delle reali capacità dei soggetti;
    * l'abilità comunicativa, tesa a formare un animatore capace di aprirsi in modo corretto all'interazione con il gruppo e con i singoli. Questa competenza relazionale solo in alcuni animatori è dono di natura. Per molti è frutto di studio, di sperimentazione, di apprendimento paziente.
    - Oltre la formazione di base, però, resta all'animatore la responsabilità di un continuo aggiornamento professionale, legato all'evolversi della situazione culturale e della condizione giovanile, all'emergo:Ve di nuove domande educative e religiose, al delinearsi di nuovi processi formativi.
    L'aggiornamento pedagogico è un impegno permanente. Fa parte della mentalità flessibile dell'animatore ricercare gli strumenti più adatti per maturare una prassi pedagogica personale in continuo dialogo con la riflessione teorica.

    La profondità spirituale

    Vivere secondo lo Spirito è accogliere la presenza misteriosa di Dio nella propria esistenza, aprirsi positivamente - a partire da ciò che si sta vivendo - a Dio e al Signore Gesù, al suo amore e al suo Regno.
    Così l'esperienza di Dio non avviene a fianco o in momenti diversi da quelli in cui si fa animazione di gruppo, ma dentro di essa.
    La presenza attiva di Dio nella storia di ogni uomo è per l'animatore l'orizzonte ultimo in cui colloca il suo servizio ai giovani. Alla ricerca del senso profondo del suo lavoro, ha trovato nell'esperienza cristiana una risposta che, meditata giorno per giorno, illumina, orienta, trasforma quello che egli vive.
    L'aver assunto lo stile dell'animazione lo sollecita a percorrere un originale itinerario spirituale in cui le tappe, pur ripetendosi, sono vissute a livelli sempre più profondi.
    - Questo cammino porta l'animatore a vivere la sua azione educativa come modo originale di cercare Dio, come una domanda religiosa continuamente rinnovata e rialimentata.
    Non si tratta di elucubrare dottrinalmente sulla divinità, ma di ritrovare la traccia e il senso della presenza e salvezza di Dio nel mondo. A mano a mano che egli procede, si rende conto che la sua «passione educativa» è orientata e sorretta dalla ricerca del Signore, sempre vicino anche se silenzioso e invisibile. L'esperienza quotidiana, con le sue gioie e le sue sofferenze, accresce in lui il desiderio e la invocazione di Dio. L'interrogativo sul senso delle cose e degli eventi non gli è mai estraneo.
    - Approfondendo il significato della sua azione educativa, l'animatore scopre che essa è un modo originale di condividere la causa di Gesù di Nazaret. Egli sente il fascino di un grande evento che ha cambiato la storia dell'uomo: l'incarnazione di Dio nell'Uomo-Gesù. La pienezza della sua umanità, il suo essere servo dell'uomo lo riportano alla convinzione che per lui ogni realtà umana è volto del divino. Scavare dentro il mistero di Gesù fino a sentirlo come vicinanza assoluta di Dio ad ogni uomo conduce l'animatore a un profondo rispetto per tutto ciò che è umano, così da saperlo vivere in modo sempre più ricco in se stesso, nei giovani, nella comunità educativa.
    - A un livello più profondo ancora, l'animatore sente e vive la sua azione educativa come sollecitazione a un rinnovamento radicale della sua esistenza, come richiamo a uno stile di vita nuovo. Questo significa che ripensa continuamente la sua esistenza alla luce del Vangelo e della causa del Regno di Dio. L'azione educativa, come fatto spirituale, lo porta così a rinnovare la sua «tensione» verso la pienezza della vita; a mettere in modo più radicale le proprie energie a servizio della sua crescita nel mondo; a trovare spazi di esplicita comunione con Dio ne'l silenzio, nella preghiera personale, nella celebrazione eucaristica e nella riconciliazione; a sentirsi parte viva, all'interno della comunità educativa, dell'esperienza ecclesiale.
    I tre processi indicati come «via» di formazione permanente dell'animatore di stile salesiano interagiscono tra loro e si completano a vicenda.
    È anche così che egli ri-definisce continuamente il proprio profilo per essere sempre più vicino ai giovani e sempre più capace di vivere lo spirito salesiano.

    5. L'ANIMATORE E I GRUPPI GIOVANILI

    Non si può comprendere fino in fondo l'identità dell'animatore salesiano se non si prende in considerazione il tipo di gruppi a servizio dei quali egli svolge la sua opera educativa. Essi arricchiscono il profilo dell'animatore, lo aiutano a strutturare la vita in modo originale.

    L'accoglienza e valorizzazione di tutti i gruppi

    L'animatore salesiano ha un grande sogno, radicato nella carità pastorale: permettere a tutti i giovani, soprattutto i più poveri, di fare un'esperienza di gruppo nell'arco della loro adolescenza e giovinezza, quando si compiono le grandi scelte della vita.
    Egli sa trovare le modalità concrete per fare gruppo proprio con qii giovani che sono meno motivati e, forse perché poveri di domande di vita o di esperienze di socializzazione, non ne sentono neppure il bisogno.
    Egli è consapevole che il cammino formativo dei giovani poveri comincia con un desiderio, magari inconsapevole, di fare gruppo: il che significa voler uscire dalla propria solitudine per aprirsi al mondo circostante. È questa la domanda educativa.
    Il denominatore minimo richiesto al giovane per partecipare a un gruppo di stile salesiano è semplicemente questa domanda educativa sottesa al desiderio di fare gruppo. Non è richiesto che il gruppo o i singoli esprimano un interesse specifico, abbiano la volontà di prestare qualche servizio sociale o ecclesiale, né che fin dal principio si condivida esplicitamente la fede cristiana.
    Sarà, forse, lungo l'itinerario di animazione che i gruppi potranno prendere coscienza che la loro domanda educativa è insieme domanda religiosa e che a tali domande si può rispondere trasformando l'iniziale apertura agli altri in un confronto con le proposte culturali e di fede dell'ambiente.
    Questa scelta, tipicamente salesiana, di voler offrire a tutti i giovani l'esperienza educativa del gruppo, porta ad affermare che per l'animatore di stile salesiano tutti i gruppi possono essere formativi, tutti considerati luogo di educazione alla fede, qualunque sia l'interesse per cui si costituiscono.
    Essere disposti a entrare in contatto con qualsiasi gruppo è un tratto che sottolinea l'adattabilità, la fiducia nei giovani, la creatività dell'animatore salesiano che accoglie ogni punto di partenza pur di percorrere con i giovani il cammino che porta a scoprire il Dio di Gesù Cristo.

    La varietà dei gruppi giovanili

    L'apertura a tutti i giovani e l'identificare nella «domanda educativa» implicita il minimo denominatore comune richiesto, permette agli ambienti salesiani di dare accoglienza e vita a una grande varietà di gruppi.
    Senza pretendere di classificare questa varietà, vogliamo sottolineare alcuni elementi che la determinano, consapevoli che la diversità, l'autonomia e i percorsi differenti dei singoli gruppi comportano un profilo originale di animatore.
    Esistono gruppi che si aggregano attorno allo «stare insieme». Sono gruppi di amicizia, di dialogo spontaneo e gioco, di confronto di fede. Al loro interno si discute, ci si trova a pregare e meditare la parola di Dio, per poi tornare ai propri impegni quotidiani. Non mancano in essi «cose da fare»; ma sono organizzati soprattutto attorno alla riflessione e allo scambio di esperienze varie.
    Ci sono altri gruppi centrati sul «compito», sul fare insieme. Al centro non è il bisogno di amicizia, anche se questo è presente, ma il bisogno di realizzarsi svolgendo particolari attività.
    All'interno dei gruppi centrati sul compito si possono stabilire ancora elementi di ulteriore diversificazione: ci sono quelli centrati su un interesse espressivo e quelli centrati sul volontariato.
    I gruppi di interesse si costituiscono attorno alla pratica dello sport, musica, teatro, turismo, della comunicazione dei valori della fede. I gruppi di volontariato si ritrovano per un servizio agli altri, come risposta a bisogni di diversa natura: ai poveri o ai piccoli, agli anziani o agli handicappati, a tutti coloro che chiedono una vita più dignitosa.

    Tre ambiti di interazione fra gruppi

    I gruppi si aggregano secondo modalità e interessi molteplici e in ambiti diversi, che non si escludono tra loro, anzi si richiamano a vicenda e interagiscono in diversi modi.
    - Il primo ambito in cui i gruppi si aggregano e si collegano è la comunità educativa (oratorio, centro giovanile, scuola). La varietà dei gruppi trova nell'ambiente educativo la possibilità di partecipazione e di dialogo, e sperimenta, nell'elaborazione, realizzazione e verifica del progetto educativo-pastorale, il punto di incontro e di convergenza.
    Tutti i gruppi, qualunque sia la loro denominazione e la loro finalità, interagiscono per arricchirsi e per creare un clima culturalmente vivace e cristianamente impegnato.
    - Il secondo ambito di aggregazione è il territorio e la Chiesa locale intesa in senso ampio (contesto socio-culturale, territorio parrocchiale, diocesi...).
    Tutti i gruppi, qualunque sia il loro interesse prioritario, si sentono partecipi degli sforzi della comunità umana e cristiana nell'affrontare. i problemi che emergono dalla situazione concreta del territorio. Pur nelle forme diverse e specifiche di servizio, sanno trovare momenti di confronto e criteri comuni, per verificare la loro incidenza sulla comunità.
    - Il terzo ambito in cui i gruppi si aggregano sono le associazioni a livello nazionale e internazionale. Alcune di queste associazioni si sviluppano in ambienti salesiani; altre hanno origine e si esprimono in più ampi contesti, civili ed ecclesiali. Le finalità specifiche di tipo sociale, culturale e religioso; l'organizzazione ampia con varie strutture di supporto; la capacità di mediazione e di rappresentanza nei posti in cui si elaborano strumenti politici o proposte sociali sono gli elementi che forniscono il collegamento a raggio ampio.

    Un riferimento comune: la spiritualità salesiana

    I gruppi e le associazioni che, pur mantenendo la loro autonomia organizzativa e la loro indipendenza operativa, si riconoscono nella spiritualità e nella pedagogia salesiana, costituiscono il Movimento Giovanile Salesiano.
    Due sono gli elementi che definiscono il Movimento: il riferimento alla comune spiritualità e il tipo di comunicazione tra i gruppi.
    - Il riferimento alla Spiritualità Giovanile Salesiana. I gruppi ne vivono i valori a diversi livelli, ma il riconoscersi in essi rende reale la loro affinità, in modo tale da parlare quasi uno stesso linguaggio, al di là della diversità delle esperienze concrete.
    In forza di questo riferimento fanno parte del Movimento Giovanile Salesiano:
    * i gruppi e le Associazioni che si sviluppano nei nostri ambienti educativi;
    * i gruppi animati da salesiani nei diversi ambiti di pastorale ecclesiale;
    * i gruppi che assumono gli elementi fondamentali dello stile di Don Bosco, perché li considerano come un arricchimento della loro specifica linea spirituale o formativa.
    Il Movimento Giovanile Salesiano, quindi, è una realtà aperta, che unisce molti giovani: da quelli più lontani per i quali la spiritualità è un riferimento appena in germe e semplicemente avvertono di sentirsi bene nel clima salesiano, fino a quelli che in modo esplicito e consapevole fanno propri, nella loro totalità, la proposta e l'impegno apostolico salesiano.
    È evidente che un Movimento così aperto deve qualificarsi dal punto di vista educativo. Infatti deve commisurarsi con i giovani più poveri, quelli che iniziano il cammino e gradualmente si aprono alla domanda religiosa; ma deve, nello stesso tempo, assicurare occasioni di crescita e di maturazione personale ai giovani che hanno fatto una scelta precisa di fede e di servizio, rendendoli sempre più fermento tra gli altri giovani.
    - La comunicazione tra i gruppi. La realtà del Movimento, più che su una organizzazione rigida, si fonda sulla comunicazione tra i gruppi, anche se considera necessaria una struttura minima per realizzare un ; coordinamento e assicurare la circolazione di messaggi e di valori.
    Il Movimento diventa così un ambito ben preciso dentro cui attivare i processi comunicativi. I gruppi e gli animatori, con libertà di iniziativa, trovano le strade opportune per sollecitare e organizzare i momenti di incontro e di confronto. Essi, desiderando e scoprendo un'appartenenza sempre più significativa, creano canali di informazione e di comunicazione capaci di collegare esperienze diversificate, dilatando il dialogo e accrescendo il coinvolgimento. Ogni gruppo risponde agli inviti, si sente parte viva, voce che domanda e accoglie, segno di una realtà che cresce con l'apporto responsabile di tutti.
    Così concepito il Movimento Giovanile Salesiano non è un'iniziativa per i giovani pensata e gestita da adulti: è dei giovani. Esprime le loro istanze, costituisce il loro riferimento, usa il loro linguaggio nei vari «appuntamenti» che scandiscono la loro vita.
    L'orizzonte in cui si muove il Movimento Giovanile Salesiano è l'impegno di formare «buoni cristiani e onesti cittadini, apostoli dei giovani», secondo le possibilità di ciascuno. Esso è la componente giovanile del più vasto movimento che guarda a Don Bosco e a Madre Mazzarello per far rivivere oggi la loro spiritualità.

    L'animatore salesiano: un difficile identikit

    Questo tessuto di molteplicità, autonomia e riferimenti comuni lasciano intuire non solo compiti diversificati, ma anche una particolare configurazione dell'animatore. Non solo egli non può seguire un manuale o pensare il suo lavoro come applicazione di schemi preesistenti, ma soprattutto deve strutturarsi in modo da saper inventare il suo lavoro a partire dalla competenza acquisita. Ogni gruppo è un tutto originale, ed è originale il cammino che è chiamato a fare. Solo la libertà interiore dell'animatore, nutrita di competenza e passione educativa, possono valorizzare questa originalità.
    Forse lo specifico dell'animatore salesiano sta proprio in questa impossibilità di tracciarne in modo chiaro e definitivo la fisionomia, in questa necessità di ritrovare i tratti che lo caratterizzano riesprimendo continuamente la sua identità salesiana dentro il gruppo in cui fa animazione.
    Non esiste, pertanto, un solo modo di fare l'animatore. Dentro l'alveo spirituale ed educativo delineato, è possibile ed è richiesta la creatività, la fantasia, l'elasticità mentale e operativa.
    Essere animatore è interpretare un ruolo e, ancora di più, accettare di essere chiamati a inventare continuamente la propria esperienza umana, cristiana, salesiana.


    T e r z a
    p a g i n A


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