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    Appunti di pastorale giovanile /1



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1971-03-04)

    Note di Pastorale Giovanile ha operato una scelta precisa di metodo pastorale. Maturata nei vari incontri redazionali, è stata ora confrontata con «Il rinnovamento della catechesi».
    Queste linee, a carattere ufficiale per la pastorale della chiesa italiana, ci hanno fornito come un criterio di condensazione di molte nostre intuizioni ed una traccia per costruirne un'esposizione organica: quasi un «commento» di metodo pastorale al RdC.
    E c'è un altro dato di fatto. Nei frequenti incontri, personali ed epistolari, dell'équipe di redazione con i lettori della Rivista, si è avvertita una recezione solo parziale delle scelte di fondo, operata da Note di Pastorale Giovanile come sua caratterizzazione. Generalmente, gli articoli pubblicati nella rubrica Studi tentano un richiamo di aggancio. Ma siamo, troppo spesso, sul piano del frammentario. È difficile, dalle singole tessere di un mosaico, ricostruire l'originale.
    Per questi motivi, è stato programmato un intervento continuativo per stendere, in esteso, il progetto pastorale che forma la filigrana di tutte le pagine della Rivista e che ci pare il più significativo per i giovani, oggi-qui.
    Questo primo articolo ne traccia un'impostazione generale: ogni numero successivo della Rivista, in quest'annata, continuerà il discorso.
    Queste note sono le battute di un dialogo.
    La redazione è lieta di leggere pareri e contributi: al termine della rassegna (6 articoli) si vorrebbe arrivare ad una certa sintesi, il più possibile completa e condivisa.

    * Se si pensa la pastorale giovanile come la scienza che studia il modo di rendere funzionanti le strutture pastorali tradizionalmente esistenti all'interno della Chiesa...
    * Se si è soprattutto preoccupati di arginare le molte defezioni giovanili, senza cercarne il perché, rompendo nodi vecchi di anni...
    * Se si misurano i risultati della propria azione pastorale in termini di efficienza immediata, in conteggi numerici, in fretta di conversioni, in desiderio di superaffollamento di chiese o di aule di catechismo...
    * Se si immagina la pastorale giovanile come arte di condurre i gruppi, attraverso una tacita manipolazione, verso l'universo mentale dell'educatore...
    * Se si è alla ricerca di parole nuove, fresche con cui mascherare realtà superate; o, peggio, del come non far scoprire una strategia d'intervento che ha ancora il sapore delle crociate...
    * Se si pensa la pastorale come un sottoprodotto teologico, per un'epoca disimpegnata, o come l'aspetto comunicabile, «predicabile» di una teologia necessariamente impervia alla comune dei mortali...
    Queste note non interessano.
    All'interno di esse non si ritroverà nulla di tutto ciò: non c'è alcuna formula magica né segnali per una traduzione spicciola. Manca ogni pret-à-porter. Abbiamo scelto un'altra strada.
    Un giovane come mille altri, pieno di vita, esuberante di entusiasmo, pronto a rimboccarsi le maniche per tutto, eppure stanco, disincantato, anarchico per natura.
    Dio non gli interessa. Nella stragrande maggioranza dei casi lo pensa un intruso; o se lo tiene buono, pagando la tassa - sempre più ridotta - di alcuni gesti, per potersi poi fare la sua vita. «Questa» è una cosa seria: perché è la «sua»; e perché si sente di buttarla, per liberare gli altri, dalle strutture di alienazione in cui tutti siamo dentro.
    Non possiamo chiedergli, a questo giovane degli anni 70, di dimenticarsi, per fare spazio a Dio. Dio non gli ruba la gioia di vivere.
    Dobbiamo parlargli di Dio, all'interno della sua fame di vita, di autenticità, di realizzazione.
    Dobbiamo parlargli con la nostra vita: perché le parole, ormai, lasciano il tempo che trovano. Dobbiamo parlargli «in tanti»: che ci credano, che siano con lui a condividere, a soffrire, a gioire, a battersi.
    Come? Questa è la nostra «pastorale giovanile»: la nostra scelta.
    È opportuno fare subito una premessa che indica i limiti di questo studio. Il puntò di interesse, ciò che forma il cuore delle riflessioni, sono gli adolescenti e i giovani.
    Qui si parla di loro. E direttamente solo di loro.
    Non è possibile trasportare di peso queste pagine per il mondo dei preadolescenti.
    Molto può essere adatto a loro; molto è adattabile.
    Altre cose non sono applicabili, proprio per la diversa situazione psicologica.
    Fare dell'uomo il centro e la misura della pastorale, vuol dire costruire una pastorale che sia veramente correlazionata alla reale mentalità dell'uomo concreto.
    Non è opportuno, in campo di pastorale giovanile, ripetere lo stesso errore d'altri tempi, in forma contraria: riportare di peso ai preadolescenti quello che è stato studiato per i giovani.
    Per i preadolescenti si rimanda agli studi specifici: la serie degli articoli di Giannatelli in Note di Pastorale Giovanile (1970-5,11; 1971-1) e il numero monografico in preparazione.

    Prima parte

    DECIDIAMO DI PARTIRE DALL'UOMO QUOTIDIANO PER ESSERE FEDELI ALL'INCARNAZIONE

    La vita quotidiana è «la fitta e misteriosa trama entro cui si incontrano Dio, che si rivela e l'uomo, che lo va cercando per varie strade» (RdC, 198).
    Da questo incontro, sconvolgente come tutte le cose grandi e più significativo di ogni altro avvenimento, nasce nell'uomo la fede «adesione a Dio, che parla e chiama gli uomini alla comunione, nel Figlio suo fatto carne», «nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, sacramento di unità e di salvezza per il mondo intero» (RdC, 42).
    Profondamente rispettoso del dono della libertà che ci ha fatto, Dio non forza nessuno: si lascia condizionare. Accetta il dialogo. Due sono allora i protagonisti: Dio che si rivela, che va alla ricerca dell'uomo, come un innamorato; e l'uomo che cerca Dio, nel profondo della sua persona, ma «per varie strade», a prima vista tutt'altro che in linea di continuità con quella su cui cammina Dio.
    Il rendez vous, nell'economia ordinaria, non avviene spontaneamente. È urgente una guida, che avvicini i due piani, che conduca alla scoperta esistenziale del «vero volto» delle strade che l'uomo percorre: che gli faccia cioè toccare con mano che per vivere la propria vita in autenticità di realizzazione, Dio «c'entra», è alleato, non intruso.
    La pastorale è questa guida, come scienza e come insieme di tecniche. Ha quindi una doppia attenzione:
    * la conoscenza del dato rivelato, per evidenziarne gli aspetti connaturali (come Dio va incontro all'uomo);
    * la conoscenza della realtà esperienziale, nel movimento di sviluppo o di contrapposizione al piano di Dio (come l'uomo «cerca» Dio); proprio per rendere possibile l'incontro tra il Dio che si rivela e l'uomo che lo va cercando.

    Dal qualunquismo ad un metodo pastorale

    Una pastorale che voglia coltivare l'incontro tra Dio e l'uomo è chiamata ad una scelta decisa di metodo.
    L'accento va su Dio, sul modo oggettivo della sua rivelazione, cui l'uomo deve adeguarsi, per poterlo incontrare?
    O va sull'uomo, sulle strade che egli batte, per fargli scoprire ciò che vuole e non avverte, che Dio è cioè in linea di continuità con la ricerca di autenticità che egli soffre, con gli interessi che egli persegue?
    In una parola, la pastorale deve scegliere un metodo deduttivo od uno induttivo?.[1]

    - metodo deduttivo:
    Dio parla e l'uomo risponde (è la linea tradizionale: proclamare un messaggio di salvezza).
    Il metodo si articola in tre momenti:
    * momento storico-dottrinale: prevalenza ad una rivelazione oggettiva, in cui si sintetizzano gli aspetti storici, liturgici ed ecclesiali, in un sistema organico (la storia della salvezza);
    * momento sacramentale: la chiesa, popolo di Dio nel mondo, attualizza nell'oggi la storia della salvezza; la vita liturgico-sacramentale è la proposta attuale di Dio all'uomo;
    * momento vitale-personale: l'uomo risponde all'iniziativa di Dio con la sua vita (vita «morale» come collaborazione alla edificazione del Regno).

    - metodo induttivo (il metodo dell'«incarnazione» - RdC, 96):
    l'uomo interroga se stesso e la vita quotidiana Dio gli si fa risposta in Cristo l'uomo aderisce (fede e vita) (è la linea nuova della pastorale: interpretare l'esistenza).
    La prevalenza è sulla esperienza umana: essa diventa la misura dell'interesse pastorale. Ciò che è senza significato per l'uomo a livello superficiale e a livello profondo, non ha rilevanza per la pastorale. La rivelazione è segnata dal suo significato per l'esistenza umana.
    Dopo il fatto dell'«incarnazione», il metodo è obbedienza ai contenuti (RdC, 122).

    Criteri per la scelta

    La risposta all'interrogativo non può essere data a priori, né in assoluto. In termini astratti, ogni metodo è buono e quindi accettabile, quando non cozza contro affermazioni dogmatiche precise. È egualmente ortodossa una scelta o l'altra.
    Ambedue devono conservare all'interno una precisa fedeltà a Dio e all'uomo, come «unica» dimensione permanente.
    «A fondamento di ogni metodo pastorale, sta la legge della fedeltà alla parola di Dio e della fedeltà alle esigenze concrete dei fedeli. È questo il criterio ultimo sul quale devono misurarsi le esperienze educative; questo il fondamentale motivo ispiratore di ogni esperienza di rinnovamento. Fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale, che porta la Chiesa a scegliere le vie più adatte, per esercitare la sua mediazione tra Dio e gli uomini. È l'atteggiamento della carità di Cristo, Verbo di Dio fatto carne» (RdC, 160).
    Ma, per essere fedeli a Dio e all'uomo assieme (evitando il genericismo inconcludente), quale scelta teologica è funzionale per i giovani, oggi-qui? Il criterio di scelta è quindi di carattere storico, salva l'ortodossia.
    Il pluralismo perde il diritto all'esistenza, quando cessa di essere di servizio alle persone. Con l'alibi del pluralismo, non si può optare per un metodo, quando di fatto è inadeguato ai destinatari.
    La pastorale giovanile degli anni 70 deve assumere un metodo deduttivo («proposta» di un messaggio) o un metodo induttivo (accento sull'uomo)?
    Si noti come la questione non è oziosa. Ogni metodo s'incarna in strutture. Non si può scegliere un metodo e continuare poi praticamente come se niente fosse. La scelta, per esempio, di partire dall'uomo comporta, per coerenza, la necessità di abbandonare molte strutture pastorali a carattere deduttivo. Si potrebbero fare molti esempi, a titolo di conferma. In un clima di scristianizzazione come è quello in cui di fatto vivono anche i giovani che ci avvicinano, gli ambienti educativi saranno prima di tutto centro di umanizzazione che luogo di catechesi nel senso tradizionale del termine: un servizio all'uomo per innestare il «cristiano». Prima le persone e poi le esigenze dell'orario, dei programmi, delle tradizioni. Al limite, si dovrà soffrire, per molti anni, un certo deserto nei momenti «cultuali», mentre la fede dei giovani passa il travaglio della maturazione: coloro che ci andavano, perché erano obbligati, riconquistata la loro libertà, per un po' di tempo saranno «i grandi assenti».
    Ancora, dovrà nascere una nuova impostazione nella conduzione dei gruppi, nel rapporto, per esempio, catechesi e attività: la giustapposizione finora attuata dovrà lasciare il posto all'integrazione; ma l'integrazione non spunta di punto in bianco: se è frutto di lenta maturazione, l'attesa dovrà essere nella linea nuova e non in continuazione con la prassi precedente. Si tratterà di scoprire un nuovo modo di parlare di Dio ed un nuovo modo di essere educatori.[2] E d'altra parte, rimane valido un dato incontestabile: non è produttivo, anche nella pastorale giovanile, sbaraccare prima di aver pronto un sostitutivo.
    Tutto ciò è fonte di sofferenza apostolica, nel momento di scegliere e nel momento di realizzare.

    Motivi per scegliere il metodo induttivo

    Ritorna allora il problema, con maggior chiarezza e responsabilità, alla luce delle conseguenze pratiche.
    Partiamo dall'uomo (metodo induttivo) o partiamo da Dio (metodo deduttivo) ?
    Scelta l'opzione di accentuazione, si studieranno le strutture minime di realizzazione, i relativi punti di sostegno, le linee con cui «inventare» a livello locale il modo di procedere (sarà quanto tenteremo nelle ultime battute di questi appunti). È chiaro un fatto: prevalenza non è esclusione (la scelta di un metodo non comporta necessariamente il rifiuto dell'altro). Scegliere vuol dire accentuare e unificare, a partire da una prospettiva.
    La risposta all'interrogativo nasce dalla comparazione di alcuni fatti. Sono soltanto richiamati: l'approfondimento è riservato ad un altro contesto.

    1. Il mistero dell'lncarnazione (1 Cor 1 e Fil 2) come strada scelta da Dio per salvare l'uomo.
    «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il «Dio con noi», il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare a ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla» (RdC, 77).
    «Il messaggio cristiano non sarebbe credibile, se non cercasse di affrontare e risolvere questi problemi (i temi che le condizioni storiche e ambientali rendono particolarmente urgenti). Né si tratta di una semplice preoccupazione didattica o pedagogica.
    Si tratta invece di un'esigenza di «incarnazione» essenziale al cristianesimo» (RdC, 96).
    «Dio si rivela supremamente nell'umanità di Cristo. Per questo, non è ardito affermare che bisogna conoscere l'uomo per conoscere Dio; bisogna amare l'uomo, per amare Dio» (RdC, 122).

    2. La salvezza è un fatto totale: un'alleanza che coinvolge l'uomo nella sua globalità e che si realizza nel complesso dei gesti della vita quotidiana:
    * le grandi scelte di fondo: atti centrali della propria esistenza;
    * le singole scelte quotidiane, operate nelle situazioni di vita, come conseguenza e visibilizzazione delle precedenti.
    «Con la grazia dello Spirito Santo, cresce la virtù della fede se il messaggio cristiano è appreso e assimilato come buona novella, nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana dell'uomo. La parola di Dio deve apparire ad ognuno come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni. Diventerà agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita» (RdC, 52). «Cristo può essere accolto, se è presentato come evento salvifico presente nelle vicende quotidiane degli uomini» (RdC, 55).

    3. La linea antropologica del Concilio: il ritrovamento del valore e della irrepetibilità della persona.
    «L'ordine sociale e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, giacché nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario, secondo quanto suggerisce il Signore stesso, quando dice che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato» (GS, 26).
    «La misura e il modo di questa pienezza sono variabili e relativi alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e al contesto di cultura in cui si trovano» (RdC, 75).
    Da queste indicazioni «ufficiali», viene confermata la priorità della persona, in ogni impianto pastorale.
    Ogni uomo aderisce, con gesto personale, a Dio: un gesto libero e responsabile. Egli non è mai un soggetto recipiente di un'attività dall'esterno, ma parte in causa, centro e misura.
    Nessuna struttura, nessuna scelta aprioristica, la stessa rivelazione, è superiore alla persona. Essa è al centro: tutto il resto al suo servizio. Tutto il resto è modificabile, nelle sue dimensioni storiche, per essere davvero di servizio.
    La persona - quella concreta, in situazione: quello dei giovani, per esempio - resta sempre «uno per cui Cristo Gesù è morto» (Rom 14-15), «ultimo termine dopo il supremo termine», per citare l'espressione di Paolo VI (discorso del 14 settembre 1965).

    4. Soprattutto va tenuta in attenta considerazione l'attuale situazione giovanile nei condizionamenti che gli derivano dalla nostra società.
    Alcuni grossi fatti non possono essere ignorati: sono documentati da una serie di analisi di carattere sociologico.
    * Il fatto della secolarizzazione: l'accentuazione dell'uomo, la scoperta del mondo come storia che diviene, la percezione di essere responsabili della gestione del mondo, aldilà di ogni superstruttura trascendente.[3] I giovani, anche più vicini a noi, ne hanno ormai assorbito in pieno lo spirito.[4]
    * La superficialità e la fretta esistenziale della civiltà della tecnica. Non solo non c'è più lo spazio per l'ascolto e la riflessione, ma l'unità di misura di ogni gesto è l'utilitarismo immediato e personale.
    * L'uomo della civiltà dei consumi è distratto da se stesso. È preso da mille preoccupazioni e non ha più tempo per Dio. Lo considera uno «fuori» o, peggio, un antagonista alla sua voglia di felicità, e quindi se ne sbarazza, facilmente.
    * Il senso di vuoto, di impossibilità fisica di procedere in avanti, la alienazione che dalle strutture si ripercuote nelle persone e viceversa:
    la percezione di essere responsabili della storia cozza contro la rigidezza del sistema. Ogni giovane riflessivo avverte, nel suo interno, la danza di grossi problemi insolubili: si rifugia nell'anarchia, nella droga, nella musica... o in una fede consapevole.
    I giovani vivono a livello di esasperazione queste tensioni in atto nella nostra società. Sono dentro questo clima, anche se ne avvertono profondamente le contraddizioni e ne vanno febbrilmente cercando una linea di soluzione. Non pensano Dio come possibilità di soluzione, perché non vogliono una soluzione trascendente. Ma cozzano duramente e continuamente contro i limiti della propria umanità o vivono, a livello parziale e superficiale, alcune pulsioni che nella loro verità più profonda sono in rapporto di continuità con l'Assoluto.
    Se è vero, in conclusione, che «i punti di partenza e i procedimenti della pastorale possono essere diversi, secondo le esigenze e le possibilità dei fedeli. Così si può partire dalla parola di Dio, o dalla esperienza quotidiana» (RdC, 162).
    Per i giovani, oggi-qui, sembra necessario optare per una pastorale induttiva, scartando, in linea di massima, un metodo di carattere deduttivo.[6] Per essere fedeli a Dio, è necessario oggi, per i giovani, partire dall'uomo. Punto di partenza per la nostra pastorale giovanile sono allora le attese spontanee e quelle profonde dei giovani. Esse configurano il problema per i pastori, in modo che ivi sia il lievito dove è la pasta e così sia il lievito come è la pasta:
    * attese spontanee sono il «fenomeno giovanile» come appare: il modo abituale di pensare, di agire, di comunicare;
    * attese profonde sono i punti di provenienza e di sutura di questo fascio di emergenze che fanno il fenomeno giovanile attuale.
    Esse difficilmente sono a livello cosciente, nella normale dei giovani. Andranno «rivelate»: esse formano il punto d'innesto della nostra pastorale.

    NOTE

    [1] Cf Giannatelli, Preadolescenza, età da evangelizzare - i contenuti in «Note di Pastorale Giovanile», 1971/1.
    [2] Pregare giovane, un libro di preghiera per le comunità giovanili, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/11; e inoltre lo studio di Negri nell'opera in collaborazione Pastorale giovanile in un mondo secolarizzato, LDC; Brien, Scuola cattolica ed educazione alla fede in un mondo secolarizzato, LDC.
    [3] Ramos-Regidor, Fenomenologia pastorale della secolarizzazione, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/8-9.
    [4] Densità di secolarizzazione dei giovani italiani, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/8-9; Tonelli, Incidenza dell'istituto nella formazione religiosa, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/10.
    [5] Si noti come il metodo pastorale che cerchiamo di individuare, debba caratterizzarsi come «pastorale di massa», come metodo cioè applicabile alla fetta più larga possibile della gioventù attuale. Non si esclude che per gruppi di élite, per giovani particolarmente sensibili e preparati, sia opportuno e più significativo partire dalla forza dirompente della Parola di Dio (Ebrei, 4,12) ed impostare ogni intervento come «proclamazione di un messaggio», purché, anche in questa linea, sia continuo e naturale l'innesto con le «situazioni di vita» (RdC, 77, il tema è ricorrente in tutto il testo).


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