Un bellissimo brano
in memoria di Milan Kundera
1 aprile 1929, Brno, Cechia - 11 luglio 2023, Parigi
Tra poco l'inaugurazione della rubrica: Pagine di letteratura,
con un lungo saggio di Giuseppe Savagnone
sul capolavoro "L'insostenibile leggerezza dell'essere"
L'idillio del cane
Milan Kundera
Perché per Tereza la parola idillio è tanto importante?
Noi che siamo stati allevati nella mitologia dell’Antico Testamento, potremmo dire che l’idillio è un’immagine rimasta in noi come ricordo del Paradiso: la vita nel Paradiso non somigliava a una corsa in linea retta che ci conduce verso l’ignoto, non era un’avventura. Essa si muoveva in circolo tra cose conosciute. La sua monotonia non era noia ma felicità.
Finché l’uomo viveva in campagna, in mezzo alla natura, circondato da animali domestici, nell’abbraccio delle stagioni e del loro avvicendarsi, rimaneva ancora in lui almeno un riflesso di quell’idillio paradisiaco. Per questo Teresa quando aveva incontrato nella città termale il presidente della cooperativa, aveva avuto all’improvviso davanti agli occhi l’immagine della campagna (una campagna nella quale non era mai vissuta, che non conosceva) ed era rimasta incantata. Era come se avesse guardato indietro, in direzione del Paradiso.
Nel Paradiso, quando si chinava su una fonte, Adamo non sapeva ancora che ciò che vedeva era lui stesso. Non avrebbe capito Tereza che, quand’era ragazza, stava davanti allo specchio e si sforzava di vedere la propria anima attraverso il corpo. Adamo era come Karenin. Spesso Tereza si divertiva a portarlo davanti allo specchio. Karenin non riconosceva la propria immagine e la guardava distrattamente, con incredibile disinteresse.
Il raffronto fra Karenin e Adamo mi conduce all’idea che in Paradiso l’uomo non era ancora scagliato sulla traiettoria dell’uomo. Noi, è già molto che vi siamo stati scagliati e voliamo nel vuoto del tempo che si compie in linea retta. Ma esiste sempre in noi una cordicella sottile che ci lega al lontano e nebuloso Paradiso dove Adamo si china sulla fonte e, del tutto diversamente da Narciso, non immagina nemmeno che quella macchia giallina che vi compare sia proprio lui. La nostalgia del Paradiso è il desiderio dell’uomo di non esser uomo.
Quando, da bambina, trovava gli assorbenti della madre sporchi di sangue mestruale, ne provava disgusto e odiava la madre che non aveva abbastanza pudore per nasconderli. Ma Karenin, che era una femmina, aveva anche lui le mestruazioni. Gli venivano una volta ogni sei mesi e duravano due settimane. Perché non sporcasse l’appartamento, Tereza gli infilava tra le zampe un grosso pezzo di ovatta e gli metteva delle vecchie mutandine che gli legava ingegnosamente al corpo con una lunga fettuccia. Per tutte le due settimane rideva di quel suo abbigliamento.
Com’è che le mestruazioni di un cane risvegliavano in lei un’allegra tenerezza mentre le sue mestruazioni le facevano schifo? La risposta mi sembra facile: il cane non è mai stato cacciato dal Paradiso. Karenin non sa nulla della dualità di corpo e anima e non sa cosa sia lo schifo. Per questo Tereza con lui è così buona e tranquilla. (E per questo è così pericoloso trasformare un animale in una “machina animata” e una mucca in un automa che produce latte: in questo modo l’uomo taglia il filo che lo legava al Paradiso, e nel suo volo nel vuoto del tempo non ci sarà nulla che lo potrà fermare o confortare).
Dal caos confuso di queste idee, sorge davanti a Tereza un pensiero blasfemo del quale non riesce a sbarazzarsi: l’amore che la lega a Karenin è migliore di quello che esiste tra lei e Tomáš. Migliore, non più grande. Tereza non vuole incolpare né Tomáš né se stessa, non vuole sostenere che si sarebbero potuti voler bene di più. Le sembra piuttosto che la coppia umana sia creata in modo tale che l’amore dell’uomo e della donna è a priori di natura inferiore a quello che può essere (almeno nei casi migliori) l’amore tra l’uomo e il cane, questa bizzarria nella storia dell’uomo, probabilmente non prevista dal Creatore.
È un amore disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin. Non vuole nemmeno l’amore. Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? ha mai amato qualcuna più di me? mi ama più di quanto lo ami io? Forse tutte queste domande rivolte all’amore, che lo misurano, lo indagano, lo esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dall’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.
E ancora una cosa: Tereza ha accettato Karenin così com’è, non ha voluto cambiarlo a propria immagine e somiglianza, ha accettato in partenza il suo universo di cane, non ha voluto sottrarglielo, non è stata gelosa dei suoi intrighi segreti. Lo ha allevato non per trasformarlo (come un uomo vuole trasformare la sua donna e la donna il suo uomo), ma solo per insegnargli una lingua elementare che avrebbe permesso loro di capirsi e di vivere insieme.
E ancora: il suo amore per il cane è un amore volontario, nessuno ve la obbligava. (Tereza pensa di nuovo alla madre e prova un grande rimpianto: se la madre fosse stata una delle donne sconosciute del villaggio, magari la sua gioviale grossolanità le sarebbe stata simpatica! Ah, se la madre fosse stata un’estranea! Fin dall’infanzia Tereza si vergognava del fatto che la madre occupava i tratti del suo viso e confiscava il suo io. Ma la cosa peggiore era l’imperativo secolare “Onora il padre e la madre!” la obbligava ad accettare quell’occupazione, a chiamare amore quell’aggressione! La madre non era colpevole se Tereza si era separata da lei. Si era separata da lei non perché la madre era così com’era, ma perché era sua madre).
Ma soprattutto: nessun essere umano può portare a un altro il dono dell’idillio. L’unico a poterlo fare è l’animale perché lui non è stato cacciato dal Paradiso. L’amore tra l’uomo e il cane è idilliaco. In esso non ci sono né conflitti né scene strazianti, in esso non c’è evoluzione. Karenin circondava Tereza e Tomáš con la propria vita fondata sulla ripetizione e si attendeva da loro la stessa cosa.
Se Karenin fosse stato un essere umano e non un cane, di sicuro già da tempo avrebbe detto a Tereza: “Senti, non mi va più di portare in bocca ogni giorno un panino. Non puoi inventare qualcosa di nuovo?”. In questa frase è contenuta tutta la condanna dell’uomo. Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è il desiderio di ripetizione.
Sì, la felicità è desiderio di ripetizione, dice tra sé Tereza.
Quando il presidente della cooperativa porta il suo Mefisto a fare una passeggiata dopo il lavoro e incontra Tereza, non tralascia mai di dire: “Signora Tereza! Perché questo animale non l’ho conosciuto prima! Potevamo andare a donne insieme! Nessuna donna saprebbe resistere a due maiali!”. E a queste parole il maialino era stato addestrato a grugnire. Tereza rideva, sebbene già un attimo prima sapesse quello che il presidente avrebbe detto. Con la ripetizione la battuta non perdeva la sua piacevolezza. Al contrario. Nel contesto dell’idillio anche l’umorismo obbedisce alla dolce legge della ripetizione.
(L'insostenibile leggerezza dell'essere, Adelphi 1985, pp. 317-320