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    Europa e lavoro


    LETTERE EUROPEE /3

    Renato Cursi

    (NPG 2020-04-2)

    Parlare di “Europa e lavoro” può suscitare reazioni diverse nell’interlocutore italiano. Per qualche adulto, infatti, questo binomio potrebbe evocare la deindustrializzazione e la disoccupazione che questa può aver generato negli ultimi anni, o la competizione salariale tra Paesi europei. Per un giovane, al contrario, lo stesso binomio potrebbe richiamare alla mente le opportunità di formarsi o crescere professionalmente all’estero. Anche in quest’ultimo caso, però, l’Europa è associata positivamente al lavoro solo perché il giovane italiano in questione spera di trovare un Paese europeo più adatto a garantirgli una crescita attraverso un impiego. Non sono, quindi, l’Europa o l’Unione Europea in sé a suscitare un’associazione di senso positiva nel giovane italiano alle prese con il mondo del lavoro. L’integrazione europea è spesso ancora percepita in Italia come un’architettura delle finanze, delle banche, dei calcoli monetari e fiscali, quasi nemica del lavoro e della transizione dei giovani ad una vita adulta piena e degna di essere vissuta. Questa visione generale, peraltro in parte fondata su alcune evidenze, si associa però spesso anche ad una percezione distorta e pessimistica della realtà del lavoro in Europa e nell’Unione Europea.
    Con quasi 241 milioni di europei occupati, e una crescita di 13.4 milioni di posti di lavoro a partire dal 2014, il 2019 è stato l’anno che ha registrato il tasso di impiego più alto di sempre nella storia dell’Unione Europea. In breve, non c’è mai stata tanta occupazione in Europa prima d’ora. Per quanto il bilancio dell’Unione Europea superi appena l’1% del prodotto interno lordo dei Paesi Membri, oltre un terzo di queste risorse sono spese per la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione. Inoltre, per compensare lo sbilanciamento economico dell’Unione in seguito all’ultima crisi finanziaria mondiale, tre anni or sono la Commissione Europea ha proclamato il cosiddetto Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Il Pilastro si compone di 20 diritti, organizzati in tre sezioni: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; protezione sociale e inclusione. L’Unione si è impegnata a monitorare costantemente il rispetto di questi diritti sociali negli Stati Membri, affinché tutti i cittadini possano effettivamente goderne.
    Tuttavia, occorre sottolineare che nell’Unione Europea il tasso di disoccupazione giovanile (14.1%) è ancora più del doppio della disoccupazione generale (6.2%). Non solo, in Italia la percentuale di giovani di età tra i 15 e i 29 anni che si trovano fuori da percorsi di lavoro, studio e formazione (23,4% del totale) è quasi il doppio della media UE (12.9%). In Italia i giovani in situazione di NEET (dall’acronimo inglese di “Not in Employment, Education or Training”) sono oltre due milioni. La crisi finanziaria mondiale, che è iniziata negli Stati Uniti d’America nel 2008 e ha colpito l’Europa a partire dal 2012, ha solo accentuato uno squilibrio tra occupazione degli adulti e dei giovani, in un sistema di welfare che in Italia presentava già disuguaglianze generazionali strutturali. Per reagire a questa crisi eccezionale, l’Unione Europea già nel 2013 ha lanciato un’iniziativa denominata “Garanzia Giovani”.
    Questa misura garantiva alcune risorse finanziarie agli Stati Membri, raccomandandogli di usarle per garantire ai giovani che si registravano presso i Servizi Pubblici per l’Impiego un’offerta di lavoro, tirocinio, apprendistato o formazione professionale entro quattro mesi dalla registrazione. La Garanzia Giovani ha riscontrato un discreto successo nel resto dell’Unione Europea, e alcuni risultati positivi sono stati registrati anche in Italia: su 1 milione e mezzo di giovani presi in carico dai servizi, oltre la metà è stata avviata a un intervento di politica attiva. Eppure, nonostante sia stata tra i Paesi che hanno ricevuto più risorse per questa misura e che l’hanno attivata per primi, l’Italia, a cinque anni dall’adozione della Garanzia Giovani, risulta ancora oggi il Paese europeo con il più alto numero di giovani in condizione di NEET. Cosa non ha funzionato?
    Da una parte, la qualità delle proposte rivolte ai giovani attraverso questa misura non è sempre stata all’altezza delle loro aspettative, non garantendogli un’occupazione o una formazione di qualità. Inoltre, a beneficiare di queste proposte sono stati soprattutto i giovani più qualificati, che avrebbero potuto trovare un’occupazione anche al di fuori di questo sistema, mentre i giovani più vulnerabili e scoraggiati sono rimasti esclusi da questi benefici. D’altra parte, nel sistema di welfare italiano persistono delle disuguaglianze strutturali tra generazioni, con una spesa sociale sbilanciata soprattutto a vantaggio delle pensioni e della tutela della disoccupazione degli adulti. Basti pensare che nel novembre 2019 nel Bel Paese si è registrato il valore più alto del tasso di occupazione a livello nazionale dall’inizio delle serie storiche Istat (1977), ma nel frattempo l’occupazione giovanile è diminuita.
    La Pastorale Giovanile accompagna decine di migliaia di giovani in Italia nella loro transizione verso l’età adulta, spesso anche nella dimensione della transizione dall’educazione al lavoro. Ad esempio, alcune delle iniziative congiunte con la Pastorale del Lavoro, come il Progetto Policoro, sono considerate delle buone pratiche a livello civile e nazionale. Si può fare più di così? Certamente la realtà dei giovani italiani sembra richiederlo. In queste settimane in cui l'Italia e l'Europa sono alle prese con la pandemia di coronavirus, che colpisce le generazioni in maniera asimmetrica, ai giovani si sta legittimamente chiedendo di essere solidali con adulti e anziani, restando a casa per evitare di contagiarli ed esporli a rischi maggiori. Affinché questo appello legittimo non si esaurisca in una retorica paternalista, però, occorre pensare già da ora ad un rilancio della solidarietà generazionale al termine di questa emergenza. Una solidarietà che questa volta vada incontro anche ai giovani e alle loro aspirazioni. Da una parte, la Pastorale Giovanile potrebbe facilitare l'espressione delle difficoltà dei giovani all'interno di un dialogo intergenerazionale nazionale, da promuovere a livello sia ecclesiale sia civile. D’altra parte, la Pastorale Giovanile potrebbe cercare di orientare la ricostruzione che si renderà necessaria al termine di questa crisi verso una maggiore e migliore cooperazione europea. Non ci sarà nessuna ricostruzione al termine di questa crisi senza un apporto convinto dei giovani. Gli adulti sapranno dargli l'opportunità di dire la loro? La Pastorale Giovanile dovrà imparare a discernere il suo ruolo nella difficile fase che si aprirà nei prossimi mesi. Per quanto riguarda questa dimensione del lavoro dei giovani, possiamo immaginare che si alterneranno misure di breve, medio e lungo periodo. Alcune non le conosciamo ancora, altre sì. Ad esempio, entro la fine del 2020 l’Unione Europea lancerà una nuova versione della Garanzia Giovani. Compito della Pastorale Giovanile potrebbe essere quello di assicurare che i giovani più vulnerabili e scoraggiati non siano esclusi dai benefici che questa misura offrirà, e che l’assistenza rivolta loro non si limiti all’orizzonte chiuso del mercato del lavoro, ma garantisca davvero a questi giovani un’inclusione sociale piena, un accompagnamento personalizzato verso l’età adulta e un orizzonte di senso per la loro vita.


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