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    L'amore di una donna-genio per l'umanità


    L'amore di una donna-genio

    per l'umanità

    Gabriella Fiori


    Per Simone Weil conta soprattutto il «rapporto con il reale» come cammino verso la verità, che coincide con la giustizia e con la bellezza. Nutrita dal calore formativo della libertà familiare e incoraggiata nella «volontà cosciente di bene» dal maestro Alain, scelto perché «uomo etico», segue desiderosa gli impulsi di una «vocazione» indipendente e vive una breve, e multiforme, vita alle soglie della dispersione, unificandola con una coerenza folle. Una partecipazione con la totalità dell'essere, anima e corpo, alle contraddizioni più dolorose dell'epoca (in primo luogo, nella condizione della fabbrica), intessuta della sua pietà di donna e della sua lucidità di genio, costituisce il suo metodo e definisce il suo pensiero, espressione di una costante tensione verso un'«esigenza di bene assoluto» e di «rispetto universale» fra gli uomini.

    L'innamorata
    Ispirata da Simone Weil

    L'innamorata non cantò mai tra noi
    Non pettinò i capelli nelle fogge
    Che il sogno suggerisce, non restò
    Alla finestra, non pianse nell'abbandono,
    Non rise con bocca di melagrana.
    L'innamorata disertò il chiostro Ombroso.
    Correva negli spazi bruciati
    Del luglio, ardeva come una torcia
    La notte di San Giovanni.
    Pigiando il suo cuore come uva matura
    L'innamorata sfrecciò tra noi
    Col suo dardo di fuoco, e noi, nel chiuso
    Di stanze soffocanti, ma solo per un attimo
    Trasalimmo in sogno.
    (Bruna Dell'Agnese) [1]

    La grande ragazza incredibile semplicemente non poteva avere una vita normalmente protesa verso le aspettative, le delusioni, le scelte di una 'felicità' di donna, né rifugiarsi in una vocazione accessibile perché era «l'innamorata» di un solo amore: l'umanità intera. Era dominata dalla fedeltà a un solo compito: rivolgere la mente, la carne, l'anima verso la verità, che coincide con la giustizia e la bellezza, per guarire la terra dalla «pesanteur», chiamando, con la totalità dell'essere, la discesa del Bene, che è «lamiere», luce e «gràce». E questo, fare, attraversando il deserto dell'epoca, un'epoca in cui «si è perduto tutto» [2], che è la sua epoca fra le due guerre e ancora la nostra.

    I fatti non sono due, ma uno solo

    I fatti non sono due, ma uno solo. Simone Weil è un genio morale nell'ambito etico e, di conseguenza, politico (nella concezione sua della politica, che nasce da «una scelta pre-razionale» [3]) di portata rivoluzionaria immensa, in quanto, rivivendo la ricerca interiore dell'uomo nella storia, ha trovato la chiave di una saggezza che può essere applicata alla vita quotidiana di ognuno/a sul piano individuale e sul piano sociale. È una donna in quanto il suo genio ha tutti gli aspetti femminili della fecondità spirituale. In primo luogo, ponendosi in rapporto con il reale nel suo «essere-corpo» piuttosto che nell'«avere un corpo» [4], deponendo nell'azione e nella scrittura un «pensiero sperimentante» [5] a formare il tessuto di una filosofia «esclusivamente pratica e in atto» [6]. Il tessuto si dispiega davanti ai nostri occhi come un'esistenza multipla ai limiti della dispersione e insieme unificata da quella che può essere definita la sua colonna portante: la coerenza.
    Sottesa a tutte le fasi della sua ricerca vitale, la «pietà» che si esprime in volontà di partecipazione, di identificazione con gli oppressi dalla «sventura» («malheur») dell'epoca, che ispirerà il gesto irrinunciabile di Jaffier nel suo salvare Venezia [7], che le ingiungerà di lavorare in fabbrica, di partecipare alla guerra civile spagnola, e che infine le ispirerà i suoi due progetti di cura per l'umanità: la formazione di un Corpo di infermiere di prima linea e la Dichiarazione dei doveri verso l'essere umano. Pietà unita a una lucidità senza infingimenti o calcoli, che vede la «realtà» delle situazioni nella crudezza di tutti i loro risvolti, grazie a un'acutezza di distacco conquistata attraverso l'autoeducazione. Partecipazione e distacco sono la trama e l'ordito del suo metodo di educazione (che era in cima ai suoi pensieri) nel quotidiano della sua esistenza 'professionale' rivolto alla formazione delle sue allieve dei licei femminili e attraverso le sue esperienze (la fabbrica, la guerra civile, il lavoro di bracciante agricola, le conferenze di Marsiglia alla cripta dei domenicani, il lavoro di redattrice per la «Francia Libera» a Londra). Perno unificante della sua «poetica creatrice» [8] è « l'attenzione». Un'attenzione che dà importanza al nutrire, alla cura, alla protezione degli esseri, delle vicende, delle cose, secondo le loro esigenze fisiologiche del corpo e dell'anima; al conservare, al rimediare, all'utilizzare; che si ispira al prevalere della debolezza, ispirata dal coraggio interiore, sulla forza della «pesanteur» (gravità) interna ed esterna che tutti ci opprime; all'uso nutritivo della parola, del linguaggio comunicante e pieno di rispetto in rapporto alla sensibilità, nel modo di vivere, di lavorare, di studiare, di insegnare. In modo basilare, l'accento è posto sull'applicazione pratica della saggezza ai fini della massima felicità possibile dell'uomo sulla terra.
    Questa donna-genio, che ci interpella sul senso della nostra vita attraverso le sue pagine, quasi tutte postume, giunte fra noi soprattutto perché ricopiate pazientemente dai genitori finché ne ebbero le forze (il padre, finché non divenne cieco, e la madre finché non perse tutta una parte del corpo), cercherò di riviverla per voi e per me in brevi sintesi nelle tappe del suo cammino terrestre.

    Il nido felice delle origini

    3 febbraio 1909 – Nasce a Parigi da famiglia ebrea privilegiata Simone Weil, la secondogenita di Bernard, medico di origine alsaziana, e di Selma Reinherz, nata in Russia. Nel clima della casa, dove non corrono indicazioni di un credo religioso o politico, la generosità, una «carità garbata, delicata» (il dottor Bernard «escogitava metodi discretissimi per aiutare i pazienti poveri») «insieme alla franchezza più decisa e ad uno spirito caustico assai forte, hanno fatto sì che André [il primogenito, del 1906, futuro grande matematico] e Simone siano cresciuti liberi da ogni rispetto umano e senza nessun bisogno di quell'opera di decostruzionismo necessaria in genere agli adolescenti per liberarsi dalle costrizioni familiari» [9]. Grande è l'unione affettiva; Simone e André vivono in una magica sfera di interessi, gusti e giochi comuni (loro prediletto, il gioco dei «viaggi di esplorazione», in cui si allontanano per ritrovarsi soli in piena natura, nei luoghi incantati di vacanza, Francia, Belgio, Svizzera, Olanda, Germania, dove la famiglia si reca, secondo un'abitudine non del tutto francese). La sfera, in cui circolano i loro codici e simboli culturali, un poco li separa dagli altri bambini, pure attratti dalla loro «modestia e affabilità». Durante la Prima Guerra Mondiale risiedono in città di provincia (case poetiche dai grandi giardini, scovate da Selma, vero e proprio «genio pratico») per seguire il dottor Bernard, medico militare. Per i continui spostamenti, e per Simone anche a causa delle prolungate malattie infantili, gli studi dei ragazzi Weil si svolgono in casa fino agli otto anni, «soprattutto con corsi per corrispondenza». «Così, abbiamo percorso rapidamente tutte le tappe, senza venire intralciati dalla routine» [10]. Mentre per André tutto si svolse con facilità eccezionale (scoperta della geometria a otto anni, del greco a dieci e mezzo da solo) nel primo contatto con la scuola, Simone, pur docile e laboriosa, teme continuamente di sbagliare; scrive molto lentamente, con le mani troppo piccole e maldestre, d'inverno gonfie di geloni (in fabbrica, le sanguineranno sulle presse), cambia, perdendo l'ostinatezza allegra con cui teneva testa ai genitori. Selma Weil, sempre intenta a plasmare i suoi figli, si preoccupa della diversità fra loro: André sempre tranquillo «quando sa di sapere è sicuro di sé; Simone invece è sempre incline a dubitare e diffidare di se stessa» [11]. Tuttavia in Simone grande è la pazienza, collegata alla tensione di una volontà che è slancio di tutto il suo essere. L'incandescenza di una solida psiche lotta per vincere gli impedimenti di un organismo fragile. In ogni campo (calcio, nuoto, bicicletta) pazienza ardente e affetto la spronano a imitare il fratello. Al suo deciso ingresso nella scuola pubblica (ginnasio Fénelon, Parigi), una compagna così la descrive: «Fisicamente una bambina, incapace nell'uso delle mani, di un'intelligenza straordinaria. Si aveva l'impressione di un'origine diversa, di un pensiero che non apparteneva né alla nostra età né al nostro ambiente. Sembrava aver vissuto molto più a lungo» [12].

    A confronto con le «cose ultime»

    Pochi anni dopo, vedremo la ragazza innamorata della vita allontanarsi dal mondo come scena degli idola specus e degli idola tribus, per immergersi più profondamente in esso, collegato con «le cose ultime», che mettono continuamente a repentaglio lo spirito e il corpo dell'uomo e della donna.
    Il tema musicale profondo, unificante, del suo essere, ce lo rivela lei stessa in una lettera al domenicano Joseph-Marie Perrin, suo delicato interlocutore fra il 7 giugno 1941 (data del loro primo incontro tramite Hélène Honnorat, giovane storica, cattolica fervente) e il 14 maggio 1942 (quando i Weil si imbarcano per gli Stati Uniti), sul desiderio in Simone del battesimo cattolico, per sigillare il suo essere «nata, cresciuta e sempre rimasta nell'ispirazione cristiana» [13]. La lettera è «un lungo abbozzo della [sua] autobiografia spirituale» [14] e narra di lei, così aliena dagli sfoghi personali, in uno scavo del suo sé, per ritrovare il proprio orientamento verso la verità come vita. Abbiamo qui una seconda nascita nella vocazione.
    Questa quattordicenne (siamo nel 192223), incline per istinto a spaziare fra le idee generali, «da sempre aliena da ogni aspirazione, anche embrionale, alla femminilità mondana e alle piacevolezze del vivere medio» [15], cade in una disperazione senza fondo. Sono «mesi di tenebre interiori», dovuti a due cause contingenti: la carriera eccezionale di André negli studi (ammesso con dispensa speciale a soli sedici anni nella sezione Scienze dell'École Normale Supérieure) e il metodo di critica negatrice continua di una professoressa in terza e quarta ginnasio. Ma la crisi, pur delimitata da Simone come propria dell'adolescenza, contiene un ideale segreto che Simone accoglie. «Non rimpiangevo i successi esteriori, ma il fatto di non poter sperare alcun accesso a quel regno trascendente in cui gli uomini di grandezza autentica sono i soli a entrare, e la verità ha la sua dimora.» Inconsapevolmente, col desiderio, fa leva sulla inferiorità umana (Carla Lonzi farà leva analoga sulla «insignificanza» della donna come movente ispiratore del femminismo [16]), e giunge alla «certezza» che la vita orientata verso la verità è la vocazione di «qualsiasi essere umano, anche di facoltà naturali quasi inesistenti». Bisogna solo riconoscerla. E trovare in essa il senso della propria vita. Una vita simile non si limita alla morale comune, ma «consiste per ognuno in una successione di atti e di eventi rigorosamente personale, e talmente obbligatoria che colui il quale vi passa accanto senza vederla, manca al suo scopo». Sono le azioni che la vocazione, «bisogno dell'anima» [17] impone e che Simone vede scaturire da «un impulso manifestamente ed essenzialmente diverso dagli impulsi originati dalla sensibilità o dalla ragione». In quel passato di donna adolescente, maiden, quello che lei rimarrà sempre nella sua fresca acerbità appassionata, ha inizio la prima fase del suo rapporto con il reale. Poiché, come scriverà in un suo pensiero di Marsiglia: «La realtà non è mai data (...) Ciò che è reale non è dato. Tuttavia nemmeno quello che io fabbrico è reale. Il reale è ciò che ha un certo rapporto con quello che è dato» [18]. Vedremo snodarsi tre fasi del rapporto di Simone con il reale. Nella prima fase, riconosciuto il desiderio di verità come inevitabile impulso al vivere, diventa inevitabile fornirsi di mezzi per appagarlo: essenzialmente due: un perpetuo sforzo di attenzione per attingere la verità e l'obbedienza alla propria vocazione.

    Inno alla libertà

    Il lavoro si svolge su tutti i piani dell'essere. Dal momento in cui prendiamo coscienza del desiderio di vivere per capire, il lavoro su di sé diviene indispensabile. Forte dell'insegnamento di Alain, che formava nei suoi allievi (e, dal 1924, nelle sue allieve; Simone sarà nel suo corso di preparazione alla Normale fra il 1925 e il 1928) il pensiero come lavoro, per cui, come nello scrivere, dipingere, comporre musica, s'impara e si arriva a dei risultati, come «s'impara a fare il fabbro» [19], unicamente facendo, Simone pensava che il lavoro fosse il mezzo per eccellenza con cui l'uomo può provare l'esistenza del suo pensiero, l'unica «forza» dell'individuo, «solo nella misura in cui interviene nella vita materiale» [20]. Il pensiero si manifesta in quanto forza mettendosi in rapporto con ciò che pensiero non è attraverso il lavoro, che è potenza esercitata su colui che lavora, ossia su di sé. «Agire non è altro, per me, che un mutare me stesso [...] cambiamento che io voglio, ma [non] posso ottenerlo che indirettamente» [21]. In questo tipo di azione, le cui esigenze coincidono con le difficoltà materiali che il lavoro incontra (lo sperimenterà fino in fondo in fabbrica) e che deve risolvere, imparo a conoscere me stesso. E insieme imparo il mondo.
    Per fare, bisogna essere liberi. Simone venticinquenne si ammonisce gioiosamente in un vero e proprio inno alla libertà: «Non dimenticare mai che hai il mondo intero, la vita tutta davanti a te... Che la vita per te può e deve essere più reale, più piena e gioiosa di quanto forse non Io è mai stata per nessun essere umano. Non la mutilare in anticipo, con una qualsiasi rinuncia. Non ti lasciar imprigionare da nessun affetto. Preserva la tua solitudine. Il giorno, se mai verrà, che una VERA amicizia ti sia concessa, non esisterà opposizione fra la solitudine interiore e l'amicizia; anzi... è da questo segno infallibile che la riconoscerai» [22].
    Per raggiungere la limpidezza dell'attenzione libera, Simone traccia una «Lista delle tentazioni (da rileggere ogni mattina)». Vincerle significa fare la «pulizia» dell'immaginario: «(di gran lunga la più forte)», è la «TENTAZIONE DELL'ACCIDIA» (PARESSE, che in francese è anche il peccato capitale). Seguono le altre, che l'accidia fa prosperare: la «vita interiore», che deve accogliere solo sentimenti corrispondenti a «scambi reali»; la «dedizione», che, per un malinteso «lealismo», fa subordinare agli esseri e alle cose il «soggetto, ossia [la capacità di] giudizio» [23]; la «dominazione, che dipende da un eccesso nel «dare». A questa collegata è la «perversità», che nasce dal soffrire troppo a causa del male che ti possono fare gli altri.

    «Il tepore dell'attenzione» [24]

    Per le allieve – Le voleva forti nello spirito critico, nella chiarezza di pensiero e nella vera indipendenza da un egotismo sterile e soggetto appunto a quelle tentazioni. Così diceva loro: «Essere un uomo significa separare l' io e il me, lavoro da perseguire incessantemente». Cosa imparavano da lei, che per loro aveva inventato un corso di filosofia delle scienze, che nel suo giorno libero arrivava carica di libri a loro destinati, che ha scambiato con loro lettere franche e delicate. Ascoltiamo la risposta di Anne Reynaud-Guérithault, curatrice, tramite chiari appunti, del corso di filosofia di Roanne (1933-34): «Essenzialmente queste cose: che lo Spirito Santo soffia dove vuole, che Cristo può raggiungere la personalità apparentemente più ribelle come struttura. E che nessuno mai dev'essere etichettato, cristallizzato in un atteggiamento o in un modo di pensare. Che quello che può apparire come un fallimento conta di più in realtà dello scintillio ingannatore. Che infine, l'accordo infinitamente difficile fra la vita e il pensiero è realizzabile, perché lo troviamo incarnato in lei». Simone Weil sembra ad Anne «l'antidoto ai mali più vistosi della nostra società» [25].
    Per le operaie – Nella sua vita di fabbrica, da lei voluta per studiare il «rapporto fra la tecnica moderna, base della grande industria, e gli aspetti essenziali della nostra civiltà, ossia, da un lato, la nostra organizzazione sociale e, dall'altro, la nostra cultura» [26], Simone, immersa nella fatica di ogni minuto senza perdere il minimo particolare pratico, dopo una settimana di lavoro scrive in una lettera all'amico Urbain Thévenon, sindacalista, che le donne in fabbrica sono infelici e che «poco o nulla» c'è da fare con loro. «Sono delle rassegnate, con velleità impotenti di rivolta...». La loro vita di operaie è più faticosa, più umiliata e degradante di quella degli uomini. Con loro gli uomini sono grossolani. Nel diario annota: «il tipo alle assunzioni... ci percorre tutte con lo sguardo come cavalli. "Quella, la più robusta". Il suo modo di interrogare la bimba di 20 anni che tre anni fa ha dovuto interrompere perché incinta...» [27]. C'è un episodio, infine, che in modo straziante rivela «l'estraneità femminile» alla fabbrica: «Donne che aspettano davanti a una porta di fabbrica... Piove a dirotto. Le donne sono fuori, sotto la pioggia, davanti a quella porta aperta. Che cosa ci può essere di più naturale del ripararsi quando piove e quando la porta di una casa è aperta? Ma questo movimento così naturale, non si pensa nemmeno di compierlo, davanti a questa fabbrica, perché è proibito. Nessuna casa ci è estranea come questa fabbrica dove si consumano le nostre forze, quotidianamente, per otto ore» [28].

    La «lettura» del reale alla luce attiva del trascendente

    Nella sua presenza al mondo, Simone Weil vive tre fasi di rapporto con il reale, che formano la sua autoeducazione. In tutte e tre, ella ha svolto, in un esercizio spirituale e pratico quotidiano, il suo «dressage» personale all'attenzione: prima fase – nel campo dei sentimenti, in particolare l'amicizia, degli studi: il pensiero di Alain collegato alla consuetudine dei grandi in tutti i campi dello spirito (Omero, Platone, Tacito, Balzac...); della vita sindacale in Francia e nella Germania pre-hitleriana collegata allo studio dell'organizzazione industriale. Seconda fase – in verifiche sulla sua pelle nella fabbrica, nella guerra civile spagnola. Ora, nella terza, che inizia col suo segreto di Solesmes (Settimana Santa 1938), da lei definito «un contatto reale da persona a persona, quaggiù, con Dio attraverso il Cristo» [29], tutto il contesto della sua vita precedente, tessuto dalla sua volontà e dalla sua intuizione con atti spesso incredibili, specie per una donna, trova il suo senso. Il raccordo io-universo si stabilisce in lei. Alla radice, la sua esperienza del trascendente, che «può essere conosciuto solo per contatto, poiché le nostre facoltà non possono fabbricarlo» [30]. Il suo legame con il reale che, nel tempo di Marsiglia, si concreta nel suo lavoro di bracciante agricola, che le fa «sentire [...] lo scambio perpetuo di materia tramite il quale l'uomo sta immerso nel mondo» [31]. E le si traduce in questo pensiero: «L'incarnazione è la pienezza dell'armonia» [32].

    L'incontro fra due realtà

    Il progetto della Formazione di un Corpo di infermiere di prima linea vuole essere l'incarnazione pratica e simbolica dell'«amore esplicito di Dio», ispiratore della religione come «vitalità morale». In esso, donne pronte ad affrontare tutti i rischi dei soldati in prima linea con un coraggio animato da «freddezza virile» e «tenerezza materna», avrebbero offerto un equivalente opposto alle SS hitleriane, pronte a morire perché animate «da un'ispirazione che assomiglia a una fede, a uno spirito religioso». In realtà, «idolatra». La stessa ispirazione guida Simone nel redigere (facendosi rinchiudere anche la notte negli uffici della Francia Libera di De Gaulle a Londra) la sua «Dichiarazione dei doveri verso l'essere umano» (inclusi noi stessi). Notate bene: non «diritti di» e nemmeno «doveri di» (Mazzini), ma «doveri verso». Per lei, una nuova Costituzione può stabilirsi solo sull'incontro fra due realtà: quella situata al di fuori di tutto il dominio che le facoltà umane possono raggiungere e la nostra, dove il «cuore dell'uomo» è abitato dall'«esigenza di un bene assoluto» che «non trova mai oggetto alcuno in questo mondo» [33]. Tale «fame» di bene è quella che rende tutti gli uomini identici attraverso le disuguaglianze di fatto, divenendo così il solo movente del «rispetto universale». Il nostro solo potere è la «responsabilità» di coltivare il legame di desiderio verso l'altra realtà, perché ne discenda luce su una «lettura», che lenisca «i bisogni dell'anima». Il non averli riconosciuti ha portato l'Europa alla malattia dello «sradicamento», cioè all'alienazione dell'uomo in rapporto a se stesso. Mi soffermo sui due che mi sembrano racchiuderli tutti: il «bisogno di ordine», che coincide con l'aspirazione al bene e con il desiderio di quella «saggezza» che vorremmo avere per calarla in «un ordine umano vero». E il «bisogno di radici», poiché «l'anima umana ha bisogno di essere radicata in più ambienti naturali e di comunicare, tramite essi, con l'universo» [34].

    * Tutte le traduzioni da testi stranieri, salva diversa indicazione, sono di Gabriella Fiori.


    NOTE

    1 Bruna dell'Agnese – Poetessa, traduttrice e saggista, mi donò questa poesia ancora inedita, che poi è uscita nella sua raccolta Nel fruscìo del quotidiano (Amadeus, 2001). Si trova anche, da me pubblicata con la mia traduzione francese a fronte, in calce alla mia relazione Au nom de la beauté éthique (Paris, Colloque Weil 2003 – La réception des oeuvres de Simone Weil) che si può leggere sui «Cahiers Simone Weil», Revue trimestrielle de l'Association pour l'étude de la pensée de Simone Weil, Tome XXVIII, N° 2, Juin 2005.
    2 S. Weil, Cahiers, I, nuova edizione riveduta e am- pliata, Plon, Paris 1970, 73.
    3 G. Gaeta, Individuo e società nel pensiero politico di Simone Weil in AA.VV., Politeia e Sapienza. In questione con Simone Weil, a cura di Adriano Marchetti, Pàtron, Bologna 1993, 229.
    4 W. Tommasi, Simone Weil, Esperienza religiosa esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997, 44.
    5 Ivi, 45: citazione da Angela Putino.
    6 S. Weil, La Connaissance Surnaturelle, GalIimard, Collection Espoir, Paris 1950, 335. Notes écrites à Londres (1943). Il corsivo è nel testo weiliano.
    7 V. la tragedia incompiuta di S. Weil, Venezia salva, a cura di Cristina Campo, Adelphi, Milano 1987.
    8 Concetto centrale dell'opera di G. Trabucco, Poetica soprannaturale Coscienza della verità in Simone Weil, Prefazione di A. Bertuletti, Glossa, Milano 1997.
    9 M. Pieracci Harwell, I primi segni della passione di giustizia di Simone Weil. L'eredità della famiglia. Relazione al Convegno su Simone Weil, organizzato dal Consiglio Regionale e dal Lyceum Club Internazionale di Firenze venerdì 13 novembre 2009 al Palazzo Panciatichi Via Cavour 4, Firenze.
    10 Dall'intervista di Malcolm Muggeridge ad André Weil, in S. Weil, Gateway to God, a cura di D. Ra-per, con la collaborazione di M. Muggeridge e di V. Sproxton, Collins, Fontana Books, Glasgow 1974, 148.
    11 Lettera del 24 novembre 1917 di Selma Weil da Laval, dove si erano trasferiti da Chartres per seguire il dottor Bernard. In S. Pétrement, La vie de Simone Weil, Fayard, Paris 1973, 41.
    12 Ivi, 46.
    13 S. Weil, Attesa di Dio, a cura di M.C. Sala con un saggio di G. Gaeta, Adelphi, Milano 2008, 23. Lettera Quarta, L'Autobiografia spirituale.
    14 Ivi, Appendice alle lettere, 63 e in J.-M. Perrin, Mon dialogue avec Simone Weil, Nouvelle Cité, Parigi 1984, 54.
    15 Dal mio colloquio nell'estate 1976 con Raymon-de Nathan, cugina di Simone Weil, oggi scomparsa, che serbava ricordi molto vivi di Simone fino ai quattordici anni. Psicologa, ha applicato il suo metodo «la cure eleuthérienne» anche nel reparto di Neuropsichiatria dell'ospedale Necker di Parigi. È un metodo che si propone di «sviluppare l'autonomia e rafforzare il libero arbitrio» dell'individuo. La Nathan lo descrive in un libro agile e vivo, La cure eleuthérienne, Maloine, Paris 1979.
    16 Concetto base, questo, dell'«insignificanza» della donna, sotteso in vari scritti della Lonzi, si trova nominato ad es. nella poesia Scacco ragionato VI, in C. Lonzi (1931-1982), Scacco ragionato – Poesie dal '58 al '63, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985, 170.
    17 Rilievo di M. C. Sala in rapporto alla nota 32 p. 24 della Lettera Quarta, L'autobiografia spirituale in Attesa di Dio cit.: espressione di Simone in una lettera del 7 settembre 1941 all'amica Simone Pétrement.
    18 Cahiers, cit., 208. Il corsivo è nel testo weiliano.
    19 V. G. Fiori, Simone Weil – Prefazione di C. Bo, Garzanti 4a ed., Milano 2006, 59.
    20 Cahiers, I, cit., 17.
    21 La vie de Simone Weil, I, cit., 145.
    22 Cahiers, cit., 27. Il corsivo e la maiuscola sono nel testo weiliano.
    23 Ivi, 13.
    24 È questo il bel titolo del saggio introduttivo di M. C. Sala a S. Weil, Piccola cara..., Lettere alle allieve, a sua cura per Marietti, Genova 1998.
    25 Da una lettera di Anne Reynaud-Guérithault, scomparsa nel 1997, del 24 aprile 1978 a G. Fiori. Cit. in Simone Weil, cit., 454.
    26 Dalla domanda di congedo dall'insegnamento di Simone Weil (20 giugno 1934). Cit. in La vie de Simone Weil, cit., 413.
    27 Cit. in Simone Weil, cit., 164.
    28 In Simone Weil, Esperienza religiosa..., cit., 55, cui segue alla nota 30 citazione da S. Weil, La vita e lo sciopero delle operaie metalmeccaniche, in S. Weil, La condizione operaia, tr. it. di F. Fortini, Mondadori, Milano 1990, 191. Il corsivo è nel testo.
    29 Attesa di Dio, cit., 30.
    39 S. Weil, Cahiers, Il, nuova edizione riveduta e ampliata, Plon, Paris 1972, 135.
    31 Cahiers, cit., 159.
    32 Cahiers, cit., 306.
    33 S. Weil, Écrits de Londres et demières lettres, Gallimard, Collection Espoir, Paris 1957, 74. Étude pour une Déclaration des Obligations envers l'étre humain – profession de foi.
    34 Écrits de Londres..., cit., 83. Exposé des Obligations.

    (Testimonianze 468-469 [2009], pp. 31-38)


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