Pg e Arte / Storia “artistica” della salvezza
Maria Rattà
Con l’arrivo di Adamo ed Eva sulla Terra entrano in scena due nuovi personaggi nella Storia della Salvezza: Caino e Abele, i fratelli “rivali” che consentiranno agli artisti di mettere in scena la bontà, la cattiveria, la punizione e il dolore. Il panorama artistico tratteggia quello che diventa un vero e proprio dramma familiare, e Bouguereau in La prima discordia del 1861, così come anche in una tela successiva, mescola la propria esperienza al racconto biblico. Padre di cinque figli e probabilmente avvezzo ai loro litigi, il pittore ambienta i dissapori tra Caino e Abele negli anni della loro infanzia. Caino lo si riconosce inequivocabilmente per l’espressione accigliata e orgogliosa, mentre Abele si presenta di spalle, sorretto da sua madre, e forse piange col viso affondato tra le braccia. La sua debolezza risalta in confronto alla cattiva indole di Caino, ed Eva, quasi consapevole del cattivo presagio che aleggia sui suoi figli, pur cingendoli entrambi, appare profondamente malinconica e pensierosa. Nella facciata del Duomo di Modena, Wiligelmo raffigura invece l’intera storia di Caino e Abele (1099 c.), sintetizzandola in tre momenti: la presentazione dei doni a Dio; l’uccisione di Abele; il richiamo di Dio a Caino. Nella loro essenzialità, le figure servono a Wiligelmo per trasmettere un messaggio spirituale e catechetico: l’uomo deve rendere culto a Dio con cuore puro. Particolarmente drammatica è la scelta stilistica di Antonio Canova, che per il bassorilievo in gesso con Caino e Abele del 1822, opta per una costruzione piramidale, culminante nelle mani di Caino che stringono con forza il bastone con cui, tra pochi istanti, sferrerà il corpo mortale a suo fratello. Abele implora pietà ai piedi di suo fratello, ma non ne otterrà. Il volto del maggiore è infatti carico di rabbia e odio, il petto già gonfiato per lo sforzo fisico che tra poco compirà, i piedi sono saldamente ancorati al suolo. A sinistra della scena appare l’animale sacrificato da Abele al Signore; è il segno “visibile” del risentimento di Caino nei suoi confronti, espressione dell’animosità con cui il fratello maggiore si sente scalzato dal più piccolo agli occhi di Dio. Anche in Rubens è presente il rimando al sacrificio, nella pira infuocata che sta alle spalle dei due personaggi. Più che la dinamicità dell’opera Canoviana, qui si riscontra però una plasticità possente dei corpi presa in prestito da Michelangelo, ma anche dalla statuaria antica. I sapienti giochi chiaroscurali rendono quasi trasfigurato il volto di Abele, colto nell’ultimo tentativo di fermare la furia omicida di Caino. Commesso il delitto, questi tenta la fuga. Ma il malfatto rimane incancellabile e i pittori lo sottolineano spesso attraverso la presenza del corpo senza vita di Abele, già avvolto dal pallore della morte e raffigurato in primo piano sulla scena, mentre Caino scappa. Pietro Novelli inserisce direttamente in questo momento il richiamo divino, mentre l’omicida allarga le braccia, e sembra di sentirlo dire «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9). Ma questa fase di ribellione non dura a lungo, ed Henri Vidal traccia impietosamente la fase del pentimento, ritraendo nella sua scultura per il giardino delle Tuileries di Parigi, un Caino curvo, quasi invecchiato di colpo, i cui muscoli diventano quasi la carne avvizzita d’un vecchio, nell’abbruttimento del peccato. Caino non ha più nemmeno il coraggio di mostrare il proprio volto, e nella sua disperazione lo copre con la propria mano. La consapevolezza della propria colpa si fa quasi follia nella tela di Blake, Il corpo di Abele trovato da Adamo ed Eva, del 1826 c. È un’espediente narrativo che, pur non affondando le radici direttamente nel racconto biblico, si presenta come altamente verosimile e accresce la tensione drammatica del racconto. Caino fugge via portandosi le mani sul capo, osservato da un incredulo Adamo, mentre Eva, letteralmente piegata in due dal dolore, piange sul corpo di Abele. La posa completamente innaturale della donna non solo accentua la drammaticità della scena, ma le conferisce una certa grazia: è la compostezza nel dolore, che quasi si fa danza della sofferenza. Ci sono solo sbigottimento e disperazione, invece, nella scultura bronzea di Carl Hohan Bonnesen, che nel 1900 realizza Adamo ed Eva con il corpo di Abele. Padre e madre siedono, quasi come alienati dallo spazio e dal tempo, colti da una pena che non si può esprimere in parole umane. Tutto sembra permeato da un profondo silenzio, rotto solo dai respiri angosciati dei due genitori, e da quella carezza che Adamo sembra voler ancora dare al viso del figlio ormai senza più vita. Il dolore ritorna, in forma ancora una volta autobiografica, in un’altra tela di Bouguereau, Il primo lutto, frutto di quella prima discordia fra Caino e Abele. La composizione richiama alla mente l’iconografia tipica della Pietà, ma con una variante particolare: qui è Abele a tenere sul proprio grembo il figlio morto. Un po’ come già Masaccio aveva fatto nella sua Trinità, in cui è il Padre a sostenere la Croce a cui è inchiodato il Cristo. Ma qui, Bouguereau, che aveva già subito la perdita di alcuni dei suoi figli, sembra anche riallacciarsi al tema dell’amore coniugale, presentando quello che appare come un insolito abbraccio fra Adamo ed Eva, entrambi sconvolti dal dolore, ma entrambi ancora legati l’uno all’altra. Delicata, infine, è la scultura di Luois Ernest Barrias, Il primo funerale, del 1883. Pur nell’imponenza delle sue dimensioni (2,20 metri), l’artista realizza, in una serie di rimandi a Michelangelo e Bernini, quella che venne all’epoca definita «la più alta espressione del sentimento che la scultura può esprimere» . Anche qui, come ne Il primo lutto, la tribolazione personale, viscerale di questi genitori si fonde con l’idea del profondo legame che li unisce. Il loro dolore sembra trasposizione, in fin dei conti, di quello di un Dio che piange un Abele morto e un Caino peccatore. È un Dio tuttavia sempre Padre e per questo pone un segno sulla fronte di Caino, affinché nessuno alzi la mano contro di lui. Ma la storia spesso non insegna, e alla fine Lamech uccide Caino. Non è un dettaglio strettamente biblico, bensì desunto dall’interpretazione del midrash Tanhuma. Tanto Wiligelmo quanto Belbello da Pavia immortalano però questa ultima scena di violenza con una essenzialità che ne fa quasi un fatto fiabesco, ma che tuttavia, proprio per questo, non smette di raccontare, a grandi e piccoli, l’eterna lotta tra la vita e la morte, tra il bene e il male.