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     Il pensiero verticale

    delle donne

    Simone Weil, Edith Stein ed Etty Hillesum

    Intervista a Daniela Marcheschi *

     

     

    Cosa accomuna Simone Weil, Edith Stein ed Etty Hillesum?
    Sono accomunate dalla ricerca della verità, dall’urgenza di incarnare le proprie idee, e per questo capaci di porsi in modo nuovo sul magmatico terreno in cui si incontrano fede e scienza, pensiero laico e tensioni religiose. Simone Weil, Edith Stein ed Etty Hillesum, nell’energia luminosa dell’etica, indicano una via per uscire dall’impasse in cui versa la cultura europea contemporanea. Ne hanno individuato alcune vere e proprie patologie con il loro pensiero di struggente bellezza, ma propongono anche la meta verso cui indirizzarci per rinnovare il nostro mondo, dandogli un futuro nuovo.

    Lo sguardo limpido, diretto e profetico di Simone Weil è disarmante: il lavoro, l’accoglienza, la distorsione della fede. Nei suoi molti scritti ci sono i temi più scottanti di questo nuovo millennio…
    Si, e sarebbe bene rileggerli, da “La condizione operaia” a “Attesa di Dio”. Simone Weil è una grande intellettuale senza intellettualismi. Per questo ha voluto sperimentare su se stessa le condizioni degli emarginati, la dura vita degli operai in fabbrica, l’esperienza del fronte, arrivando fino a privarsi di una nutrizione adeguata per condividere con gli altri il destino di miseria e sventura – come dice lei stessa – che tanti altri esseri umani hanno subìto durante la seconda guerra mondiale: ed è morta per questo, a Londra nel 1943. Ha capito che la parola diventa puro formalismo, forma vuota, se non viene incarnata. Simone Weil non disprezza le masse, non si concepisce come sua guida, ma come “insieme con gli altri”. Infatti parla di incarnazione, di parola che acquisisce un corpo. E in questo, del resto, sta la pienezza dell’esperienza femminile, che nel proprio corpo ne porta un altro e lo stacca da sé per darlo ad una vita autonoma.

    Edith Stein fu allieva di Husserl e filosofa di primo piano in un mondo che guardava ancora con forte sospetto le donne all’interno dell’Università…
    La Stein è stata una studiosa inquadrata dentro i ranghi delle rigide e maschiliste università tedesche ed è riuscita a imporsi per la forza del proprio pensiero. Da personalità profonda e indipendente qual era ha elaborato una visione filosofica in autonomia rispetto ai proprio maestri, su tutti Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia. Edith Stein è stata una paladina della valorizzazione dei talenti femminili: non solo nella sua vita da laica all’interno dell’Università, ma anche quando si convertì al cattolicesimo, lei ebrea, diventando suora e abbracciando letteralmente la croce come suor Teresa Benedetta, sfiorando il misticismo ma mai dimenticando il suo impegno sociale e la prospettiva antropologica e filosofica: seppe unire gli spunti più fertili della fenomenologia con il pensiero dei grandi Padri della Chiesa come san Tommaso d’Aquino. Lei stessa è stata fatta santa, ed è co-patrona d’Europa con Caterina da Siena, altra donna capace di muovere Papi e Re.

    Etty Hillesum condivise con la Stein il tremendo destino della deportazione ad Auschwitz. Eppure le sue Lettere e i suo Diari, pubblicati da Adelphi, svelano una visione della vita ricolma di gioia…
    La Hillesum era una ragazza giovane, morì ad Auschwitz a nemmeno trent’anni. Eppure ha lasciato pagine illuminanti. Queste donne hanno vissuto con un’intensità straordinaria il proprio tempo, il proprio essere intellettuali, la loro condizione di donne, senza paura del dolore, come nel parto. La gioia basta a se stessa: ma solo con l’accettazione della sofferenza, solo attraversando il campo di battaglia del dolore, è pensabile la gioia ed è possibile vedere che il sole risplende. Etty Hillesum volle condividere il destino del suo popolo, rifiutò la possibilità di essere salvata, e morì ad Auschwitz. Ma chiariamo: queste non sono donne votate al martirio, al sacrificio estremo, nella dimenticanza di sé, al contrario sono donne che hanno inteso vivere in fondo la totalità della condizione umana. Abbracciare la croce significa vivere fino in fondo l’orizzonte dell’umanità, e abbracciarne la verità dell’esperienza, di cui la morte rappresenta uno dei poli obbligati. Lo ha mostrato benissimo l’attrice Pamela Villoresi, in un suo spettacolo di diversi anni fa, in cui metteva in scena un dialogo tra Edith Stein ed Etty Hillesum, che – senza però che ci sia testimonianza di un loro effettivo incontro - transitarono dal campo di concentramento di Westerbork prima di essere entrambe uccise ad Auschwitz. Uno spettacolo, quello della Villoresi, che vorremmo rivedere ancora.

    A questo proposito, soffermiamoci sull’incontro tra discipline ed arti. Che cosa insegna?
    L’antropologia ci insegna che la cultura umana è una e molteplice. La settorializzazione fa perdere di vista la complessità dei problemi, e non aiuta ad uscire dai vicoli ciechi dell’intellettualismo. Invece, sovrapporre i saperi, metterli in tensione e in comunicazione, arricchisce i nostri orizzonti. Da questo punto di vista, la Weil, la Stein e la Hillesum esprimono l’abilità tipicamente femminile di intrecciare armonicamente saperi, sensibilità e discipline diverse. Per questo filosofia e musica, letteratura e teatro, scienza e poesia, nascendo dallo stesso ventre di umanità e ricerca della verità, quando si incontrano si potenziano reciprocamente.

    * Studiosa di letteratura e antropologia delle arti


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