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    Socializzazione




    Tutto il resto (dei giovani) /12

    Carmelina Gaito

    (NPG 2008-05-50)


    «Tra i miei amici ci sono stili di consumo molto diversi: uno che tutte le sere va a mangiare fuori, un altro che si ubriaca dalla mattina alla sera, un altro che fa uso di sostanze stupefacenti, un altro che non consuma niente, mangia a casa e poi esce. Quest’ultimo è anche il mio migliore amico, per questo sono anche condizionato da lui nel mangiare a casa e poi uscire. Grazie a questo discorso succede che spendi di meno, però perdi un po’ il giro delle amicizie perché vita sociale non ne fai» (Rodolfo, 23 anni, commesso).

    Ascoltare le storie di vita di giovani come Rodolfo mette in luce che oggi i consumi sono un forte mezzo di socializzazione. Ripensando ai tanti giovani che la GiOC incontra nei gruppi di riflessione, agli amici e ai colleghi di lavoro, si vede come i luoghi che abbiamo l’opportunità di frequentare fanno la differenza nella nostra vita.
    La tematica dei luoghi di socializzazione offre davvero uno spazio ampio di questioni: più che risposte certe, mette nella condizione di farsi e fare domande, per capire in modo autentico e non superficiale che cosa sta dietro il modo di socializzare delle nuove generazioni.
    Ogni giovane ha degli spazi per intessere relazioni più o meno significative, in cui ha occasione di conoscere persone con una storia e un approccio alla vita diverse, con cui provare a trovare il confronto e scoprire opportunità nuove.
    Spesso questi stessi luoghi di socializzazione sono mediati dal consumo: pensiamo ai bar, alle palestre, ai circoli gestiti dalle associazioni, e poi ci sono le associazioni politiche e di matrice cattolica, il lavoro, la scuola.
    La domanda che sorge da questa panoramica è se questi luoghi davvero ci aiutano ad uscire un po’ dalla solitudine in cui a volte ci troviamo per fare delle scelte. Ci siamo chiesti, inoltre, se i luoghi che dovrebbero essere deputati a sostenerci anche in un percorso formativo ed educativo (ad esempio centri di aggregazione comunale) sono spazi in cui i giovani possono davvero sperimentare un protagonismo fatto di pensieri, fantasia, responsabilità, oppure non sono tanto diversi da un bar dove si va e si spende meno, ma privi di opportunità formative ed educative.
    Altri esempi facilmente osservabili nelle nostre città sono le feste di quartiere. Spesso le iniziative proposte in queste occasioni si limitano all’apertura dei negozi di «via», così da dare ai commercianti un’ulteriore occasione di farsi pubblicità e vendere qualcosa, con il sostegno – economico e non solo - dell’amministrazione pubblica.
    Oppure proviamo a pensare a come sono progettati i centri commerciali, tali per cui una persona può passare tranquillamente la giornata tra bar, ristoranti, cinema, animazione per i bambini e le varie iniziative di tempo libero che vengono organizzate.
    A fronte di queste considerazioni, però, raramente si vedono gruppi di cittadini mobilitati al fine di mettere in discussione gli spazi pubblici di socializzazione che ci vengono offerti, anche organizzandoci, magari interrogando le stesse amministrazioni, sul modo in cui sono spesi i soldi pubblici.
    Non si tratta tanto di farne questioni di principio o prendere una posizione moralistica, quanto del domandarci se i luoghi di socializzazione che viviamo sono di qualità, se rispondono ai nostri bisogni e se ci sentiamo di accedere alle diverse opportunità di relazione e socializzazione che il nostro territorio offre.
    Alcune risposte di consumo positivo la GiOC nel tempo ha provato a darle. Un appuntamento ormai classico sono le feste di zona: momenti organizzati interamente da giovani dello stesso territorio, per i giovani e con i giovani dove la dimensione del consumo viene unita alla proposta di contenuti di riflessione, della scelta di un tempo libero di qualità. È una proposta di un consumo collettivo, socializzante, educante.

    Quali i luoghi delle relazioni?

    L’identità sta nella capacità di essere in relazione e anche il consumo è attività di relazione, quindi si ripropone la questione: dove oggi noi giovani costruiamo le nostre relazioni? In quali luoghi? È possibile recuperare una dimensione collettiva dei consumi, attraverso i luoghi di socializzazione che si condividono e si vivono?
    I giovani a basso capitale culturale, dove per capitale culturale non si intende solo il titolo di studio ma anche tutto il resto di opportunità di scambio e incontro di saperi ed esperienze che una persona fa nella sua vita, frequentano poco i luoghi di socializzazione come le palestre, non vanno più a scuola, viaggiano poco, vanno poco al cinema e ai concerti. Questi elementi portano a dire come il ristretto campo di opportunità influisca anche sulle opportunità di riscatto e di ampliamento delle proprie prospettive di vita.
    Cito testualmente dal blog di Luca De Biase: «Proprio mentre lo sta consumando, la popolazione ama di più il suo pianeta natale. E il consumismo non è più solo una pratica sociologicamente studiata, diventa una filosofia negativa, un’omologazione culturale, talvolta una malattia sociale. Di sicuro, è un’attività che procura una soddisfazione immediata e un’insoddisfazione di fondo sempre più evidente. Il tutto sembra configurarsi come una vera e propria dipendenza.
    L’economia ha ormai chiarito che la crescita dei consumi, una volta superata la soglia della sussistenza, non genera felicità. Anzi, genera infelicità. La felicità è legata molto più alle relazioni con le persone che al consumo.
    Ebbene. Dal punto di vista mediatico, la televisione è strutturalmente connessa al consumismo. Non ne è la causa, ma lo facilita. Per costituzione. Per modello di business. C’era bisogno di un medium diverso per facilitare la trasmissione di informazioni in una cultura di fondo non consumista. Questo mondo dei blog è un medium che si basa sulle relazioni tra le persone. Quindi potenzialmente è una risposta all’infelicità del consumismo».
    Certo i soli beni materiali non fanno la felicità, e a volte si consuma anche per riempire piccoli vuoti. I blog fanno sentire ascoltati e in contatto con innumerevoli potenziali utenti, internet in generale aiuta le relazioni, è un mezzo efficace per chi è un po’ solo e timido. Ma resta un non luogo, un posto impercettibile al tatto. Quando si chatta o si esprimono i proprio pensieri su un blog, si può anche far finta di essere un po’ meglio di quello che si è, si può fare quello che si vuole.
    Per essere felici, invece, forse c’è bisogno di relazioni autentiche, di quelle relazioni non sempre comode, che mettono in discussione, costano anche un po’ di fatica, ma alla fine riempiono la vita
    Forse abbiamo bisogno di mescolarci di più, di conoscere di più, di investire sulle conoscenze e sulle esperienze che ci proiettano oltre il presente, che ci spingono a sognare, ad andare oltre il qui ed ora.
    Ma come fare tutto questo se gli unici spazi che la società crea sono per il consumo «materiale»? Come creare luoghi diversi, di consumo positivo, culturale e informativo, in cui sperimentarsi e vivere ruoli di responsabilità? Come fare perché i consumi diventino l’occasione per creare relazioni significative? Come consentire a tutti i giovani di avere pari opportunità di formazione, di scelta, di autonomia?
    Pensando alla dimensione degli spazi relazionali e alla socializzazione, non si può non tenere conto della dimensione del «bello», del piacere, del divertimento.
    Cercare nella definizione delle nostre relazioni quei luoghi fisici e quelle persone che ci stimolano a volere di più, a superare la logica del bisogno e adottare maggiormente la dimensione del desiderio: che cosa voglio davvero, per me, oggi? E per il mio futuro? Quanto sono soddisfatto del mio lavoro, della mia vita affettiva, familiare?
    Il desiderio è fondamentale perché dinamizza, ci conduce fuori dal sistema, apre prospettive inedite, permette di riconoscere e cogliere le opportunità che la storia ci offre. Certo però senza mai dimenticarsi che si può gettare il cuore oltre l’ostacolo solo se in compagnia, sostenuti da persone di cui ci fidiamo. Siamo inseriti in una collettività verso cui abbiamo non solo diritti ma anche doveri.
    Forse la sfida sta nel confrontarci proprio su questo: quali sono gli spazi di socializzazione che quotidianamente viviamo? Quanto sono significativi? Quanto le relazioni che abbiamo ci spingono a riscattarci, a volere di più, a conoscere, a non accontentarci, quanto ci spingono a sognare e a mantenere attenzione al mondo che ci circonda con responsabilità, sentendo propria anche la cosa pubblica?


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