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    Il sogno della gioia

    Una rilettura poetica di san Giovanni Bosco

    Carmelo Mezzasalma

    donboscofeeria


    Attraverso la rilettura che ne ha fatto Paola Lucarini Poggi nel suo
    Sull'onda della gioia (Nemapress, Alghero 2015), riscopriamo la figura del Santo di Valdocco, autentico testimone di Cristo per i giovani nel cuore di un Ottocento senz'anima.


    Santità contro barbarie

    Il poemetto lirico-drammatico di Paola Lucarini, dedicato alla straordinaria avventura di san Giovanni Bosco, a una lettura ravvicinata e profonda, si rivela una dei testi più suggestivi e anche curiosi della multiforme attività poetica della poetessa fiorentina. Non è certo una "celebrazione" di quel tipo di inni encomiastici e quasi scontati che, in occasione di ricorrenze e centenari, vediamo fiorire spontaneamente nelle nostre cronache ecclesiali o anche nella nostra stanca modernità che non osa quasi mai il "nuovo". Ma, anzi, ama ripetere il già noto con qualche aggiornamento di linguaggio e di enfasi, appunto, soltanto celebrativa. AI contrario, Paola Lucarini si è posta subito in un versante, difficile e rischioso, mettendo in poesia una figura di educatore e di santo indubbiamente grande sotto tutti gli aspetti, ma complesso e difficile da trattare nelle forme, sintetiche e simboliche, del linguaggio poetico: il versante "contemplativo" che tende, soprattutto, a individuarne la cifra, il segreto cioè di quella sua avventura spirituale e al contempo molto concreta nella realizzazione di un'opera – l'Oratorio salesiano – che ha sfidato il tempo ed è più davanti a noi, si direbbe, che dietro di noi, dal momento che oggi viviamo più che mai l'esperienza della "emergenza educativa".
    Di fatto, a duecento anni dalla nascita, sappiamo tutto di don Bosco. Ne conosciamo la vita in tutti i minimi particolari e i molti studi, anche eccellenti, che sono stati dedicati alla sua spiritualità e al suo metodo educativo, rivoluzionario e innovatore sotto molti aspetti, potrebbero darci la falsa impressione che lo conosciamo in profondità. E che poco ci sia ormai da aggiungere alla sterminata bibliografia che, nel tempo, ci ha accompagnato nel comprenderlo e valorizzarlo. In realtà, quanto più ci pieghiamo sulla eccezionale figura del fondatore della famiglia salesiana, quanto più ne leggiamo e meditiamo gli scritti, i libri, le testimonianze di chi lo ha conosciuto e le riflessioni critiche su di lui, tanto più abbiamo l'impressione invincibile che don Bosco ci sfugga per qualche ragione. Come tutti i grandi santi della storia della Chiesa, don Bosco è certamente una grande luce nel mondo moderno, ma questa luce non sembra aver rivelato in pieno la fonte da cui scaturisce e perfino il segreto della sua durata anche quando sembrano scomparse le condizioni che l'hanno vista sorgere e concretizzarsi.
    Il nostro errore, allora, potrebbe essere quello di avvicinarci alle figure dei santi, come don Bosco, in un senso soltanto etico, ideologico o moralistico, senza mettere nella giusta prospettiva il senso della santità cristiana che altro non è che "un dono", la comunicazione-partecipazione alla santità del solo «Santo». Essa ci giunge attraverso la mediazione sacramentale del Figlio di Dio fattosi uomo, resa attiva e feconda dallo Spirito. Il tema della santità – e la santità di don Bosco non fa eccezione – chiama in causa la reciprocità santa delle divine Persone, il loro stesso mistero, ed è anche a partire da questo mistero che la santità ha un "eccesso" che non sarà mai facile definire. Diceva Bernanos: «La santità, i santi, custodiscono quella vita interiore senza la quale l'umanità si degraderà fino a morire. È nella propriavita interiore che l'uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alla barbarie o a un pericolo peggiore della barbarie, la schiavitù del formicaio totalitario».

    Il santo dell'immaginazione

    Sotto certi aspetti, don Bosco inizia la sua avventura in uno di questi momenti della storia in cui non era affatto facile sfuggire a quella mediocrità che induce sempre la sottile schiavitù del "formicaio totalitario". Sebbene non violento, in apparenza. Il XIX secolo, infatti, è l'epoca di un notevolissimo sviluppo industriale, l'epoca in cui trionfa il capitalismo. Uomini, donne e bambini sono travolti da un lavoro frenetico in cui l'uomo non è altro che uno strumento di produzione. Lavoratori, dunque, con tanti doveri, ma senza diritti, ai quali si predica la rassegnazione e sembra un'utopia dannosa rivelare loro la libertà e la giustizia di Cristo. La risposta di Giovanni Bosco, ma anche di tanti altri apostoli del mondo operaio di questo secolo di ferro, sarà una risposta secondo Cristo: ridonare all'uomo la sua libertà, dargli i mezzi per ottenerla. È un impegno grandioso e profetico, non relegato quindi al solo secolo XIX e, detto tra parentesi, quasi dispiace che la Chiesa non abbia fatto di Giovanni Bosco e di altri santi dei Dottori della Chiesa: non è forse vero che a prezzo di numerose prove (quanto ha sofferto don Bosco!), con le loro preghiere, il loro durissimo lavoro, la loro tenacia interiore hanno costruito la «Dottrina sociale della Chiesa», valida in ogni tempo?
    Indubbiamente, don Bosco era un uomo di Dio, uno di quelli che hanno scoperto il valore dell'amicizia, specialmente nei confronti dei giovani. Amorevole, leale e generoso, mise al servizio dei piccoli il suo grande talento. E, soprattutto, questo talento non era riservato solo alla carità, ma all'istruzione e alla cultura, ivi compresa anche la poesia. E come ci ricorda don Mauro Mantovani, nella lunga e sapiente Prefazione a Sull'onda della gioia, don Bosco fu, oltre tutto, brillante scrittore e membro della celebre Accademia dell'Arcadia, nonché autore lui stesso di testi poetici. Non era certamente l'atteggiamento di uno snob, questo interesse per la letteratura del Santo di Valdocco. Di fatto, don Bosco non avrebbe potuto realizzare quello che ha realizzato in tutta la sua vita, se non avesse sviluppato, oltre al suo genio dell'amore, anche un'altra decisiva qualità che appartiene all'essere umano: l'immaginazione. Lui, figlio di contadini e orfano, era dotato di questa straordinaria facoltà umana che non appartiene solo ai dotti ma a tutti. L'immaginazione, in effetti, crede al futuro: essa pensa e ipotizza e dà forma, almeno mentale, a ciò che non c'è ancora, a ciò che non è ancora. È quel non ancora che è proprio dell'immaginazione. Anche ciò che nel momento in cui è immaginato è impossibile a essere realizzato, comincia ad acquisire diritto e possibilità di esistenza. Comincia a entrare nel mondo entrando nel posto più importante di quell'anima di don Bosco, nella sua vita interiore, che soltanto così, con l'immaginazione nutrita dalla sua grande fede, riuscirà a rivoluzionare quel "metodo educativo" rimasto immutato per secoli: «l'educazione è affare solo del cuore», dirà don Bosco ai suoi salesiani e ciò è vero e profondo, ieri come oggi.

    Profezia a servizio dell'uomo

    È alla luce di queste semplici e sommarie considerazioni sulla personalità e santità di don Bosco che ora possiamo comprendere, in qualche modo, qual è il senso di questa operazione poetica realizzata da Paola Lucarini in Sull'onda della gioia. Non è un'operazione illustrativa o celebrativa di una figura che farebbe tremare i polsi a chiunque, bensì la messa in atto di un'ammirazione, scaturita da una frequentazione non occasionale, che lancia la parola poetica della poetessa fiorentina in un luminoso viaggio dell'anima alla scoperta di un segreto di santità sentito ancora vivo e misteriosamente operante. Forse nessuno, al di fuori di Paola Lucarini, poteva tentare un'avventura poetica così rischiosa e carica di molti trabocchetti. Eppure, vi è riuscita non solo perché Paola ha una lunghissima esperienza di saper leggere la complessa interiorità umana, ma anche perché sensibile come pochi poeti al valore della vita simbolica. Così, all'inizio di questa avventura, ella si è posta subito sul versante interiore e simbolico della vicenda umana e spirituale di don Bosco. Con il suo linguaggio contratto e dilatato al contempo, essenziale e lirico, talvolta anche drammatico ma sempre contenuto, Sull'onda della gioia disegna un "ritratto" interiore di don Bosco allo stesso tempo nuovo e tenacemente attaccato ad alcuni cardini di quella biografia straordinaria: i sogni, il difficile compito educativo, la preghiera, la sofferenza nel realizzare un'opera che travalica il tempo e le circostanze,la presenza femminile con l'istituzione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. E il ritratto viene fuori proprio dalla cura di questi "frammenti" che, tuttavia, si ricompongono in un'intensa unità di ricerca umana e di ricerca spirituale spinte entrambe al fuoco di una insopprimibile "chiamata" di Dio. Il tutto nel frammento, potremmo dire con Hans Urs von Balthasar.
    E, intanto, sul versante simbolico, Paola Lucarini, con un colpo d'ala di grande efficacia espressiva, non nomina mai direttamente don Bosco, ma s'insinua, con la parola poetica e immaginativa, in quel cognome notissimo per tessere un'intelaiatura d'immagini che tendono a catturare il lettore in una rete di significati di una "storia" che è umana e misteriosa, come il "racconto" di una fiaba che vuole scavare nel profondo di un'esistenza così emblematica e anche affascinante per un poeta. Don Bosco non era forse figlio di contadini? Ed ecco la materia simbolica di Paola che trova nel linguaggio della natura, nel suo continuo rinnovarsi, le accensioni di una parola poetica carica di una freschezza espressiva che coglie il destino di un uomo, di un prete, di un illuminato educatore.
    In questo senso, è importante la poesia con cui si apre il poemetto poiché fornirà linguaggio e immagini a tutto lo svolgimento di una ispirazione in cui il poeta vuole, per così dire, annullarsi per tracciare uno spazio di verità e bellezza tra chi parla e chi ascolta: «La lingua del fiume / acqua d'argento / parla con gli alberi / foglianti al vento // nel bosco dei segreti odori / richiami sussurri fremiti / creature fra erbe e fiori / inizia la fiaba incessante "c'era una volta... / e sarà sempre, la vita" / cuore, ascolta l'eterno, vivendo» (p. 21). Il gerundio di questo verso finale dilata la visione e introduce subito il "sogno" di don Bosco, la sua chiamata e il suo compito educativo: «il passo infiora i prati / giardini boschi di sogno / ti seguo verso il futuro» (p. 22). E ancora: «Obbediente alla vocazione / – la voce divina lo chiama all'azione – / cresceranno alberi alti / nel bosco vivente» (p. 24). Bellissima è anche questa insistenza della parola poetica di Paola sulla vocazione di don Bosco come "profezia". Lo è infatti ogni vocazione nella Chiesa, ma lo è particolarmente nel Santo che era destinato a far fiorire la libertà e la dignità umana di tanti giovani abbandonati a se stessi: «la profezia del viaggio / precede l'itinerante progetto / s'inoltrano i passi / nel bosco delle rivelazioni. / M'inquieta m'ingioia / la significazione di ciò / che annunciato avverrà« (p. 27). E poi ancora: «Quanti ragazzi.../ ognuno è il desiderio di Dio, / incarnato. / Certezza di amore» (p. 29).

    Una polifonia di voci

    Così, da un quadro all'altro delle tappe di questa vocazione di don Bosco, la parola poetica di Paola Lucarini tesse una fitta polifonia di voci diverse – la voce della Vita, il coro dei ragazzi, la voce di don Bosco – che s'intrecciano in un canto piano e sommesso, ma carico di un segreto fuoco di mistero e di concretezza, diremmo, storica e precisa come una ferita ancora lancinante del vivere umano in una società senza amore e ingiusta. E qui il linguaggio poetico è crudo e privo di finezze stilistiche tanto è reale il dramma: «Dal marciume delle baracche / al lastrico di strade / dove ci azzannavano bestie fameliche / annusiamo il fetore dei cani, / cani noi stessi... Nemmeno l'anima – o la vita – / possiamo dire nostra / costa due soldi appena / chiunque può comprarla, / noi no, siamo solo in vendita» (p. 33). E più avanti la voce della Vita chiosa il dramma in una quartina di accusa e di rivolta: «Vengono dalle strade della solitudine / tremori d'innocenti, / pettirossi sanguinanti agonizzanti / per gli agguati feroci del mondo / eppure così ardenti ora / nell'affrontare la metamorfosi / dell'imprevista gioia» (p. 36). E qui appare all'attenzione del poeta quella dimensione, così cara a don Bosco, della ritrovata libertà e di futuro umano che è la gioia. Condizione dell'anima che non solo dà il titolo al poemetto di Paola Lucarini, ma è altresì il segreto dell'azione educativa del Santo che, fino all'ultimo, non si stancherà di raccomandare ai suoi educatori salesiani in una celebre lettera del 1884. La gioia è, in effetti, il testamento spirituale di don Bosco che ricorda, in quella lettera, come l'educazione sia un impegno totalizzante e che non permette nessuna deroga dal momento che si occupa del "caso più serio" che la vita possa offrire: la salvezza dell'altro, dell'altro prigioniero della "vita offesa".
    Ho richiamato più volte l'anima "simbolica" di Sull'onda della gioia, – il fiorire del "bosco", il fiorire della vita nella "gioia" per dei giovani abbandonati – ma ora è necessario soffermarsi brevemente su questo importante e decisivo registro poetico di Paola Lucarini anche per valutare, con obiettività e serenità, il messaggio profondo che lei affida al suo poemetto lirico-drammatico sull'avventura di don Bosco. E intanto occorre notare come, a giudizio di psicologi e sociologi, la nostra società è sempre più caratterizzata dalla perdita della dimensione simbolica a vantaggio di una lettura razionale e immanentistica dell'esistenza umana. In realtà, l'essere umano è un essere che simbolizza e, per questo, può trovare senso nelle cose che vive. Infatti, il processo simbolico – così indispensabile alla poesia autentica – permette di esprimere e attualizzare il mondo interiore che altrimenti non potrebbe essere comunicato. Permette ai pensieri, alle idee e ai valori di diventare vita vissuta: se non avessimo la capacità di simbolizzare, la nostra interiorità rimarrebbe inespressa dentro di noi e la realtà, qualsiasi realtà, ci apparirebbe piatta, incolore, perfino insignificante. È l'attività simbolica che permette di dare forma concreta al mondo dei desideri, i cui contenuti, seppur assenti alla percezione immediata, sono rappresentati nel simbolo. È così, ad esempio, che un semplice anello al dito condensa per chi lo porta il suo sogno d'amore o una medaglia olimpica non è per chi l'ha vinta solo un pezzo d'oro. A simboli poveri, quindi, corrispondono significati poveri e viceversa. Senza simboli, la vita non può dotarsi di significati.
    Non a caso, le fiabe sono per definizione simboliche e affondano le loro radici nella tradizione dei miti e delle narrazioni tra le generazioni fin dai tempi delle prime comunità umane. Le fiabe non inducono all'evasione dalla realtà, bensì alla conoscenza della realtà attraverso l'immaginazione e la fantasia. Lo sanno bene i poeti e gli scrittori che spesso prediligono, in versi o in prosa, dettare una riflessione sull'umano che pare non interessare più la cultura antiumanista del nostro tempo. E, allora, armati da questa consapevolezza, torniamo all'inizio del poemetto di Paola Lucarini dove, ripetiamo, il bosco è anche epifania del destino singolare di don Bosco (quante volte una fiaba comincia con il bosco?): «inizia la fiaba incessante / "c'era una volta... / e sarà sempre la vita" / cuore, ascolta l'eterno, vivendo». Quindi, una fiaba di gioia è l'avventura di don Bosco, ma una fiaba "raccontata" da Dio in un destino umano che si è donato agli altri fino all'ultimo respiro. E il poeta non può fare altro che ascoltare e rimandare a questo racconto udito nel silenzio dell'anima ín ascolto dell'Eterno. Così la poesia non è nel poeta o nel lettore, ma accade nel "mezzo", come nell'incontro d'amore. Paola Lucarini esprime tutto questo verso la fine, non a caso, del suo poemetto: «La poesia si scrive da sola / il poeta – direttore d'orchestra / se percepisce stonature nell'eseguire / le note dei versi corregge: / lui questo lo sa // perché una poesia sia finita / va lasciata incompiuta / affidata all'infinito: / anche questo lui sa» (p. 78). Come a dire che la fiaba di don Bosco, fiaba di vita e di santità, il poeta l'ha soltanto ascoltata come sotto dettatura di quell'infinito che non è mai in nostro possesso. Lo sentiamo e, scrivendolo nei versi, lo conosciamo.

    Sull'onda della gioia

    In questa prospettiva, è importante sottolineare questa singolare e straordinaria intuizione di Paola Lucarini che ascolta l'avventura di don Bosco "sull'onda della gioia", come recita il bel titolo. È un'intuizione teologica, una di quelle intuizioni che soltanto i veri poeti, per un mistero che non è dato sapere, riescono a captare in una figura, in una storia, pur non essendo esperti di questa o di quella disciplina, teologica o meno. Di fatto, come sottolinea un discepolo di don Bosco, il salesiano Sabino Palumbieri, professore di antropologia filosofica all'Università Pontificia Salesiana di Roma, i poveri hanno bisogno di tante cose: di pane, di tetto, di cure, ma hanno bisogno soprattutto di gioia. Anche il cuore ha bisogno del suo pane, come sapeva bene don Bosco. E il pane del cuore è l'amore che produce gioia, come il fuoco produce la fiamma e non per nulla Paola nomina più volte il fuoco quale immagine sintetica del carisma salesiano: «la gioia necessaria rallegra / ogni cuore confidente. / Il domani è già qui / nel dono dell'anima ardente» (p. 30). Il che richiama direttamente il Vangelo dove Gesù afferma in modo sconvolgente che «Non di solo pane vive l'uomo» (Mt 4,4) ed Egli è venuto nel mondo per annunciare questa gioia – l'Evangelii gaudium di papa Francesco! –, la gioia della sua Pasqua, la gioia pasquale dei santi. Perché la gioia, nella sua sorgente, o è gioia pasquale o non è (S. Palumbieri). La gioia è il dono del Risorto ed è per questa ragione che i cristiani devono implorarla ogni giorno nella preghiera, come afferma Dostoevskij in una bella pagina dei Fratelli Karamazov: «Amici miei, chiedete a Dio la gioia. Siate gioiosi come i bambini e gli uccelli del cielo».
    In sostanza, come è facile intuire, non è possibile ripercorrere, punto per punto, tutto l'itinerario poetico di Sull'onda della gioia nella sua fitta trama di versi che s'incastrano tra storia concreta di don Bosco, vita simbolica, immagini della natura e dell'anima, invocazioni e preghiera. Ma il lettore attento del poemetto di Paola Lucarini – forse sarebbe meglio definirlo, a questo punto, oratorio – non farà fatica a riconoscere che esso è tutto permeato della presenza dell'infanzia e dei giovani, guidati dal santo di Valdocco "sull'onda della gioia", ma anche della preghiera in poesia. Ed è su quest'ultimo aspetto che vorrei soffermarmi prima di concludere questo intervento critico. Quella preghiera che Paola Lucarini definisce in un distico suggestivo e carico di profonde risonanze: «nelle vene della creatura in cammino / scorre il sangue della preghiera» (p. 57).
    E qui, oltretutto, andrebbe sottolineata anche la fortissima presenza di Maria – quindi dell'anima femminile – nell'avventura di don Bosco che è la testimonianza dell'amore paterno e materno di Dio verso l'umanità e, particolarmente, verso i derelitti e gli indifesi. Così Paola mette in bocca a don Bosco una delle più belle preghiere-poesie del suo poemetto: «Perla fra le valve d'un sogno celeste / Maria nostro Ausilio / racchiusa in mandorla d'ascolto / per prima sentisti palpitare / il cuore del tuo cuore / tenero sussulto all'eterno nascente / Maria, luce di Grazia, al divinamente umano / umilmente assorta» (p. 58). Senza punteggiatura, quasi tutta d'un fiato, questa preghiera è il grido della gioia che fu il «sogno di Maria» nel mettere al mondo il Figlio di Dio. E d'altra parte, il movimento interno a Sull'onda della gioia tende, prima lentamente e poi esplicitamente, al canto della preghiera e non giunge a caso, per conseguenza, quell'inno a più voci che chiude il poemetto di Paola Lucarini con versi di feconda bellezza: «Le altezze non sono per tutti / ma Dio benedice anche le valli», oppure «Un filo d'erba / se resta solo / non sarà mai prato», fino alla conclusione che è un ringraziamento a Dio e all'obbedienza a Dio di don Bosco «Per gli infiniti volti d'amore / del tuo volto innamorato / della sacra umanità, grazie» (p. 96).

    Don Bosco, prete-educatore

    Strana e paradossale natura della poesia, diceva Henri Bremond: una preghiera che talvolta non prega, con le sue immagini e le sue metafore, ma che fa pregare. E aggiungeva: « Nulla vieta che per noi, poeti di un grado inferiore, l'impressione suscitata dalla visione di un paesaggio o dalla lettura dei poeti sia feconda, che essa si trasformi insensibilmente in esperienza religiosa, talvolta perfino propriamente mistica; niente lo vieta, ma la natura delle cose e l'ordine della Provvidenza richiedono che in noi l'abbozzo divenga ritratto» (cfr. H. Bremond, Poesia e preghiera, Rusconi, Milano 1983, pp. 199-200). È questa la sensazione profonda che personalmente ho ricavato dalla lettura di Sull'onda della gioia: un "ritratto" di don Bosco autentico, nuovo, estremamente intimo e capace dí restituirgli qualcosa della sua grande anima e ben oltre la tentazione della retorica che, talvolta, può prenderci la mano anche con le migliori intenzioni. Paola, invece, lasciandosi guidare dalla profondità ed essenzialità della sua parola poetica, ci costringe a un volo oltre le circostanze, i fatti nudi e crudi, per assestarsi nella contemplazione e nell'ammirazione di questa figura di santo educatore e ascoltandolo nel silenzio, soprattutto nel silenzio che è, per i poeti, la condizione necessaria ad ascoltare e a trascrivere quanto hanno ascoltato nel segreto del cuore.
    Perché è proprio vero che, in ogni parola della poesia, qualche cosa tace, ed è il segno che la parola poetica deriva dal silenzio. In ogni silenzio c'è qualche cosa che parla ed è il segno che dal silenzio ha inizio il "messaggio". Qual è, dunque, il messaggio di Sull'onda della gioia? Don Bosco – come ha ricordato proprio a Firenze don Pascual Chavez, rettore maggiore emerito dei Salesiani e nono successore di don Bosco – non fu «né un politico, né un sociologo, né un sindacalista ante litteram, semplicemente prete-educatore» (22 marzo 2015). Anche questo è il ritratto, quello di un prete-educatore, che ci restituisce il poemetto di Paola Lucarini su don Bosco, ma c'è anche di più: avvolgendolo e lasciandolo vivere nel linguaggio alto della poesia, il Santo di Valdocco è per la poetessa fiorentina una ricerca della bellezza che contínua quella ricerca dell'amore in senso lato che è al centro di tutte le sue raccolte poetiche. E ciò spiega l'importanza della poesia per Paola in un'epoca e in una cultura, come la nostra, segnata in profondità dalla violenza, dall'oppressione, dall'alienazione anche in campo artistico. È la poesia che tiene desta la memoria e la speranza di questi momenti di silenzio e di contemplazione, di costruzione dí una casa per l'anima, dunque di amore e di consolazione. Ecco, a mio parere, il messaggio di Sull'onda della gioia perché soltanto Dio può aver inventato la poesia per salvare la tenerezza, quella tenerezza che fu anche il segreto della poesia di vita di don Bosco. 

    (Feeria, 2015/1, n. 47, pp. 44-50)


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