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    Il cosmo, la natura

    e l'uomo “forgiato” da Dio

    Una ecologia cristiana dell’ambiente e della persona

    Gianfranco Ravasi


    Genesi 1 La creazione
    1In principio Dio creò il cielo e la terra.
    2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
    3Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
    4Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre.
    5Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
    6Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».
    7Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne.
    8Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
    9Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. 10Dio chiamò l'asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona.
    11Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne.
    12E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona.
    13E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
    14Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni
    15e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne.
    16E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle.
    17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra
    18e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona.
    19E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
    20Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». 21Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie.
    Dio vide che era cosa buona.
    22Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». 23E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
    24Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così avvenne.
    25Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.
    26Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
    27E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.
    28Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
    29Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo.
    30A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne.
    31Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.

    Genesi 2 Il riposo sabbatico
    1Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
    2Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto.

    Abbiamo qui il primo dei due racconti della creazione, il secondo - oggetto del prossimo incontro, che occuperà i capitoli secondo e terzo della Genesi - è decisamente una narrazione molto più vivace, quasi sceneggiata, che procede per quadri. Quello di stasera ha delle caratteristiche che avrete subito notato e che conoscete, anche perché essendo la prima pagina della Bibbia è forse una tra le più note. La mia funzione è quella di essere semplicemente “servo, ministro” della Parola, per usare un’espressione di David Maria Turoldo, cioè l’esegeta, quello che interpreta il testo, magari anche inseguendone la sua materialità. Poi ci sarà la voce di chi invece lo farà fiorire, sbocciare, lo porterà fino a noi. Sappiamo che ogni scritto ha almeno due componenti: l’autore e il lettore. Mio compito è quello di enunciare che cosa afferma il testo in sé, il dottor de Bortoli dovrà poi anche esprimere cosa dice per noi oggi.
    Per questa lettura, frutto si suol dire della tradizione sacerdotale - siamo nel VI secolo a.C., nell’esilio babilonese - vorrei proporvi la sua cifra stilistica, che è una cifra ritmica, litanica, e procedere attraverso un settenario che dirò subito perché ho scelto.
    Prima componente: l’aspetto letterario del testo. È facile capire che si tratta di un testo sacerdotale, da lettura nell’ambito sinagogale, di un tempio, ha una ieraticità sacrale, il suo ritmo è afflusso di ondate che si ripetono e che sono sostanzialmente articolate in due grandi movimenti.
    Da una parte la separazione, che è un modo per descrivere la creazione, separare le cose, dando senso identitario a ciascuna e, dall’altra parte, invece, l’ornamento per cui l’identità viene dotata, connotata di senso, di significato. Il ritmo che abbiamo ascoltato è certamente motivato da un numero, che per la mistica delle cifre nel mondo biblico è fondamentale: ho detto che l’ho adottato questa sera ed è il sette. Il dominio del settenario però qui non avete potuto seguirlo, bisognerebbe vederlo nell’originale ebraico che, tra l’altro, è estremamente nitido, limpido. Voglio soltanto fare una sequenza di esempi: sette giorni; sette formule, che vengono usate per costruire sostanzialmente ogni giorno; sette volte la parola barà, il verbo creare in ebraico; ventuno volte (sette per tre) sono citati terra e cielo; trentacinque volte (sette per cinque) la parola Elohim, Dio; il primo verso è composto di sette parole, mentre la seconda frase di quattordici. Come vedete viene usata una sorta di cabala mistica numerica, evidentemente con una finalità: l’essere è armonico, l’essere è frutto di un progetto, non è il caos.
    Seconda considerazione, l’aspetto cosmologico. Sottolineo questo aggettivo, perché all’interno dei grandi testi, delle grandi narrazioni cosmologiche dell’antico vicino oriente, ciò che dominava era la cosmogonia, ed è ben diverso. L’Enuma elish, un grande testo mesopotamico supponeva che l’essere provenisse dal divino, fosse sostanzialmente il divino, tanto è vero che la creazione era frutto di una lotta intra-divina tra il dio del nulla, tiamat, dio dell’abisso, e il dio dell’essere, marduk, il creatore. L’uomo proveniva dall’occipite di una divinità di tiamat uccisa dal dio vincitore. Il sangue che corre nelle nostre vene è quello del dio kingu, che era un dio ribelle, che seguiva tiamat, un dio peccatore. La Bibbia, invece, se volete, demitizza la creazione. La creazione non è divina in sé, anzi, per usare la tradizione ebraica medievale, è uno tzimtzum di Dio, un suo ritrarsi per lasciare spazio all’entità creata in sé. Diceva il grande poeta Hölderlin: come ha creato Dio l’essere e l’universo? Allo stesso modo in cui gli oceani hanno lasciato spazio ai continenti, ritirandosi. Dio si ritira, quindi non è un eco-panteismo. E dall’altra parte, in questa laicizzazione dell’essere abbiamo anche un altro elemento significativo che non potevate certamente scovare nell’interno del testo ed è la democratizzazione dell’essere, perché nelle grandi tradizioni orientali, soprattutto nella grande festa del nuovo anno, akitu, ricorrenza fondamentale del calendario babilonese, era il re che viveva in sé l’esperienza cosmica, perché egli era figlio del dio. Qui chi è il protagonista? Colui che si chiama Adamo, Adam, cioè, ogni uomo. Poi, letteralmente, tradurremmo questo termine con colui che ha il colore dell’ocra, il giallastro dell’argilla della terra.
    Terzo elemento: abbiamo anche una sorta di filosofia, un aspetto filosofico-simbolico. Si dice spesso che il concetto di creazione dal nulla è acquisibile solo attraverso la metafisica greca, perché ci vuole il concetto di nulla, concetto che evidentemente è astratto: il nulla. Ebbene, qui abbiamo nell’interno di Genesi 1 e 2 proprio la rappresentazione di questo aspetto del contrasto essere-nulla, che però verrà celebrato poi anche in altre pagine della Bibbia, ma sotto una dimensione simbolica. Ci sono tre realtà che probabilmente sono scivolate via e che sono invece simboli del nulla, simboli, certo, e non idee astratte. Uno lo ha evocato anche il professor Salamone in apertura. Che cosa era l’universo prima? Era tohu wā•ḇō•hū, si sente già all’ascolto che questo termine ebraico è onomatopeico, indica qualcosa di confuso, tohu wā•ḇō•hū, è un suono che si disperde, tanto è vero che ancora nel francese colto se si deve dire è una cosa confusa si dice “tohu-bohu”. Ebbene, questo probabilmente indicava il deserto: amorfo, informe. Ancora, c’erano le tenebre, choshek. Che cosa sono le tenebre? La negazione della luce e quindi, ancora una volta, un modo per rappresentare il nulla rispetto all’essere. La prima creatura è la luce. Terzo. C’è, guardate bene questo vocabolo, tehom, l’abisso, cioè il vuoto, il nulla. Per noi il vuoto non è il nulla, ma nella loro concezione questa è la variante ebraica di quella parola che ho pronunciato prima, tiamat, la divinità negativa, quella del nulla mesopotamico, che viene semplicemente smitizzata, ridotta ad un principio negativo. Ecco, allora, che andiamo verso una filosofia, una simbolica filosofia: essere e nulla. E noi siamo ininterrottamente sospesi - qui non mi lascio tentare dal seguire questo itinerario, affascinate – sul nulla, che viene rappresentato nella battigia, nel litorale, dove c’è il mare, che è il simbolo del caos che attenta allo splendore della creazione: è tohu wā•ḇō•hū, anche quello lì.
    Quarto elemento: l’aspetto della teologia della creazione. È un testo fatto evidentemente da sacerdoti e un testo teologico, e qui direi si trova l’elemento fondamentale che veramente fa vedere la genialità dello spirito biblico. Lasciamo stare ora il discorso dell’ispirazione. La creazione non è una lotta intra-dio, non è un lavoro faticoso di Dio, non è un contrasto. È, semplicemente, tutto in quella frase, 1,3: vaiyomer Elohim yehi ovr; vayhi-ovr. “Dio disse: sia la luce. E la luce fu”.
    Sentite che il testo è persino rimato, basta una Parola. È in questa linea che abbiamo il Salmo 19, che vi invito a leggere, bellissimo, musicale [1]: I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle mani annuncia il suo firmamento. Il giorno al giorno ne trasmette notizia e la notte alla notte ne dà comunicazione.
    Il creato, proprio perché è frutto di una Parola, è in sé Parola. Ed è per questo allora che un’opera tarda, la più tarda della Bibbia dell’Antico Testamento, il Libro della Sapienza (13,5), dirà: dalla grandezza e bellezza delle creature, analogos, cioè gradino per gradino, analogicamente, theorein, si contempla, il loro creatore. Ecco la teologia del creato: come una teologia, nel senso che non è panteismo, non è divinità, ma è Parola della divinità cristallizzata. Nel culto sinagogale, in maniera molto suggestiva, nel giorno di Shavuoth [2], si recita un bellissimo inno che afferma: “che cosa è la terra e il cielo? È come una pergamena che Dio ha dispiegato e sulla quale ha scritto un suo messaggio aperto a tutti”. È quella che il cardinal Jean Daniélou, un grande teologo del secolo scorso, chiamava la rivelazione naturale, cosmica, aperta a tutti. Continua quell’inno, molto bello: “voi cosa avete? Gli arbusti, le canne, per poter scrivere su quella pergamena la vostra risposta”.
    Quando ascolterete Genesi 2 e 3 vi accorgerete che l’uomo non ha scritto una bella risposta, ha sfregiato la creazione.
    Quinto elemento: l’antropologia della creazione. A questo proposito richiamo quella frase, tutta calibrata - chi scrive è sacerdote, teologo…- totalmente costruita su uno schema letterario, che si definisce tecnicamente parallelismo chiasmatico progressivo. Che cosa vuol dire? Si tratta di affermazioni che proseguono in modo tale da poter essere decifrate attraverso il loro procedere, che inizialmente è ad “x”. Se per un momento chiudete gli occhi e immaginate che il testo sia scritto davanti a voi, oltre a sentirlo, lo vedrete: lo ripeterò lentamente e vi accorgerete che c’è la spiegazione di che cosa significhi l’immagine di Dio sulla terra. La terra non è Dio, ma c’è un’immagine, una statua da scoprire, peh'-sel in ebraico è statua.
    Qual è il parallelo all’immagine di Dio, la spiegazione? È maschio e femmina. Altro che l’anima di sant’Agostino, o comunque della tradizione patristica… Per questo autore l’immagine di Dio è che noi abbiamo la bipolarità sessuale. Detto in altri termini, che siamo capaci di generare, che siamo in grado di amare e solo così siamo immagine del Creatore. Tutte le volte che una persona viene generata è quasi il riflesso di Dio. C’è una bellissima pagina a questo riguardo di Joseph Roth [3], scrittore mitteleuropeo che rappresenta un padre con davanti una creaturina - oggi si dice che i bambini sono bellissimi, ma il più delle volte sono bruttini invece quando nascono… - e dice: qui io ho rappresentato la potenza stessa del Creatore, generando. Questo nasce attraverso l’atto d’amore, quindi, l’immagine è maschio e femmina. Devo anche aggiungere per l’antropologia di questo passo, e mi avvio alla conclusione, che c’è un altro elemento che non so se vi abbia mai incuriosito. L’uomo si dice sempre che sia il vertice del creato, ed è vero, lo sto dichiarando anche attualmente, c’è quasi un’antropizzazione del creato - e su questo credo che il Dottor de Bortoli potrà dire qualcosa, sulla centralizzazione dell’uomo sul creato - però, non dimenticate mai in che giorno viene creato questo uomo che poi è tov meod, bellissimo. Di solito si traduce “e Dio vide che era cosa buona”, ma si vede, prima di tutto è cosa bella. In ebraico tov vuol dire bello, buono e utile contemporaneamente, è un po’ come il nostro bello che - forse non sapete - non deriva da bellum, guerra, evidentemente, ma dal latino medievale bonicellum, un vezzeggiativo di buono, da qualcosa che è buono. Tuttavia, questa cosa così bella, buona, perfetta, è creata in che giorno? Il sesto, che è il nadir numerico, è l’imperfezione, la bestia dell’Apocalisse [4] ha il numero 666, perché è il massimo dell’imperfezione. Ed ecco, allora, la celebrazione, il riconoscimento della nostra finitudine, siamo limitati, caduchi, fragili, siamo mortali, ma l’uomo può celebrare il sabato. E il settimo giorno cosa è? Il riposo, la menuchà, il momento in cui Dio rientra nell’eterno, dopo essere stato nel tempo e nello spazio attraverso la creazione. Quando celebriamo il culto - sono sacerdote, descrivo - quando entriamo in comunione con Dio nella preghiera, nel sabato, come scriveva il filosofo mistico ebraico Heschel [5], “abbiamo un assaggio di eternità”. L’uomo creato il sesto giorno, attraverso la fede, attraverso la grazia, attraverso la preghiera entra nell’eterno, nell’infinito di Dio, diventa “sette”. E a questo punto concludo, allora, con il sesto e settimo elemento, che si incrociano tra di loro.
    Sesto elemento è che questa narrazione, che non ha il peccato, è anche un racconto escatologico, un racconto del progetto di Dio, del grande sogno che Dio ha. Poi, un altro narratore sosterrà: è ben diverso il progetto… l’uomo è ben altro... È quanto verrà descritto la prossima volta. Ed ora, per un momento, provate a pensare la finale della Bibbia, vi leggo solo un versetto dall’Apocalisse [6]: vidi un nuovo cielo e nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più, il tohu wā•ḇō•hū, il nulla, che sempre c’è ancora nella creazione limitata. Non ci sarà più, continua il versetto quattro, la morte, il lutto, lamento e affanno, le lacrime saranno cancellate. Ecco perché il capitolo primo della Genesi e la finale dell’Apocalisse sono la celebrazione, se si vuole, del progetto perfetto di Dio, escatologico, la meta verso cui la creazione dovrebbe tendere, come lo era agli inizi.
    Sulla base di quest’ultima considerazione, introduco l’ultima, che ne è un corollario, la settima mia nota, che è l’aspetto mistico. Il testo è un invito alla contemplazione, ma come potete capire è una contemplazione molto contenuta: la Bibbia non conosce l’aspetto romantico della contemplazione, ha cognizione però certamente della meraviglia, lo stupore. “Il mondo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”, diceva Chesterton. Lo stupore è fondamentalmente il linguaggio della Bibbia, è l’atteggiamento della fede. Ed ecco allora che l’ultimo elemento è un invito: quando si ascolta questa pagina, bisognerebbe proprio lasciarla cantare con la sua ieraticità, la sua solennità, perché è la rappresentazione di qualcosa di affascinante di cui noi siamo coprotagonisti con Dio. È un po’, se volete, guardare all’Infinito di Leopardi, al di là del limite c’è l’infinito o, se volete ancora, è riconoscere il celebre pensiero 347 Brunschwicg di Pascal [7], la canna pensante nell’universo. L’universo è grandioso, noi siamo fragilissimi, eppure noi siamo canne pensanti.
    Concludo ricordando questa sequenza settenaria: l’aspetto letterario, l’aspetto cosmologico, l’aspetto filosofico, l’aspetto teologico, l’aspetto antropologico, l’aspetto escatologico e l’aspetto mistico e rammentando le parole di uno scienziato, in questo caso credente, il padre, - con Galileo - della fisica moderna, Isacco Newton, che in una sua bellissima rappresentazione di sé come scienziato e credente scrive: “non so che immagine abbia di me il mondo, ma io mi vedo come un bambino che gioca sulla riva del mare e di tanto in tanto si diverte a scoprire un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella del solito, ma davanti a me si stende ancora inesplorato l’immenso oceano dell’universo e della verità”.

    NOTE

    1 Salmo 19,2-3.
    2 Festività ebraica che ricorre 50 giorni dopo la loro celebrazione della Pasqua.
    3 Joseph Roth, La cripta dei Cappuccini, Adelphi, 1989, Milano: “Nell’istante in cui potei prendere tra le braccia mio figlio provai un lontano riflesso di quella ineffabile sublime beatitudine che dovette colmare il Creatore il sesto giorno quando egli vide la sua opera imperfetta pur tuttavia compiuta. Mentre tenevo tra le braccia quella cosina minuscola, urlante, brutta, paonazza, sentivo chiaramente quale mutamento stava avvenendo in me. Per piccola, brutta e rossastra che fosse la cosa tra le mie braccia, da essa emanava una forza invincibile”.
    4 Apocalisse, 13,18.
    5 Abraham Joshua Heschel “Il Sabato” Garzanti, 2001, Milano, p. 95.
    6 Apocalisse, 21,1.
    7 «L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c'è bisogno che tutto l'universo s'armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell'universo su di lui; l'universo invece non ne sa niente. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E' con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensare bene: questo è il principio della morale (fr.347).


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