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    Don Bosco ai giovani, i giovani a Don Bosco


     

    Un manifesto di spiritualità per i giovani del Duemila

    Egidio Viganò

    (NPG 1989-01-3)


    Il documento che segue, che possiede la carica di un messaggio profetico affidato ai giovani per il Duemila, e che è stato scritto da don Egidio Viganò, Rettor Maggiore dei Salesiani, ha una sua storia, che merita di essere conosciuta dai lettori di NPG.
    Uno degli avvenimenti principali tra le numerose manifestazioni in ricordo del Santo dei giovani e grande Educatore don Bosco nell'anno centenario della sua morte, è stato certamente il «Confronto internazionale» (Torino, 28 agosto - 4 settembre 1988), che ha visto la partecipazione di 2500 giovani provenienti da 22 diverse nazioni del mondo intero.
    Il tema: «Giovani nella chiesa per il mondo».
    I giovani del Confronto si sono presentati come ambasciatori di altri confronti, vissuti nelle realtà locali. Si sono incontrati per affrontare il tema impegnativo che vede collegati tra loro tre protagonisti: don Bosco, i giovani e il concilio.
    Del concilio i giovani hanno l'età e il senso di futuro. I giovani e don Bosco formano un binomio inseparabile, i cui termini si richiamano a vicenda. E il concilio è una provocazione: stimola a ripensare nell'oggi la proposta educativa di un maestro di spiritualità giovanile come don Bosco.
    Il proposito dei giovani è appunto questo: chiedersi quanto sintonizzano con l'evento pentecostale del concilio, avvenimento storico per la chiesa e per l'umanità. In tale ricerca essi intendono mettersi sulla lunghezza d'onda di una memoria, rifarsi ad un uomo di Dio che sanno dalla loro parte, don Bosco.
    Con lui avvertono di procedere attivi nel cammino umano. Non sarebbe nello stile del loro «padre, maestro e amico» stare a osservare da una finestra quanto accade nello scenario del mondo.
    Così hanno voluto un tema che li vedesse coinvolti nel riflettere sul loro essere «protagonisti» nella società e «impegnati» nella chiesa. Un argomento che certamente li affascina, ma più che mai un tema che suscita risposte concrete alle esigenze e attese, anche se spesso inespresse, di tanti giovani.
    Sui luoghi salesiani di Valdocco e dei Becchi i 2500 giovani hanno assaporato il fascino e la gioia di una storia piena di evocazioni per loro, hanno messo in comune le esperienze vissute negli impegni quotidiani.
    Ne è scaturito un messaggio, denso ed efficace, per la gioventù di tutto il mondo, così come era nelle loro intenzioni.
    Il confronto del resto era chiamato a dar forma rinnovava ad una realtà sentita e vissuta come la più preziosa eredità di don Bosco: la sua proposta di vita cristiana, di spiritualità giovanile. Ed i giovani hanno raccolto tale eredità e hanno voluto consegnarla alla gioventù •di tutto il mondo attraverso un messaggio. Senza tentennamenti, con il loro entusiasmo e la convinta adesione del cuore, hanno proclamato che è possibile ancor oggi camminare sulle vie della santità, da protagonisti nella società e impegnati apostoli nella chiesa.
    Don Bosco ne è la guida, il precursore di una schiera per cui la vita è cammino di santità, accessibile a tutti, di santità popolare, di santità giovanile.
    Dunque un annuncio di speranza di chi, come quei giovani, sa ancora oggi sognare, alla maniera di don Bosco.
    Il testo che pubblichiamo si colloca in questo contesto: è il discorso introduttivo, di apertura dei lavori, circa il dialogo che si intreccia tra don Bosco oggi e i giovani del 2000 sulla scia profonda del Concilio.
    Qual è la proposta di vita cristiana che don Bosco fa ai giovani d'oggi alla luce del Concilio?
    La riflessione ha rappresentato una traccia efficace di cammino e una proposta entusiasmante per i giovani presenti.
    Lo riproponiamo alla chiusura dell'anno centenario di don Bosco, con la speranza che tale obiettivo possa realizzarsi anche per numerosi altri, anzi per i più.
    Cari amici, «qui con voi mi trovo bene: è proprio questa la mia vita, stare con voi»!
    Le riconoscete subito queste parole: sono dello stesso Don Bosco. Con intima commozione io, suo settimo successore, le ripeto a voi; vorrei dirvele con la sua stessa carica di stima, di tenerezza, ed insieme di trepidazione, di speranza e di attesa. Sono infatti tra loro così uniti, i «giovani e Don Bosco», che senza i giovani attorno Don Bosco è impensabile; ma anche i giovani senza Don Bosco sarebbero più poveri, come se mancasse loro un grande amico.

    PERCHÉ UN CONFRONTO INTERNAZIONALE?

    Siamo qui per vivere insieme un evento esaltante, rivolti verso il Duemila. È stato lanciato a voi dalla Chiesa uno stimolante appello. Se siete qui, lo avete già accolto, ma ora vi proponete di approfondirlo dialogando con Don Bosco nel ricordo centenario della sua morte.

    Il messaggio del Concilio Vaticano II

    L'appello della Chiesa è costituito da quelle famose parole che il Papa e i Vescovi di tutto il mondo diressero a voi alla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II: «La Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto; è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il vostro avvenire. Noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo. La Chiesa vi guarda con fiducia e amore. Essa possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorni, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani» (8 dicembre 1985).
    È davvero uno stimolante messaggio per il Duemila! Percepitene, dunque, le promettenti proiezioni insieme al vostro grande Amico e Maestro S. Giovanni Bosco.

    Il confronto con Don Bosco

    Il termine «confronto» significa, qui, incontrarsi, con qualcuno competente e disponibile per dialogare con serietà e sinceramente su argomenti vitali e attualmente di rilievo. Ci siamo riuniti appunto per questo: Don Bosco e i giovani si incontrano faccia a faccia, in presa diretta, come tante volte lungo la vita del Santo, per un appuntamento straordinario: Don Bosco, cui la storia ha aggiunto cento anni di modernità, ha qualcosa da dire a voi giovani, e voi giovani avete qualcosa da rispondere a Don Bosco, da decidere con il suo aiuto, davanti alla Chiesa e alla vostra coscienza.
    Io mi farò discreto interprete di questo dialogo che da oggi voi prolungherete fitto ed appassionato per tutta una settimana, sia raccogliendo la voce storica di Don Bosco, ma anche le risonanze che egli ha avuto in questi cent'anni fino ai confini del mondo, sia proponendovi dei suggerimenti introduttivi di una risposta che dovrete però formulare voi stessi nel dialogo e nella preghiera.
    Vi è un nota bene fondamentale in questo dialogo, perché non abbia ad essere retorico e fittizio. La voce di Don Bosco a voi è molto anteriore al Concilio Vaticano II e la vostra di poco posteriore; però entrambe passano attraverso la potenza misteriosa di Uno che ci rende tutti sorprendentemente contemporanei: si chiama Spirito Santo, lo Spirito di verità inviato da Cristo Risorto. Egli oggi ci garantisce una singolare piattaforma di avvicinamento, l'evento pentecostale del Concilio Vaticano II, dove convergono la santità di Don Bosco e i dinamismi della vostra speranza di futuro: una «pentecoste» dello Spirito che è profezia di ieri e progetto di domani nella forgia rinnovatrice di Chi è l'artefice instancabile della giovinezza della Chiesa. Ecco allora finalmente focalizzata l'area della sintonizzazione tra voi e Don Bosco: il Concilio!
    Comincia, dunque, il «confronto»: prima, Don Bosco a voi giovani di oggi; poi, voi giovani del Duemila a Don Bosco.

    DON BOSCO Al GIOVANI D'OGGI

    Cosa direbbe dunque Don Bosco, se riprendendo volto, sorriso, voce si mostrasse qui in mezzo a noi oggi, e parlasse confidenzialmente ai suoi giovani, che siete voi?
    Vi vedrebbe illuminati dalla grande luce del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si tratta infatti di un evento di Spirito Santo, una sua visita nella storia per rinnovare la giovinezza della Chiesa nel cammino verso il terzo millennio. Dopo cento anni dalla morte Don Bosco vede questo Concilio come l'evento più importante del secolo ventesimo: un miracolo di giovinezza per tutti i credenti. Sarebbe impensabile per lui parlare a dei giovani del Duemila, eredi del Concilio, senza far riferimento ai grandi orientamenti di rinnovamento e di crescita nell'unica fede proposti dal Vaticano II. Per prescindere da esso bisognerebbe situarsi in due posizioni estreme e antitetiche che lui ha sempre rifiutato: quella dei tradizionalisti scismatici che non guardano avanti, e quella dei progressisti ideologici che sognano unicamente un utopico sol dell'avvenire. Come è suo stile, Don Bosco vi parlerà con parole semplici, ma rese credibili, come in Francesco di Assisi e in Madre Teresa, dalla prova della vita e della santità, e quindi con parole di ampio respiro ed apertura, che meritano ascolto.
    Voi sapete, infatti, che anche da un punto di vista storico Don Bosco pensò in grande: la povertà, la ristrettezza economica non furono mai rattrappimento dell'intelligenza e immiserimento del cuore, ma anzi ebbero l'effetto contrario: non avendo nulla di proprio, come il padre Abramo, lo Spirito lo fece cittadino del mondo, gli allargò a dismisura il cuore e lo rese un grande sognatore.
    Sognava il mondo futuro e lo anticipò tra i suoi giovani poveri e tanto carenti di sicurezze presenti. Come se vedesse l'invisibile, egli intese fare storia con la povera cronaca dei suoi ragazzi. E la fece. Io ne ho constatato l'attuale sua immensa proiezione in tutti i continenti. Voi stessi, che rappresentate i quattro punti cardinali del mondo, ne siete una viva testimonianza.
    Cerchiamo dunque di decifrare le coordinate del «sogno storico» di Don Bosco per i giovani che lo stanno incontrando: il suo «Manifesto». Mi pare di poterlo concentrare su tre motivi che riprendono quelli che fanno da base al grande tema di questa settimana: «Giovani nella chiesa per il mondo».

    «Basta che siate giovani perché io vi ami assai»

    Queste parole di Don Bosco costituiscono, per me, la prima parte del suo «Manifesto». Mi sembra dicano una cosa sostanziale: la stima profonda, incondizionata per ciascun giovane, per ognuno di voi.
    Voi siete persone importanti agli occhi di Dio, come pure, almeno a parole, delle Carte internazionali degli uomini.
    Il Papa nella sua bella lettera del 31 gennaio scorso («Juvenum Patris») afferma: «Andiamo ai giovani: ecco la prima e fondamentale urgenza educativa»...
    E prosegue: «Giova ricordare le stupende parole che Don Bosco rivolgeva ai suoi giovani: 'Fate conto che io sono, sono tutto per voi, giorno e notte, per voi vivo e per voi sono disposto anche a dare la vita'».
    Si tratta, come vedete, di un totale dono di sé ai giovani, frutto di amore nobile e intenso che il Vangelo chiama «carità» e che per i giovani vuol dire fiducia, compagnia, proposta, stimolo, accoglienza, sostegno nelle debolezze.
    Per questo Don Bosco ci fa vedere che, sull'ultima frontiera, anzi oltre ogni frontiera, sta Dio che ama ciascun giovane e lo chiama per nome.
    Don Bosco si è fatto profeta della stima di Dio, vivendo proprio perché ogni ragazzo, a partire dai più poveri, dai pericolanti (anzi, come lui diceva, dai pericolosi) non avesse ad arrossire di sé, non si desse a un verdetto di autoperdizione.
    Dal collaudo di una lunga esperienza gli sgorgò una battuta che vale un manuale di pedagogia: «Nessun giovane è così cattivo, che non vi sia in lui nessun punto per cui possa diventare migliore».
    In un mondo accigliato e adultista come quello di allora, Don Bosco ha scelto il sorriso per i suoi giovani, perché ognuno incontrandolo potesse dire: allora anch'io sono qualcuno degno di stima e di amore; Cristo mi guarda negli occhi!
    «Basta che siate giovani, perché io vi ami assai»: una esperienza storica di ieri, una promessa profetica per oggi.

    Aiutatemi a far vincere la fede

    Il sorriso di Don Bosco non ha proprio nulla dello spot pubblicitario di un manichino, ma di un uomo che dona e suscita stima in previsione di un progetto, tanto più se si fa memoria nella serietà fino alle lacrime che hanno solcato di nascosto il suo volto. Nulla della complicità dell'adulto che col suo permissivismo si fa perdonare le proprie debolezze... Prete dei giovani e per i giovani, Don Bosco volle essere sempre ministro di Cristo. Il taglio di schiettezza che comportava ogni suo rapporto con loro gli faceva dire con estrema semplicità e profonda convinzione quella che ha diritto di essere la seconda parte del suo «Manifesto»: «Aiutami a salvare l'anima tua».
    D'accordo con voi che questi termini («salvare» e «anima») suonano oggi piuttosto estranei: io vi ho parlato di «vittoria della fede». Don Bosco stesso, geniale com'era, si esprimerebbe oggi in un altro modo, ma non rinuncerebbe al suo pensiero, perché sotto vi sta una proposta moderna e decisiva che prolunga e garantisce quella stima dei giovani su cui ha scommesso la sua vita.
    Innanzitutto, dando fiducia ai giovani, egli non voleva creare dei narcisisti e degli egocentrici, ma piuttosto impegnarli per una prospettiva che chiama «salvezza». Bel nome che richiama quello di ultima spiaggia: «salvare» ha del drammatico, come se i grossi valori deposti in ciascuna creatura umana potessero anche perdersi..., ma è insieme un termine essenziale e carico di speranza.
    Diamo atto a Don Bosco di un forte realismo, un Amico che è sì sognatore, ma per nulla utopista e astratto. Per lui era urgente che le qualità positive di ogni giovane si potessero realizzare, fossero salvate dal fallimento, attraverso una vigorosa consapevolezza del male con cui battersi e del bene con cui schierarsi. L'atteggiamento trainante della persona doveva essere quello della «fede», che è appunto, secondo il Vangelo, quel «di più» di forza che porta alla vittoria sul male: «è la nostra fede - dice l'apostolo Giovanni - che ci dà la vittoria sul mondo» (2 Gv 5,4). La fede è, nel credente, il vero volto della sua anima, che lo fa rassomigliare a Cristo come fratello.
    L'«anima» del credente è proprio come il suo io profondo, ispirato al Vangelo, finalmente toccato dall'amicizia di Cristo, che rifiuta il peccato (altra parola chiave di Don Bosco), che potremmo interpretare anzitutto come rifiuto della malvagità, ma anche della mediocrità, dell'indifferenza, dei corti pensieri, dell'autosufficienza, in una parola rifiuto di una concezione egoistica e chiusa della vita, solidali soltanto con la propria ombra.
    Al positivo, «salvare l'anima» per Don Bosco significa vivere una vita di qualità, che secondo una tradizione secolare nella Chiesa si chiama «santità». Egli ha sempre creduto possibile la santità dei giovani ed ha praticato con esito una «pedagogia della santità». Per lui, senza mezzi termini, ogni ragazzo ha la stoffa della radicalità evangelica, della capacità di vivere in grande il frammento del quotidiano, alla scuola del Cristo del Vangelo. Per cui uno dei miracoli più belli e interessanti della pastorale giovanile di Don Bosco l'hanno compiuto i giovani stessi, nelle figure di Domenico Savio, di Magone Michele e di tanti altri.
    Superando il divario culturale tra voi e loro, fareste bene a porvi schiettamente le domande di come, nella situazione niente affatto facile del primo oratorio di Valdocco, siano fioriti ragazzi del tutto normali, per nulla isterici, poveri di risorse economiche ma non stupidi, assetati di vita, moto, allegria, affatto stinchi di santo, con anzi delle punte accentuate di monelleria, i quali però sono capaci di dire: «Ciò che conta è farsi santo; è possibile farsi santo; voglio diventare santo». Se ne fecero una ragione di vita. E vi riuscirono. Sarebbe interessante continuare l'esplorazione di queste produzioni geniali di giovani santi, dal giovanotto araucano Cefirino Namuncurà, alla ragazza cilena Laura Vicufia.
    È su quest'area della fede in Cristo che si gioca in profondità un vero confronto con Don Bosco: se si percepisce, prima o poi si è disposti a volare con ali d'aquila per fare della propria persona una personalità, carica delle qualità attinte al Vangelo, i cui effetti si fanno sentire in una maniera nuova di stare in società, di liberare il mondo del male.
    Un Don Bosco che dice cose mediocri ai giovani, sarebbe un mediocre Don Bosco, da rifiutare perché renderebbe mediocri anche voi. Ma non fu così. A distanza di cent'anni scopriamo il paradosso di giovani che hanno reso grande Don Bosco per il modo con cui egli li ha guidati ad essere grandi. Il segreto, non dimentichiamolo, sta in quelle semplici parole: «Aiutami a salvare la tua anima»; ossia: aiutami a liberare il progetto di Dio che è in te, per te; aiutami a far vincere la fede!

    Fate dell'amicizia una forma di salvezza

    E che la «salvezza dell'anima» non volesse assolutamente dire proposta religiosa intimistica e astorica, basta vedere la vita di Don Bosco del tutto proiettata verso il mondo dei giovani, verso i giovani del mondo, tendenzialmente, ed oggi di fatto, di tutto il mondo.
    Qui raggiungiamo la terza parte del «Manifesto» di Don Bosco, il suo essere stato né un uomo di sacrestia né integrato in un sistema di vita assicurato (come ad esempio l'offerta che gli si fece di essere cappellano di qualche famiglia nobile), ma di aver scelto di buttarsi dentro, fin dall'inizio, nel malessere del suo tempo, per darvi una mano robusta, concreta, liberatrice.
    Riporto qui ciò che egli scrisse di sé stesso quando decise la sua scelta di vita. Una pagina drammatica per contenuto e per sorprendente attualità.
    «Nel 1841, appena ordinato prete, rimasi angosciato dalla visita delle carceri di Torino, e inorridito. Ho incontrato turbe di giovani, sani, robusti, intelligenti (tra parentesi, notate la famosa inguaribile stima di Don Bosco per i giovani!), li ho visti inoperosi, poveri, bisognosi di pane e di parola, ad espiare con una triste reclusione e con rimorsi le colpe di una precoce delinquenza.
    Ma quale fu la mia meraviglia e sorpresa quando mi accorsi che molti di loro uscivano con fermo proposito di vita migliore ed intanto erano in breve ricondotti in carcere da dove erano da poco usciti.
    Fu in quelle occasioni che mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quelle prigioni perché erano abbandonati a se stessi.
    Chi sa - dicevo tra me - se questi giovani avesser fuori un amico che si prendesse cura di loro, li assistesse, li istruisse nella religione, trovasse loro un lavoro, chi sa che non potrebbero tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro che tornano in carcere?...
    Comunicai questo pensiero a Don Cafasso (che era il suo diriettore spirituale)... e mi sono messo a studiare il modo di effettuarlo abbandonando il tutto alla grazia del Signore» (dalle «Memorie dell'Oratorio»).
    Ecco: con schietta franchezza, pari alla stima, vi dico che entrare nell'orbita di Don Bosco è sentirsi chiedere:
    - «Tu accetti di andare come amico dove c'è bisogno di vita per dare aiuto, libertà, dignità, gioia, festa... nelle carceri come nel terzo mondo, nelle missioni come nelle comunità terapeutiche, nella bidonvilles di tante metropoli come nel mondo del lavoro e della disoccupazione...?»;
    - «Accetti di essere amico di chi ne attende uno, di aiutare chi esce dal tunnel del male, perché non vi cada dentro di nuovo, di farti compagno di cammino con chi è desolatamente solo, o, peggio ancora, in cattiva compagnia?»;
    - «Accetti di metterti, con bontà e sacrificio, a servizio di chi ha bisogno, aiutandolo a non cadere nel malessere insidioso del consumismo, nel plagio delle ideologie, nel livellamento dei valori, nell'indifferenza, in una parola nella «perdita della sua anima», proponendoti come un amico, un fratello più maturo, accogliente e paziente?»;
    - «Nella prospettiva di un compito come quello che ti vado prospettando, che è impegnativo ed esige competenza umana e spirituale, accetti un cammino di approfondimento della tua fede cristiana, di percorrere un itinerario catechistico per diventare tu stesso capace della Parola di Cristo, che porti radicalmente la possibilità, anzi la certezza di una chiamata speciale, di una vocazione a fare davvero il discepolo di Cristo per gli altri e, perché no, il prete, il religioso, il missionario o anche di entrare a far parte della grande Famiglia Salesiana?».
    Disse un giorno Don Bosco: «Se avessi con me un gruppo di giovani come li penso io, potremmo conquistare il mondo!».
    Non è certo accomodabile questo Don Bosco, non riconducibile ai personaggi del museo delle cere.
    Il suo dinamismo, che lo portò in pellegrinaggi nazionali ed europei faticosi (e nei continenti dove non potè arrivare di persona vi arrivò col sogno del cuore), apre prospettive mondiali. Chi lo incontra ne esce scosso, tanto più che la sua relazione coi giovani e la proposta che va loro facendo è legata ad una esperienza intensa e commovente di amore che tradusse in questa indimenticabile affermazione: «Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani».
    Si può passare indifferenti di fronte a questo uomo di Dio e fratello del mondo, come se nulla fosse capitato?
    Lo Spirito non sta parlando alle chiese, ai credenti, ad ogni uomo di buona volontà?
    E voi che cosa intendete rispondere?

    I GIOVANI DEL DUEMILA A DON BOSCO: QUALE RISPOSTA?

    Il confronto è a due: Don Bosco e voi giovani. Di lui ho cercato di delineare quel tratto del suo «Manifesto» imperniato sulla stima e accoglienza incondizionata del giovane, di ogni giovane; sul suo impegno di aiutarlo a far vincere la fede; sulla sua proposta infine di far nascere con l'amicizia una reazione a catena del processo di liberazione, portandolo con bontà nel mondo di chi, specie tra i giovani, vive in stato di emarginazione.
    Ora è tempo che la parola passi a voi, perché maturi una vostra risposta. Parlo di maturazione perché il confronto su valori non è una specie di manifestazione rumorosa, né è possibile una rapida soluzione, ma esige un attento dialogare, un riflettere, un decidere. Una risposta che piace a Don Bosco, proprio perché sapeva amare, è esigente.
    Mi permetto di offrirvi qualche suggerimento iniziale: raccolgo alcuni stimoli e ve li propongo come sentieri conciliari da utilizzare, cui darete concretezza con le tematiche dei giorni successivi.

    Conquistati dal Cristo vivo nella storia

    La dedizione di Don Bosco a voi («Mi basta che siate giovani, perché io vi ami assai») è segno e portatrice dell'amore di Cristo. Cristo è vivo; Cristo vi vuole bene; Cristo vi chiama; Cristo ha bisogno di voi.
    L'amicizia di Don Bosco è quella di un prete, consacrato da Cristo, conquistato da Lui e da Lui inviato a farsi vostro amico. Vi chiede di rispondere con una scelta di vita ispirata al Vangelo, quella di una appartenenza personale e diretta al Corpo di Cristo nella storia che è la Chiesa.
    Qui si inserisce quell'appello di essere cristiano secondo il messaggio conciliare su cui si gioca la giovinezza della Chiesa e tanta parte del rinnovamento dell'uomo.
    La vostra risposta dovrà portare con sé alcuni tratti che enuncio semplicemente, tenendo presente quanto abbiamo or ora ascoltato da Don Bosco.
    Il primo tratto che scaturisce dalla testimonianza di Don Bosco lo esprimo con le celebri parole dell'apostolo Paolo: «Mi sforzo di correre per conquistare (il premio della vita), perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo» (Fil 3,12).
    Si tratta di realizzare da parte vostra, come lo fece Giovanni Bosco da parte sua, una opzione radicale per Cristo, da rafforzare con una reale esperienza di Lui tramite i sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione. Sono esperienze talmente dimenticate queste che oggi il ridirle, perché il Vangelo lo esige, significa collocarsi in zona di novità, di modernità. Provate davvero, se lo avete abbandonato, a ripescare Cristo come amico e compagno di ideali, di azione, di amore, di sacrificio, e paragonate e misurate l'effimero progetto-uomo che i mass media vanno producendo con l'immortale progetto-uomo delle Beatitudini!
    Sentirsi e lasciarsi afferrare da Cristo porta come conseguenza di condividere la vita e le esperienze delle comunità cristiane cui appartenete. Per Don Bosco è impossibile trovare Dio e una risposta ai propri problemi se non si incontrano persone della comunità che te ne parlino, che te lo mostrino. Lui ha sempre pensato di incontrare i giovani in nome di una famiglia più grande in cui voleva che entrassero per sentirsi in casa. La chiamò oratorio, compagnia, ospizio, scuola professionale, ma pensò sempre a una famiglia più grande, cui faceva da padre in terra il Papa (e il Vescovo) a nome di Dio: un indispensabile ambiente di comunione ecclesiale.
    La proposta si fa concretamente appartenenza a gruppi, associazioni, movimenti cristiani, impegnati, secondo uno stile di ampia originalità ma insieme di concordia, a camminare insieme.
    Infine, sempre nell'ambito della scelta cristiana nello stile di Don Bosco, vi indico come qualificante la scelta della festa, della gioia, della allegria. Non che dobbiate fare gli storditi e gli sbandati in un mondo diviso, affamato, preoccupato, ma la certezza che il Cristo è risorto ed ha ragione, fa sì che in certo modo il travaglio quotidiano di battersi contro il male e di resistere nel bene sia continuamente sopravanzato dall'onda lunga della speranza. Per questo il credente testimonia una vita nella festa e la genera con tutta la sua creatività: perché la speranza esiste, quella di un mondo che con le vostre mani di giovani potete migliorare. In un mondo così tormentato, diffidente e di corto respiro, l'atto di carità più atteso è forse la testimonianza della speranza e quindi della gioia e della festa. Ai concerti, allo sport, al teatro, al turismo e ad altre iniziative che sanno esprimere segni di festa, Don Bosco non toglierebbe forse nulla, aggiungerebbe soltanto il richiamo che il Dio di Gesù Cristo vuole che tutti vi possano partecipare (allarga il pubblico considerando i poveri e gli emarginati) e che si dia risposta ai bisogni del pane, della dignità, del senso ultimo (allarga l'area delle domande cui deve dare risposta).

    Amanti della vita come dono per un progetto

    Alla fondamentale preoccupazione che ha Don Bosco di promuovere la vittoria della vostra fede, un cammino di risposta valido è quello di accogliere e di amare la vita come dono supremo di Dio. Significa amarla in un certo stile, nel quale la fede ha il ruolo di guida e di cui tre mi sembrano le qualità più urgenti da coltivare.
    Amare una vita non frammentata ma progettata, come «vocazione»: vuol dire ricevere l'appello ad impegnarsi di fronte ad un futuro che attende non gente stanca, mediocre, delusa e disincantata, ma costruttori di umanità, di giustizia, di pace, di ecologia...
    Amare la vita perciò in collegamento con una guida spirituale. Il Papa nella Lettera su Don Bosco afferma: «In un mondo tanto frammentato e pieno di messaggi contrastanti, è un vero regalo pedagogico» che il giovane possa avere «la possibilità di conoscere il proprio progetto di vita» attraverso «quei tipici `momenti educativi' del colloquio e dell'incontro personale» (n. 19). Io vi dico: non rinunciate ad un amico adulto positivo cui vi aprite per la maturazione della vostra personalità. A noi adulti l'obbligo grave di coscienza di lasciarci trovare da voi!
    Amare la vita a grande respiro, aperta alla cultura come agli ideali, alla condivisione e alla solidarietà con chi patisce la morte della fame e della paura, capaci di aver coraggio di sognare con Don Bosco mondi nuovi, uomini nuovi, come quelli che descrive S. Giovanni: «Giovani, io vi dico che siete forti, che la parola di Dio è radicata in voi e che avete vinto il diavolo. Non cedete al fascino delle cose di questo mondo... Il modo se ne va, e tutto quello che l'uomo desidera nel mondo non dura. Invece chi fa la volontà di Dio vive per sempre (1 Gv 14-17). Dunque, uomini nuovi radicati nella fede e perciò impegnati realisticamente giorno dopo giorno a porre l'impronta di una speranza che riesca a dare grandezza anche a ciò che è piccolo, perché viene fatto con un atteggiamento grande.

    Operatori di fatti nella bontà

    Infine, in corrispondenza alla terza parte del «Manifesto» di Don Bosco sul suo essere stato mandato tra i giovani come «amico» per continuare con loro la missione di Gesù, si apre forse la prova cruciale del confronto. Qui c'è da chiedervi: quanto spazio volete dare ai fatti, guardando alla presenza di un amico che parlò anzitutto con i fatti? Siete disposti ad accettare le proposte di impegno concreto, anche semplice, tangibile, che si inserisce con naturalezza nell'esistenza quotidiana?
    Non è eccessivo, alla luce di Don Bosco avvalorata dal Concilio e drammaticamente evidenziata dalla condizione degli uomini del nostro tempo, non è eccessivo affermare che un giovane alla vigilia del terzo millennio è cristiano con «fatti pasquali» perché si dona a una reale operatività nell'ambito della solidarietà, materiale e spirituale, oppure è un cristiano fasullo, inconsistente, tutto sommato «parolaio»?
    Vi ho parlato di «fatti pasquali»; quest'espressione merita una breve spiegazione. È facile capire cosa significa il termine «fatti», lo abbiamo indicato appena adesso; ad ogni modo ci si può rifare al detto proverbiale «fatti e non parole», per capire immediatamente che si tratta di testimonianza di vita e non di semplici affermazioni idealiste. Ma poi i «fatti» di cui si tratta si qualificano come «pasquali». Perché? Perché dovrebbero essere dei fatti che portano in sé stessi la vittoria della fede; fatti che procedono da un cuore generoso permeato di audacia e di fiducia perché ha in sé la presenza viva delle energie della risurrezione infuse dal battesimo.
    La Pasqua è la vittoria di Cristo sul male e sulla morte; è l'esplosione delle energie della resurrezione che scuote e pervade il mondo, non con l'inquinazione mortifera di Chernobil, ma con l'inizio gioioso e sublimante della vita immortale. I fatti pasquali sono i frutti della vita del credente, che permea e irrobustisce la sua testimonianza e la sua operosità.
    Ma poi i fatti pasquali si realizzano nello stile di Don Bosco, con la peculiare modalità che è frutto delle beatitudini evangeliche o, se volete, di «amicizia» cristiana. Essa non solo esclude in forma chiara e convinta qualunque violenza (o lotta di classe), ma instaura un tipo originale di non- violenza che comporta, nonostante le molteplici conflittualità sociali, una matura capacità di dialogo, di comprensione, di pazienza, di perdono, di riconciliazione e - come diceva Don Bosco - di bontà e amorevolezza. C'è bisogno di audacia per agire da «amici»! È con questo stile, cari giovani, che diventerete protagonisti della costruzione di una «civiltà dell'amore».
    Il Concilio Vaticano II attende da voi questo modo impegnativo di essere Chiesa, che vi fa, come Don Bosco, segni e portatori dell'amore di Cristo agli altri.

    ONESTI CITTADINI PERCHÉ BUONI CRISTIANI

    Don Bosco coniava in una frase ormai classica e di grande attualità le sue aspirazioni concrete di amicizia coi giovani: donarsi ad essi «per farli onesti cittadini col renderli buoni cristiani» (MB 4,19). Al suo tempo essere «cittadini» pareva cosa solo dei ricchi, e vivere da «cristiani» appariva come cosa riservata ai preti, ai frati e alle suore.
    Egli invece ha visto giusto; ha fatto una scelta profetica; ha sfatato un dilemma falso; ha dimostrato, prima che lo proclamasse solennemente il Concilio Vaticano II, che la fede promuove e perfeziona la realtà esistenziale dell'uomo: «onesti cittadini perché buoni cristiani».
    Ricordatevi dunque, cari giovani, che il Don Bosco con cui vi confrontate è un Profeta che ha rotto le frontiere tra chi può e chi non può, del vicino e del lontano, perché tutti potessero partecipare al banchetto della vita, da figli di Dio sotto il sorriso del Padre; è un Maestro antiveggente che ha superato la barriera dualista tra ordine temporale ed esigenze evangeliche, tra chi fa promozione umana nel lavoro e nella società e chi catechizza e insegna la santità, tra società civile e popolo di Dio, tra Stato e Chiesa, perché la fede cristiana fosse davvero energia storica anche per trasformare il mondo.
    Ora che sto concludendo, forse comprenderete meglio il «Manifesto» di questo vostro grande Amico, nella sua verità, profondità, modernità e altre esigenze... Cento anni di memoria di Don Bosco stanno alle nostre spalle.
    A voi tocca decidere se relegarli negli scaffali polverosi del passato, o lasciarli avanzare davanti a noi oggi per diventare cento anni di speranza.
    Qui a Valdocco bisogna proprio riconoscere che «l'avvenire incomincia ieri!»


    T e r z a
    p a g i n A


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