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    Relazioni dei Circoli minori

    di lingua italiana

    XI Congregazione generale

    16 ottobre 2018

    (sulla seconda parte dell'IL)

     

    Relatio – Circulus Italicus A
    Moderator: Em.mo Card. DE DONATIS Angelo
    Relator: S.E. Mons. PAGLIA Vincenzo

    Nello scambio di riflessioni del Circolo italiano A abbiamo ripercorso i quattro capitoli che scandiscono la Parte II dell’Instrumentum laboris. Come già fatto per l’esame della prima parte, il circolo ha preferito delineare alcuni punti focali del testo perché sia più lineare e organico, rispetto all’attuale stesura. Abbiamo pensato opportuno che anche questa volta venga premessa un’icona biblica che ispiri il binomio vocazione e discernimento. Il brano che ci è sembrato più adatto ad aprire questa seconda parte è la chiamata del giovane Samuele e l’accompagnamento dell’anziano sacerdote Eli, peraltro già presente nel testo (n. 81).

    1. La vocazione di Samuele

    Vivendo nel Tempio fin dall’infanzia (1,28), il giovane Samuele era stato introdotto alle tradizioni religiose del suo popolo: pur vivendo nel contesto religioso del tempio, non aveva ancora fatto esperienza personale del Signore. Questo accadrà quando il Signore stesso prenderà l’iniziativa, chiamandolo per nome, nel cuore della notte. Samuele non comprende immediatamente la Parola del Signore che prima di allora non gli era ancora stata svelata (v. 8). Nemmeno Eli, il sacerdote del Tempio e suo tutore, comprende quanto accade. Egli lo accompagna, ma è chiamato lui stesso a lasciarsi accompagnare nella comprensione di quell’avvenimento. Entrambi hanno bisogno di discernere. Eli, pur non essendo un sacerdote esemplare (2,29), ha un ruolo importante nella comprensione della vocazione di Samuele: la potenza della Parola di Dio non dipende dalla perfezione degli uomini. Eli si lascia importunare più volte, usa pazienza con Samuele e, quando comprende che il Signore chiama il ragazzo (v. 8), non si appropria dell’accaduto, non gli spiega cosa sta avvenendo, non gli scioglie il mistero: lo rimanda al suo giaciglio, al suo contesto di vita, perché lì possa ascoltare direttamente il Signore. La scelta di Dio, inoltre, non ha nulla di predeterminato e non toglie nulla alla libertà di Samuele. Questi, dopo essersi fidato di Eli, si affida a Dio. “Il Signore venne, si stabilì e lo chiamò come le altre volte” (v. 10). Solo ora Samuele è pronto ad accogliere la Parola del Signore.

    2. La vocazione universale alla vita con Dio

    La scelta che il testo fa di partire dalla vocazione comune a tutti gli uomini e le donne alla comunione con Dio e fra di loro, è particolarmente opportuna e andrebbe più chiaramente descritta. Permette infatti di delineare l’orizzonte fondamentale nel quale si inscrive e si comprende ogni altra vocazione. Essere creati è già essere chiamati. La chiamata alla vita è un dono che ci precede e che chiede di essere vissuto con altrettanta generosità. L’uomo e la donna non vivono per loro stessi. Sono stati creati perché, in comunione con il Creatore, si prendano cura del mondo e della famiglia umana perché l’intera creazione si realizzi fino alla sua pienezza nell’amore nella giustizia e nella pace (cfr Nostra Aetate, n. 1). La consapevolezza di questa vocazione universale ci fa sentire solidali con tutti coloro che nella diversità delle fedi e delle visioni del mondo partecipano della comune umanità. Ci ha commosso e fatto riflettere la testimonianza di un confratello della Cina continentale sulla missione della Chiesa nel vasto mondo. Il dono ricevuto diventa un compito. È questo il senso di una chiamata che libera l’uomo e la donna dalla solitudine e dalla concentrazione su di sé, per aprirli alla fraternità universale dei figli di Dio. La generazione postmoderna, sollecitata da innumerevoli possibilità e da infiniti esperimenti, può essere così aiutata a riscoprire la bellezza di una vocazione che dona alla vita una prospettiva universale. I giovani credenti hanno la responsabilità di farsi testimoni credibili di questa prospettiva di vita presso i loro coetanei.

    3. La vocazione della Chiesa in Gesù

    Nella cornice di questa chiamata universale, che indica al tempo stesso l’origine e la destinazione del genere umano, si apre la strada della vocazione dei discepoli di Gesù. Con la venuta di Gesù il Regno di Dio inizia a compiersi nella storia. La Chiesa – assieme al popolo dell’antica alleanza – è scelta e chiamata ad essere lievito di fraternità per tutti i popoli. Gesù chiama i suoi discepoli perché con Lui continuino la sua stessa missione. Per questo la scelta per il Regno è chiaramente la vocazione fondamentale per tutti i discepoli del Signore. Con le parabole del Regno e tutti i suoi miracoli, Gesù segna per i discepoli la strada da percorrere. L’ingresso nella comunità cristiana è segnato dal battesimo, sacramento della chiamata universale alla santità, che si realizza nella totale dedizione a questa missione (cfr Mc 10, 17-30). Nel quadro di questa unica chiamata, lo Spirito suscita molti carismi e la Chiesa istituisce diversi ministeri. Ogni discepolo è invitato a riconoscere il dono ricevuto e a dare la sua vita per il bene di tutti.

    4. Discernimento e accompagnamento della vocazione

    Apprezzando quanto l’Instrumentum laboris afferma su questi temi, si è sottolineato l’aspetto dell’esperienza della propria fragilità. Essa è luogo di incontro con la grazia e la misericordia del Signore che chiama. L’esempio di Pietro ci illumina: è in quanto pecora smarrita e ritrovata che può diventare pastore del gregge, confermandolo nella fede. L’incontro con lo sguardo accogliente e perdonante di Gesù è la svolta nel cammino di maturazione interiore, ineludibile nell’assumere la chiamata. La responsabilità dell’ascolto e del discernimento dell’appello di Dio è comunque di coloro ai quali Dio si rivolge. I giovani debbono ascoltare anzitutto Dio. Certo la responsabilità degli accompagnatori è importante. I giovani hanno bisogno – è giusto così – di essere sostenuti, incoraggiati, indirizzati in questo ascolto e interpretazione: e nella decisione corrispondente. La risposta alla vocazione è, inseparabilmente, felicità e rischio. Vanno spiegate bene entrambe le cose. E quindi accompagnare è anche chiarire e incoraggiare, nella fiducia all’azione dello Spirito e della libertà di coloro che sono accompagnati. Gli accompagnatori devono testimoniare e far capire ai giovani che sono certi della benedizione di Dio che li riguarda, che non ne sono gelosi, anzi che ne saranno i custodi commossi e grati. Con questo spirito, l’autorevolezza con la quale gli accompagnatori confermano i giovani nella strada che Dio indica loro sarà gradita, apprezzata, degna di riconoscenza. Nell’accompagnare questo discernimento il gruppo ha evidenziato l’importanza del rispetto della libertà, che nelle nostre pratiche vocazionali non viene sufficientemente considerato con il rischio di colludere con le fragilità dei candidati a scapito dell’autenticità delle scelte. Il contesto comunitario si rivela indispensabile nella maturazione del cammino e come sua istanza di concretezza.


    Relatio – Circulus Italicus B
    Moderator: Em.mo Card. FILONI Fernando
    Relator: S.E. Mons. FORTE Bruno

    I Padri chiedono unanimemente che all’intero documento sia preposto questo breve testo, che evidenzia come il Sinodo sia partito dall’ascolto della realtà dei giovani e abbia cercato di farne tesoro alla luce del Vangelo: dopo la citazione del brano di Gv 6,9-13 si potrebbe dire “Questa breve narrazione del Quarto Vangelo evidenzia tre aspetti, che illuminano bene l’intento della nostra riflessione. Si parte dalla realtà dei giovani, che hanno sempre qualcosa da offrire, poco o molto che sia (i cinque pani e i due pesci). Gesù valorizza e moltiplica questi doni, ma è necessario che ci sia chi come Andrea faccia da ponte fra il ragazzo e il Signore. Così, nella prima Parte del nostro testo si guarda alla realtà giovanile, valorizzando il tanto di positivo che c’è in essa (a cominciare dalla generosità di cui dà esempio il ragazzo del Vangelo, che non esita a mettere a disposizione di Gesù i pani e i pesci), senza ignorare le ombre e le fragilità in essa presenti. Nella seconda Parte si guarda al Vangelo e alla luce che da esso viene sulla realtà dei giovani, insieme ai doni loro offerti in Cristo Signore. Nella terza Parte si traggono le indicazioni operative per l’azione della Chiesa verso i giovani e dei giovani in essa”.
    Riguardo al n. 77 - intitolato “Vigore fisico, fortezza d’animo e coraggio di rischiare” - si è sottolineato come in esso sia presentata una visione eccessivamente ottimistica della realtà giovanile. Occorre tener presente che la natura dopo il peccato originale è ferita, e occorre evitare ogni possibile pretesa di autosufficienza della creatura, rifiutando l’idea che una auto-realizzazione dell’umano sia sufficiente e possibile. Tutti, anche gli accompagnatori dei giovani nel cammino verso la maturità umana e spirituale, siamo peccatori perdonati, e la vera libertà è sempre una libertà donata, connessa all’aiuto della Grazia divina (cf. Gaudete et esultate 170). In ogni cammino di accompagnamento l’ascolto della realtà e il rispetto di essa vanno collegati al primato dell’azione divina, offerta nei sacramenti e nell’esperienza di una adeguata direzione spirituale. Se si trascura questo aspetto fondamentale, si rischia di lasciare i giovani soli con se stessi, specialmente di fronte a domande radicali come quelle relative al dolore ed alla morte. Tenendolo presente si aiuta il giovane a prenderne coscienza attraverso un’opportuna riflessione e a farne tesoro mediante l’accoglienza umile e gioiosa della Grazia. La giovinezza non è solo benedizione, è anche sfida, che deve fare i conti con le nostre fragilità.
    Una riflessione da introdurre all’inizio della seconda parte è quella relativa al rapporto fra Cristo e i giovani: se è vero che il n. 75 parla di “Cristo giovane fra i giovani” (anche se nulla si dice della Sua capacità di vivere l’amicizia, del suo coraggio di fronte al futuro, della sua fragilità, espressa ad esempio nel pianto davanti alla morte dell’amico Lazzaro, ecc.), non si parla, fra l’altro, del rapporto fra Gesù e il giovane ricco (Mt 19,22), che mostra come la vera ricchezza per un giovane non sia il possesso edonistico dei beni, ma l’apertura al dono di Dio e alle sorprese che da esso vengono. Parimenti, si potrebbe sottolineare come la parabola del padre misericordioso (Lc 15,11ss.) evidenzi il rispetto che il Padre celeste ha per la libertà tanto del figlio che resta a casa, quanto del più giovane, che vive l’allontanamento da lui e matura l’esigenza del ritorno e della richiesta di perdono, da cui possa scaturire una nuova vita. In Gv 21,18, poi, nell’accenno al discepolo che da giovane andava dove voleva e ora ha imparato ad obbedire a Dio, si rivela l’attenzione di Gesù ai processi di maturazione che possono avvenire nel cuore dei giovani, chiamati ad imparare l’obbedienza liberante alla volontà di Dio. Inoltre, non andrebbero trascurate scene come quelle degli incontri di Gesù con Simone e Andrea (Mt 4,18 e Mc 1,16), con Giovanni (1,38s), con Matteo (Mt 9,9), con Marta e Maria (Lc 10,41) o con la Samaritana (Gv 4,9ss), dove risulta chiaro come l’incontro personale col Cristo sia alla base di ogni decisione vocazionale. Infine, un richiamo al Signore crocifisso e all’esigenza di seguire Gesù sulla via della Croce (Mt 16,24; Mc 8,34 e Lc 9,23) sembra doveroso e necessario.
    Circa il processo di discernimento in vista della scoperta della propria vocazione specifica (cf. nn. 112-117) all’interno di quella generale alla santità, se ne è evidenziata unanimemente l’importanza: nella complessità dei messaggi e degli stimoli da cui ogni giovane può essere raggiunto, è necessario vivere la fatica della ricerca e del discernimento e la responsabilità delle proprie scelte nell’ambito esistenziale, come in quello professionale, davanti al Dio che chiama originalmente ciascuno, in un ambiente opportuno e con una guida adeguata. L’ambiente cui ci si riferisce è quello della comunità ecclesiale, al cui interno la persona va accolta e accompagnata: decisivi sono i cammini di fede e di servizio caritativo proposti, nonché il ruolo di chi accompagna, ma è tutta la comunità a essere impegnata nella proposta della vita come vocazione e nell’aiuto dato a ciascuno per riconoscere e vivere la specifica chiamata che Dio riserva per ognuno. Ogni vocazione è diversa e originale, all’interno dell’universale chiamata alla santità. Scoprirla esige spesso una gradualità di cui ci dà testimonianza il Battista nella sua volontà di rispettare la crescita del Maestro e di scomparire progressivamente nella sua funzione di intermediario (cf. Gv 3,30). Chi può accompagnare nel discernimento non è necessariamente un presbitero, ma può essere un qualunque battezzato disposto a impegnarsi al servizio dei giovani con generosità, fede e opportuna preparazione. È stata sottolineata la necessità di offrire questa adeguata preparazione - in forma anche permanente - a chi si impegna in un tale servizio per il discernimento, non trascurando gli apporti della psicologia aperta alla Trascendenza (cf. n. 125), come l’impegno nella lettura dei segni del tempo personali e collettivi, in uno stile di matura paternità/maternità spirituale, che tenga conto dell’insieme della persona nelle sue emozioni e relazioni, come nella sua affettività.
    Unanime è il consenso sul fatto che pastorale giovanile e pastorale vocazionale, pur distinte, debbano integrarsi al servizio della crescita della persona del giovane, in un cammino di conversione costante e di salvezza accolta da Dio e testimoniata con la vita. La vocazione specifica di ciascuno si scopre nell’ascolto docile e aperto della Parola e dei segni del Signore, in un impegno in cui la coscienza del singolo ha il posto decisivo. In tale contesto va data opportuna attenzione al fattore “tempo”: la fede biblica ha superato ogni concezione di eterno ritorno, basata su una ciclicità ripetitiva e chiusa alle sorprese divine. La rivelazione ci fa conoscere un Dio che ha tempo per gli uomini, entra nella storia e invita a dare tempo a Lui e al prossimo, a darsi e a dare il giusto tempo nelle scelte da fare, e a cogliere il tempo opportuno (il “kairós”) di esse. I giovani vanno aiutati a non avere la fretta di chi pensa solo che il tempo è denaro, ma anche a fuggire la paura del “per sempre”, di cui l’amore di Dio rende capace la creatura umana. La pazienza dei tempi di Dio è ampiamente testimoniata nella Bibbia e ci insegna a dare frutto, ciascuno a suo tempo (cf. Lc 13,6-9).


    Relatio – Circulus Italicus C
    Moderator: Em.mo Card. RAVASI Gianfranco
    Relator: S.E. Mons. FRAGNELLI Pietro Maria

    Anche il nostro gruppo è giunto alla quinta sessione dopo aver ascoltato in aula numerose voci giovanili stimolanti e perfino scioccanti. A mo’ di esempio ricordiamo l’appello per i giovani dell’Iraq, bisognosi di aiuto spirituale e non solo materiale; la testimonianza della giovane messicana che non ha timore di dirsi cattolica in università; l’analisi critica di una giovane religiosa orientale sui modi e sui tempi con cui alcuni Istituti di vita consacrata gestiscono i discernimenti vocazionali; il rischio che il direttore spirituale si sostituisca alla coscienza del giovane nel cammino decisionale: ecco solo alcuni dei motivi che hanno accompagnato l’esame della seconda parte con un senso di rinnovata fiducia ecclesiale e di grande responsabilità educativa.

    Entusiasmo e rischio

    L’Instrumentum laboris mette in guardia la Chiesa dal pericolo di “smarrire l’entusiasmo che le viene dalla propria chiamata al rischio della fede, rinchiudendosi in false sicurezze mondane” (n. 77). La nostra riflessione ha cercato di unire entusiasmo e rischio della fede, risalendo ai percorsi biblici e antropologici proposti dal testo. Le otto citazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II ci hanno consegnato temi chiave su cui ci siamo confrontati: la chiamata dei giovani all’opera di ringiovanimento del volto della Chiesa (n. 74), la vocazione di ogni donna e di ogni uomo alla comunione con Dio e alla santità (n. 87), la vocazione laicale (in particolare nella forma coniugale) (ivi), la coscienza come sacrario dell’uomo (n. 117), lo svelamento e compimento del mistero dell’uomo nel mistero di Gesù Cristo (n. 91). L’eco del Concilio ha fatto attento il nostro gruppo alla voce della tradizione patristica, evocata dalla bella citazione di sant’Ireneo su Cristo “giovane tra i giovani” (n. 75): il realismo ottimistico dei Padri è risuonato tra noi come sorgente di equilibrio e di coraggio nell’esame e nella valutazione dei dati dell’oggi.

    Il ponte di San Paolo VI

    In questo contesto è stata rilevata con gioia la testimonianza di Papa Montini, che ha portato a termine il Concilio e in questi giorni del Sinodo è stato canonizzato. Il suo sguardo di fede sui giovani e sul dialogo con il mondo contemporaneo ci ha ricordato che “ogni vita è vocazione” (PP 15, citata al n. 88) e che la Chiesa, per rimanere “profondamente e autenticamente se stessa”, deve “ristabilire il ponte fra lei e l’uomo moderno; e questo impegno suppone … che il ponte ora non vi sia, o sia poco comunicativo, o che sia addirittura caduto” (Udienza del 12 luglio 1967). Ci siamo sentiti chiamati a conoscere bene le proporzioni del “dramma storico, sociale e spirituale” che la Chiesa sta affrontando in tutte le parti del mondo, ma nello stesso tempo ci siamo detti la sorpresa dell’esperienza di unità che la fede in Gesù Cristo morto e risorto ci fa fare: siamo stupiti per la familiarità gioiosa che si crea attorno al Papa e ai Padri sinodali, per la libertà e la forza con cui tanti giovani stanno intervenendo e consegnando il loro universo di sogni e di speranze al cuore della Chiesa!

    Il mosaico biblico

    L’esame del testo ci ha introdotti alla promessa di benedizione e di senso sulla giovinezza contenuta nei temi della vocazione, del discernimento vocazionale e dell’accompagnamento. L’abbondante ricorso alla Sacra Scrittura (oltre quaranta citazioni solo in questa parte) ci ha messo in condizione di rivivere nell’oggi la forza sorprendente della chiamata dei giovani nell’Antico e nel Nuovo Testamento, integrata da ulteriori riferimenti alla missione dei discepoli e degli apostoli e alla trama storica tessuta dai testimoni della fede evocati nel capitolo 11 della lettera agli Ebrei, attualizzata in modo esemplare da Benedetto XVI in Porta Fidei (n. 13). Il gruppo propone di valorizzare il testo della chiamata di Samuele come icona biblica e sintetica capace di illuminare il tema della giovinezza e della vocazione. Questo mosaico biblico, illuminato dalle sensibilità dei Pastori dell’Oriente e dell’Occidente presenti nel gruppo, ha contribuito alla presa di coscienza che tutti i credenti in Cristo, battezzati e rivestiti di lui, sono figli di Dio e che – oggi come ai tempi di san Paolo – non conta più l’essere giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna, adulto o giovane (cfr. Gal 3,26-28). La missione della Chiesa – è stato sottolineato - continua ad essere quella di valorizzare la forza dei giovani e sostenere la loro debolezza. Il dialogo sulla vocazione, grazie anche al contributo degli esperti e degli uditori, ha permesso di approfondire la dinamica tra iniziativa di Dio e la risposta umana, all’interno di un popolo di chiamati alla santità, che Dio accompagna con la forza del suo Spirito, vincendo ogni resistenza di peccato. Il gruppo ha riflettuto sull’appartenenza dei giovani al popolo di Dio in cammino: questo dato genera la maturazione dell’identità delle singole persone e delle esperienze ecclesiali di servizio e di volontariato. Appartenere alla comunità – si è detto – incoraggia l’interrogativo: cosa voglio fare della mia vita? Qual è il disegno di Dio su di me, quale missione emerge dai segni che incontro in me e attorno a me? Quale peso do alle necessità sociali ed ecclesiali nelle quali il Signore mi mette?

    Eredità e libertà: l’interrogativo vocazionale

    Il fatto che oggi prendere una decisione risulti difficile non solo tra i cattolici, ma anche nelle altre confessioni cristiane e perfino nelle realtà non cristiane, invita a riflettere sul perché, nel nostro tempo, anche molti giovani preferiscono la via del credere “a modo mio” e del mettersi al servizio anche generosamente, ma non come scelta di vita, a tempo parziale. Per questo si rivela molto opportuna – e in molti contesti necessaria - la proposta vocazionale da parte di uomini e donne di fede, non solo sacerdoti e religiosi. Esplicitare l’interrogativo vocazionale significa incoraggiare i giovani a percorsi di discernimento personale e comunitario, che spesso gli adulti non hanno saputo o voluto fare. Si tratta di aiutare le nuove generazioni – con molto rispetto e con molta fiducia - a guardarsi bene attorno e a guardarsi bene dentro, se necessario anche con qualche aiuto psicologico e con opportune esperienze di servizio. L’inquietudine che ne deriva – o che va a rafforzarsi – fa crescere il desiderio di unificare il proprio cuore attraverso la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio, la ricerca del silenzio e l’impegno nella storia del suo popolo, insieme al confronto fiducioso con i membri della famiglia e con gli accompagnatori ecclesiali. Il Signore parla donando la pace duratura del cuore e il sentimento gioioso del donarsi agli altri, tutti segni forti di essere sulla strada giusta. Molto importante da parte degli adulti sarà l’impegno di imparare l’arte del colloquio franco e libero, da condurre fino alla proposta della riconciliazione sacramentale.

    L’età del dono

    La proposta di alcuni “modi” che vengono presentati in segreteria è maturata nel confronto sul ruolo dei movimenti nel coinvolgere giovani lontani dall’esperienza ecclesiale in percorsi di fede, di accoglienza e di valorizzazione, sulla necessità di offrire adeguate esperienze di formazione della coscienza, sulla presenza di nuovi gruppi evangelizzatori nel panorama mondiale della nuova evangelizzazione, sulla ripresa sistematica di proposte di ascesi provenienti dalla tradizione cristiana e molto in sintonia con una sensibilità espressa dalla Laudato sii nella cultura contemporanea, sulla presenza delle famiglie con diversabili in casa, sulla radicalità evangelica che deve essere proposta a tutti i discepoli del Signore, sulla chiamata alla maternità e paternità non solo biologiche come segno della maturazione umana e spirituale dei giovani e del loro ingresso nell’età del dono.

     


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