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    Relazione

    dei Circoli minori

    sulla seconda parte

    dell'Instrumentum

    laboris

     

     

    CIRCOLO "ANGLICUS" (Anglofono)

    A
    In cerca di una bussola

    Riflettendo sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris abbiamo ricordato l’energia e la gioia di molti interventi in aula, specialmente da parte dei nostri giovani. Il sinodo ha preso vita durante i loro interventi. Uno dei nostri vescovi ha osservato: «Non mi ero mai reso conto che un sinodo potesse essere tanto divertente!».
    Abbiamo ritenuto che gran parte del materiale introduttivo potrebbe essere integrato nei tre capitoli successivi su “Vocazione, accompagnamento e discernimento”. Il primo paragrafo della seconda parte spiega che «l’appello di Cristo a vivere secondo le sue intenzioni è il nostro orizzonte di riferimento» (n. 73) per il discernimento vocazionale. Il nostro gruppo è stato ispirato dal primo capitolo del Vangelo di Giovanni a evidenziare quanto è importante che i giovani incontrino Gesù nella loro vita. Se ciò deve accadere, allora bisogna che qualcuno presenti loro Gesù, qualcuno che punti il dito e, come Giovanni Battista, dica «ecco l’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo». La Chiesa deve porgere ai giovani il grande invito alla fede: “Venite e vedete!”.
    Le realtà concrete nella vita dei giovani che abbiamo affrontato nel corso della prima settimana di questo sinodo hanno ricordato al nostro gruppo il giovane sant’Agostino, il cui cuore era irrequieto - stanco di cercare Dio in attrazioni fuggevoli -. In questa irrequietezza alcuni giovani già sentono Gesù domandare nel loro cuore: “Che cosa stai cercando?”. Altri magari vengono condotti all’incontro con Gesù da amici o da altre persone importanti nella loro vita, proprio come Andrea ha presentato Gesù a Simon Pietro dicendo: «Abbiamo trovato il Messia» (Giovanni, 1, 41).
    Siamo convinti che Gesù possa rispondere agli aneliti di tutti i cuori. La «messe è molta» e abbiamo bisogno di più discepoli missionari per guidare altri a incontrarlo. È un incontro alimentato dalla preghiera e trovato e celebrato nella Chiesa.
    È importante ricordare a noi stessi che una vita di fede e gioia in Cristo non è impedita da nessuna limitazione umana della mente e del corpo, disabilità o circostanza sociale. Possediamo tutti una bellezza interiore unica che ci è stata donata da Dio. Tutti siamo chiamati a una vita d’amore che non può essere annullata dal fallimento, perché i sacramenti della confermazione, dell’eucaristia e della riconciliazione fungono da ponti e da “passatoie” per ritornare all’amore del Padre; e anche la morte stessa non ci può separare dall’amore di Dio. La forte testimonianza in aula di Safa Al Abbia dell’Iraq e la canonizzazione, domenica, dell’arcivescovo Óscar Romero, ci ricordano che indicando ai giovani l’«Agnello di Dio» non offriamo solo la gioia di vivere nella fede, ma anche la pienezza di morire in Cristo.

    Vocazione
    Quando abbiamo iniziato la nostra riflessione sulla “Vocazione” nel secondo capitolo, ci siamo sentiti spinti a citare le parole del beato cardinale John Henry Newman: «Dio mi ha creato per renderGli un determinato servizio. Mi ha affidato un’opera che non ha affidato a un’altra persona. Io ho la mia missione… Ho una parte in questa grande opera; sono l’anello di una catena, un vincolo di congiunzione tra le persone» (cfr. Meditazioni sulla dottrina cristiana).
    Raccomandiamo che il documento finale del sinodo presenti una definizione chiara di vocazione, radicata in una teologia, un’antropologia e un’ecclesiologia che riflettano i segni dei tempi. Dato che il nostro sinodo potrebbe non rivolgersi solo ai cattolici ma «a tutte le persone di buona volontà» - compresi i cosiddetti “nones”, ovvero coloro che sono privi di qualsiasi affiliazione religiosa - abbiamo considerato la vocazione umana fondamentale come una vocazione all’amore, che per i cristiani ha un nome; e questo nome è Gesù. Vediamo la vocazione come un viaggio di ricerca e di scoperta.
    Il termine “vocazione” stesso è molto discusso ed è stato esaminato in modo utile in precedenti documenti della Chiesa, tra cui In verbo tuo della Congregazione per l’educazione cattolica (1997). Proponiamo un modo che esamini le diverse dimensioni della vocazione. Il nostro gruppo ha sottolineato che alla base di queste dimensioni c’è la chiamata fondamentale ad allineare la propria mente e la propria vita a quella di Cristo e alla volontà di Dio - la chiamata al discepolato, che include la chiamata alla vita eterna -. Gaudete et exsultate invita tutti a partecipare in profondità alla vita di Gesù Cristo. La sua vita è il modello, l’esempio della vocazione, compresi la lotta con la volontà di suo Padre nel giardino del Getsemani e il totale dono di sé sulla Croce, la più alta espressione del suo amore e della pienezza della sua vocazione.
    Un aspetto della vocazione che, riteniamo, potrebbe essere maggiormente approfondito, è il motivo “chiamata e risposta” che conosciamo dalle scritture. La chiamata di Dio invita a una risposta definita. La chiamata dei profeti e di altri include sovente una risposta riluttante, molto spesso a causa della loro sensazione di esserne indegni. È qui che diventano importanti la grazia di Dio e l’incoraggiamento dello Spirito Santo.
    Le speranze di “una nuova Pentecoste”, “una nuova primavera” di santità per “ringiovanire” la Chiesa sono già state espresse in aula. Raccomandiamo un intero paragrafo sul sacramento della confermazione e i suoi legami con gli altri sacramenti di iniziazione. Aneliamo un’effusione dei doni dello Spirito e una riscoperta della vocazione battesimale, nonché dei doni e dei frutti della confermazione. Lo Spirito Santo può ringiovanire la Chiesa ispirando le persone sposate, consacrate, singole e ordinate a mettere i loro talenti e i loro carismi al servizio della Chiesa, dedicati all’edificazione del Regno e alla consacrazione del mondo. Pertanto, ogni vocazione personale è intesa nel panorama vocazionale della Chiesa.
    Il nostro gruppo suggerisce un trattamento distinto della risposta di Maria alla chiamata di Dio all’annunciazione, includendo il suo “sì”, il suo “fiat”. Abbiamo presentato un modo a tale riguardo, che comprende una riflessione sul principio mariano e su Maria come archetipo di discepolo.

    Discernimento
    Per quanto riguarda il Capitolo terzo e il “discernimento”, abbiamo ritenuto che gran parte del materiale potrebbe essere rielaborato e più focalizzato. Il catechismo dice chiaramente che «il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 27); siamo creati da Dio e per Dio, che non cessa mai di attirarci verso di sé. Solo in Dio troveremo la verità e la felicità che non cessiamo mai di cercare. I teologi nel nostro gruppo hanno discusso sul contributo della prudenza, della “consolazione” o “soddisfazione”, e della coscienza nel processo di discernimento; abbiamo proposto un modo per il paragrafo 117.
    Naturalmente “conoscere Dio” non è sempre semplice. Spesso i giovani si trovano ai bivi della vita cercando una bussola che indichi loro la giusta direzione. Abbiamo riconosciuto che in un mondo con tante opportunità può essere difficile per un giovane compiere delle scelte, specialmente quelle che possono catapultarlo fuori dai suoi ambienti sicuri. Tuttavia, anche se alcune scelte possono essere difficili, abbiamo percepito che i giovani sono ancora attratti dalla chiamata radicale a fare una differenza vera, eroica e profetica nel mondo. Come ha detto Papa Francesco domenica nella sua omelia durante la messa per la canonizzazione: «Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua via».

    Accompagnamento
    Il nostro gruppo ha ritenuto che il capitolo quarto sull’“accompagnamento” trarrebbe beneficio da qualche chiarimento, specialmente sulla differenza tra la rete di sostegno generale offerta ai giovani dalla famiglia, dagli amici e dalle scuole e l’accompagnamento spirituale specialistico dato da accompagnatori formati. Abbiamo notato che l’importanza di una formazione adeguata degli accompagnatori e l’accompagnamento/supervisione di questi ultimi sono essenziali per la loro efficacia come guide spirituali.
    Infine, riteniamo fermamente che in questo capitolo bisognerebbe dare maggiore rilievo al ruolo della Chiesa nell’accompagnamento spirituale come “Mater et Magistra” e al particolare contributo dei “pastori d’anime”, in preparazione della parte terza. Abbiamo presentato un modo per questo.

     

    B
    Un tempo benedetto

    Capitolo I
    Proponiamo che il capitolo I venga riscritto per concentrarsi sull’apprezzare la grazia particolare e profonda di essere giovani. Dio è l’artefice della gioventù ed è all’opera nei giovani. La gioventù è un tempo benedetto per i nostri giovani e una benedizione per la Chiesa e il mondo. Apprezzare la gioventù significa vedere questo periodo della vita come una cosa preziosa e non come una fase di passaggio in cui i giovani si affrettano o sono spinti a sperimentare l’essere adulti. Questo capitolo d’apertura dovrebbe enfatizzare la grazia, la gioia e la beatitudine che giunge dall’essere giovani.
    Proponiamo che la seconda parte di questo capitolo aiuti i giovani a collegarsi con la gioventù di Gesù e a comprendere la loro vita in questa luce. Così, per esempio, anche Gesù ha sperimentato di persona molte delle difficoltà che devono affrontare i giovani nel mondo attuale, compreso abbandonare il proprio paese come rifugiato e crescere in una famiglia comune, e forse meno privilegiata. Anche lui qualche volta è stato frainteso dalla famiglia e poco apprezzato da coloro tra i quali è cresciuto.

    Capitolo II
    Il nostro dibattito sul capitolo II ha incluso l’approfondimento del senso della vocazione, sottolineando la chiamata universale alla santità e al dono di sé in ogni cosa.
    Prendendo da questo titolo principale, abbiamo parlato di tale santità e dono di sé come di una gioia. Non significa digrignare i denti e fare il proprio dovere. «L’amore lo rende semplice. L’amore perfetto può renderlo una gioia». Significa innamorarsi di ciò che li sorprende con gioia e gratitudine. Vorremmo che la gioia della santità venisse evidenziata sia come realtà sia come stimolo a essere santi.
    Abbiamo anche discusso in diverse occasioni e a lungo sull’estensione del senso della vocazione. Per la stragrande maggioranza della nostra gente sono la famiglia, la comunità e il lavoro il contesto della vocazione. Questi sono, se così volete, i luoghi comuni in cui si scopre la vocazione. Suggeriamo anche al sinodo che la discussione sulle singole persone venga presentata nel contesto della loro appartenenza a una famiglia. Vicine al nostro cuore, anche le vocazioni alla vita religiosa e al sacerdozio, straordinarie in tal senso, sono state discusse a lungo.

    Capitolo III
    Riteniamo che il capitolo III dovrebbe presentare con più forza il discernimento come un entrare in una relazione dialogica con Dio. Di fatto, il discernimento è una conseguenza naturale della propria relazione con Dio. Al numero 110 abbiamo letto con approvazione che il «discernimento assume un altro spessore, in quanto si colloca all’interno di una dinamica di relazione personale con il Signore». Poiché sono amato e amo a mia volta, voglio elaborare il mio modo personale e unico di andare al Signore in e per mezzo di Gesù. Lo Spirito santo è la massima guida spirituale ed è attivo in ogni discernimento. Papa Francesco ha esortato gli omelisti a comprendere il loro compito come un facilitare il dialogo che la gente già intrattiene con Dio. Vorremmo che fosse questa verità l’elemento che tiene insieme il presente capitolo. Ciò consentirebbe di introdurre meglio il tema dell’accompagnamento e del mentoring.
    Abbiamo discusso a lungo sulla definizione, sul ruolo e sulla formazione della coscienza e abbiamo presentato dei modi per fissarlo. Vorremmo una spiegazione chiaramente cristiana, magari qualcosa che sia ancorato nel Catechismo della Chiesa cattolica e al tempo stesso accessibile ai giovani.
    Abbiamo molto apprezzato l’idea di Isacco il Siro secondo cui «il discernimento è il sale di tutte le virtù».

    Capitolo IV
    Il normale accompagnamento avviene inizialmente in famiglia. Di solito sono i genitori le persone che meglio conoscono i propri figli e anche coloro di cui i figli si fidano. La radice della parola accompagnare è cum pane, ovvero condividere il pane. Riguarda il condividere la vita quotidiana, e i genitori, i figli e gli amici stretti si trovano in questa posizione privilegiata. Queste persone hanno bisogno di sostegno per poter accompagnare in modo efficace e occorre far loro comprendere il ruolo importante che hanno nell’accompagnare i giovani.
    Pertanto, riteniamo che la famiglia come luogo del normale accompagnamento dovrebbe essere presentata per prima in questo capitolo. Da ciò possono poi derivare altre forme di accompagnamento più specifiche, come l’accompagnamento spirituale, l’accompagnamento psicologico e l’accompagnamento nel sacramento della Riconciliazione.
    Suggeriamo che si crei una sezione che parli dell’accompagnamento per le coppie fidanzate o appena sposate, simile a quella sull’accompagnamento per i religiosi e per quanti vengono preparati al ministero ordinato. L’Instrumentum laboris sottolinea che «tutti i giovani, nessuno escluso, hanno diritto a essere accompagnati nel loro cammino» (n. 121). Per la maggior parte dei giovani nella Chiesa il cammino vocazionale porterà al matrimonio e alla vita familiare. Questi giovani hanno bisogno di essere accompagnati mentre discernono la vocazione al matrimonio. Allo stesso modo hanno bisogno di accompagnamento mentre si preparano alla vita matrimoniale e poi ne vivono le gioie e le difficoltà.
    Un altro tema emerso diverse volte durante il nostro dibattito è la necessità di presentare l’accompagnamento nelle sue dimensioni comunitaria ed ecclesiale. Allo stesso modo in cui la famiglia è il luogo primario dell’accompagnamento, anche la Chiesa, come famiglia di famiglie, ha un contributo specifico da dare nell’accompagnare le persone di tutte le età.

     

    C
    Centralità dell’Eucaristia

    Commento preliminare
    Esaminando la parte II, il nostro gruppo ha esaminato la struttura generale in tre parti come aiuto per il suo lavoro. Abbiamo visto che la parte I guarda alla situazione concreta dei giovani d’oggi, mentre la parte II intende spingerci a riflettere su come interpretare tali dati (la parte III invece sarà la fase in cui esamineremo le proposte concrete per l’azione).
    Il fine del nostro gruppo, pertanto, è stato di sviluppare un modello ermeneutico (cioè un quadro interpretativo) per una valutazione della parte I, che poi ci aiuterà a presentare delle proposte per l’azione pastorale concreta (che verrà fatto nella parte III).
    I nostri diversi modi devono essere considerati applicazioni pratiche dell’approccio generale a questa parte come anche agli approcci ermeneutici adeguati a ogni capitolo. Per evitare di presentarli come modi individuali, abbiamo preparato anche un documento a parte con proposte per chiarire la terminologia, suggerimenti editoriali, e così via.

    Capitolo I
    Un quadro interpretativo cristiano deve essere radicato nella visione del mondo cristiana, che è essenzialmente radicata nella Scrittura. Dati i suoi numerosi esempi tratti dalla Scrittura, abbiamo visto la funzione fondamentale del capitolo I come un tentativo di offrire punti di riferimento biblici concreti per questa ermeneutica generale.
    Tra gli esempi biblici proposti dall’Instrumentum laboris ne abbiamo considerati alcuni come fuori luogo:
    n. 77: Giosuè succede a Mosè, ma poi guida un esercito conquistatore;
    n. 81: La chiamata di Samuele in realtà è un esempio debole delle dinamiche di un giovane che cerca la propria vocazione.
    n. 83: La preghiera di Salomone è bella, ma la sua vita in età più avanzata non è un buon esempio per i giovani!
    n. 83: Anche l’esempio di Ester è pieno di violenza e di inganni.
    Pensiamo alla chiamata di Geremia (n. 78) come a una chiave ermeneutica centrale nel capitolo I. Va conservata. Anche l’incontro tra Gesù e il giovane ricco è importante.
    A questi vorremmo aggiungere il rapporto tra Paolo e Timoteo. Lui gli dice: «Nessuno disprezzi la tua giovane età». Timoteo ha una responsabilità vera nella Chiesa, conferitagli dal dono dello Spirito Santo, ma anche dall’imposizione delle mani, e per di più viene guidato dal suo «amico più anziano» Paolo.
    Per quanto riguarda il processo di accompagnamento, vediamo anche l’invio dei discepoli a due a due (Luca 10, 1-11). Gesù li accompagna e poi affida loro una vera responsabilità, laddove però l’uno accompagna l’altro. Inoltre li ascolta quando ritornano e prega per loro.
    Per quanto riguarda la paura provata da alcuni quando si devono confrontare con la loro chiamata, aggiungeremmo il passo di Pietro che cammina sulle acque. Viene invitato da Cristo a venire e a camminare e lo fa. Inizia ad affondare solo quando distoglie gli occhi da Gesù, ma Gesù lo salva.
    Altri esempi biblici sono indicati in altri modi.

    Capitolo II
    Il capitolo II offre una panoramica delle diverse vocazioni, partendo dal generico («mistero della vocazione che illumina la creazione») per arrivare alle vocazioni molto specifiche della Chiesa (ministero ordinato, vita consacrata). Abbiamo visto la descrizione dei diversi tipi di vocazione come «perle su un filo», ognuna con il proprio valore, ma diventando ancor più preziosa se ben collegata con le altre.
    Vorremmo pertanto proporre una riorganizzazione della presentazione del capitolo II (La vocazione alla luce della fede) per illustrare meglio le relazioni tra i diversi livelli della vocazione. La si potrebbe definire una «piramide vocazionale».

    Il livello di base: essere amati per amore dell’amore
    Il nostro gruppo ha considerato importante evidenziare questa dimensione di base dell’esistenza umana. Vi allude il n. 88, laddove fa riferimento alla vocazione come caratteristica dell’intera creazione. In breve, ci sono persone - specialmente quelle più deboli e vulnerabili - la cui vocazione potrebbe essere non all’azione, bensì alla ricezione più passiva dell’amore degli altri. È questo un grande dono per la comunità in generale, e abbiamo pensato a Jean Vanier come moderno profeta per dimostrare che quanti hanno una disabilità intellettuale non devono essere considerati fallimenti umani; sono doni che aiutano tutti a sviluppare la propria umanità, esortandoci a un amore più grande dell’efficienza.

    La chiamata alla santità
    Il livello successivo della “piramide” vocazionale è la chiamata alla santità, che per sua stessa natura è universale. Tuttavia, abbiamo riconosciuto che l’espressione «chiamata alla santità» può evocare immagini che oscurano questo significato universale. Per esempio, abbiamo ritenuto che per molte persone la “chiamata alla santità” suona coma una semplice “chiamata alla pietà” o, peggio ancora, una chiamata a mere opere pie.
    Al fine di esprimere tale concetto in maniera più completa e con un linguaggio semplice che possa parlare ai giovani, abbiamo ritenuto che qualsiasi spiegazione di questa chiamata universale potrebbe utilizzare moduli come:
    La chiamata alla santità è in ultima analisi una chiamata alla felicità e alla gioia, non un’imposizione esterna.
    La chiamata alla santità significa una chiamata a diventare la versione migliore possibile di se stessi.
    La chiamata alla santità include una chiamata a trovare il miglior cammino possibile per se stessi nella vita; include la propria chiamata interiore, ma anche come rispondere alle situazioni concrete della vita intorno a noi.
    Attingendo a un’intuizione della Chiesa d’Oriente, la chiamata alla santità è incarnare le caratteristiche di Dio nella nostra vita, vale a dire gioia, misericordia, giustizia, cura per il creato, e così via.
    Il segno più grande della santità è, naturalmente, la carità (agape). Come straordinaria illustrazione di questo principio proponiamo la storia di santa Teresa di Lisieux, che era attratta da tutte le vocazioni particolari (perfino il sacerdozio), ma ha trovato l’unità di tutte nell’amore.
    Per i due livelli successivi abbiamo voluto distinguere tra “vocazioni a essere” (chiamate a particolari stati di vita) e “vocazioni a fare” (chiamate a una particolare professione, carriera, apostolato, e così via).

    Le “vocazioni a essere”
    Il dibattito sul ministero ordinato, la vita consacrata, il matrimonio e la vita da single ci ha portati a contemplare come questi stati di vita si rapportano tra loro. Abbiamo utilizzato il seguente modello come aiuto visivo.
    Lo stato celibatario e la vita matrimoniale si escludono a vicenda, quindi non si toccano. Ognuno può essere di per sé una vocazione di “stato di vita”. Tuttavia, possono combinarsi con gli stati di vita contigui.
    Per esempio, un sacerdote diocesano di rito latino in genere corrisponde sia a “clero” sia a “celibato”, mentre un diacono permanente spesso corrisponde sia a “clero” sia a “matrimonio”.
    La vocazione di un sacerdote religioso comprende tre chiamate: “clero”, “vita consacrata”, “celibato”.
    L’esistenza di terzi ordini, come anche di nuove forme di vita consacrata, spesso consente alle persone sposate la partecipazione in un carisma di consacrazione. Se vissuta da un chierico sposato, è anche un modo di combinare tre “stati di vita”.

    Le “vocazioni a fare”
    Durante il nostro dibattito è apparso evidente che per molti giovani un aspetto fondamentale del discernimento è il tentativo di trovare una risposta a una domanda molto pratica: «Che cosa farò della mia vita?». Molti preferirebbero una professione che dia loro un significato e risponda alle loro capacità piuttosto che una che serva solo al sostentamento.
    Abbiamo riconosciuto che per molti (e per molte generazioni del passato) l’idea di “appagamento” non esisteva in ambito lavorativo. Il lavoro era/è una questione di sopravvivenza, non di scelta di carriera, e il significato/appagamento in genere si trovava nella vita familiare, al di fuori del lavoro. Comunque questa distinzione sta emergendo sempre più e va affrontata.
    Conveniamo in generale su fatto che trovare la propria «vocazione a fare» di solito significa seguire i propri talenti. Abbiamo riconosciuto che in alcuni casi ciò che appare come una carriera laica è, di fatto, una vocazione più profonda (per esempio, anche nel mondo secolare essere insegnante spesso viene descritto come «vocazione» più che come lavoro o carriera). San Paolo prende l’immagine del corpo di Cristo, in cui ogni membro ha un ruolo specifico da svolgere, e poi lo espande in elenchi di “ruoli” specifici che possono servire da orientamento per trovare la chiamata particolare (vedi 1 Corinzi 12 ed Efesini 4).

    Capitolo III
    Il nostro gruppo ha trovato il capitolo III della II parte molto prolisso. Tenendo presente che il fine della parte II è di fornire un «quadro interpretativo» dell’«ermeneutica della vocazione», il circolo ha esaminato il capitolo III per individuare i concetti fondamentali offerti in mezzo a tante parole.
    Desideriamo evidenziare le seguenti intuizioni/concetti che riteniamo dovrebbero essere conservati:
    Il discernimento, usando un linguaggio semplice, è il processo per trovare il miglior cammino nella propria vita, secondo i doni/talenti intimi che si possiedono, nonché l’ambiente/l’opportunità esterni in cui si vive.
    Seguire le proprie «emozioni» sembra un criterio troppo superficiale per trovare la propria vocazione. Quello che davvero dovremmo cercare di fare è trovare e seguire il proprio anelito più profondo, le proprie gioie più vere, la propria pace interiore.
    Seguire la propria vocazione comprende una componente ascetica, in quanto prendere una decisione può significare rinunciare ad altre scelte. Le persone che vogliono mantenere aperte tutte le opzioni non potranno mai discernere veramente.

    Capitolo IV
    Il nostro gruppo ha ritenuto il capitolo IV della II parte molto importante. Riconosciamo che l’accompagnamento può avere molte forme. Tenendo presente che il fine della parte II è di fornire un «quadro interpretativo» o un’«ermeneutica della vocazione», abbiamo cercato di discernere quali sono gli elementi del “vero” accompagnamento.
    Come primo punto, abbiamo voluto sottolineare che il vero accompagnamento rispetta il fatto che il discernimento che si sta compiendo non appartiene a chi accompagna, bensì alla persona che viene accompagnata. La manipolazione non può mai essere parte di un vero accompagnamento. Alcuni membri del nostro gruppo hanno purtroppo raccontato esempi di queste forme di pseudo-accompagnamento, di cui alcune sembravano anche dettate da buone intenzioni (contrariamente a quelle predatorie), ma che comunque erano inappropriate.
    Tenendo presente questo, abbiamo apprezzato l’enfasi posta nel documento sul rispetto della libertà di coscienza della persona che viene accompagnata. Vorremmo che questi concetti venissero maggiormente sviluppati (vedi i nostri modi a tale riguardo).
    L’accompagnamento dovrebbe avvenire in un clima di amicizia, fiducia e calore. Tuttavia, non dovrebbe essere tanto amichevole da far perdere l’obiettività. La nozione irlandese di anima cara (“amico del cuore”) è una buona immagine qui. L’accompagnatore dovrebbe anche essere libero di offrire «correzione fraterna» laddove necessario, senza perdere il rispetto per la libertà di coscienza come detto sopra.
    Abbiamo presentato un modus per suggerire che la relazione tra accompagnamento «spirituale» e «psicologico» venga affrontato in maniera più completa al fine di mostrare l’unità esistente tra loro, rispettando al tempo stesso il contributo specifico di ciascuno.
    Il ruolo della comunità nell’accompagnamento è molto importante, in quanto una vocazione spesso viene suscitata e verificata nel contesto di una comunità. Non è solo l’individuo che compie un discernimento individuale.
    È importante sottolineare che gli accompagnatori dovrebbero pregare per coloro che accompagnano. Devono portarli dinanzi a Dio nel loro cuore.

    Osservazioni conclusive
    Il nostro gruppo ha voluto evidenziare la centralità dell’Eucaristia nel processo di discernimento.
    L’Eucaristia non è soltanto l’offerta delle specie consacrate, ma include l’offerta di se stessi al Padre. È questa una dimensione fondamentalmente vocazionale dell’Eucaristia.
    L’Eucaristia è ciò che riunisce la comunità che compie il discernimento a fianco del giovane.
    Nel racconto di Emmaus è nell’Eucaristia che «si aprirono loro gli occhi».
    Molte persone svolgono l’elemento di preghiera del loro discernimento nel contesto dell’Eucaristia.
    Un modo è stato proposto a questo riguardo.

     

    D
    L’arte dell’accompagnamento

    Ancora una volta ho il privilegio di presentare questa relazione a nome nel circolo minore Inglese D, comunità di persone sagge e generose provenienti da tutto il mondo anglofono. I temi che vorremmo proporre alla riflessione del sinodo sono sette.
    Anzitutto, riteniamo che la seconda parte dovrebbe iniziare con quel momento del racconto del cammino di Emmaus in cui Gesù emerge come maestro e interprete. Dovremmo far capire chiaramente che egli dà ai giovani oggi lo stesso quadro interpretativo dato ai suoi discepoli molti anni fa, ossia se stesso. In modo conciso e con fervore evangelico, dovremmo proporre Gesù Cristo, che ha predicato il regno di Dio, affrontato la persecuzione e il fraintendimento, compiuto miracoli, invitato uomini e donne alla conversione del cuore, che ha sofferto ed è morto sulla croce ed è risorto dai morti per la nostra giustificazione. Questo Gesù, il Verbo fattosi carne, è il modello in base al quale i giovani oggi dovrebbero comprendere le proprie difficoltà, gioie e aspirazioni. Guardando l’intera vita alla luce di Cristo, comprenderanno che sono chiamati soprattutto all’amore e alla santità.
    Un secondo motivo che ha particolarmente attirato l’attenzione del nostro gruppo è il forte contrasto tra un’antropologia dell’auto-creazione e un’antropologia della vocazione. In gran parte della cultura postmoderna gli individui vengono incoraggiati a inventare se stessi e a definire i propri valori attraverso l’esercizio della loro libertà. Questo, tuttavia, è in contraddizione con la comprensione biblica dell’essere umano che viene chiamato dalla voce di Dio, invitato ad andare oltre i propri piani e progetti e ad abbandonarsi a colui che «ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare». Riteniamo che la storia di Samuele ed Eli nel primo libro di Samuele sia una straordinaria icona scritturale per questa antropologia unicamente biblica. Come molti giovani d’oggi, Samuele non era capace di distinguere la voce di Dio da una voce meramente terrena. Ha avuto bisogno dell’accompagnamento di Eli per spingersi nello spazio più ampio della provvidenza divina e, alla fine, accettare una vocazione profetica.
    In terzo luogo, come molti altri in questo sinodo, siamo rimasti affascinati dal concetto complesso e sfaccettato di accompagnamento. Ci è piaciuto il legame etimologico con il racconto di Emmaus, dato che dietro al termine “accompagnamento” c’è l’espressione latina cum pane (con pane). In ultima analisi, l’accompagnamento offerto da accompagnatori e guide spirituali nella Chiesa è teso a portare le persone ad aver parte al Cristo Eucaristico. Inoltre, riteniamo che l’accompagnamento sia al servizio della vocazione, e ciò significa che è un processo che dura tutta la vita, poiché la vocazione non viene mai sentita una volta sola e per tutte: è una questione di vocans più che di vocatus. Pensiamo che il documento dovrebbe riconoscere le diverse dimensioni della vocazione, dalla chiamata generale di tutti i battezzati a essere discepoli di Cristo, a quella a diverse forme di missione nella Chiesa. E pur riconoscendo pienamente che la vocazione missionaria comporta il lavoro di stabilire più pace e giustizia quaggiù, riteniamo però che il documento dovrebbe anche insistere di più sull’orizzonte propriamente escatologico della vocazione, vale a dire sul condividere la vita di Dio in cielo.
    In quarto luogo, il nostro gruppo ha discusso animatamente sulla questione della formazione di accompagnatori e direttori spirituali. Un membro ha insistito sul fatto che, sebbene ogni battezzato possa essere un modello efficace, perfino potente, nella vita cristiana, l’arte dell’accompagnamento spirituale autentico esige una formazione specifica e la coltivazione di competenze vere. È proprio questo, ha sottolineato, il tipo di guida che i giovani bramano. È stato suggerito che le narrazioni di Andrea che conduce suo fratello Pietro dal Signore e di Filippo che conduce Nataniele a Cristo potrebbero essere molto illuminanti e istruttive a tale riguardo. Altri partecipanti alla nostra conversazione hanno segnalato che i maestri spirituali troppo spesso si trasformano in guru e incoraggiano un culto della personalità intorno a loro. Pertanto hanno spesso bisogno della disciplina della comunità più estesa e dell’orientamento di un direttore personale. Gli accompagnatori senza accompagnamento non sono dei desiderata nella vita della Chiesa. Infine, occorre osservare, con una certa tristezza, che oggi molti potenziali accompagnatori, specialmente in Occidente, sono riluttanti a entrare in un rapporto con una persona da accompagnare per paura di essere accusati di violare i confini.
    In quinto luogo, il nostro gruppo ha ritenuto che tra l’accompagnamento e la vita sacramentale della Chiesa esista un legame molto naturale, che andrebbe indicato nel documento. Il battesimo, che ci rende partecipi della relazione del Figlio con il Padre, è per sua stessa natura missionario, e pertanto ogni vocazione ha il suo fondamento in tale sacramento. Inoltre, poiché una caratteristica principale dell’accompagnamento spirituale è quella di aiutare quando qualcuno cade, la celebrazione del sacramento della riconciliazione è una sua parte essenziale. Se la specificazione della vocazione è centrale all’accompagnamento, allora anche i sacramenti del matrimonio e dell’ordine sacro devono farne parte. Molti nel nostro gruppo hanno ritenuto che, in questo contesto, una presentazione vivace del sacramento della confermazione sarebbe una meravigliosa aggiunta al documento. Come molti nell’aula sinodale hanno fin troppo spesso osservato, la confermazione è in effetti una sorta di laurea dalla vita della Chiesa. Gli accompagnatori spirituali, compresi anche i padrini di cresima, dovrebbero essere attivi sia prima sia dopo l’amministrazione del sacramento. Il nuovo nome adottato dalla maggior parte dei cresimandi dovrebbe essere celebrato come segno che è iniziata una nuova fase della missione.
    Un sesto tema che ha particolarmente interessato il nostro gruppo è stato quello della coscienza. Siamo pienamente d’accordo con l’Instrumentum laboris sul fatto che la coscienza, il luogo in cui la voce di Dio riecheggia dentro di noi, sia davvero un ingrediente indispensabile di qualsiasi atto di discernimento vocazionale. Tuttavia, ci preoccupa che il linguaggio usato nel documento possa dare l’impressione che la coscienza sia un affare individualistico, una mera questione di sentimenti e volontà di una data persona. Abbiamo scoperto che, ancora una volta, l’etimologia è illuminante. La parola “coscienza” (con-scienza) designa un tipo di conoscenza oggettiva che avviene proprio con altri, vale a dire in seno a una comunità di discernimento. Abbiamo ritenuto che l’inserimento della semplice frase «una coscienza ben formata» potrebbe servire a tenere lontano qualsiasi preoccupazione riguardante il soggettivismo. Un membro del nostro gruppo ha segnalato che i testi YouCat e DoCat sono particolarmente utili per il processo di formazione della propria coscienza.
    Infine, abbiamo molto apprezzato l’uso fatto dall’Instrumentum laboris dell’idea di sant’Ireneo che Gesù santifica tutte le fasi della vita umana, compresa quella dell’adolescenza e della prima età adulta, abbracciando pienamente la nostra umanità condizionata dal tempo e dallo spazio. Riteniamo che i giovani possano trovare grande ispirazione in questo collegamento. Comunque, ci hanno fatto particolarmente piacere i frequenti riferimenti biblici in tutta questa parte dell’Instrumentum laboris. L’evocazione di Samuele, Giosuè, Geremia e Salomone ha elevato spiritualmente il documento. Tuttavia, molte delle giovani donne nel nostro gruppo hanno ritenuto che includere un maggior numero di esempi biblici di donne che hanno collaborato intensamente con il Signore aumenterebbe assai l’attrattiva di questa parte. Hanno suggerito che, accanto ai racconti su Maria, si potrebbero menzionare le narrative riguardanti Rut, Debora, Anna, Abigail e Tabità.
    Se mi è consentito di concludere con il famoso appunto agostiniano, gli accompagnatori ovviamente devono guidare e orientare il cuore irrequieto, ma forse oggi, quando così tanti hanno perso il senso del trascendente, il compito più grande della guida spirituale è di ravvivare quel desiderio santo, per rendere i giovani più anziché meno inquieti.

     

    CIRCOLO "GALLICUS" (Francofono)

    A
    Non si può donare ciò che non si ha

    La seconda parte dell’Instrumentum laboris («Interpretare») cerca di chiarire lo sguardo sociologico della prima e di rivolgere uno sguardo di fede ai giovani. I giovani sono una benedizione di Dio per la Chiesa, le ricordano infatti che è chiamata a riflettere il volto di Cristo, «eternamente giovane», e dispongono di una grazia particolare perché essa riesca a farlo sempre più. Ma i giovani sono anche una benedizione per ognuno dei nostri continenti poiché la loro forza, la loro gioia e il loro dinamismo li aprono alla speranza. Per questo la nostra Chiesa, ricca di una bella tradizione in materia di educazione e di accompagnamento (troppo poco sottolineata, a nostro avviso, nell’Instrumentum laboris), deve poter avanzare con i giovani lungo il cammino della santità. La chiamata degli apostoli nel Vangelo di Giovanni resta in questo ambito un punto di riferimento: «“Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui». (Gv 1, 38-39).
    La seconda parte ha quindi come obiettivo vedere come la Chiesa può essere per i giovani allo stesso tempo Giovanni Battista che presenta ai due discepoli Gesù come «agnello di Dio» e Gesù stesso, quando li invita a vedere dove abita. Come si può consentire a ogni giovane di entrare in una sequela Christi e restarvi fedele, qualunque sia il suo percorso di vita, che non sarà mai lineare, e quali che siano le scelte che farà?
    Come possiamo impegnarci in un cammino di discernimento se il nostro cuore non è stato risvegliato alla presenza di Cristo accanto a noi?
    Una giovane del nostro gruppo ha reso una testimonianza illuminante che potrebbe senza dubbio unirsi alla nostra: «I miei genitori mi hanno sempre incoraggiata a confidare in Dio. Mia madre mi ha insegnato a pregare ed è nella preghiera che ho scoperto la persona di Gesù Cristo, che lui poteva essere mio amico e che io potevo parlargli. Più scoprivo chi era, più volevo vivere come lui e per lui e, in modo sorprendente, più avevo la certezza di avere profondamente bisogno della sua misericordia». Prima ancora di parlare di discernimento, visto che questo sinodo riguarda tutti i giovani e che molti di essi non hanno avuto la fortuna, come Emilie, d’incontrare Cristo, bisogna capire come annunciare loro il kerigma. La posta in gioco è di portare i giovani a scoprire che Gesù, che noi professiamo morto e risorto, è maestro e Signore della loro vita e incoraggiarli a proseguire nell’approfondimento della loro fede. La trasmissione della fede in effetti oggi avviene con difficoltà; un fratello vescovo ha fatto notare che ritroviamo pochi giovani dopo la celebrazione del sacramento della Confermazione, pur essendo questo ritenuto il sacramento della maturità nella fede. Si tratta dunque di permettere ai giovani di accogliere il dono della fede che saranno chiamati a vivere, facendo l’esperienza del passaggio per la croce, ogni giorno della loro vita, personalmente e come Chiesa.

    Il termine “vocazione”
    San Paolo VI ha affermato, nella dinamica del concilio Vaticano II, che «ogni vita è vocazione», e l’Instrumentum laboris precisa che la chiamata di Cristo a vivere nella sua sequela è rivolta a tutti. Alcuni membri del circolo si sono però chiesti se non ci sia il rischio di far confusione a definire vocazione tutte le scelte di vita, dal momento in cui sono state compiute alla luce della fede. Se la chiamata universale alla santità risuona per tutti nel sacramento del battesimo, alcuni battezzati sono chiamati in modo particolare alla vita consacrata e ai ministeri ordinati. Queste vocazioni particolari non sono dello stesso ordine di una scelta professionale o della decisione di rimanere single senza la prospettiva di una consacrazione (numeri 104 e 105).

    L’accompagnamento dei giovani
    Oltre all’importanza delle famiglie che dovrebbero essere i primi luoghi dell’incontro con Cristo, vorremmo sottolineare l’importanza di comunità cristiane come le parrocchie, le comunità ecclesiali di base, i movimenti dei giovani, le cappellanie scolastiche e universitarie. Come pure di tutte le altre proposte che esistono. Riportiamo le parole di un’altra giovane del nostro circolo: «Lo scautismo permette ai giovani di crescere nella fede, di amare Cristo e la sua Chiesa. È attraverso questo processo che molti di noi sono diventati sacerdoti, religiosi o religiose o si sono impegnati nella vita della Chiesa e della società, per essere maggiormente al servizio dei nostri fratelli».
    In tutti questi ambiti, accompagnati da «fratelli e sorelle maggiori nella fede», come lo fu Pietro per Giovanni nella loro corsa verso il sepolcro vuoto, i bambini e i giovani vivono insieme la buona novella del Vangelo in tutte le dimensioni del loro essere. In queste comunità di giovani cristiani germoglia e cresce l’attaccamento a Cristo e il desiderio di seguirlo, grazie alla vita fraterna, all’insegnamento e all’ascolto della parola di Dio, all’accesso ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione. Questi gruppi di giovani cristiani vanno quindi incoraggiati e accompagnati, affinché siano fedeli alla fede e all’insegnamento della Chiesa e restino missionari. Non sono i metodi a rendere l’accompagnamento efficace ma piuttosto le comunità e le persone, che faranno sì che un giorno un giovane incontrerà Cristo e si deciderà a rispondere alla sua chiamata. L’accompagnamento spirituale non è tutto, ci sono le altre persone, le comunità, che possono risvegliare i giovani alle chiamate del Signore e permettere loro di rispondervi liberamente attraverso uno sforzo virtuoso. Riteniamo dunque che la seconda parte si concentri troppo sulla dimensione personale dell’accompagnamento, che trascuri il ruolo indispensabile della famiglia e dei gruppi di giovani per la loro crescita nella fede.
    Allo stesso modo, nel quarto capitolo, dove si elencano i diversi modi di accompagnare i giovani, sarebbe necessario definire bene che cos’è un accompagnamento personale nella prospettiva di un discernimento vocazionale, e le forme che esso può assumere. La tradizione della Chiesa in materia è ricca, in particolare quella dell’Oriente, e vi si potrebbe fare utilmente riferimento nel documento finale.
    Constatiamo infine che ci sono sempre più richieste di accompagnamento spirituale, soprattutto da parte dei giovani. L’accompagnatore è colui che, a immagine di Andrea con Simone, cammina accanto all’accompagnato per condurlo a Cristo, nel rispetto della sua libertà, e che accetta anche di lasciarsi interpellare nella sua fede da colui che accompagna. In questo ambito, siamo a volte testimoni delle difficoltà incontrate da accompagnatori a trovare il loro giusto posto e a porsi a una sana distanza. Che si tratti dell’accompagnamento di un gruppo o di una persona, e che a farlo siano ministri ordinati, consacrati o fedeli laici, comunque non s’improvvisa. Vorremmo perciò ricordare il bisogno di vegliare sulla loro formazione e anche di proporre loro di partecipare a gruppi di supervisione.
    Per concludere, possiamo ascoltare di nuovo questa giovane rendere testimonianza del suo accompagnamento spirituale durante la sua esperienza di missionaria. Ci mostra che l’accompagnamento non è che un elemento del suo cammino di fede, che non può prescindere dall’appartenenza a una comunità ecclesiale e dalla pratica sacramentale: «Sono diventata a mia volta missionaria. Durante i tre anni di missione, ho avuto bisogno di un accompagnatore (che io chiamo anche “direttore spirituale”) per essere meglio disposta a compiere la mia missione tra gli studenti all’università. Ci si aspettava anche che ogni missionaria partecipasse alla messa quotidiana, ricevesse regolarmente il sacramento della Riconciliazione, e pregasse almeno un’ora al giorno. Perché non si può donare ciò che non si ha».

     

    B
    Vocazione dono universale

    La vocazione alla luce della fede
    L’Instrumentum laboris, ai numeri 87 e 88 descrive la vocazione alla luce del disegno di Dio rivelato in Cristo. Di fatto, la vocazione non è una realtà secondaria della vita umana e dell’esistenza cristiana. È al tempo stesso la fonte, la giustificazione e il fine ultimo dell’esistenza umana, della vita cristiana nella Chiesa. Inoltre la vocazione divina si rivolge a tutti gli esseri umani. Non è riservata ai membri della Chiesa. Dio chiama tutti gli esseri umani alla comunione della sua vita divina in Cristo (cfr. concilio Vaticano II, Dei Verbum, n. 2; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 505).
    Noi proponiamo dunque che prima del titolo «La vita umana nell’orizzonte vocazionale», s’inserisca una paragrafo intitolato: «La vocazione, un dono universale alla santità». Si potrebbe sviluppare a partire dall’affermazione di san Paolo: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (1 Efesini 1, 4).

    La vocazione a seguire Gesù e a conformarsi a lui
    In che cosa consiste questa vocazione divina della persona umana? Consiste nel seguire Gesù Cristo e nel conformarsi a lui. L’apostolo Paolo scrive a tale riguardo: «Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Romani 8, 29). Si potrebbe dunque modificare in parte il numero 91 dell’Instrumentum laboris perché tenga conto di questi due concetti: la sequela di Cristo e la conformazione a Cristo.

    La vocazione a diventare figli adottivi del Padre
    L’unione con Cristo ha come fine principale la partecipazione alla sua filiazione divina. In Cristo la persona umana è chiamata a diventare figlio adottivo del Padre. L’apostolo Paolo lo proclama con queste parole: Dio ci ha predestinati «a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Efesini 1, 5). Da queste considerazioni deriva una proposta: scrivere un nuovo numero dedicato al tema della filiazione adottiva. Ciò permetterebbe di spiegare meglio ai giovani la dimensione essenzialmente relazionale della vita umana e dell’esistenza cristiana, e dunque anche della vocazione divina del genere umano.

    La vocazione della Chiesa e le vocazioni della Chiesa
    La Chiesa è al tempo stesso l’attualizzazione storica e la realizzazione comunitaria della vocazione divina del genere umano rivelata in Cristo. In effetti, in essa e per mezzo di essa, è annunciata, celebrata, vissuta e rinnovata fino alla fine dei tempi la vocazione divina della condizione umana. Alterata e compromessa nell’uomo dalla triste esperienza del peccato originale, la vocazione divina è riscattata, salvata, liberata e riattivata dalla grazia battesimale. Inoltre, se Cristo è il capo della Chiesa, gli apostoli sono le sue membra.
    Di conseguenza, suggeriamo che i numeri dell’Instrumentum laboris dedicati alla vocazione battesimale e alla chiamata degli apostoli siano spostati sotto il titolo: «La vocazione della Chiesa e le vocazioni nella Chiesa».

    La condizione inedita del celibe/nubile o “single”
    Al numero 105 l’Instrumentum laboris ricorda il caso del celibe/nubile o “single”. Come detto sopra, la vocazione divina della persona è di diventare figli adottivi del Padre in Cristo. E questa vocazione si rivolge a ogni persona umana, sempre e ovunque. Perciò ci sembra che non si possa dire che le persone che vivono sole non hanno vocazione o rifiutano la vocazione. Si tratta per esse di vivere nella propria condizione la pienezza del dono di sé e la perfezione del servizio evangelico nella Chiesa e nel mondo.

    Il discernimento nella tradizione cristiana
    Il discernimento è un dono e un’arte particolari che lo Spirito Santo concede, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, ad alcuni fedeli in vista di quel bene comune che è la vita in Gesù Cristo (cfr. n. 2690).
    Sulla base di ciò, possiamo dedurre quanto segue:
    - Il dono del discernimento non è legato al ministero ordinato.
    - Lo Spirito Santo lo concede non a tutti i fedeli, ma ad alcuni.
    - Il dono del discernimento può essere concesso a religiosi, a consacrati e a laici.
    - Esso consente, da un lato d’individuare e riconoscere la via personale attraverso la quale lo Spirito vuole condurci alla conformazione a Cristo e alla fedeltà al Vangelo, e dall’altro di aiutare una persona o una comunità a scoprire la propria nella Chiesa e nel mondo.
    - Il discernimento esige una vita di preghiera intensa e profonda.
    Non si potrebbero inserire queste precisazioni nel numero 108 dell’Instrumentum laboris per evitare ogni confusione e ogni clericalismo?

    La proposta del discernimento vocazionale
    L’Instrumentum laboris ai numeri 109 e 110 esamina la proposta del discernimento vocazionale. Tale proposta non si potrebbe inserire in un quadro più ampio di preparazione e di risveglio alle vocazioni? Non sarebbe forse utile spiegare ai giovani l’importanza della vocazione, delle vocazioni e del discernimento vocazionale, aiutarli a scoprire le proprie vocazioni, giustificare il bisogno della mediazione umana o comunitaria nel processo e chiarire le responsabilità che incombono a ognuno dei protagonisti durante il processo di discernimento vocazionale?

    L’arte di accompagnare
    Al numero 121, l’Instrumentum laboris insiste sull’accompagnamento personalizzato mentre l’accompagnamento dei gruppi o delle comunità sembra non venire abbastanza sottolineato. Perciò ci appare utile spiegare alla fine del paragrafo l’accompagnamento personalizzato e l’accompagnamento dei gruppi e delle comunità. Di fatto, Gesù ha adottato entrambi gli stili di accompagnamento: per esempio, il primo stile con Zaccheo (cfr. Luca 19, 1-10) e con la samaritana (Giovanni 4, 7-30), il secondo stile con i Dodici (cfr. Luca 9, 1-6.10-32) e con i due discepoli di Emmaus (cfr. Luca 24, 13-35).

    Le qualità di quanti accompagnano
    L’Instrumentum laboris descrive ai numeri 130, 131 e 132 le qualità degli accompagnatori. Tali qualità sono essenziali. Perché senza di esse il processo è destinato al fallimento. Lo conferma san Giovanni della Croce quando dice: «conviene all’anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione guardare in quali mani si affida, poiché il discepolo sarà uguale al maestro, così come il figlio al padre (...) perché oltre a essere saggia e discreta [una guida], è necessario che sia esperta. Poiché per guidare lo spirito, sebbene sono fondamentali la scienza e il discernimento, se non vi è esperienza di ciò che è puro e vero spirito, non sarà possibile condurvi l’anima quando Dio lo concederà, e neppure si potrà capirlo». (San Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore, n. 30).
    Per questo vorremmo che la formazione degli accompagnatori fosse trattata nel documento. Inoltre avremmo voluto che i temi dell’accompagnamento post-sacramentale, dell’accompagnamento dei giovani sacerdoti e della responsabilità del vescovo nel discernimento e nell’accompagnamento vocazionali figurassero nel quarto capitolo dell’Instrumentum laboris.
    Suggeriamo inoltre che venga istituzionalizzata la figura di un padrino ecclesiale dopo i sacramenti.

     

    C
    Dinamica vocazionale

    Le numerose testimonianze e gli interventi che ci sono stati offerti in questi ultimi giorni ci hanno fatto capire che la gioventù è una benedizione per la Chiesa perché i suoi interrogativi e le sue aspettative la risvegliano al suo desiderio di vivere e proclamare la propria fede in Cristo che conduce al Padre mediante lo Spirito. Perciò la riflessione del gruppo Francese C ha affrontato il tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», collocandolo nella prospettiva della vocazione della Chiesa: accompagnare l’umanità verso l’incontro con Cristo. Come può questa vocazione orientare la proposta di una pastorale vocazionale per i giovani?
    L’Instrumentum laboris propone un serie di riferimenti biblici e raffigurazioni di Gesù con cui un giovane o una giovane si può identificare, scoprendo il proprio ruolo nella storia della salvezza. Tuttavia, al di là di un approccio antropocentrico, la dinamica vocazione invita a porre questa scoperta di Gesù “giovane fra i giovani” nella prospettiva di una teologia trinitaria in cui Gesù l’evangelizzatore si rivela Figlio del Padre, animato nella sua missione dallo Spirito. La posta in gioco è aprire ai giovani il cammino della maturità della fede: da un lato contemplando l’opera dello Spirito che costruisce, guida e ringiovanisce la Chiesa e, dall’altro accogliendo la grazia dello Spirito che porta ognuno a occupare il proprio posto nella vita della Chiesa e nel mondo. Da qui la nostra domanda per la Chiesa latina: il sacramento della confermazione non dovrebbe essere messo al centro di questa dinamica vocazionale?
    Ma come prendersi cura della vocazione unica di ognuno? Il dialogo con i giovani ha mostrato la loro determinazione, attraverso la testimonianza di vita e la ricca creatività dei loro impegni, ad assumersi la loro parte di corresponsabilità nella trasmissione della fede. Una pastorale vocazionale proporrà dunque una lettura di questa generosità della vocazione battesimale di ognuno, dal punto di vista della vocazione fondamentale della Chiesa, sacramento di salvezza nel mondo. È a partire da questa chiamata di tutti alla santità che si possono declinare i diversi significati del termine vocazione. Ogni giovane è al tempo stesso Natanaele già conosciuto e chiamato mentre è ancora sotto il fico (cfr. Giovanni, 1, 47-48), e quel giovane che con i pani e i peschi che porta consente di dischiudere il mistero della moltiplicazione (cfr. Giovanni 6, 9-11). Ognuno deve in effetti essere aiutato a scoprire, attraverso il suo incontro personale con Cristo, il carattere unico del suo sviluppo umano personale e al tempo stesso la sua capacità di contribuire alla comunione tra tutti. Il dinamismo del discernimento vocazione cercherà di portare alla luce questo equilibrio tra la libertà personale che determina le scelte attraverso le quali ognuno realizza la propria vita, la chiamata che si fa sentire nel cuore di una conversazione creativa con il Signore, e la risposta mediante la quale ognuno assumerà il proprio posto in seno alla Chiesa evangelizzatrice. Dio chiama e insieme porta a trovare questo posto.
    Questo processo vocazionale va accompagnato. Il nostro gruppo ha avuto un lungo e ricco dibattito sul tema, alla luce del primo capitolo del Vangelo secondo san Giovanni che rivela il dinamismo insieme interiore ed ecclesiale di ogni vocazione a unirsi a Cristo. Riteniamo che il sostegno a una dinamica vocazionale sia, più del discernimento, il centro di gravità di questa seconda parte dell’Instrumentum laboris. Il dibattito ha permesso di giungere a tre convinzioni.
    La prima è che l’accompagnamento alla vita cristiana è sempre un accompagnamento personale e al tempo stesso comunitario. Personale, come un fratello può accompagnare suo fratello, conducendolo a Cristo, come fece Andrea con suo fratello Pietro e Filippo con Natanaele. Comunitario, perché la comunità è per ognuno ciò che la Chiesa è chiamata a essere nel mondo: una luce che indica il cammino verso la comunione fraterna di tutti in Colui che prega il Padre affinché siano una cosa sola. Riconoscere la comunità di fede nel suo ruolo di accompagnamento è dunque considerare che tutte le comunità ecclesiali, i movimenti, i gruppi specifici di attività caritativa devono essere a loro volta accompagnati in modo che siano comunità di promozione reciproca delle vocazioni battesimali. E tra gli strumenti di questa pastorale della mutualità delle vocazioni la preghiera ha un posto unico.
    Una seconda convinzione è la necessità di uno sforzo decisivo per la formazione a questo accompagnamento alla vita cristiana, individuale e in gruppo o comunità. Per l’accompagnamento personale sono richiesti la competenza e l’ascolto, la capacità di distinguere le diverse dimensioni della vita umana integrale di colui che si accompagna, il rispetto assoluto della libertà di coscienza di ognuno, la preoccupazione di essere sempre anzitutto testimoni del mistero della misericordia che accoglie, perdona, e fa rivivere continuamente. Per l’accompagnamento comunitario, si tratta di formare i pastori affinché sappiano promuovere nelle comunità di credenti una conoscenza solida della fede, la gioia e la fraternità, il gusto della preghiera e il desiderio di testimoniare la vita evangelica. Rispetto a tale accompagnamento, riteniamo necessario sottolineare ancora che bisogna fare tutto il possibile per mettere le persone e le comunità al riparo da ogni tipo di abuso.
    La terza convinzione riguarda il desiderio dei giovani di assumersi la propria responsabilità nella Chiesa; se l’obiettivo dell’accompagnamento è di proporre di vivere incentrati su Cristo, incontrato personalmente, allora condurre a Cristo implica anche di proporre di unirsi a lui nella sua missione che, nello Spirito, ha affidato alla Chiesa. Missione esplicita di trasmissione della fede. O, in altri contesti, missione di accompagnare, come amici, testimoniando la “cultura cristiana”, proponendola come una luce all’umanità, aspirazione che nutrono tanti giovani del mondo che vogliono adoperarsi affinché il loro popolo e la loro società ottengano maggiore dignità e umanità, giustizia e pace, quali che siano le differenze confessionali. Accompagnare, dunque, affidando la missione.
    Non è forse così che il Cristo pedagogo accompagnava la vita di coloro che chiamava e inviava lì dove lui li precedeva? Accompagnare consisterebbe allora nel condurre a Cristo i giovani che, a loro volta, l’accompagneranno nella sua missione e, con Lui, faranno la Chiesa.
    Auspicando che queste riflessioni contribuiscano alla redazione del documento finale, proponiamo alcuni modi sui seguenti temi: la gioventù come benedizione per la Chiesa, l’accompagnamento vocazione in un contesto multiculturale e multiconfessionale, il ruolo delle comunità e dei gruppi di giovani nell’accompagnamento delle singole persone.
    (In preparazione della parte terza. Abbiamo presentato un modo per questo.)


    GRUPPO "ITALICUS" (Italiano)

    A
    Tra vocazione e discernimento

    Nello scambio di riflessioni del circolo italiano A abbiamo ripercorso i quattro capitoli che scandiscono la parte II dell’Instrumentum laboris. Come già fatto per l’esame della prima parte, il circolo ha preferito delineare alcuni punti focali del testo perché sia più lineare e organico, rispetto all’attuale stesura. Abbiamo pensato opportuno che anche questa volta venga premessa un’icona biblica che ispiri il binomio vocazione e discernimento. Il brano che ci è sembrato più adatto ad aprire questa seconda parte è la chiamata del giovane Samuele e l’accompagnamento dell’anziano sacerdote Eli, peraltro già presente nel testo (n. 81).

    1. La vocazione di Samuele
    Vivendo nel tempio fin dall’infanzia (1, 28), il giovane Samuele era stato introdotto alle tradizioni religiose del suo popolo: pur vivendo nel contesto religioso del tempio, non aveva ancora fatto esperienza personale del Signore. Questo accadrà quando il Signore stesso prenderà l’iniziativa, chiamandolo per nome, nel cuore della notte. Samuele non comprende immediatamente la parola del Signore che prima di allora non gli era ancora stata svelata (v. 8). Nemmeno Eli, il sacerdote del tempio e suo tutore, comprende quanto accade. Egli lo accompagna, ma è chiamato lui stesso a lasciarsi accompagnare nella comprensione di quell’avvenimento. Entrambi hanno bisogno di discernere. Eli, pur non essendo un sacerdote esemplare (2, 29), ha un ruolo importante nella comprensione della vocazione di Samuele: la potenza della parola di Dio non dipende dalla perfezione degli uomini. Eli si lascia importunare più volte, usa pazienza con Samuele e, quando comprende che il Signore chiama il ragazzo (v. 8), non si appropria dell’accaduto, non gli spiega cosa sta avvenendo, non gli scioglie il mistero: lo rimanda al suo giaciglio, al suo contesto di vita, perché lì possa ascoltare direttamente il Signore. La scelta di Dio, inoltre, non ha nulla di predeterminato e non toglie nulla alla libertà di Samuele. Questi, dopo essersi fidato di Eli, si affida a Dio. «Il Signore venne, si stabilì e lo chiamò come le altre volte» (v. 10). Solo ora Samuele è pronto ad accogliere la parola del Signore.

    2. La vocazione universale alla vita con Dio
    La scelta che il testo fa di partire dalla vocazione comune a tutti gli uomini e le donne alla comunione con Dio e fra di loro, è particolarmente opportuna e andrebbe più chiaramente descritta. Permette infatti di delineare l’orizzonte fondamentale nel quale si inscrive e si comprende ogni altra vocazione. Essere creati è già essere chiamati. La chiamata alla vita è un dono che ci precede e che chiede di essere vissuto con altrettanta generosità. L’uomo e la donna non vivono per loro stessi. Sono stati creati perché, in comunione con il Creatore, si prendano cura del mondo e della famiglia umana perché l’intera creazione si realizzi fino alla sua pienezza nell’amore, nella giustizia e nella pace (cfr. Nostra aetate, n. 1). La consapevolezza di questa vocazione universale ci fa sentire solidali con tutti coloro che nella diversità delle fedi e delle visioni del mondo partecipano della comune umanità. Ci ha commosso e fatto riflettere la testimonianza di un confratello della Cina continentale sulla missione della Chiesa nel vasto mondo. Il dono ricevuto diventa un compito. È questo il senso di una chiamata che libera l’uomo e la donna dalla solitudine e dalla concentrazione su di sé, per aprirli alla fraternità universale dei figli di Dio. La generazione postmoderna, sollecitata da innumerevoli possibilità e da infiniti esperimenti, può essere così aiutata a riscoprire la bellezza di una vocazione che dona alla vita una prospettiva universale. I giovani credenti hanno la responsabilità di farsi testimoni credibili di questa prospettiva di vita presso i loro coetanei.

    3. La vocazione della Chiesa in Gesù
    Nella cornice di questa chiamata universale, che indica al tempo stesso l’origine e la destinazione del genere umano, si apre la strada della vocazione dei discepoli di Gesù. Con la venuta di Gesù il regno di Dio inizia a compiersi nella storia. La Chiesa - assieme al popolo dell’antica alleanza - è scelta e chiamata a essere lievito di fraternità per tutti i popoli. Gesù chiama i suoi discepoli perché con lui continuino la sua stessa missione. Per questo la scelta per il regno è chiaramente la vocazione fondamentale per tutti i discepoli del Signore. Con le parabole del regno e tutti i suoi miracoli, Gesù segna per i discepoli la strada da percorrere. L’ingresso nella comunità cristiana è segnato dal battesimo, sacramento della chiamata universale alla santità, che si realizza nella totale dedizione a questa missione (cfr. Mc 10, 17-30). Nel quadro di questa unica chiamata, lo Spirito suscita molti carismi e la Chiesa istituisce diversi ministeri. Ogni discepolo è invitato a riconoscere il dono ricevuto e a dare la sua vita per il bene di tutti.

    4. Discernimento e accompagnamento della vocazione
    Apprezzando quanto l’Instrumentum laboris afferma su questi temi, si è sottolineato l’aspetto dell’esperienza della propria fragilità. Essa è luogo di incontro con la grazia e la misericordia del Signore che chiama. L’esempio di Pietro ci illumina: è in quanto pecora smarrita e ritrovata che può diventare pastore del gregge, confermandolo nella fede. L’incontro con lo sguardo accogliente e perdonante di Gesù è la svolta nel cammino di maturazione interiore, ineludibile nell’assumere la chiamata. La responsabilità dell’ascolto e del discernimento dell’appello di Dio è comunque di coloro ai quali Dio si rivolge. I giovani debbono ascoltare anzitutto Dio. Certo la responsabilità degli accompagnatori è importante. I giovani hanno bisogno - è giusto così - di essere sostenuti, incoraggiati, indirizzati in questo ascolto e interpretazione e nella decisione corrispondente. La risposta alla vocazione è, inseparabilmente, felicità e rischio. Vanno spiegate bene entrambe le cose. E quindi accompagnare è anche chiarire e incoraggiare, nella fiducia all’azione dello Spirito e della libertà di coloro che sono accompagnati. Gli accompagnatori devono testimoniare e far capire ai giovani che sono certi della benedizione di Dio che li riguarda, che non ne sono gelosi, anzi che ne saranno i custodi commossi e grati. Con questo spirito, l’autorevolezza con la quale gli accompagnatori confermano i giovani nella strada che Dio indica loro sarà gradita, apprezzata, degna di riconoscenza. Nell’accompagnare questo discernimento il gruppo ha evidenziato l’importanza del rispetto della libertà, che nelle nostre pratiche vocazionali non viene sufficientemente considerato con il rischio di colludere con le fragilità dei candidati a scapito dell’autenticità delle scelte. Il contesto comunitario si rivela indispensabile nella maturazione del cammino e come sua istanza di concretezza.

     

    B
    Aiutare i giovani a non avere fretta

    I padri chiedono unanimemente che all’intero documento sia preposto questo breve testo, che evidenzia come il sinodo sia partito dall’ascolto della realtà dei giovani e abbia cercato di farne tesoro alla luce del Vangelo: dopo la citazione del brano di Gv 6, 9-13 si potrebbe dire «Questa breve narrazione del quarto Vangelo evidenzia tre aspetti, che illuminano bene l’intento della nostra riflessione. Si parte dalla realtà dei giovani, che hanno sempre qualcosa da offrire, poco o molto che sia (i cinque pani e i due pesci). Gesù valorizza e moltiplica questi doni, ma è necessario che ci sia chi come Andrea faccia da ponte fra il ragazzo e il Signore. Così, nella prima parte del nostro testo si guarda alla realtà giovanile, valorizzando il tanto di positivo che c’è in essa (a cominciare dalla generosità di cui dà esempio il ragazzo del Vangelo, che non esita a mettere a disposizione di Gesù i pani e i pesci), senza ignorare le ombre e le fragilità in essa presenti. Nella seconda parte si guarda al Vangelo e alla luce che da esso viene sulla realtà dei giovani, insieme ai doni loro offerti in Cristo Signore. Nella terza parte si traggono le indicazioni operative per l’azione della Chiesa verso i giovani e dei giovani in essa».
    Riguardo al n. 77 - intitolato «Vigore fisico, fortezza d’animo e coraggio di rischiare» - si è sottolineato come in esso sia presentata una visione eccessivamente ottimistica della realtà giovanile. Occorre tener presente che la natura dopo il peccato originale è ferita, e occorre evitare ogni possibile pretesa di autosufficienza della creatura, rifiutando l’idea che una auto-realizzazione dell’umano sia sufficiente e possibile. Tutti, anche gli accompagnatori dei giovani nel cammino verso la maturità umana e spirituale, siamo peccatori perdonati, e la vera libertà è sempre una libertà donata, connessa all’aiuto della grazia divina (cfr. Gaudete et exsultate 170). In ogni cammino di accompagnamento l’ascolto della realtà e il rispetto di essa vanno collegati al primato dell’azione divina, offerta nei sacramenti e nell’esperienza di una adeguata direzione spirituale. Se si trascura questo aspetto fondamentale, si rischia di lasciare i giovani soli con se stessi, specialmente di fronte a domande radicali come quelle relative al dolore e alla morte. Tenendolo presente si aiuta il giovane a prenderne coscienza attraverso un’opportuna riflessione e a farne tesoro mediante l’accoglienza umile e gioiosa della grazia. La giovinezza non è solo benedizione, è anche sfida, che deve fare i conti con le nostre fragilità.
    Una riflessione da introdurre all’inizio della seconda parte è quella relativa al rapporto fra Cristo e i giovani: se è vero che il n. 75 parla di «Cristo giovane fra i giovani» (anche se nulla si dice della sua capacità di vivere l’amicizia, del suo coraggio di fronte al futuro, della sua fragilità, espressa ad esempio nel pianto davanti alla morte dell’amico Lazzaro, ecc.), non si parla, fra l’altro, del rapporto fra Gesù e il giovane ricco (Mt 19, 22), che mostra come la vera ricchezza per un giovane non sia il possesso edonistico dei beni, ma l’apertura al dono di Dio e alle sorprese che da esso vengono. Parimenti, si potrebbe sottolineare come la parabola del padre misericordioso (Lc 15, 11 ss.) evidenzi il rispetto che il Padre celeste ha per la libertà tanto del figlio che resta a casa, quanto del più giovane, che vive l’allontanamento da lui e matura l’esigenza del ritorno e della richiesta di perdono, da cui possa scaturire una nuova vita. In Gv 21, 18, poi, nell’accenno al discepolo che da giovane andava dove voleva e ora ha imparato a obbedire a Dio, si rivela l’attenzione di Gesù ai processi di maturazione che possono avvenire nel cuore dei giovani, chiamati a imparare l’obbedienza liberante alla volontà di Dio. Inoltre, non andrebbero trascurate scene come quelle degli incontri di Gesù con Simone e Andrea (Mt 4, 18 e Mc 1, 16), con Giovanni (1, 38 s), con Matteo (Mt 9, 9), con Marta e Maria (Lc 10, 41) o con la Samaritana (Gv 4, 9 ss), dove risulta chiaro come l’incontro personale col Cristo sia alla base di ogni decisione vocazionale. Infine, un richiamo al Signore crocifisso e all’esigenza di seguire Gesù sulla via della Croce (Mt 16, 24; Mc 8, 34 e Lc 9, 23) sembra doveroso e necessario. Circa il processo di discernimento in vista della scoperta della propria vocazione specifica (cfr. nn. 112-117) all’interno di quella generale alla santità, se ne è evidenziata unanimemente l’importanza: nella complessità dei messaggi e degli stimoli da cui ogni giovane può essere raggiunto, è necessario vivere la fatica della ricerca e del discernimento e la responsabilità delle proprie scelte nell’ambito esistenziale, come in quello professionale, davanti al Dio che chiama originalmente ciascuno, in un ambiente opportuno e con una guida adeguata. L’ambiente cui ci si riferisce è quello della comunità ecclesiale, al cui interno la persona va accolta e accompagnata: decisivi sono i cammini di fede e di servizio caritativo proposti, nonché il ruolo di chi accompagna, ma è tutta la comunità a essere impegnata nella proposta della vita come vocazione e nell’aiuto dato a ciascuno per riconoscere e vivere la specifica chiamata che Dio riserva per ognuno. Ogni vocazione è diversa e originale, all’interno dell’universale chiamata alla santità. Scoprirla esige spesso una gradualità di cui ci dà testimonianza il Battista nella sua volontà di rispettare la crescita del Maestro e di scomparire progressivamente nella sua funzione di intermediario (cfr. Gv 3, 30). Chi può accompagnare nel discernimento non è necessariamente un presbitero, ma può essere un qualunque battezzato disposto a impegnarsi al servizio dei giovani con generosità, fede e opportuna preparazione. È stata sottolineata la necessità di offrire questa adeguata preparazione - in forma anche permanente - a chi si impegna in un tale servizio per il discernimento, non trascurando gli apporti della psicologia aperta alla trascendenza (cfr. n. 125), come l’impegno nella lettura dei segni del tempo personali e collettivi, in uno stile di matura paternità/maternità spirituale, che tenga conto dell’insieme della persona nelle sue emozioni e relazioni, come nella sua affettività.
    Unanime è il consenso sul fatto che pastorale giovanile e pastorale vocazionale, pur distinte, debbano integrarsi al servizio della crescita della persona del giovane, in un cammino di conversione costante e di salvezza accolta da Dio e testimoniata con la vita. La vocazione specifica di ciascuno si scopre nell’ascolto docile e aperto della parola e dei segni del Signore, in un impegno in cui la coscienza del singolo ha il posto decisivo. In tale contesto va data opportuna attenzione al fattore “tempo”: la fede biblica ha superato ogni concezione di eterno ritorno, basata su una ciclicità ripetitiva e chiusa alle sorprese divine. La rivelazione ci fa conoscere un Dio che ha tempo per gli uomini, entra nella storia e invita a dare tempo a lui e al prossimo, a darsi e a dare il giusto tempo nelle scelte da fare, e a cogliere il tempo opportuno (il “kairós”) di esse. I giovani vanno aiutati a non avere la fretta di chi pensa solo che il tempo è denaro, ma anche a fuggire la paura del “per sempre”, di cui l’amore di Dio rende capace la creatura umana. La pazienza dei tempi di Dio è ampiamente testimoniata nella Bibbia e ci insegna a dare frutto, ciascuno a suo tempo (cfr. Lc 13, 6-9).

     

    C
    La fede interpreta i giovani

    Anche il nostro gruppo è giunto alla quinta sessione dopo aver ascoltato in aula numerose voci giovanili stimolanti e perfino scioccanti. A mo’ di esempio ricordiamo l’appello per i giovani dell’Iraq, bisognosi di aiuto spirituale e non solo materiale; la testimonianza della giovane messicana che non ha timore di dirsi cattolica in università; l’analisi critica di una giovane religiosa orientale sui modi e sui tempi con cui alcuni istituti di vita consacrata gestiscono i discernimenti vocazionali; il rischio che il direttore spirituale si sostituisca alla coscienza del giovane nel cammino decisionale: ecco solo alcuni dei motivi che hanno accompagnato l’esame della seconda parte con un senso di rinnovata fiducia ecclesiale e di grande responsabilità educativa.

    Entusiasmo e rischio
    L’Instrumentum laboris mette in guardia la Chiesa dal pericolo di «smarrire l’entusiasmo che le viene dalla propria chiamata al rischio della fede, rinchiudendosi in false sicurezze mondane» (n. 77). La nostra riflessione ha cercato di unire entusiasmo e rischio della fede, risalendo ai percorsi biblici e antropologici proposti dal testo. Le otto citazioni del concilio ecumenico Vaticano II ci hanno consegnato temi chiave su cui ci siamo confrontati: la chiamata dei giovani all’opera di ringiovanimento del volto della Chiesa (n. 74), la vocazione di ogni donna e di ogni uomo alla comunione con Dio e alla santità (n. 87), la vocazione laicale (in particolare nella forma coniugale) (ivi), la coscienza come sacrario dell’uomo (n. 117), lo svelamento e compimento del mistero dell’uomo nel mistero di Gesù Cristo (n. 91). L’eco del concilio ha fatto attento il nostro gruppo alla voce della tradizione patristica, evocata dalla bella citazione di sant’Ireneo su Cristo «giovane tra i giovani» (n. 75): il realismo ottimistico dei Padri è risuonato tra noi come sorgente di equilibrio e di coraggio nell’esame e nella valutazione dei dati dell’oggi.

    Il ponte di san Paolo VI
    In questo contesto è stata rilevata con gioia la testimonianza di Papa Montini, che ha portato a termine il concilio e in questi giorni del sinodo è stato canonizzato. Il suo sguardo di fede sui giovani e sul dialogo con il mondo contemporaneo ci ha ricordato che «ogni vita è vocazione» (Populorum progressio, 15, citata al n. 88) e che la Chiesa, per rimanere «profondamente e autenticamente se stessa», deve «ristabilire il ponte fra lei e l’uomo moderno; e questo impegno suppone… che il ponte ora non vi sia, o sia poco comunicativo, o che sia addirittura caduto» (Udienza del 12 luglio 1967). Ci siamo sentiti chiamati a conoscere bene le proporzioni del «dramma storico, sociale e spirituale» che la Chiesa sta affrontando in tutte le parti del mondo, ma nello stesso tempo ci siamo detti la sorpresa dell’esperienza di unità che la fede in Gesù Cristo morto e risorto ci fa fare: siamo stupiti per la familiarità gioiosa che si crea attorno al Papa e ai padri sinodali, per la libertà e la forza con cui tanti giovani stanno intervenendo e consegnando il loro universo di sogni e di speranze al cuore della Chiesa!

    Il mosaico biblico
    L’esame del testo ci ha introdotti alla promessa di benedizione e di senso sulla giovinezza contenuta nei temi della vocazione, del discernimento vocazionale e dell’accompagnamento. L’abbondante ricorso alla Sacra Scrittura (oltre quaranta citazioni solo in questa parte) ci ha messo in condizione di rivivere nell’oggi la forza sorprendente della chiamata dei giovani nell’Antico e nel Nuovo Testamento, integrata da ulteriori riferimenti alla missione dei discepoli e degli apostoli e alla trama storica tessuta dai testimoni della fede evocati nel capitolo undici della Lettera agli Ebrei, attualizzata in modo esemplare da Benedetto XVI in Porta fidei (n. 13). Il gruppo propone di valorizzare il testo della chiamata di Samuele come icona biblica e sintetica capace di illuminare il tema della giovinezza e della vocazione. Questo mosaico biblico, illuminato dalle sensibilità dei pastori dell’oriente e dell’occidente presenti nel gruppo, ha contribuito alla presa di coscienza che tutti i credenti in Cristo, battezzati e rivestiti di lui, sono figli di Dio e che - oggi come ai tempi di san Paolo - non conta più l’essere giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna, adulto o giovane (cfr. Galati, 3, 26-28). La missione della Chiesa - è stato sottolineato - continua ad essere quella di valorizzare la forza dei giovani e sostenere la loro debolezza. Il dialogo sulla vocazione, grazie anche al contributo degli esperti e degli uditori, ha permesso di approfondire la dinamica tra iniziativa di Dio e la risposta umana, all’interno di un popolo di chiamati alla santità, che Dio accompagna con la forza del suo Spirito, vincendo ogni resistenza di peccato. Il gruppo ha riflettuto sull’appartenenza dei giovani al popolo di Dio in cammino: questo dato genera la maturazione dell’identità delle singole persone e delle esperienze ecclesiali di servizio e di volontariato. Appartenere alla comunità - si è detto - incoraggia l’interrogativo: Cosa voglio fare della mia vita? Qual è il disegno di Dio su di me, quale missione emerge dai segni che incontro in me e attorno a me? Quale peso do alle necessità sociali ed ecclesiali nelle quali il Signore mi mette?

    Eredità e libertà: l’interrogativo vocazionale
    Il fatto che oggi prendere una decisione risulti difficile non solo tra i cattolici, ma anche nelle altre confessioni cristiane e perfino nelle realtà non cristiane, invita a riflettere sul perché, nel nostro tempo, anche molti giovani preferiscono la via del credere “a modo mio” e del mettersi al servizio anche generosamente, ma non come scelta di vita, a tempo parziale. Per questo si rivela molto opportuna - e in molti contesti necessaria - la proposta vocazionale da parte di uomini e donne di fede, non solo sacerdoti e religiosi. Esplicitare l’interrogativo vocazionale significa incoraggiare i giovani a percorsi di discernimento personale e comunitario, che spesso gli adulti non hanno saputo o voluto fare. Si tratta di aiutare le nuove generazioni - con molto rispetto e con molta fiducia - a guardarsi bene attorno e a guardarsi bene dentro, se necessario anche con qualche aiuto psicologico e con opportune esperienze di servizio. L’inquietudine che ne deriva - o che va a rafforzarsi - fa crescere il desiderio di unificare il proprio cuore attraverso la preghiera e l’ascolto della parola di Dio, la ricerca del silenzio e l’impegno nella storia del suo popolo, insieme al confronto fiducioso con i membri della famiglia e con gli accompagnatori ecclesiali. Il Signore parla donando la pace duratura del cuore e il sentimento gioioso del donarsi agli altri, tutti segni forti di essere sulla strada giusta. Molto importante da parte degli adulti sarà l’impegno di imparare l’arte del colloquio franco e libero, da condurre fino alla proposta della riconciliazione sacramentale.

    L’età del dono
    La proposta di alcuni “modi” che vengono presentati in segreteria è maturata nel confronto sul ruolo dei movimenti nel coinvolgere giovani lontani dall’esperienza ecclesiale in percorsi di fede, di accoglienza e di valorizzazione, sulla necessità di offrire adeguate esperienze di formazione della coscienza, sulla presenza di nuovi gruppi evangelizzatori nel panorama mondiale della nuova evangelizzazione, sulla ripresa sistematica di proposte di ascesi provenienti dalla tradizione cristiana e molto in sintonia con una sensibilità espressa dalla Laudato si’ nella cultura contemporanea, sulla presenza delle famiglie con diversabili in casa, sulla radicalità evangelica che deve essere proposta a tutti i discepoli del Signore, sulla chiamata alla maternità e paternità non solo biologiche come segno della maturazione umana e spirituale dei giovani e del loro ingresso nell’età del dono.


    CIRCOLO "GERMANICUS" (Tedesco)

    Quale sguardo sul mondo

    Il sì a questo mondo ma con discernimento
    Confermiamo prima di tutto un sì di principio al mondo presente, che si sta sempre più secolarizzando, e a tutto ciò che questo mondo ci offre di buono e di sfida. Naturalmente guardiamo a questo mondo anche con un discernimento differenziante. Infatti, rileviamo i fenomeni che fanno diventare il mondo più pluralistico in senso buono, ma anche quelli che rendono molti giovani più insicuri o rafforzano le loro esperienze di estraniazione, per esempio per quanto riguarda il trovare la propria identità. Per questo riteniamo che serve uno sguardo di “discernimento”, di approfondimento, sui fenomeni più spesso citati dai giovani: per esempio la libertà, la giustizia, la sessualità e le relazioni, il ruolo della donna, la digitalizzazione, il desiderio di accompagnatori autentici. E domandiamo che cosa impariamo noi, oggi, come Chiesa, se queste domande ci si presentano in modo tanto pressante.

    Abbiamo una fede unica nel suo genere
    Pensiamo che poi, in un secondo passo, dovremmo di nuovo ribadire gli elementi inauditi ma centrali della fede cristiana, ovvero che possiamo incontrare un Dio che ha un volto e un nome in Gesù; un Dio che si dedica concretamente a noi e alla nostra vita, che ci conosce e ci ama e che ci vuole condurre alla libertà. Vogliamo allora far capire che la nostra fede consiste soprattutto nel rispondere liberamente a questa dedizione di Dio, e che questa risposta a sua volta ci conduce nella libertà più grande e nella pienezza di vita. Nel modo in cui rispondiamo all’invito sempre valido che Dio ci rivolge si sviluppa, in modo sempre unico, passando ovviamente per alti e bassi, crisi e successi, la vocazione di ogni persona.

    Siamo anzitutto persone che ascoltano, non persone che già sanno
    Abbiamo inoltre voluto precisare che in ogni discernimento vocazionale e in ogni accompagnamento vocazionale si tratta di ascoltare e imparare a conoscere sempre di nuovo gli aneliti, i progetti, le speranze e le passioni dei giovani, ma anche le loro irrequietudini, paure e incertezze. Come persone più adulte vogliamo resistere alla tentazione di sapere già tutto su come si deve sviluppare la vita dei giovani e quale aspetto deve avere per loro una vita riuscita. Piuttosto, insieme a loro vogliamo diventare persone che percepiscono, guardano sempre di nuovo. Vogliamo imparare a vedere insieme dove e come le tracce della presenza di Dio si possono manifestare in ogni singola giovane vita.

    Impariamo con i giovani il modo in cui accompagnarli
    Vogliamo imparare a conoscere il battito del loro cuore, e in esso, metterci con loro all’ascolto del sommesso impulso di Dio per la loro vita; vogliamo imparare sempre di nuovo con loro, e anche da loro, la nostra capacità di discernimento, poiché ognuno viene chiamato da Dio come singola persona insostituibile, irripetibile. Vogliamo però anche essere accompagnatori che imparano a insegnare a discernere, a partire dalla propria maggiore esperienza di vita, che anche guardando indietro hanno appreso un po’ di più come i contesti, le esperienze, le decisioni e le presunte casualità nella vita si fondono per formare un cammino di vita unico. Vogliamo, nell’ascolto dello Spirito di Dio, dei giovani e del battito del nostro stesso cuore, essere ermeneuti (interpreti) e maieutici (“ostetrici”) della vita divina per loro e con loro. Vogliamo imparare a discernere con loro e da loro dove sono all’opera le forze del bene e dove invece quelle che fanno paura o che rinchiudono e sono distruttive.

    Lo Spirito di Dio promette e non fa paura
    Crediamo che Dio vuole sempre condurre verso una libertà, una gioia e un amore più grandi e che il suo Spirito talvolta può essere inquietante, ma che non fa mai semplicemente paura e non conduce in una via senza uscita, ma fa sempre nuove promesse e mostra il passo successivo verso una vita più grande. Crediamo che Dio, per amore immemorabile, pensa in grande per ognuno di noi. Crediamo che, come un artista amorevole, lavori per plasmare ogni cuore in modo da potervi prendere sempre più dimora, affinché ogni persona possa maturare fino a diventare un originale inconfondibile, unico e insostituibile del suo generoso amore. Perché poi la persona chiamata possa, da parte sua, collaborare sempre più a essere suo testimone e quindi partecipare sempre di nuovo all’edificazione di un mondo migliore e di una Chiesa più autentica.

    La vocazione e il discernimento interiore
    a. Il nostro dibattito sulla questione della vocazione ha prodotto quanto segue e proporremmo anche di ordinare l’intero capitolo in tal senso. Ogni persona viene chiamata in vita come creatura di Dio unica, insostituibile e non replicabile. Il senso di questa particolarità fa sì che anche molti non credenti sentano di essere chiamati su un cammino di vita che solo loro, e nessun’altro per loro, possono percorrere. Anche le persone che non credono in Dio, allora, non di rado parlano della loro vita e della loro professione come di un cammino vocazionale nel senso di una risposta data alle sfide nella loro vita e che non di rado compiono con grande dedizione verso le persone o per un determinato compito.
    b. Il circolo concorda sul fatto che i sacramenti di iniziazione come appartenenza a Cristo conducono in modo più profondo e chiaro alla vocazione di essere cristiani e popolo di Dio. In Cristo, Dio ha assunto un volto umano; e per mezzo della morte e risurrezione ha dischiuso una nuova dimensione della vita, del senso e del regno di Dio. Pertanto, molti cristiani si sentono chiamati alla sequela di Cristo o in questa nuova vita. Si lasciano ispirare da lui nella fede, cercano di orientare la loro vita alla sua; e lo fanno nei diversi modi di vita: come coniugi, come single e nelle diverse professioni e stili di vita nel mondo e nella società, e alcuni anche in un servizio specifico nella Chiesa.
    c. In senso più stretto, alcune persone vivono la chiamata di Cristo come un essere trascinati dentro al suo modo di vita, che si esprime nel celibato e negli altri consigli evangelici. Sentono di essere mossi personalmente da Cristo ed eletti in senso biblico per puntare tutto su un’unica carta e mettersi totalmente a sua disposizione, come persona, per il servizio al popolo di Dio. Da questa disponibilità e fermezza nasce poi la forma concreta di una vita consacrata o del servizio sacerdotale nello spirito dei consigli evangelici.

    La vocazione è un’espressione analoga
    In questo senso intendiamo la vocazione come «espressione analoga». Per noi è importante anche riconoscere che la vocazione non è un evento unico e poi concluso, ma si sviluppa lungo tutto il percorso della vita, non come un progetto di Dio ben definito, bensì come un cammino verso una sempre più grande libertà e dedizione, attraversando però anche alti e bassi. Riteniamo inoltre che il senso per la vocazione della persona può crescere e diventare più profondo quando si rapporta concretamente con la realtà, assumendo responsabilità e incontrando le altre persone, e attraverso l’incontro concreto con Cristo nella preghiera, nella sua parola, nei sacramenti e nell’esperienza comunitaria della Chiesa.

    La mancanza dell’esperienza: sono amato incondizionatamente
    Avvertiamo senz’altro che l’esperienza concreta delle persone di essere amate davvero e incondizionatamente per prime da Cristo spesso non è tanto diffusa o non è giunta molto in profondità nel cuore della gente. Fin troppo spesso crediamo di dover prima realizzare qualcosa, in qualsiasi forma, perché Dio ci veda e ci accetti. Uno dei compiti più importanti e fondamentali di tutti i membri della Chiesa è, pertanto, di mostrare ai giovani che sono amati semplicemente perché esistono, perché ci sono e perché sono loro, e non perché sono già bravi o conformati o produttivi o eccellono per determinate caratteristiche o seguono le pressioni del gruppo. La profonda consapevolezza di una vocazione cristiana, per principio, non può risvegliarsi se mancano queste esperienze dell’essere amati incondizionatamente.

    L’accompagnamento analogo e il pericolo dell’abuso spirituale
    Allo stesso modo comprendiamo anche “accompagnamento” come un’espressione analoga: intesa in senso lato, indica la responsabilità di tutti gli uomini gli uni per gli altri, specialmente come comunità della Chiesa. I giovani vengono accompagnati da molte persone, soprattutto anche in famiglia, dai loro amici o da giovani più grandi; e poi da tutte le persone con più esperienza che sono ben disposte verso di loro, per esempio a scuola, nella formazione, nelle associazioni sportive o in altre forme associative. In senso più stretto, l’accompagnamento è l’accompagnamento di vita specifico, volto a riconoscere l’azione di Dio nella vita di un giovane o a sostenerlo nelle decisioni da prendere. Ci teniamo a ribadire che in questo l’assistenza psicologica o psicoterapeutica può essere molto utile, ma è distinta dall’accompagnamento spirituale e inoltre necessita di competenze professionali. Naturalmente è indispensabile anche il sano buon senso. Consideriamo inoltre molto importante segnalare il pericolo di abusi nell’accompagnamento: abuso di potere, abuso di fiducia, abuso che consiste nel creare un rapporto di dipendenza succube o nella violenza sessuale. Suggeriamo dunque espressamente che anche l’accompagnatore si sottoponga ad accompagnamento e che scelga una forma di supervisione.


    CIRCOLO "HISPANICUS" (Di lingua spagnola)

    A
    La gioventù come luogo teologico

    Riuniti nel nome del Signore e posti alla sua presenza e nelle sue mani mediante la preghiera, abbiamo avviato i lavori ascoltando alcuni suggerimenti del moderatore per riflettere e focalizzare i nostri apporti. È poi seguito uno scambio di opinioni e di commenti, alcuni di carattere generale, altri specifici, dai quali in un secondo momento sono nati i modi.
    Vediamo i commenti.
    - C’è un’impressione generale, confermata da molti interventi, che nella seconda parte - che oltre a essere breve, è debole e molto dottrinale, sebbene secondo il metodo corrisponda all’“interpretare” - non si fa interpretazione né si dà concretezza, a partire dalla fede, a quanto letto nella prima parte.
    - Occorre proporre il tema della gioventù come un “luogo teologico” da cui Dio, attraverso i giovani, sta dicendo qualcosa alla Chiesa. Il tema della gioventù come “luogo teologico” ha suscitato un ampio scambio di commenti, raccolti in un modo per mettere in evidenza che è “luogo teologico” non solo perché è vita e sottolinea l’importanza dei giovani, ma anche per il momento e la situazione di frattura culturale che i giovani stanno vivendo per il cambiamento di epoca, l’inserimento in un mondo digitale senza criteri, la mancanza di significato della vita. È vero che il “luogo teologico” non è un termine univoco bensì analogo, ma, così come il concilio parla dei “segni dei tempi”, i documenti delle conferenze generali dell’America latina e dei Caraibi parlano dei «volti sofferenti di Cristo» che ci interpellano, e tra questi ci sono quelli dei giovani.
    - Nell’aula si è insistito sul bisogno del discernimento nella comunità ecclesiale; bisognerà perciò modificare la seconda parte per eliminare la sensazione di un discernimento individuale.
    - La lettura della seconda parte suscita delusione perché, mentre nella prima parte si parla dei giovani in generale, quelli di dentro e quelli di fuori, nella seconda si parla solo di quelli che hanno la vocazione. Che cosa è successo agli altri? Quali dinamismi provocano o aiutano il discernimento? In termini generali, non c’è legame tra le sfide antropologiche della prima parte e ciò che si propone nella seconda, il che esige che si compia un esercizio teologico per interpretare la realtà con gli occhi della fede, come si propone all’inizio del n. 74, cosa che non si realizza.
    - Il brano di Emmaus risulta molto significativo ed espressivo per unire il discernimento e il riconoscimento. In esso si percepiscono i quattro passaggi: stupore, conversione, riconoscimento nella cena, missione. È vero che il testo di Emmaus si usa per tutto, per cui parlando dei giovani si potrebbero citare altri testi, come quello della figlia di Iairo o del figlio della vedova di Naim, dove c’è un forte appello alla vita.
    - Si dice che i giovani sono una benedizione; a tale proposito si potrebbero citare molti testi biblici: Davide-Gionata, Davide-Golia, Giuseppe e i suoi sogni, la serva di Naaman il Siro, Saulo e Stefano... Ma non basta citare testi, bisogna spiegarli.
    - Nel capitolo secondo è assente tutta la dimensione corporea; sembra un’evangelizzazione dei giovani che guarda solo alla vocazione religiosa o sacerdotale.
    - L’accompagnamento deve essere comunitario, senza escludere quelli che siamo usciti a cercare, tenendo conto che la vocazione è una scelta di vita con una grande diversità di opzioni, e accompagnare è un atto di amore in uscita.
    - Non si può ignorare la realtà dei giovani nelle maras e nelle bande: il loro unico amore è quello del gruppo e non è facile entrare in quegli ambienti tanto chiusi, e non è neanche facile per i giovani uscirne. Ci si interroga anche su come agire con gli omosessuali, che non possono essere esclusi dalla nostra pastorale, e su altre realtà come i matrimoni tra omosessuali, la gravidanza surrogata, l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso, temi tutti molto attuali, sostenuti e patrocinati da istituzioni governative internazionali.
    - Esiste una dicotomia tra la prima e la seconda parte: mentre nella prima figuriamo in un atteggiamento umile di ascolto, nella seconda dettiamo ricette e soluzioni. Non possiamo dimenticare che Gesù morto e risorto deve attraversare tutta la seconda parte, dove ci deve essere lo spirito delle beatitudini e di Matteo 25.
    - Viviamo in un mondo culturalmente cristiano, ma essenzialmente pagano e questo condiziona l’accompagnamento. Ma dobbiamo anche tener conto del discernimento all’interno della Chiesa e della gerarchia: ci sono molti sacerdoti che stanno aspettando l’accompagnamento del loro vescovo.
    - La fede è un’avventura e bisogna aiutare i giovani ad andare avanti, come Mosè con Giosuè o Eli con Samuele.
    - La Chiesa è chiamata a garantire che il giovane risponda alla chiamata del Signore. E così il discernimento assume un significato di riconciliazione con se stessi, con il mondo, con gli altri. Come nella scena del giovane ricco, dove il giovane cerca Gesù perché lo colmi e Gesù gli propone di svuotarsi di se stesso.
    - Quando parliamo dei giovani in questa parte, a che fascia d’età stiamo pensando: 16-19 anni? Dopodiché scompaiono nella vita della Chiesa. Inoltre il linguaggio non è inclusivo perché, come abbiamo detto prima, sembra che ci si rivolga solo a quanti stanno dentro e, dentro, solo a quanti stanno in processo vocazionale di vita religiosa o sacerdotale. E le coppie sposate? E i single? Il tema viene menzionato solo come una sfida del sinodo.
    - Al n. 73, citando Papa Francesco, si dice che una «fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi», ma sembra di nuovo che si parli solo del dentro perché, ad esempio, non si parla del discernimento politico.
    - Sembra che ci sia un salto tra le due parti, perché si passa da uno sguardo variopinto sui giovani nella prima a una vita lineare nella seconda: nascere, crescere, sviluppare la propria vocazione, riprodursi e morire, il che sembra riportarci a una pastorale di conservazione.
    - Si dice che i giovani vogliono autenticità, si parla di Dio, ma Dio è assente dalla vita reale. Dov’è l’autenticità?
    - Il tema della vita consacrata è presentato poveramente.
    - Si è dedicato ampio spazio a dibattere il tema dell’“essere single”. È un tema complesso, in cui occorre discernere se si tratta di un fenomeno sociologico o vocazionale, se lo si vive per scelta o per semplice comodità, se è un dedicarsi al servizio degli altri o puro e semplice egoismo. Il tema non solo merita una riflessione fiduciosa in questa parte, ma bisogna già pensare alla terza. In ogni modo, ci deve essere una parola d’incoraggiamento per quanti hanno fatto tale scelta, molti dei quali sono vicini alla Chiesa. In questo ambito occorre pensare anche a quanti sono diventati single dopo aver fallito in un matrimonio assunto e accettato per “pressione sociale”. Per focalizzare il tema da una prospettiva vocazionale bisogna tener presente che la vocazione è sempre qualcosa di relazionale e ha una prospettiva di amore e dedizione.
    - Quando si parla di accompagnamento e discernimento, bisogna pensare che da un lato richiedono una presenza e dall’altro deve apparire esplicitamente l’azione dello Spirito Santo. Inoltre, non si può trascurare il fatto che anche l’accompagnatore deve essere accompagnato e che l’accompagnamento è un elemento per tutti e non solo nel tema vocazionale.
    - Attraverso il discernimento, il giovane deve scoprire la sua identità profonda e l’apporto unico che può e deve dare alla società e alla Chiesa.
    A partire da queste riflessioni sono stati elaborati e presentati i modi che, discussi, rielaborati, migliorati e ampliati, sono stati approvati, in totale 37, a maggioranza assoluta.

     

    B
    Vicini alle fragilità

    Il circolo minore Spagnolo B nella sua riflessione si trova d’accordo con la seconda parte dell’Instrumentum laboris. In linea generale ci sentiamo riflessi in essa. Abbiamo tuttavia condiviso alcune riflessioni e segnalato alcune idee che possono completarla.
    Se la Chiesa è chiamata a essere giovane è perché Cristo è giovane. In questo consiste l’eterna giovinezza della Chiesa, che guarda ai giovani con fiducia e amore, camminando nel tempo e verso gli obiettivi ultimi della storia e della vita; è la vera gioventù del mondo.
    È importante inoltre sottolineare che la gioventù costituisce un luogo teologico, sebbene non esclusivo, perché incontriamo Dio anche nell’anziano, nel malato, e via dicendo. Nei giovani il Signore ci rivela la sua presenza. Ogni giovane è “terra sacra” dinanzi alla quale dobbiamo “toglierci le scarpe”, per poterci avvicinare e approfondire il mistero. I documenti del magistero latinoamericano ci parlano dei volti sofferenti del continente e tra questi c’è il volto dei nostri giovani, luogo d’incontro con Dio.
    Riteniamo di dover includere quei giovani che hanno bisogni educativi particolari, intendendo tutta la gamma di fragilità (fisiche, psichiche, intellettuali, socio-culturali), i quali, nonostante il loro limite, sono soggetti attivi di trasformazione nei loro ambienti. Tale limite è una possibilità che apre a rapporti di reciprocità solidale ed è quindi un dono per le loro comunità. La Chiesa deve accoglierli, includerli con coraggio. Ci sono esperienze di questo tipo in molti luoghi, come ad esempio tra le missionarie della carità di santa Teresa di Calcutta. Anche quei giovani sono soggetti di azione.
    Chiediamo inoltre ai redattori del testo definitivo che, nei diversi punti in cui si fa riferimento alla bellezza e alla gioia dell’amore (come dice Papa Francesco), si esprima in modo positivo tutto il bello che racchiude in sé l’amore umano vissuto a partire da Dio. Allo stesso tempo, pensiamo che si possano esprimere in modo adeguato la fragilità e il peccato come manifestazioni della nostra fragile condizione umana. Quando parliamo della gioventù non possiamo partire da una visione negativa, perché non tutti i giovani vivono questa realtà.
    Perché in un giovane nasca la gioia si deve sentire amato, accolto da una famiglia, da una comunità ed essere così consapevole delle sue possibilità per scoprire e valorizzare il suo corpo e anche per comprendere i suoi limiti. Da quel momento il giovane può capire la paternità e la maternità di Dio.
    Il giovane ha bisogno dell’accompagnamento e questo è frutto dell’amore di Dio che esce a cercarci e accompagnarci, non solo i giovani vicini ma anche quelli più lontani. Nell’accompagnamento, aiutati da un accompagnatore, ascoltiamo lo Spirito che ci sta guidando. Ma l’accompagnamento non è legato solo al discernimento vocazionale; è necessario in tutta la nostra esistenza. Accompagnare è camminare insieme, l’accompagnato e l’accompagnatore. Non possiamo concepire l’accompagnamento come un adulto che sa tutto e un giovane che non sa nulla. La frase «rispetto a un adulto, al giovane manca l’esperienza» potrebbe essere espressa in modo diverso, evitando così una terminologia di paragone.
    Abbiamo però trovato un vuoto molto grande nell’Instrumentum laboris. Il titolo del sinodo è: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Riteniamo però che i temi della fede, dei processi di formazione nella fede e dell’incontro con Gesù siano trattati in modo superficiale. Manca proporzione in tal senso. Bisogna riprendere il cammino dei processi e del catecumenato dei primi cristiani. In questa stessa ottica crediamo sia necessario introdurre un numero che parli del sacramento della confermazione. Al riguardo proponiamo un modo.
    Riteniamo anche che per il primo capitolo di questa seconda parte si debba usare una o più icone bibliche per una lettura continuativa e interpretativa della realtà alla luce della Parola di Dio e dell’antropologia cristiana. Ne proponiamo due: i giovani di Emmaus (Luca, 24, 13-35) e Gesù e il giovane ricco (Marco, 10).
    Rispetto al secondo capitolo segnaliamo che nella società attuale si è perso il significato della parola vocazione. È pertanto necessario chiarire e ampliare bene che cosa significa vocazione. Un servizio ai giovani sarebbe quello di recuperare questo termine come un appello di Colui che chiama, distribuisce i suoi doni e attende una risposta.
    Suggeriamo pertanto che nell’introduzione del capitolo (numeri 85 e 86) si spieghi il significato della parola vocazione, cercando di esprimere il suo significato originale e tutta la sua ampiezza. La persona viene intesa nel suo essere più profondo come vocazione: «Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione» (Populorum progressio, n. 15). La nostra vocazione profonda è la chiamata all’amore. «Nel cuore della Chiesa, io sarò l’amore», (santa Teresa del Bambino Gesù, Autobiografia).
    Ogni uomo, ogni donna, è chiamato alla vita, alla dignità, alla vita cristiana e, in questa pedagogia di Dio, si giunge alle vocazioni specifiche. Per questo suggeriamo di presentare un ordine pedagogico:
    - Vocazione umana: ogni vita è vocazione;
    - Vocazione cristiana: sequela di Gesù, missione (servire);
    - Vocazioni specifiche nella Chiesa / stati di vita / cammini vocazionali.
    - Rispetto al tema professionale (n. 104), suggeriamo di presentare la professione come espressione o servizio che si vive ed esercita a partire dalle opzioni vocazionali specifiche.
    È importante chiarire la vocazione del laico, perché spesso la si concepisce solo all’interno della Chiesa (lettori, accoliti, catechisti, etc.). È giusto, ma la vocazione laicale è la carità sociale o carità politica, come viene chiamata nel magistero della Chiesa, è un impegno concreto a partire dalla fede nella costruzione di una società nuova, è vivere in mezzo al mondo e alla società per evangelizzare le sue diverse istanze, per la diffusione del Regno di Dio. Il concilio Vaticano II ha illustrato la missione propria dei laici, vocazione a cui è chiamata la maggior parte del Popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 31).
    È anche importante vedere il tema della vocazione come un processo comunitario e non solo individuale: io cammino con altri e in questo cammino scopro o confermo la mia chiamata.
    Riteniamo infine che occorra prendere coscienza del fatto che tutta la pastorale giovanile è necessariamente vocazionale, perché, in caso contrario, diventerebbe una ong. Se non c’è discepolato, difficilmente si riesce a discernere la vocazione.
    Constatiamo inoltre che, nel campo del “discernimento vocazionale”, la Chiesa ha una grande opportunità attraverso questo tipo di accompagnamento, perché «molti giovani non sanno rispondere quando si chiede loro quale sia il senso della vita» (n. 106). Ma, benché sviluppato abbastanza bene sotto molti aspetti, il tema lascia un po’ in ombra la dimensione comunitaria del discernimento. La comunità aiuta a discernere. Nell’antichità non si parlava di direzione spirituale, ma quest’ultima si realizzava in comunità attraverso il discernimento.
    Deve essere questa la parte più pedagogica del documento, che ci deve offrire modelli per metterla in pratica. La lectio divina, al pari della preghiera, l’esame di coscienza e il silenzio sono strumenti che ci aiutano molto nel discernimento. Si percepisce un bisogno speciale di iniziare al silenzio per tutti ma, soprattutto, per i giovani, vista la poca importanza che gli si dà nella società attuale.
    Nel discernimento la coscienza dei giovani deve essere tutelata ed educata alla libertà, rispettando questo spazio sacro dell’essere umano. La Chiesa deve custodire, procurare e impedire che venga violato o manipolato.
    Infine, proponiamo che in questo capitolo sul discernimento il documento includa, in modo concreto e semplice, il succedersi dei passi del discernimento, in uno stile simile a quello espresso nel documento preparatorio nel capitolo intitolato «Il dono del discernimento» (p. 13).
    Riguardo al quarto capitolo, dobbiamo dire che l’accompagnamento che la Chiesa desidera per ogni giovane si esprime anzitutto nelle situazioni quotidiane, spesso non esenti da difficoltà, nelle quali i giovani hanno un’opportunità di crescita umana, sentendo in modo incondizionato il sostegno e la vicinanza nelle persone che li accompagnano (donne e uomini, laici e laiche, consacrati e sacerdoti).
    A volte quegli stessi giovani saranno capaci di crescere in un cammino di maturazione che giungerà all’accompagnamento spirituale e persino vocazionale.
    L’accompagnamento implica anche un processo e non è fatto di momenti separati. Chi accompagna deve stare vicino, deve essere amico. In America latina ci sono esperienze di laici e di coppie sposate che hanno vissuto un processo pedagogico di educazione alla fede nei loro rispettivi gruppi giovanili e poi sono diventati consiglieri di quelli più giovani di loro. L’accompagnamento si vive anche attraverso i gruppi. Oltre ai seminaristi, hanno bisogno di accompagnamento i religiosi, le religiose, le vergini consacrate e i laici e le laiche consacrati in formazione.


    CIRCOLO "LUSITANUS" (Portoghese-Brasiliano)

    Superare clericalismo e mondanità spirituale

    Il circolo, a partire dalle istruzioni ricevute, ha individuato i seguenti nuclei generativi:
    - La benedizione della gioventù: è un’espressione felice, interessante e ricca, ma che bisogna spiegare meglio. In questa seconda parte è anche necessario dare un fondamento migliore alla dimensione biblica, poiché molti giovani non capiscono quando si parla dei personaggi biblici. In questo capitolo manca una storia narrativa di fondo, come sarebbe, per esempio, quella dei discepoli di Emmaus, che reinterpretano la propria vita alla luce del Cristo pasquale. Nel riconoscere gli elementi di benedizione dei giovani, non possiamo dimenticare il lato fragile della loro esistenza, che può trasformarsi in opportunità e luogo teologico.
    - La dimensione umana, antropologica: nel cuore di ogni giovane c’è l’aspirazione alla felicità, il desiderio di essere considerato, valorizzato e amato. In un contesto d’incertezza, precarietà e insicurezza, i giovani hanno bisogno della vicinanza di una Chiesa che si renda presente nella loro vita soprattutto a partire da altri giovani che, sulla base della loro esperienza di fede, possano scaldare i cuori freddi e indifferenti con la loro disponibilità ad accogliere, camminare insieme e rendere ragione della speranza che è in loro.
    - Il mutamento di epoca ci sfida a ripensare la fede e il modo di viverla nel mondo di oggi. C’è un cambiamento del modo in cui i giovani vedono la realtà, interpretano la vita, quali che siano le prospettive di futuro e di realizzazione personale. Questa epoca di transizione, in tutta la sua complessità, deve essere vista come un’opportunità. La persona di Gesù Cristo può essere chiave di risposta per le sfide e segnale di speranza per i giovani che non riescono a dare un senso alla propria vita.
    - Il fenomeno dell’immigrazione: si parla molto dell’immigrazione giovanile africana verso altri continenti, nonostante avvenga principalmente all’interno del proprio continente. In questo contesto di fragilità, i giovani immigrati soffrono per lo scontro culturale e sono molto spesso assoldati da diversi gruppi, religiosi o meno. Come accompagnare questi giovani, valorizzare le loro potenzialità e promuovere la loro integrazione ed evangelizzazione?
    - Il linguaggio giovanile: privilegiare, nel dialogo con i giovani, il linguaggio esistenziale, di vicinanza, di relazione, di amore gratuito, disinteressato, che tocca loro il cuore, giunge alla vita, risveglia la speranza e il desiderio di bene. Occorre avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore. Il linguaggio che i giovani capiscono è quello di chi dà la vita, di chi sta lì per loro, di chi, nonostante i suoi limiti e le sue debolezze, cerca di vivere con coerenza la propria fede.
    - Per quanto riguarda la fede e la sua trasmissione (n. 82), nel suo rapporto anche con la dimensione vocazionale, constatiamo che la crisi delle vocazioni comincia con una crisi di fede. Spesso la fede oggi è trasmessa anche per vie non tradizionali, come nel caso di genitori che si risvegliano alle fede attraverso la testimonianza dei figli e di molti giovani grazie ad altri giovani. Molti ignorano, altri s’interrogano, altri sono influenzati da ideologie o da informazioni scientifiche in campi in cui non sempre c’è un consenso. Partendo dai principi basilari dell’insegnamento cristiano (come il valore della vita umana e la dignità del corpo), è possibile aprire cammini di dialogo con i non-credenti. La dottrina della Chiesa in questo campo è bella e ricca. Bisogna presentarla con chiarezza, confidando nella forza di attrazione che contiene e superando la visione di quanti la vedono soltanto come qualcosa di rigido.
    - Maturità e santità: Gaudete et exsultate è un testo toccante, che demistifica molti aspetti della comprensione della santità, presentandola come una chiamata per tutti. Occorre far sì che il contenuto di questo documento arrivi alla base, ai giovani. Primo nell’ordine dell’intenzionalità è il fine. L’ideale del giovane maturo è la santità. La scoperta di Cristo fa sì che le potenzialità del giovane si dispieghino pienamente. Il giovane che ricerca la maturazione, che ha come meta la santità, ha bisogno di elaborare e costruire un progetto di vita. Ha bisogno di essere aiutato a guardare il suo passato e a pensare al suo futuro (dove vuole arrivare), affinché possa fare le sue scelte nel presente.
    - Discernimento: abbiamo constatato la difficoltà a capire che cos’è e come si compie il discernimento, a causa della pluralità delle accezioni del termine (n. 108), data la realtà complessa in cui viviamo. Per questo ci sembra positiva l’accentuazione del discernimento come una realtà dinamica, uno stile di vita (n. 111), che accompagna tutte le fasi della vita. Tuttavia è nella fase della gioventù che è più pressante, perché è in tale fase che si compiono alcune scelte fondamentali. Abbiamo sottolineato nel processo di discernimento alcuni elementi essenziali, come la conoscenza della realtà, la preghiera, l’illuminazione da parte della parola di Dio, l’accompagnatore e la decisione, che comporta una dimensione di avventura, illuminata dalla fede, a volte accompagnata dalla paura, ma confermata dai frutti che genera. In questo contesto, abbiamo evidenziato l’importanza dell’esercizio della libertà e del seguire la voce della coscienza. Non deve mancare la prospettiva biblica, ponendo Gesù al centro del processo, in una prospettiva di discepolato. Non bisogna però limitarsi alla dimensione psicologica. È un processo che si svolge a partire da un incontro con Dio e dai segni che Dio pone nella vita delle persone, con momenti di oscurità e di luce, sostenuti dalla fede. Ci siamo anche chiesti che cosa facciamo come Chiesa rispetto al discernimento nella vita delle persone che non hanno fede.
    - Vocazione: ci siamo posti la domanda su come s’intende realmente il termine vocazione. Abbiamo constatato che, spesso, è una parola poco simpatica ai giovani e compresa in modo riduttivo. La vocazione è un dono e una grazia per il popolo di Dio, non è in primo luogo per il proprio profitto. Abbiamo anche sottolineato che la prima chiamata è la santità, sull’esempio di Gesù, che passò per il mondo facendo il bene. In questo cammino il giovane incontra anche la sua vocazione specifica. La vocazione, però, è dinamica, perché comporta scelte nel corso di tutta la vita. Abbiamo anche osservato che il sinodo dovrebbe fare una riflessione sulla vocazione di quanti rimangono singoli senza nessun riferimento a una consacrazione in particolare e al matrimonio (n. 105). È il caso anche della realtà delle persone con orientamento omosessuale. Non è missione della Chiesa dare una risposta a tutte queste realtà particolari, ma è suo obbligo prendersi cura, accompagnare e aiutare il giovane a dare un orientamento e un senso alla propria vita, aiutarlo a fare il bene.
    - Accompagnamento: come dice l’Instrumentum laboris, l’accompagnamento è un’“arte”, ossia, da un lato non tutti hanno il dono naturale di farlo, e dall’altro è una capacità che può essere sviluppata. L’arte di accompagnare non s’improvvisa. Da qui l’importanza di promuovere la formazione di accompagnatori come una priorità. Constatiamo però la mancanza di accompagnatori e il bisogno di preparare persone alla padronanza di questa arte, persino tra il clero. Riteniamo importante che anche i laici possano assumere il servizio dell’accompagnamento. In questa ottica, abbiamo inoltre parlato dell’importanza dell’accompagnamento dei giovani da parte di altri giovani, che, a loro volta, dovrebbero aver fatto una buona esperienza dell’essere accompagnati. Il n. 115 offre validi elementi sui buoni strumenti per l’accompagnamento. Abbiamo suggerito che s’includa l’importanza dell’accompagnamento della comunità cristiana e abbiamo sottolineato alcune qualità indispensabili, tra le quali una profonda esperienza di vita spirituale e di bontà. Il n. 132 offre una sintesi molto completa sulle caratteristiche dell’accompagnatore, formulata dagli stessi giovani nell’incontro pre-sinodale, e che va tenuta presente. Abbiamo anche sottolineato il bisogno di un’esperienza di vulnerabilità per comprendere bene l’accompagnato, ricordando la scelta di Pietro per Gesù, per «confermare» i suoi «fratelli» (cfr. Luca 22, 32). Alcuni movimenti ecclesiali hanno proposte di accompagnamento, ma è necessario che i giovani le possano trovare anche nelle strutture di pastorale giovanile diocesana e parrocchiale. C’è un gran numero di consacrati che potrebbe prestare questo servizio di accompagnamento. In molti luoghi si osserva che i giovani hanno difficoltà a frequentare il sacramento della Riconciliazione e che ciò si deve, in parte, al modo in cui è presentato e celebrato. Riguardo alla formazione dei seminaristi, abbiamo sottolineato il bisogno di aiutare a superare la tendenza al clericalismo e alla mondanità spirituale, educando all’umiltà e al servizio. Aiuterebbe molto la presenza nelle strutture di formazione di laici e di coppie sposate, e non solo di religiosi. Abbiamo suggerito di offrire ai seminaristi l’esperienza pastorale dell’accompagnamento dei giovani. Nel processo di accompagnamento è opportuno tener presente anche la dimensione della correzione fraterna, citata al n. 133. Abbiamo anche considerato che l’espressione «direzione spirituale» non è la più appropriata, poiché si tratta di un servizio di accompagnamento spirituale. In tutto questo c’è bisogno di conversione istituzionale e pastorale, che speriamo e auspichiamo avvenga nel seguito di questo sinodo.


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