Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Il futuro nella Bibbia (cap. 1 di: Il futuro dell'uomo nel futuro di Dio)


    Carmine Di Sante, IL FUTURO DELL'UOMO NEL FUTURO DI DIO. Ripensare l'escatologia, Elledici 1994


     

    Il profetismo

    L'idea del futuro è della Bibbia, che l'ha generata, alimentata e dispiegata in una molteplicità di immagini e di figure che, anche se tra loro a volte sembrano contraddirsi (come, ad esempio, l'apocalittica e il messianismo) rimandano, comunque, a una stessa lontana matrice.

    Non è facile datare l'inizio di questa «invenzione», ma è opinione comune, nel mondo degli studiosi, fissarlo con il profetismo, il grande movimento sorto in Israele dal sec. VIII in poi in seno all'istituzione monarchica e caratterizzato da uno sguardo che va oltre il presente per cogliervi, al di là, il suo ribaltamento, in un futuro più o meno imminente.

    Due sono i tratti di questo sguardo che, come quello di Balaam, il veggente di Moab al tempo di Balak, è «sguardo penetrante» (cf Nm 24,3), che vede oltre la superficie e l'apparenza.

    Il primo è la critica al dato, all'esistente, al costituito e all'istituito, cioè alla realtà: non la realtà in senso naturale (la realtà cosmologica), bensì la realtà in senso sociopolitico (la realtà istituzionale) che, per il profetismo, a livello storico, coincide con l'istituzione monarchica e con la figura del re che la rappresenta. Secondo il salmo 72 - salmo di intronizzazione o «regale» perché forse utilizzato in occasione della intronizzazione o incoronazione del re - compito del re è quello di garantire soprattutto «diritto» e «giustizia» ai poveri, rappresentando sulla terra la stessa regalità di Dio:

    Regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine.

    Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia.

    Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,

    salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore.

    (...).

    Egli libererà il povero che grida

    e il misero che non trova aiuto,

    avrà pietà del debole e del povero

    e salverà la vita dei suoi miseri.

    Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,

    sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue...

    (Sal 72,1ss).

    La critica profetica è denuncia della regalità - cioè dell'ordine costituito - perché da trasparenza della regalità di Dio, che è sollecitudine per i poveri e gli oppressi, si è fatta strumento di ingiustizia e di violenza, negando la sua origine e contraddicendo il suo senso; ed è denuncia radicale e senza appello, perché fatta non in nome di un'analisi razionale o di un'ideologia particolare alla quale il profeta aderisce, bensì nel nome stesso di Dio di cui rivendica di essere, contro voglia, il porta-parola. Profeta, secondo l'etimo greco, vuol dire, infatti, «colui che parla» (participio di phemi, parlare) «al posto di», «invece di» (pro); mentre secondo l'etimo originale ebraico (navi) vuol dire «colui che chiama» oppure «colui che è chiamato». Il profeta, pertanto, non è colui che prevede il futuro, come vuole l'accezione comune fuorviante, ma colui che pronuncia sul presente una verità comunicatagli da Dio e, per questo, incondizionata e assoluta come Dio.

    Da notare che l'idea di una critica alla figura regale rappresenta una novità che non ha riscontri nelle aree culturali limitrofe (ad es. quella egiziana o mesopotamica) per le quali il divino fa corpo con la totalità cosmica e istituzionale che il monarca incarna e personifica.

    La denuncia profetica, al di là del suo spessore critico, investe, pertanto, l'ordine stesso metafisico, e introduce un nuovo concetto del divino (e, perciò, del reale, sia cosmologico e sia antropologico) la cui rivelazione non è più il Tutto di cui si è parte, ma la parola libera e sovrana che trascende tutto e può servirsi di tutto.

     

    Il futuro profetico

    Se il primo tratto del profetismo è la denuncia del presente colto nella sua difformità con il divino di cui non è più espressione ma tradimento, il secondo è l'annuncio della sua reversibilità (a differenza del Fato o della Necessità della grecità per la quale le situazioni di male sono immodificabili), del suo ribaltamento.

    Anche per questo annuncio, come per la denuncia, il profeta non si basa sui suoi convincimenti (perché ottimista, decisionista, razionale o «incosciente», ecc.) ma sulla volontà di Dio della quale è interprete, a volte contro i suoi stessi convincimenti e interessi. Non è quindi nella sua indole utopica o desiderativa che il profeta fonda la certezza di questo ribaltamento bensì nel volere divino colto e accolto incondizionatamente e che promette di intervenire nella storia attraverso un inviato dai tratti peculiari chiamato «messia», che vuol dire «unto», «consacrato» (nel Nuovo Testamento, scritto in greco, questo termine è tradotto con «cristo» che diventa l'attributo per eccellenza di Gesù).

    Ma a quando questo ribaltamento in cui il negativo è eliminato e ad esso fa seguito il positivo?

    La risposta profetica non lascia dubbi al riguardo: in un futuro imminente che, per quanto lontano dal presente, resta sempre a portata di mano - cioè oggetto di attesa e di speranza - se non dell'individuo, della comunità alla quale egli appartiene.

    Il testo profetico esemplare dove la promessa di Dio e il futuro si intrecciano in una mirabile unità è Isaia 11,1-9, un testo datato, con probabilità, intorno all'anno 700 a. C. e che, per molti autori, costituisce l'inizio vero e proprio del messianismo ebraico:

    Un germoglio spunterà dal tronco di lesse un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza,

    spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore.

    Non giudicherà secondo le apparenze

    e non prenderà decisioni per sentito dire,

    ma giudicherà con giustizia i miseri

    e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.

    La sua parola sarà una verga

    che percuoterà il violento;

    con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.

    Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,

    cintura dei suoi fianchi la fedeltà.

    Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,

    la panterà si sdraierà accanto al capretto,

    il vitello e il leoncello pascoleranno insieme

    e un fanciullo li guiderà.

    La vacca e l'orsa pascoleranno insieme;

    si sdraieranno insieme i loro piccoli.

    Il leone si ciberà di paglia, come il bue.

    Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;

    il bambino metterà la mano

    nel covo di serpenti velenosi.

    Non agiranno più iniquamente

    né saccheggeranno tutto il mio santo monte,

    perché la saggezza del Signore

    riempirà il paese

    come le acque ricoprono il mare (/s 11,1-9).

    In questo testo mirabile, senza il quale buona parte della cultura occidentale resta incomprensibile, ritroviamo gli elementi fondamentali dell'annuncio profetico: l'intervento sicuro di Dio attraverso il suo inviato («figlio di Tesse», cioè un discendente di Davide), la fine dell'ingiustizia e dell'oppressione di tutti i poveri e di tutti i miseri e, infine, l'instaurazione di un mondo senza violenza non solo a livello umano ma a livello stesso del regno animale.

    Ciò che qui è importante sottolineare è che questo futuro di ribaltamento del negativo e di instaurazione del positivo non si colloca al di fuori del tempo e neppure in un futuro irraggiungibile ma nell'arco temporale e storico.

    Il futuro inteso biblicamente è, quindi, storico e temporale e la sua proiezione in uno spazio metaempirico non è fedeltà al testo biblico ma cedimento alla «teoria dell'aldilà» che N. Lohfink, grande esegeta tedesco, denuncia con forza come un'operazione ideologica' difficile da smascherare anche per studiosi di fama come lui: «Mi è costato un faticoso impegno e molto lavoro scuotere fino alle radici la teoria dell'aldilà per l'introduzione delle promesse profetiche».[1]

     

    Chi realizzerà il futuro profetico?

    Ma a quando, in concreto, l'irrompere del futuro di Dio e il suo realizzarsi?

    Nella mente dei primi profeti il futuro annunciato viene fatto coincidere con la comparsa imminente, sulla scena politica, di nuove figure regali che, a differenza di quelle fino allora conosciute, avrebbero rappresentato con trasparenza la regalità di Dio: la sua «giustizia» e la sua sollecitudine per i poveri e gli oppressi. Nel testo appena citato, infatti, «il germoglio che spunterà sul tronco di Jesse» è un discendente della linea regale davidica; lo stesso vale per l'altro celebre testo di Geremia 23,5-6 (fine del VII secolo) dove, come nel precedente, il futuro è ancora incarnato in una figura regale.

    Ma quando l'esperienza comincia a insegnare con disincanto che i re che si succedono non sono migliori dei precedenti e che la maggior parte di loro, senza eccezione, continua ad essere infedele a Dio, e quando soprattutto, con la presa e la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 587, la monarchia scompare definitivamente, nella coscienza di Israele e dei suoi profeti si fa strada l'idea che il futuro atteso si realizzerà attraverso l'avvento di un re altro dagli altri, cioè attraverso l'apparizione di figure non più regali.

    Per Ezechiele, che vive tra gli esiliati ebrei a Babilonia nel secolo VI a. C., a instaurare il futuro della giustizia e della pace non sarà più il successore della famiglia davidica bensì Davide stesso redivivo:

    Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo.

    Egli le [ = greggi] condurrà al pascolo, sarà il loro pastore;

    io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide, mio servo,

    sarà principe in mezzo a loro:

    io il Signore ho parlato.

    Stringerò con esse un'alleanza di pace

    e farò sparire dal paese le bestie nocive,

    cosicché potranno dimorare tranquille anche nel deserto

    e riposare nelle selve (34,23-25).

    Per il Deutero-Zaccaria, invece, vissuto all'incirca nel IV secolo a. C., il futuro sarà ancora realizzato da un re, ma al di fuori ormai della linea davidica:

    Esulta grandemente, figlia di Sion,

    giubila, figlia di Gerusalemme!

    Ecco, a te viene il tuo re.

    Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino,

    sopra un puledro figlio di asina.

    Farà sparire i carri da Efraim

    e i cavalli da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato,

    annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare

    e dal fiume ai confini della terra (Zc 9,9-10).

    Per Malachia, testimone, dopo la ricostruzione del tempio da parte dei reduci dall'esilio babilonese, delle ingiustizie di sempre, a instaurare il futuro promesso non sarà più un re ma un personaggio straordinario del passato di nome Elia:

    Ecco, io invierò il profeta Elia

    prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore,

    perché converta il cuore dei padri verso i figli

    e il cuore dei figli verso i padri;

    così che io venendo non colpisca

    il paese con lo sterminio (M1 3,23-24).

    Per Daniele, infine, testimone, secondo la critica biblica più recente, della persecuzione di Antioco Epifane e del rischio della scomparsa della fede dei padri, a realizzare il futuro promesso sarà una figura così straordinaria da appartenere non più alla storia ma al cielo:

    Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo,

    uno, simile ad un figlio di uomo;

    giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno;

    tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno,

    che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto (Dn 7,12-14).

     

    La crisi del futuro profetico

    Dai testi appena citati si constatano mutamenti notevoli circa la figura di colui che, nella storia, dovrebbe instaurare il futuro annunciato dai profeti:

    - prima un re discendente di Davide;

    - poi Davide stesso;

    - poi ancora una figura qualsiasi, che non sia né discendente di Davide né lo stesso Davide;

    - poi una figura non più storica ma extrastorica, anche se ancora appartenente alla storia;

    - infine una figura totalmente extrastorica come il «figlio dell'uomo» di Daniele.

    Queste incertezze e mutamenti radicali nei confronti del soggetto chiamato a realizzare il futuro messianico non sono innocenti variazioni tematiche, ma la spia di una crisi profonda che attraversa e lacera la coscienza profetica e alla quale questa tenta di dare risposte.

    Il senso di questa crisi può essere ricostruito attraverso la formulazione di questi interrogativi cruciali: perché la «giustizia» e la «pace» che i profeti annunciano come imminente e come realtà storica, e non extrastorica, non si realizzano? E perché la violenza e la sofferenza continuano come sempre ad avere la meglio sui progetti e propositi di pace?

    L'interrogativo è tanto più drammatico se appena si riflette che la coscienza profetica fonda la certezza del futuro messianico non sul desiderio umano ma sul volere di Dio; pertanto essa esclude, a priori, la soluzione demitizzatrice della modernità per la quale il sogno di un futuro di pace è il frutto dell'immaginario incapace di fare i conti con la realtà.

    La crisi del futuro profetico è, perciò, la crisi del suo non realizzarsi: crisi drammatica, perché chi l'annuncia, l'annuncia a nome di un Dio del quale non mette mai in dubbio la fedeltà; ma anche crisi feconda, perché il senso del futuro profetico ne esce ripensato a un livello più maturo; ma anche, c'è da aggiungere, crisi discriminante, perché da essa nasce una nuova idea di futuro - quella della concezione apocalittica - che avrà un peso imprevedibile nella storia cristiana e nella stessa modernità.

    Qual è, allora, la risposta di fronte al mancato realizzarsi del futuro profetico?

    Anche se, come si è visto, le risposte del testo biblico sono molteplici, queste, in realtà, si riconducono sostanzialmente a due: una che, alla luce del principio alleanza,[2] «demitizza» il concetto di futuro, sottraendolo alla dimensione cronologica e radicandolo nell'esistenza soggettiva; l'altra che gioca all'infinito il registro del rimando, spostandone di volta in volta la data. Chiamiamo la prima risposta «etica», mentre la seconda apocalittica, al cui approfondimento saranno dedicati i paragrafi seguenti.

    La risposta «etica»

    A formulare questa risposta è stato soprattutto un profeta formatosi alla scuola del Deutero-Isaia [3] che torna con gli esiliati a Gerusalemme per prolungarne il messaggio e attualizzarlo nella nuova situazione di rimpatriati i quali, una volta tornati nella patria lungamente attesa e desiderata, invece di vedere realizzato il loro sogno, si ritrovano coi problemi di sempre: difficoltà, ingiustizie, sofferenze, soprusi, violenze, e perciò smarrimento, scoraggiamento e sfiducia.

    Di fronte a queste difficoltà cosa fa il Trito-Isaia?[4] A differenza degli altri profeti e del DeuteroIsaia, egli non rilancia la speranza al futuro, ma fa appello alla responsabilità singolare di ciascuno:

    Così dice il Signore:

    «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza; la mia giustizia sta per rivelarsi».

    Beato l'uomo che così agisce

    e il figlio dell'uomo che a questo si attiene,

    che osserva il sabato senza profanarlo,

    che preserva la sua mano da ogni male (Is 56,1-2).

    Per capire la nuova idea di futuro sotteso da questo testo è sufficiente raffrontarlo con quello rivolto dal Deutero-Isaia agli esuli di Babilonia alcuni decenni prima.

    Ascoltatemi, voi che vi perdete di coraggio, che siete lontani dalla giustizia.

    Faccio avvicinare la mia giustizia: non è lontana, la mia salvezza non tarderà... (Is 46,12-13).

    In ambedue i testi il termine centrale è «giustizia», che, inteso biblicamente, vuol dire il «mondo giusto», il «mondo felice e ordinato», dove il negativo è vinto e sconfitto. Ma mentre il primo testo affida la realizzazione di questo mondo a un futuro imminente che Dio sta per realizzare («faccio avvicinare la mia giustizia: non è lontana»), il secondo l'affida a un imperativo che Dio rivolge a Israele e dal quale viene fatto dipendere il suo stesso realizzarsi: «praticate la giustizia».

    Perché la «giustizia di Dio» si riveli, perché il «futuro di Dio» - il mondo ordinato e felice - si realizzi, si richiede una condizione da parte di Israele, rappresentante dell'umanità. Per il Trito-Isaia il futuro di Dio non fiorisce in virtù di se stesso ma si erge come istanza di fronte all'uomo ponendogli una condizione per il suo verificarsi; esso non si iscrive né può iscriversi, perciò, nella sfera temporale di ciò che ancora non è e che sarà, ma in quella esistenziale di ciò che sono chiamato a fare e, nella libertà, non posso non fare.

    Ricorrendo all'espressione di Bultmann, il grande teologo di questo secolo, possiamo dire che il futuro profetico fiorisce all'interno della decisione personale, della scelta che, sottraendo il soggetto al gioco dei suoi determinismi (il termine decisione, da decidere, vuol dire, etimologicamente, tagliare, separare), lo pone di fronte a un bivio: il sì a Dio o il sì al suo io, l'uno che dischiude il futuro, l'altro che chiude nel passato.

    Nel prossimo capitolo si vedrà più a fondo in cosa consiste questa decisione alla quale, per la coscienza profetica, è sospeso il futuro e come, attraverso di essa, il profetismo, attinge e radicalizza l'esperienza originaria del Dio dell'esodo e dell'alleanza. Qui è sufficiente avere accennato a questo tratto costitutivo, senza il quale il futuro profetico si svuota della sua sostanza.

    La risposta apocalittica 

    Se, per il Trito-Isaia, la ragione che spiega il ritardo del futuro promesso da Dio va ricercata nella mancata decisione del soggetto umano, per altri essa va individuata in Dio stesso che ha i suoi «tempi», che l'uomo non conosce e può solo attendere con fiducia, non lasciandosi prendere dalla fretta dell'impazienza ma coltivando la certezza che egli, prima o dopo, interverrà per eliminare il male.

    Questa risposta è quella «apocalittica», un termine che nell'accezione comune è sinonimo di disastroso o catastrofico ma che, stando al suo significato greco originale, rimanda alla radice di «rivelare», «svelare», «manifestare». «Apocalittico» è colui che crede e attende la rivelazione piena di Dio che inaugurerà il suo regno con la sconfitta delle potenze del male (di qui il facile slittamento verso l'accezione che ne fa sinonimo di «catastrofico» o simile); e a volte è anche colui che, quale veggente e per grazia particolare, è a conoscenza e rivela il «quando» e il «come» Dio sta per intervenire.

    La visione apocalittica - cioè questa nuova concezione del futuro e della salvezza - darà luogo a una letteratura sterminata, complessa, stravagante, immaginifica e, proprio per questo, affascinante; e anche se nel canone ebraico (solo il libro di Daniele) e nel canone cristiano (il libro dell'Apocalisse) entra come filone secondario, ciononostante la sua influenza è stata ed è immensa: perché il Nuovo Testamento approfondisce e definisce il mistero di Gesù in dialogo con le correnti apocalittiche della sua epoca e soprattutto perché l'immaginario cristiano sarà segnato definitivamente, fino ai nostri giorni, dal linguaggio apocalittico. Si tratta di un linguaggio tra i più paradossali e difficili da interpretare, che tesse insieme rivelazione, finzione e alcuni fatti storici, in un intreccio spesso inestricabile che, per questo, ha alimentato e alimenta non solo la mente di mistici, artisti, poeti e pittori, ma anche quella di gente «stravagante».

    Storicamente la visione apocalittica sorge intorno al 200 a. C., in un periodo storico in cui la comunità ebraica, perseguitata da Antico IV Epifane (175164), corre il rischio di scomparire per il «grande abominio» che fu la trasformazione del tempio in santuario di Zeus. Sorta, storicamente, in questo periodo tra i più tragici della storia ebraica, la concezione apocalittica si definisce per una concezione del futuro e della storia che, se per un verso è legata al profetismo, per l'altro la supera separandosene sostanzialmente.

    Le sue caratteristiche principali possono essere ricondotte alle seguenti.

    - La percezione (che non dice solo «concezione» ma prima ancora «sentimento») della radicale negatività del mondo e della storia, di cui l'uomo è vittima e non responsabile. Il termine utilizzato dall'apocalittica per parlare di questo mondo è eone presente, che in greco vuol dire «ciò che è sempre», e quindi stabile, permanente. Nei confronti di questo mondo l'uomo resta fondamentalmente «estraneo» («extra»): sia perché non è stato lui a causarlo, sia perché non può essere lui a redimerlo. Da questo punto di vista l'atteggiamento apocalittico è, come quello profetico, profondamente pessimistico e «realistico» perché coglie la radicalità del male e si sottrae all'ottimismo a buon mercato; ma, mentre per il profetismo il male che è alla radice di tale pessimismo non è né originario né celeste, bensì il prodotto della volontà umana che si è negata e si nega alla volontà creatrice, per la concezione apocalittica esso è opera di forze extrastoriche, «angeli decaduti», «demoni», «principati» o «potestà», ecc.

    - La percezione (speculare alla precedente e anche qui sentimento prima che idea) che, al di là della radicale negatività, albeggia una radicale e solare positività che sta per irrompere. Questo mondo viene chiamato eone futuro, un tempo di felicità che, una volta inaugurato, sarà per sempre. Da questo punto di vista l'atteggiamento apocalittico, come quello profetico, è profondamente ottimistico, guidato da uno sguardo che, oltre la negatività presente, sa cogliervi nascosta una positività imminente; ma a differenza della concezione profetica per la quale, come nel Deutero-Isaia, anche tale positività, una volta che irrompe nella storia, è affidata alla responsabilità personale senza la quale si dilegua e si perverte nel suo negativo, per la concezione apocalittica essa viene colta come «data una volta per tutte» e, per questo, permanente, appunto aei, «per sempre», come vuole l'etimo di eone.

    - La certezza che il passaggio dall'eone presente, dominato dal male, all'eone futuro, abitato dalla felicità, sarà operato da Dio con un intervento di potenza con il quale verranno ridotte a impotenza tutte le figure di male, da quelle fisiche a quelle morali, e verrà finalmente inaugurato il futuro atteso e sognato. Questo intervento ha il carattere di un rivolgimento totale che, come in una guerra dalle proporzioni immani che coinvolge sia il cielo che la terra, comporta sofferenze inaudite dalle quali solo gli eletti - coloro che hanno atteso questo futuro - verranno risparmiati. Celebre, a proposito, il brano di Matteo (capp. 24-25), noto come «escatologico», in cui la Chiesa primitiva comprende il senso di Gesù - l' escaton che sostituisce il tempio di Gerusalemme caduto per opera dei Romani - ponendo sulle sue labbra un discorso intessuto di linguaggio apocalittico, derivato, in parte, da Daniele: «Subito dopo la tribolazione di quei giorni [la distruzione del tempio di Gerusalemme], il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte».

    - Il momento in cui si verificherà un rivolgimento così radicale non è noto agli uomini ma solo a Dio e ad alcuni personaggi straordinari del passato (Elia, Enoc, Melchisedek, il Figlio dell'uomo). Anche se se ne ignora il momento, se ne conosce però il segno che lo precede e Io annuncia: lo scatenarsi di sofferenze grandi e indicibili; esso, infatti, giungerà quando il male del mondo avrà toccato il fondo, quando il carico di sofferenza, di ingiustizia e di violenze avrà raggiunto il culmine Per Daniele, testimone della violenza dei Seleucidi, tale culmine è rappresentato dalla sconsacrazione del tempio di Gerusalemme per opera di Antioco Epifane, ritenuta «abominio della desolazione» (9,27); per i cristiani, testimoni del trionfo dei Romani sui movimenti ribelli del giudaismo intertestamentario, è la distruzione del tempio nel 70, che essi interpretano come segno della imminente parusia del Cristo. Di qui l'interesse apocalittico all'individuazione e alle descrizioni di crisi e catastrofi perché queste sono come il «grembo» da cui fiorisce il rinnovamento.

    Qui la differenza con il profetismo etico è totale, perché quanto più questo demitizza il tempo esterno per concentrarsi in quello della propria soggettività, tanto più quello si sbizzarrisce a prevedere tappe e date che la storia ogni volta si incarica di smentire.

    - Il luogo dove si realizza questo eone futuro coincide con il suo stesso instaurarsi. Il nuovo eone, infatti, è totalmente altro dall'eone presente, essendo questo Male radicale e quello Bene assoluto. Nel linguaggio apocalittico questo spazio di radicale positività o palingenesi (dove tutto, secondo l'etimo greco, viene di nuovo generato) a volte viene concepito come storico, altre volte come metastorico, ma sia nell'uno che nell'altro caso l'elemento che li accomuna è la radicale discontinuità con l'eone storico negativo. È qui che va colta la differenza profonda tra la visione apocalittica e quella profetica del futuro. Mentre, infatti, per il profetismo tra i due non c'è né può esserci soluzione di continuità perché, contro ogni dualismo, il Dio dell'eone futuro è lo stesso dell'eone presente, per l'apocalittica il futuro, concepito storicamente o metastoricamente, è in un rapporto di totale rottura con l'eone presente, non essendo qui che Dio opera redimendolo. Storico o metastorico, nell'aldiqua oppure nell'aldilà, l'eone futuro è la vittoria radicale sulla morte dove i giusti non conoscono più la morte e coloro che, giusti, sono già morti, risorgeranno. Questa idea della risurrezione, che storicamente risale all'epoca maccabaica e al libro di Daniele (cf Dn 12,3), è l'idea più rivoluzionaria dell'apocalittica ed è ricorrendo ad essa che la Chiesa primitiva comprende la vicenda di Gesù di Nazaret, proclamandolo Risorto e, per questo, l'inizio dell'eone «nuovo» e «futuro».

     

    Risurrezione e parusia

    Per il Nuovo Testamento e per la tradizione cristiana, qualsiasi discorso sul futuro è sempre legato al Risorto che dischiude il «nuovo eone», l'umanità che, secondo il linguaggio apocalittico, ha vinto la morte.

    Oltre al Risorto, il discorso cristiano sul futuro è anche legato alla categoria della parusia, un termine che deriva dalla radice greca pareimi e che vuol dire sia l'essere presente (al presente) che l'essere venuto (al perfetto), per cui parusia può significare sia presenza che arrivo. Comunque, sia se tradotto con presenza oppure con arrivo, ciò che il termine parusia esprime è, in profondità, l'idea di un qualcuno o di un qualcosa che, rendendosi vicino e visibile, si rivela e si manifesta per partecipare all'altro la sua ricchezza e la sua «gloria». Per questo, forse, la traduzione più vicina all'originale è quella di rivelazione o di manifestazione, oppure, come vuole la bella traduzione latina, ad-ventus, il farsi vicinanza o prossimità all'altro.

    Per il Nuovo Testamento il senso della vita di Gesù è di essere questa «parusia»: l'approssimarsi di Dio all'umanità alienata, attraverso e dentro la sua nascita, le sue parole, i suoi gesti e, soprattutto, la sua morte in croce come espressione del suo amore radicale.

    Ma, in senso più specifico e formale, il Nuovo Testamento riserva il termine parusia non alla vita di Gesù, né alla sua morte e alla sua risurrezione, bensì a un evento che la Chiesa primitiva pensava come imminente e che, di fatto, non si è mai verificato: il suo ritorno in mezzo ai suoi che, come testimonia il libro dell'Apocalisse, lo invocavano in aramaico: «Amen. Marana tha», «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20; cf pure 1 Cor 16,22).

    Di fatto, come è noto, Gesù non è tornato, e se per un verso il suo mancato ritorno è stato, per la Chiesa primitiva, la più grande crisi, per l'altro è stato anche l'occasione privilegiata per una maturazione nella comprensione del senso della vita e della morte del suo maestro e signore, spostando l'accento dall'attesa del suo ritorno alla riproduzione, nella storia, del suo gesto di amore e di perdono dischiuso sulla croce.

    Non è questo il momento per approfondire il senso e le conseguenze di questa svolta verificatasi nella coscienza della Chiesa primitiva [5] come ci è dato rintracciare in alcuni testi neotestamentari.

    Qui è sufficiente richiamare che ogni discorso cristiano sul futuro, oltre che al profetismo e all'apocalittica, è legato soprattutto al Risorto e alla sua parusia e che ogni sua interpretazione che voglia essere significativa deve mantenere uniti questi quattro aspetti.

    È dallo sciogliere questo unico e mirabile intreccio - profetismo, apocalittica, risurrezione di Gesù e parusia - che, per la coscienza credente, si dischiude il futuro capace di salvare l'uomo e la terra.



    [1] Cf il bel libro Sogni sulla Chiesa, Paoline, Milano 1986. 2 /vi, pp. 21-22.

    [2] Sul principio alleanza cf le pagine che ho scritto in Celebrare la vita. Viaggio nel mondo dei sacramenti, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1991, pp. 57-76.

    [3] Con questo nome gli esegeti intendono l'autore dei capitoli 40-55 del libro di Isaia, un profeta che accompagna gli esiliati a Babilonia e ne sostiene la fede e la speranza annunciando loro imminente un nuovo «esodo» che li ricondurrà in patria.

    È detto Deutero-Isaia (il secondo Isaia) per distinguerlo dal Proto-Isaia (il primo Isaia), l'autore dei capitoli 1-39, vissuto dal 740 al 700 a. C. al tempo del re Acaz del quale critica la politica filoassira che porterà Giuda sotto la tutela dell'Assiria e il regno del Nord alla distruzione. Mentre per Trito-Isaia (il terzo Isaia) si intende il profeta che torna con gli esuli da Babilonia a Gerusalemme e li sostiene nella difficile ricostruzione del tempio, della città e delle istituzioni.

    [4] Cf nota precedente.

    [5] Rimando a proposito a quanto scritto in Pane e Perdono. L'Eucaristia celebrazione della solidarietà (Elle Di Ci, 1992) nell'ultimo capitolo, soprattutto da p. 145 a p. 148 nel paragrafo intitolato: Dall'attesa della fine alla riscoperta del principio.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu