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    Maria, la donna della grazia per eccellenza (cap. 9 di: Il dono della grazia)


    Luis A. Gallo: IL DONO DELLA GRAZIA. Vita che sconfigge la morte, Elledici 1995



    Nei capitoli precedenti abbiamo detto più di una volta che Gesù Cristo è l'Uomo della grazia per eccellenza, nel senso che in lui e per mezzo di lui si è verificato il massimo avvenimento di grazia nella storia, il trionfo pieno e definitivo della Vita sulla Morte, quale dono di Dio all'umanità. Ora, concludendo, vogliamo rilevare il fatto che, secondo la nostra fede, accanto a lui e mediante lui, c'è anche una donna che è la donna della grazia per eccellenza: Maria, la sua madre. Ella è la donna «aggraziata» e la «Madre della divina grazia».

    1. Maria di Nazaret, la donna «aggraziata»

    Dobbiamo cominciare col dire che su Maria, la «Madre di Gesù» (At 1,14; LG 59), sappiamo storicamente molto poco: solo ciò che possiamo cogliere tra le righe negli scritti neotestamentari, e più particolarmente nei Vangeli. Conosciamo il loro carattere di scritti credenti. Perciò non ci stupisce il fatto che, più che offrirci una biografia di questa donna che generò colui che essi confessano come il Salvatore, il Messia, il Signore e il Figlio di Dio, ci svelino piuttosto la densità e la profondità che la loro fede scorge in lei. Ella vi assurge così a simbolo, nell'ambito della fede, come tante altre figure bibliche, a cominciare da quella di Abramo, il padre del popolo credente, ma con un'enfasi del tutto particolare. Nel corso dei secoli questo processo di fede continuò a svilupparsi, a seconda delle circostanze in cui venne a trovarsi la comunità ecclesiale, dando origine a innumerevoli espressioni di amore e di devozione verso colei a cui venne riconosciuto un rapporto di strettissima vicinanza con Gesù Cristo.
    Tra i testi evangelici che si riferiscono a Maria spiccano certamente quelli che riguardano l'infanzia di Gesù, nei quali ella occupa un posto di rilievo. La versione di Luca, a differenza di quella di Matteo, elabora la preparazione alla nascita di Gesù mediante il racconto dell'annuncio della nascita di Giovanni il Battista a suo padre Zaccaria (Lc 1,5-22), a cui fa seguire quello dell'annuncio della nascita dello stesso Gesù a sua madre (Lc 1,26-38). Cosa sia successo storicamente in quei momenti è difficile da stabilire. Il testo di Luca, comunque, ha voluto accennare a un'esperienza singolare da parte di questi due personaggi, avvalendosi di elementi presi dalla plurisecolare tradizione del popolo d'Israele. Mentre Zaccaria vi appare come l'uomo che dubita davanti allo straordinario annuncio fatto da Dio attraverso il suo angelo (v. 18), Maria viene invece presentata come una donna totalmente accogliente e aperta all'azione «impossibile» di Dio (v. 38).
    La scena - tante volte fatta oggetto di rappresentazioni artistiche - dell'annunciazione a Maria si apre con il saluto dell'angelo Gabriele: «Rallegrati, aggraziata, il Signore è con te» (v. 28). Il termine greco kecharitōménē, utilizzato dall'angelo per salutare Maria, termine che, come si vede, contiene la radice «grazia» (cháris), è stato tradotto spesso con l'espressione «piena di grazia». Anche l'Ave Maria, preghiera più conosciuta che i cristiani usano rivolgere alla Madonna, fa sua tale traduzione. Di per sé, tuttavia, esso significa «aggraziata», colei che è stata fatta oggetto di una grazia. La fede cristiana l'ha interpretato nel senso che ha nell'Ave Maria, appunto perché ha capito che Maria è veramente la donna «piena di grazia». Pensiamo che renda bene il senso di tale espressione quell'altra che abbiamo enunciato nel titolo del presente capitolo: Maria è «la donna della grazia per eccellenza».
    In che senso? Diversi Padri della Chiesa antica si sono premurati di rilevare che la ragione della sua singolare condizione tra i membri della Chiesa non è tanto il fatto della sua maternità biologica nei confronti di Gesù, quanto piuttosto la sua partecipazione credente all'opera della salvezza realizzata da Dio per mezzo di lui. Così, per esempio, sant'Agostino: «Per Maria conta più essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo».
    Già nei Vangeli stessi si trovano alcuni brani che orientano in tale direzione. Così, per esempio, quello di Marco nel quale, a coloro che gli annunciano che fuori della casa in cui sta parlando ci sono sua madre e i suoi fratelli che lo cercano, Gesù risponde: «"Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?".
    E girando lo sguardo su quelli che gli stanno seduti attorno, esclama: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre"» (Mc 3,33-35). Oppure quell'altro di Luca in cui si riporta la reazione di Gesù davanti alle parole di una donna del popolo, che esprime il suo entusiasmo per lui lodando il ventre che l'ha portato e il seno da cui ha preso il latte. La replica di Gesù è tassativa: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,27-28). Nei due casi le sue parole implicano una netta contrapposizione tra un fatto meramente biologico e un fatto di fede manifestata nell'accoglienza e nella realizzazione della Parola di Dio da lui proclamata. Non sono i vincoli del sangue quelli che determinano la condizione di una persona nei confronti di Gesù, ma quelli fondati sulla fede.
    In armonia con quest'orientamento evangelico, la Chiesa ritiene che Maria sia una persona del tutto eccezionale, non tanto né principalmente perché diede biologicamente alla luce il Salvatore del mondo, ma piuttosto perché è colei che maggiormente ha partecipato all'azione di salvezza del suo stesso Figlio, accogliendola in pienezza in se stessa e collaborando in maniera unica e impareggiabile alla sua realizzazione nella storia. Un'azione di salvezza che, come abbiamo detto più di una volta, arrivò al suo apice nell'avvenimento pasquale, con la vittoria piena e definitiva della Vita sulla Morte.
    Uno dei modi in cui la comunità ecclesiale ha espresso tale convinzione è stata l'affermazione dell'assunzione in corpo e anima di Maria in cielo alla fine della sua vita terrena. Si tratta di un'affermazione che è diventata dogma di fede a partire dalla solenne dichiarazione fatta da Pio XII nel 1950. Ma anche a prescindere da questa presa ufficiale di posizione del Magistero pontificio, la convinzione era già presente molti secoli prima nella mente e nel cuore di tantissimi cristiani. Lo dimostrano innumerevoli templi dedicati a ricordare tale convinzione, come anche una delle più antiche feste mariane celebrate nella Chiesa.
    Che Maria sia stata assunta in cielo significa, come ha ricordato il Vaticano II nel n. 59 della Lumen Gentium, che anche in lei si è verificata la piena e definitiva vittoria pasquale sulla Morte, come nel suo Figlio e mediante lui. Anche lei, per un dono gratuito di Dio, è ora pienamente Vivente per sempre: Figlia nella pienezza della comunione filiale con il Padre, Sorella nella pienezza di comunione fraterna con gli altri uomini e donne, Signora nella pienezza del rapporto amicale con il resto della creazione. In lei il grande dono di Dio, comunicato nella sua integralità, acquista le dimensioni e connotazioni femminili che non poteva avere in Gesù.
    È alla luce dell'assunzione che può venire anche capita l'affermazione dell'immacolata concezione di Maria, un'affermazione di fede che è stata fatta pure oggetto di definizione dogmatica, da parte di Pio IX, nel 1854. Si potrebbe dire che essa, malgrado la sua diversità verbale, dice in sostanza la stessa cosa che il dogma dell'assunzione, anticipandola però all'inizio della esistenza terrena di Maria. Che la Madonna sia stata concepita immacolata vuol dire, infatti, che, mercé l'azione salvifica di Gesù Cristo, in lei il dono divino della vittoria sul male e sulla Morte è stata piena e definitiva sin dal primo istante della sua vita.

    2. Maria, «Madre della divina grazia»

    Un'antica invocazione mariana, oggi forse poco utilizzata anche per via dei profondi cambiamenti di sensibilità avvenuti ai giorni nostri, diceva così: «Maria, Madre della grazia, Madre della dolce clemenza, difendici dal nemico e accoglici nell'ora della morte». Esprimeva, come si vede, un atteggiamento di intensa fiducia nella protezione materna di Maria, invocata come «Madre della grazia». Si tratta di un titolo che mette in evidenza la sua partecipazione attiva nel trionfo della Vita sulla Morte.
    Tale trionfo che, secondo quanto è stato detto sopra, avvenne pienamente nella Madre di Gesù, è senza dubbio per lei, come per Gesù stesso e per tutti e ognuno, un dono del Padre. È Dio stesso che ha voluto, per una sua iniziativa libera e piena di amore, associare la Madre al Figlio in questa comune sorte. Ma, come per Gesù, anche per Maria il dono divino è pure compito e corresponsabilità. Lo è anzitutto nei confronti di se stessa, e lo è anche nei confronti degli altri, soprattutto dopo che ella ha raggiunto la pienezza della Vita.
    Durante la sua vita terrena la sua corresponsabilità con il dono divino si manifesta nel fatto che anch'essa, come Gesù, vive nell'obbedienza totale a Dio. Ma con un'obbedienza che non ha niente di meramente passivo o automatico. «Ecco, io sono la serva del Signore; si faccia in me secondo la sua Parola», dice l'umile giovane donna di Nazaret alla fine del racconto dell'annunciazione, esprimendo così un suo atteggiamento di radicale e costante disponibilità al volere divino (Lc 1,38). Ma quel «si faccia» dall'apparenza così remissiva, ha invece nella sua vita concreta un senso eminentemente dinamico.
    Maria, infatti, come ha ricordato il documento mariologico del Vaticano II (LG 58), e come ha anche ampiamente commentato Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptoris Mater, durante la sua vita terrena «avanzò nella peregrinazione della fede». Tra le righe dei Vangeli si può effettivamente cogliere che il suo cammino verso la piena chiarezza circa l'identità del suo Figlio non fu scevro di difficoltà. Episodi come quello del dialogo con Gesù adolescente nel tempio (Lc 2,46-50), o quello di Mc 3,20-21 letto in collegamento con Mc 3,31-34, possono essere una finestra attraverso la quale intravedere le difficoltà iniziali incontrate dalla madre nel comprendere la novità sconvolgente del suo Figlio. Ma più tardi la incontriamo ai piedi della croce (Gv 19,25) in cui egli dà la sua vita per la Vita del mondo e, dopo la risurrezione, la troviamo in mezzo alla comunità credente che si prepara ad accogliere il dono dello Spirito nella Pentecoste (At 1,14).
    Anche se i testi del Nuovo Testamento non aggiungono altri dati su ciò che Maria fece negli anni che seguirono la nascita della comunità ecclesiale, possiamo con diritto ritenere che ella sia vissuta per il resto dei suoi giorni collaborando nella realizzazione del grande progetto del regno lanciato da Gesù, e perciò intensamente impegnata, con gli altri credenti in lui, nel far trionfare la Vita sulla Morte. Afferma al riguardo il già citato documento del Vaticano II: «Giustamente i Santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice sant'Ireneo, "obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano"». E, facendo il paragone con Eva, chiama Maria «madre dei viventi», rilevando che se la Morte entrò nel mondo per mezzo di Eva, la Vita invece venne per mezzo di Maria (LG 56).
    Della sua corresponsabilità con Dio dopo la sua assunzione in cielo, in ordine alla realizzazione del suo progetto di Vita per l'umanità, ci parla anche lo stesso documento, interpretando in tale senso quella che è stata chiamata la maternità universale di Maria. Dice, infatti: «Assunta in cielo ella non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci le grazie della salvezza eterna. Con il suo materno amore si prende cura dei fratelli del suo Figlio ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata» (LG 62).
    Un brano del documento conciliare permette di comprendere ancora questa funzione materna di Maria quale portatrice di Vita per il mondo (LG 53.56. 59) nelle sue dimensioni universali. Si tratta dell'invito con cui chiude l'intero suo discorso: «Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché essa [...], ora esaltata in cielo [...] , interceda presso il Figlio suo, fintanto che tutte le famiglie di popoli [...] in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità» (LG 69).
    Non ci vuole molto sforzo per ravvisare, in queste parole, le dimensioni planetarie del dono di Dio di cui si è parlato nel capitolo quinto. Se Maria è «la Madre della divina grazia», lo è anche in questo senso. Ella continua ad essere, dalla situazione pasquale in cui ora si trova, pienamente partecipe della divina passione per la Vita del mondo intero che si annida nel cuore di Dio e del suo Figlio.


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