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    Lo Spirito Santo, dono fontale di Dio (cap. 8 di: Il dono della grazia)


    Luis A. Gallo: IL DONO DELLA GRAZIA. Vita che sconfigge la morte, Elledici 1995



    Tra i protagonisti dell'azione mediante la quale arriva al mondo la grande grazia di Dio abbiamo più di una volta nominato, benché solo di passaggio, lo Spirito Santo. Ora vogliamo metterlo al centro della nostra attenzione.

    1. Differenza di sensibilità tra Occidente e Oriente

    Spesso i cristiani e i teologi orientali hanno accusato l'Occidente cristiano di «vuoto pneumatologico», ossia di non dare spazio, o perlomeno di non dare sufficiente spazio, nella loro vita di fede e nelle loro riflessioni su di essa, allo Spirito Santo. E hanno in buona parte ragione. Lo Spirito è stato - e continua ad esserlo - per non pochi cristiani occidentali, il «Dio nascosto e ignorato». Non pochi di essi si riducono a sapere che è «la terza Persona della Santissima Trinità», e non vanno oltre. La teologia occidentale si è occupata molto in passato di Dio e di Cristo, ma poco dello Spirito. Solo ultimamente, grazie anche ai numerosi movimenti cosiddetti carismatici o di rinnovamento nello Spirito, ha cominciato a cambiare l'orientamento a questo riguardo.
    Molto diversa è stata - ed è - la situazione del cristianesimo e della teologia orientale. Essi sono da sempre accentuatamente pneumatologici. Sotto l'influsso della sensibilità neoplatonica che dominava l'ambito culturale in cui si è calata, la fede in Oriente pensò prevalentemente la salvezza operata da Dio in Cristo come «divinizzazione». Secondo questa impostazione, grazie all'intervento di Dio l'uomo è reso partecipe della stessa sua divinità, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la sua esistenza presente e futura. Più che badare al risvolto negativo dell'azione salvifica, ossia all'eliminazione del peccato, l'impostazione orientale bada a quello positivo, che consiste nel fatto di essere trasformati intrinsecamente e portati alla partecipazione della natura divina, in una parola di essere divinizzati.
    Si capisce così che i teologi orientali abbiano preferito ispirarsi prevalentemente, nelle loro riflessioni sulla grazia, agli scritti giovannei, che accentuano precisamente questa prospettiva mediante i temi della rinascita come figli di Dio e dell'inabitazione dello Spirito nei credenti in Cristo. I teologi occidentali, invece, di sensibilità più spiccatamente antropologica e sotto la guida di sant'Agostino, hanno attinto preferibilmente agli scritti paolini nei quali, benché queste stesse tematiche non siano assenti, l'attenzione si rivolge particolarmente al tema della liberazione dal peccato, dalla legge e, in definitiva, dalla morte.
    Ora, la divinizzazione dell'uomo viene attribuita dai pensatori orientali soprattutto allo Spirito Santo. È questa la ragione per cui, quando nella primitiva Chiesa sorsero i negatori dell'uguaglianza in divinità dello Spirito con il Padre e con il Figlio, quei grandi Padri che vengono chiamati «i Cappadoci» (Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo e Basilio) si sono sentiti nella necessità di impegnarsi con tutta la loro forza per combatterli. Il ragionamento che li ispirava nella lotta contro l'errore era il seguente: la divinizzazione, che è il grande dono della salvezza di Dio in Cristo, è opera dello Spirito; ma se lo Spirito non è Dio, non può divinizzarci, poiché solo Dio può farlo; quindi, se lo Spirito non è Dio, noi non siamo salvati ma ancora perduti.
    Fu perfino convocato un concilio ecumenico per discutere il problema: il secondo nella storia della Chiesa, radunato a Costantinopoli nel 381. La dottrina dei Cappadoci fu assunta e proposta come regola di fede per l'intera cristianità. Vi si affermò solennemente che lo Spirito è «Signore e Vivificante (datore di vita)», e che è «co-adorato e con-glorificato con il Padre e il Figlio», e cioè è uguale ad essi in divinità. La formula passò a far parte del simbolo o credo che si recita ancora oggi nella liturgia delle feste.
    Al di là delle fini questioni dottrinali che si intrecciano nelle affermazioni di detto credo, sono degni di speciale attenzione i due titoli che vengono dati in esso allo Spirito Santo: «Signore» e «Vivificante (datore di vita)». Il primo è chiaramente un titolo divino che, attribuito già nell'Antico Testamento a Jahvè, il Dio unico e salvatore del popolo d'Israle, venne poi dato dai cristiani anche a Cristo risorto, confessando in tale modo la sua uguaglianza con il Padre. Il fatto che venga pure attribuito allo Spirito dimostra la chiara volontà delle comunità credenti dei primi secoli di riconoscere anche in Lui la stessa condizione divina.
    Ma è soprattutto il secondo titolo - «Vivificante (datore di vita)» - che può offrirci una maggior possibilità di approfondimento sul tema della grazia. A questo scopo risulta utile rivisitare sia pure brevemente ciò che tanto la Bibbia quanto la storia della fede sono andate maturando a riguardo dello Spirito.

    2. Lo Spirito nella fede del popolo d'Israele

    I protagonisti dell'Antico Testamento erano uomini che vissero a contatto diretto con la natura, prima come seminomadi, poi come pastori e agricoltori. Da questo contatto ricavarono anche buona parte dei simboli con cui espressero il loro rapporto con il mondo del divino. Uno di questi simboli fu precisamente quello dello spirito. Proveniva da due esperienze molto comuni: quella del vento, tanto quello terribile delle bufere che schiantavano gli alberi del bosco quanto quello soave della brezza vespertina; e quella del respiro che rendeva viventi uomini e animali. In tutti e due i sensi la parola «spirito», con cui venivano espresse le due esperienze, venne utilizzata per riferirsi all'agire di Dio nella natura e nella storia.
    Con il senso di «vento» vivificante, il termine «spirito» viene impiegato almeno in due momenti importanti della narrazione biblica: nella creazione e nella liberazione dall'Egitto.
    Il libro della Genesi, infatti, aprendo la solenne narrazione sacerdotale della creazione, dice che all'inizio, quando Dio creò il mondo, «lo spirito di Dio si librava sulle acque primordiali» (Gn 1,2). Più di un autore ha visto in questa descrizione un'eco dell'antico mito della nascita del mondo da un uovo primordiale. In questo caso il testo viene tradotto così: «lo spirito di Dio covava sulle acque», quasi come un uccello cova le uova del suo nido per far nascere da esse i suoi pulcini. Si esprimerebbe quindi, in tale modo, in maniera altamente poetica, l'intervento dello Spirito divino nell'origine del mondo. Non per niente più tardi, nel cristianesimo, venne spesso invocato come «Spirito creatore». È un modo simbolico di dire che, tramite la sua azione, Dio stesso fece trionfare l'essere sul nulla, dando origine all'intera realtà esistente.
    Da parte sua il libro dell'Esodo, narrando l'evento fondante della liberazione dalla schiavitù egiziana, a un certo punto dice: «Allora Mosè stese il braccio sul mare. Per tutta la notte il Signore fece soffiare da oriente un vento così forte che spinse via l'acqua del mare e lo rese asciutto. Le acque si divisero e gli Israeliti entrarono nel mare all'asciutto» (Es 14,21). Ancora una volta, quindi, il simbolo del vento impetuoso. Questa volta però non con un'efficacia creatrice, ma con un' efficacia salvifica: lo spirito di Dio interviene rendendo possibile il passaggio dalla schiavitù alla libertà o, come abbiamo visto nel nostro primo capitolo, dalla condizione di morte in cui giacevano a una situazione di vita. Il dono della libertà e della vita viene mediato da questo spirito.
    Quest'idea dello spirito divino che opera la salvezza è molto frequente nella Bibbia. Il libro dei Giudici, per esempio, è come costellato da un ritornello che suona più o meno così: «Lo spirito del Signore venne su di lui (Otniel, Gedeone, Iefte, Sansone, ecc.) ed egli riuscì a realizzare la liberazione del popolo». La trama dei diversi racconti è sempre sostanzialmente la stessa: Israele è ricaduto, a causa della sua infedeltà a Dio, nella situazione di schiavitù egiziana e grida verso Jahvè chiedendo aiuto. Questi, nuovamente commosso per la sofferenza del suo popolo, invia il suo spirito su di un uomo, e mediante lui, quale nuovo Mosè, opera ancora una volta la sua liberazione. Le narrazioni permettono di capire come intendevano gli ebrei, in quell'epoca, lo spirito di Dio: come una forza divina di liberazione e di salvezza che muoveva gli uomini a far uscire il popolo dalle tristi condizioni in cui era andato a finire, per farlo passare di nuovo alla condizione di popolo libero e padrone di se stesso.
    Tra le tante pagine dei libri profetici che parlano dello spirito ce ne sono alcune che spiccano per la loro densità e pregnanza. Una di esse, che ha un chiaro sapore messianico e che parla della presenza dello spirito in un profeta, è quella del cap. 61 del profeta Isaia. I cristiani la ritennero realizzata in Gesù, come si vede in Lc 4,18-19 in cui egli dice, rifacendosi al testo: «Il Signore ha mandato il suo spirito sopra di me; egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri, per curare chi ha il cuore spezzato, per proclamare la liberazione ai deportati, la scarcerazione ai prigionieri. Mi ha mandato ad annunziare il tempo nel quale il Signore sarà favorevole al suo popolo» (/s 61,12a).
    Un'altra pagina, altamente poetica, in cui è fortemente presente quest'idea, è tratta del libro di Ezechiele. È la famosa visione delle ossa secche. Il profeta, che cerca di ridare coraggio a un popolo morto nella sua speranza perché esiliato in Babilonia, lontano dalla sua terra e ridotto ancora una volta in condizione di schiavitù, vede davanti a sé una sconfinata quantità di ossa completamente secche. Sente poi una voce - la voce di Dio - che gli dice: «Tu sei solo un uomo, ma parla a nome mio, rivolgiti da parte mia al soffio della vita con queste parole: Soffio della vita, Dio, il Signore, ti ordina di venire da ogni direzione e di soffiare su questi cadaveri perché rivivano!». Il profeta asseconda la voce e «il soffio della vita entrò in quei corpi ed essi ripresero vita. Si alzarono in piedi. Tutti insieme sembravano un esercito grandissimo» (Ez 37,9-10). Difficilmente si potrà trovare una pagina più intensamente poetica che esprima la fede d'Israele nell'azione dello spirito di Dio: mediante simboli straordinariamente eloquenti si afferma che esso è il «soffio della vita», la forza divina che strappa gli uomini dal sepolcro e ridona loro la vita.

    3. La manifestazione piena dello Spirito

    Ciò che i profeti avevano preannunciato nell'Antico Testamento trovò realizzazione nel Nuovo. Sia nella vicenda storica di Gesù di Nazaret, sia in ciò che avvenne tramite la sua risurrezione.

    Lo Spirito in Gesù di Nazaret

    Gesù appare nei Vangeli come un uomo pieno di Spirito Santo. Già nella narrazione dell'annunciazione l'evangelista Luca dice che la sua concezione nel seno di Maria sarà opera dello Spirito (Lc 1,35), e la stessa cosa asserisce Matteo (Mt 1,18). Sono modi di affermare la presenza divina dello Spirito in lui sin dal primo momento della sua esistenza. Ma poi, quando Gesù già adulto irrompe nella scena pubblica facendosi battezzare da Giovanni, i diversi racconti ci tengono a rilevare che in quel momento, oltre a sentirsi la voce di Dio che lo dichiarava suo Figlio molto amato, «si aprirono i cieli e discese su di lui lo Spirito Santo in forma corporale, come di una colomba» (Lc 3,22; Mt 3,16-17; Mc 1,10-11; Gv 1,33).
    Molti sono i testi evangelici che mettono in risalto il fatto che Gesù sia stato costantemente mosso dallo Spirito nel suo operare in favore degli uomini. Ne spigoliamo alcuni molto rappresentativi al riguardo.
    Il primo è quello dell'inaugurazione della sua missione nel Vangelo di Luca. Stando a quanto vi si racconta, dopo il Battesimo nel Giordano e le tentazioni nel deserto vissuti all'insegna dello Spirito, Gesù, pieno della sua potenza (Lc 4,14), tornò nel suo villaggio di Nazaret e si recò alla sinagoga per partecipare alla solita celebrazione del sabato. Si alzò per fare la lettura della Bibbia. Lesse quel passaggio del profeta Isaia da noi sopra riportato: «Il Signore ha mandato il suo Spirito su di me. Egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri ...», e aggiuse: «Oggi si avvera per voi che mi ascoltate questa profezia» (Lc 4,21). Appare chiara qui l'intenzione di Luca di disegnare la figura «spirituale» di Gesù in tutta l'attività che seguirà. Vuol far vedere che egli agisce in questo modo perché è mosso dallo Spirito di Dio. Uno Spirito che lo spinge soprattutto a «portare il lieto messaggio ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri e il dono della vista ai ciechi, a liberare gli oppressi» (Lc 4,18). Potremmo dire, in parole equivalenti, a portare vita tra quelli che sono nella morte, cominciando da coloro che sono più pesantemente segnati dalla morte. Era tale l'impressione che causava nella gente, specialmente tra i più poveri e bisognosi che, come commenta ancora Luca, «tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti» (Lc 6,19).
    La missione di Gesù è quindi, secondo questo Vangelo, un grande dono del Dio della vita, un dono che ha alla sua radice la potenza del suo Spirito vivificante.
    Un altro testo molto significativo lo troviamo nel Vangelo di Giovanni. È la narrazione di ciò che avvenne a Gerusalemme l'ultimo giorno della festa delle capanne, mentre tutto il popolo si dirigeva gioiosamente verso il tempio portando in solenne processione l'acqua attinta alla piscina di Siloè. Gesù, dice il testo, si alzò ed esclamò a voce alta: «Se uno ha sete si avvicini a me e beva! Come dice la Scrittura, da lui sgorgheranno fiumi di acqua viva». Il Vangelo aggiunge una spiegazione: «Gesù diceva questo, pensando allo Spirito di Dio che i credenti avrebbero ricevuto» (Gv 7,37-39). Già nel precedente dialogo con la Samaritana, accanto al pozzo di Giacobbe, Gesù aveva accennato a questa tematica: «Se uno beve dell'acqua che io gli darò - dice alla donna -, non avrà mai più sete: l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente per l'eternità» (Gv 4,14). Nei due testi citati, con un linguaggio evidentemente diverso da quello di Luca, Gesù viene presentato come colui che, pieno di Spirito Santo, lo comunica a chi vuole andare da lui. L'acqua, come si vede, collega metaforicamente lo Spirito con la vita.

    La Pasqua, effusione piena dello Spirito

    Le parole di Gesù nel testo di Gv 7 fanno come da cerniera tra la vicenda prepasquale di Gesù e quanto è avvenuto in lui nella Pasqua e tramite la Pasqua. Nella spiegazione aggiunta da Giovanni c'è ancora un inciso importante. Dice infatti: «A quel tempo lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato innalzato alla gloria» (Gv 7,39b). È un modo tipico di questo evangelista di dire che la piena manifestazione dello Spirito in Gesù avvenne nella sua glorificazione, ossia nella sua risurrezione.
    La prima cosa da rilevare in questo contesto è che la vittoria piena e definitiva della Vita sulla Morte, avvenuta con la risurrezione in Gesù, viene attribuita, specialmente dagli scritti paolini, allo Spirito Santo quale potenza vivificante di Dio. Dice, per esempio, Paolo nella Lettera ai Romani: «Il messaggio di salvezza riguarda il Figlio di Dio, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore» (Rm 1,3-4). La risurrezione è come una nuova creazione (avviene «nel primo giorno della settimana», come rilevano tutti gli evangelisti); è un passaggio dal nulla di vita alla pienezza della Vita, e non stupisce che lo stesso Spirito di Dio, che nelle origini fu l'operatore del superamento del nulla - Spirito creatore -, sia anche Colui al quale viene attribuita la risurrezione di Gesù.
    D'altra parte, questa risurrezione è il vero e definitivo esodo, del quale quello dell'Antico Testamento era appena una figura, secondo il pensiero specialmente di Luca e Giovanni. Risulta anche logico, quindi, che sia mediante la potenza dello Spirito che Dio strappa il suo Figlio dal potere della Morte (At 2,24), dal momento che con quella stessa potenza aveva strappato i figli d'Israele dal sepolcro che significava per essi la situazione in cui si trovavano in Egitto.
    Così, dunque, a partire dalla sua risurrezione operata dallo Spirito, Gesù è talmente pieno dello stesso Spirito da convertirsi in fonte del medesimo per gli altri. Diventa egli stesso pienamente Vivificante. È quanto afferma Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: «Così dice la Bibbia: Il primo uomo, Adamo, è stato fatto creatura vivente, ma l'ultimo Adamo, Cristo, è stato fatto Spirito che dà vita» (1 Cor 15,45).
    Giovanni dice la stessa cosa ma mediante il racconto di quanto avvenne la sera stessa della Pasqua: «La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, i discepoli se ne stavano con le porte chiuse per paura dei capi degli ebrei. Gesù venne, si fermò in piedi in mezzo a loro e li salutò dicendo: "La pace sia con voi" [...]. Poi soffiò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"» (Gv 20,22). Non è difficile vedere il collegamento di questo brano con quello di Gn 2,7 nel quale Dio, dopo aver formato l'uomo dal suolo della terra, «alita nelle sue narici» e lo fa diventare una creatura vivente. L'alito divino fa passare l'uomo dal non-essere-vivente all'essere-vivente. Nel racconto di Giovanni è Gesù risorto, ripieno ormai di Spirito Santo, che alita sui discepoli comunicando loro lo Spirito e facendoli così passare alla novità di vita: anch'essi si lanceranno, come Lui, a svolgere la missione di salvezza che il Padre gli ha affidato (Gv 20,21).
    In termini alquanto diversi e servendosi anche lui delle categorie di espressione dell'Antico Testamento, Luca dirà altrettanto negli Atti degli Apostoli. Questo libro è stato chiamato da alcuni «il Vangelo dello Spirito Santo», appunto perché è un'ampia ed entusiasta narrazione delle gesta che i primi discepoli, dopo la risurrezione di Gesù e una volta riempiti di Spirito Santo (At 2,4), cominciarono a realizzare prima in Gerusalemme, poi in tutta la regione della Giudea e della Samaria, e infine in tutto il mondo (At 1,8). Gesta che vanno chiaramente nella stessa linea di quelle di Gesù, proprio perché scaturite dallo stesso Spirito. Si può dire che, in un modo o in un altro, essi non hanno fatto altro che «risuscitare i morti» (Mt 10,8), rendendo così presente tra gli uomini il grande dono di Dio.

    Presenza attiva e dinamica dello Spirito in noi e nel mondo

    Per Paolo lo Spirito di Dio e di Gesù Cristo è stato riversato nei cuori di coloro che credono in Cristo (Rm 5,5), e vi abita come nella sua casa (1 Cor 3,16). Perfino i loro corpi diventano tempio suo (1 Cor 6,10) e devono avere il rispetto che si meritano. Questa presenza dello Spirito non è statica, ma eminentemente dinamica. Essa produce effetti meravigliosi.
    Tra questi c'è da rilevare anzitutto il rapporto filiale con Dio, modellato su quello vissuto da Gesù stesso. Per ben due volte Paolo colloca questa tematica al centro dell'attenzione. Tanto nella Lettera ai Galati, accennando al fatto che chi crede in Cristo è ormai adulto davanti a Dio, quanto in quella ai Romani, discutendo sulla prevalenza della fede sulla legge, rammenta ai suoi destinatari che essi, dacché sono incorporati a Cristo per la fede e il Battesimo (Rm 6,3-4), hanno ricevuto in dono lo Spirito di Dio, uno Spirito non di schiavi per vivere nella paura, ma di figli, il quale permette loro di gridare, come faceva Gesù nella sua vita terrena: «Abbà», cioè «Babbo» (Gal 4,6; Rm 8,15).
    Ma lo Spirito è anche la fonte dell'amore fraterno e della libertà. In primo luogo, dell'amore fraterno che coagula i credenti in unità. Non si può tralasciare di accennare, in questo contesto, al famoso «inno all'amore» che Paolo include nel capitolo tredicesimo della sua Prima Lettera ai Corinzi. È una delle pagine più belle scritte dall'Apostolo. In essa egli tesse le lodi di quella che, come dice introducendo l'inno, è «la via migliore» (1 Cor 13,1): «L'amore non tramonta mai [...]; più grande di tutte le cose è l'amore» (vv. 8.13). Ebbene, questo amore, che è poi la capacità di «non cercare i propri interessi» (v. 5) ma di aprirsi a quelli degli altri (1 Cor 10,24; ecc.), è un dono dello Spirito, anzi, il dono dello Spirito per eccellenza (1 Cor 12,4.31; 13,1). E questo grande dono dell'amore fraterno si sminuzza, nella realtà concreta, in tantissimi altri doni (carismi) che «lo Spirito dà a ciascuno per il bene di tutti» (1 Cor 12,7).
    Che questo Spirito sia anche la fonte della libertà è uno dei temi più cari a san Paolo. Proprio perché si ha nel cuore questa presenza liberante, si è veramente liberi da tutto ciò che può rendere schiavo l'uomo: il peccato (Rm 8,2), la legge (Gal 5,18; Rm 8,4), l'egoismo (Rm 8,6.12-14; Gal 5,16-17), la paura della morte (Eb 2,14). In poche parole, come riassume l'Apostolo, «dove c'è lo Spirito del Signore, ivi c'è la libertà» (2 Cor 3,17). Egli è, infatti, l'unica e liberante nuova legge che guida la condotta di chi è rinato in Cristo. Se si lasciasse muovere sempre dallo Spirito che abita in lui, il cristiano non avrebbe bisogno di nessun'altra legge che dall'esterno guidasse il suo comportamento.

    Lo Spirito e la creazione

    Collegandosi all'intera tradizione biblica che vede nello Spirito la forza creatrice di Dio, Paolo proietta la sua presenza e la sua azione sull'intera natura. Lo Spirito Santo, potenza vivificante di Dio che ha fatto trionfare pienamente e definitivamente la Vita sulla Morte in Gesù, e che continua a farla trionfare nel cuore, nel corpo, nei rapporti degli uomini e delle donne tra di loro mediante il dono dell'amore, è all'opera misteriosamente anche nella natura.
    In un testo che abbiamo già preso in considerazione nei capitoli precedenti, l'Apostolo lascia trasparire questa sua esaltante convinzione. È quello di Rm 8,22-23 che suona così: «Noi sappiamo che fino a ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già possediamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli». La metafora dei gemiti del parto è molto eloquente. Essa sta a dire che l'intero creato, e non solo l'uomo, è in travaglio e si sforza di uscire verso la figliolanza divina che ora non gli è permesso di possedere pienamente. E in questo lavorio è impegnato anche lo Spirito. La sua presenza è garanzia di esito positivo, perché Egli è precisamente la forza vivificante che abita l'intero creato. Perciò è anche fonte di speranza sicura. Come dice Paolo in un altro passo della lettera, ma che si può applicare anche in questo, «la speranza non delude, perché Dio ha riversato nei nostri cuori - e nel cuore del mondo, possiamo aggiungere - il suo amore per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

    4. Il Vaticano II supera una visione ristretta dello Spirito

    Dicevamo all'inizio di questo capitolo che la presenza dello Spirito venne come eclissata nel cristianesimo occidentale. Le cause concrete sono state un certo intimismo spiritualistico e un certo approccio accentuatamente razionalistico ai dati della fede, che portarono a lasciare nella penombra alcuni aspetti della sua identità riccamente delineati tanto dalla Bibbia quanto dalla fede vissuta nei primi secoli del cristianesimo.
    La teologia scolastica, tutta presa dal suo intento di rendere comprensibili i misteri della fede, finì per fare dello Spirito quella «Terza Persona della Trinità» che poco o nulla diceva alla fame di esperienza profonda e vitale di tanti credenti. Anche i catechismi, che di tale teologia erano solitamente la più accessibile divulgazione, offrivano una figura molto povera e astratta dello Spirito. Come reazione, si andò sviluppando una «devozione» spesso intimistica verso lo Spirito, inteso principalmente come «il dolce Ospite dell'anima». I suoi «sette doni» erano da ritenere come altrettanti aiuti per camminare più speditamente verso la propria perfezione personale.
    Il Vaticano II segnò una svolta anche da questo punto di vista. La presenza viva e dinamica dello Spirito nei suoi diversi documenti ne è una testimonianza. Degne di particolare attenzione sono le affermazioni che fa nella costituzione Gaudium et Spes, il documento che segna il momento più alto del suo processo di maturazione.
    C'è anzitutto il testo del n.22, nel quale il Concilio riconosce la possibilità di accesso al dono divino della salvezza a «ogni uomo di buona volontà». E, in quel contesto, parla espressamente dello Spirito. Dice infatti: «Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo da Dio conosciuto, col mistero pasquale di Cristo». Queste ultime parole sono molto importanti. Esse attribuiscono allo Spirito un'azione che va al di là della comunità ecclesiale, e si estende sino ai confini dell'umanità intera. E la sua azione consiste precisamente nel far partecipare gli uomini, in ragione della loro «buona volontà», al mistero pasquale di Cristo, ossia al trionfo della Vita sulla Morte.
    i sono poi altri tre testi che appaiono segnati da quel respiro cosmico che abbiamo ritrovato nella Bibbia sin dall'Antico Testamento. Nel n. l la si dice che i membri del popolo di Dio, in forza della fede per la quale sono convinti che è lo Spirito «che riempie l'universo», devono sforzarsi di discernere nella storia i segni veri della presenza o del piano di Dio. È chiaro in questo testo il riferimento al rapporto dello Spirito con l'intero universo e, implicitamente, anche con la storia.
    Questo rapporto con la storia si fa più esplicito ancora nel n. 26: «Lo Spirito di Dio, che, con mirabile provvidenza, dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione». La storia, quindi, non è una semplice realtà umana, ma è umano-divina poiché in essa interviene anche, sia pur misteriosamente, quale protagonista, lo stesso Spirito di Dio. Egli, come già diceva il salmo 103, «rinnova la faccia della terra» rendendola sempre più piena di vita, come fece nella risurrezione di Cristo. Il Salmo dichiarava, infatti, riferendosi all'agire di Dio nel mondo: «Tu mandi il tuo spirito e [gli esseri viventi] sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (v. 30).
    Un ultimo testo che concretizza ulteriormente quanto è stato detto prima è quello del n. 38. Vi si parla dell'attività svolta dall'umanità attuale nel mondo e, accennando al senso profondo che essa ha alla luce della fede, si dice: «Cristo, cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, tuttora opera nel cuore degli uomini con la potenza del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma, per ciò stesso, anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia umana cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine la terra». Vengono così attribuiti alla potenza dello Spirito del Cristo risorto non solo la tensione verso il mondo futuro, quello in cui ormai la vittoria pasquale sarà pienamente ottenuta anche a livello collettivo dell'intera umanità, ma anche tutto ciò che si fa da parte della famiglia umana per anticipare tale vittoria. Ed è da rilevare che il testo non si riferisce soltanto a ciò che è strettamente umano, ma anche al rapporto con la stessa terra, ossia con la natura.
    Riassumendo, si può dire che lo Spirito viene visto dal Concilio come il fermento vivificante dell'intera realtà che Egli stesso riempie e permea.

    5. Lo Spirito, il grande Dono di Dio al mondo

    La teologia del passato, nel suo intento di riflettere sulla grazia, aveva introdotto delle sottili distinzioni che oggi, cambiata la sensibilità con cui ci avviciniamo alla fede, ci appaiono come inutili e improduttive, ma che allora erano molto illuminanti. Una di esse era la distinzione tra grazia increata e grazia creata. Con la prima i teologi intendevano designare lo stesso Dio, e più in particolare lo Spirito Santo che, donandosi agli uomini, con la sua divina e dinamica presenza produce in chi lo accoglie quegli effetti meravigliosi di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti: liberazione dal peccato e dalla morte, incorporazione a Cristo, figliolanza divina, ecc.; con la seconda designavano invece questi stessi effetti.
    Qualcosa possiamo riscattare da queste affermazioni teologiche. In concreto, soprattutto questo: dire che lo Spirito è la Grazia increata equivale a dire che Egli è il Grande Dono che Dio, nel suo sconfinato amore, offre all'umanità e al mondo. Con la sua presenza piena di divina energia egli modella chi lo accoglie facendolo diventare simile a Colui che, appunto perché era pieno di Spirito Santo, «passò per il mondo facendo del bene a tutti» (At 10,38). Lo Spirito, primo Dono fontale di Dio, «cristifica» coloro che l'accolgono, li «spiritualizza», ossia li rende capaci di vivificare ogni cosa, di essere, come diceva san Gregorio Nazianzeno, «una forza vivificante per tutti gli altri uomini».


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