Luis A. Gallo, IL DIO DI GESÙ. Un Dio per l'uomo e in cerca dell'uomo, Elledici 1991
1. Le difficoltà di un titolo comunemente dato a Dio
Molto spesso, sia nell'ambito delle celebrazioni liturgiche sia in quello della vita quotidiana, noi ci riferiamo a Dio chiamandolo "Signore".
Nelle preghiere liturgiche, infatti, troviamo quasi ad ogni momento questo termine riferito a Dio Padre, accompagnato da aggettivi che lo specificano nella sua singolarità quali ad esempio "onnipotente ed eterno". Lo troviamo riferito pure a Gesù Cristo, che invochiamo come "nostro Signore"; e anche allo Spirito Santo, che nel Credo confessiamo come "Signore che dà la vita".
Nelle nostre conversazioni poi, non di rado sostituiamo il termine "Dio" con l'espressione "il Signore", che ci è diventata familiare. Siamo soliti a dire, per esempio: "se il Signore lo vuole", "il Signore ci ha fatto questo dono", "è una prova del Signore", ecc. Utilizziamo queste espressioni senza quasi accorgercene, perché consideriamo equivalenti "il Signore" e "Dio". Secoli di tradizione cristiana ci hanno talmente abituato a questo uso, che non ci facciamo più caso. E ciò in un tempo come il nostro, nel quale di signori non ne vogliamo avere, proprio perché ci troviamo a vivere in un momento storico-culturale del quale la libertà e l'emancipazione da ogni dominio o signoria sono la caratteristica indiscutibilmente fondamentale.
Magari in altri tempi, in cui la strutturazione piramidale della società civile ed ecclesiale comportava l'esistenza di "signori" che avevano in mano il potere e comandavano, e di "sudditi" che sottostavano ad essi e li ubbidivano, concepire Dio come Signore -il grande e supremo Signore celeste che era al di sopra di ogni altro signore terreno- e chiamarlo tale non constituiva un problema; anzi, risultava normale.
Oggi invece gli uomini e le donne vogliono sempre di meno sottostare al dominio di qualcuno, uomo o Dio che sia, perché hanno scoperto che l'autodeterminazione costituisce come la quint'essenza della dignità umana. Solo chi è schiavo ha dei signori sopra di sé, è eterodeterminato, e noi ci vantiamo di non essere tali.
Dobbiamo riconoscere con gioia che questo è uno dei frutti più positivi del grande movimento della Modernità, che è andato rendendo sensibile l'umanità intera al valore della libertà individuale, e che ha posto perciò l'emancipazione dell'uomo al centro dei suoi interessi e delle sue preoccupazioni. La democrazia come forma di coesistenza collettiva si confa meglio con la dignità umana che altre forme precedenti.
2. Un dato biblico attualmente scomodo
Ora, un'affermazione che si ritrova quasi in ogni pagina della Bibbia, tanto dell'Antico quanto del Nuovo Testamento, è appunto questa: Dio, il Dio della Vita, è Signore.
È curioso il dato che ci fornisce la storia biblica su ciò che è avvenuto quando gli scritti dell'A.Testamento furono tradotti dall'ebraico originale in greco: il nome proprio del Dio d'Israele (Jahvé), fu sistematicamente reso con l'espressione "il Signore". Ormai gli ebrei degli ultimi secoli del giudaismo non osavano più, per rispetto, pronunciare il nome proprio del loro Dio, e lo sostituivano con degli equivalenti che la famosa versione detta "dei Settanta" tradusse con l'espressione "il Signore".
Nell'Antico Testamento tale espressione, che poi passerà anche al Nuovo e verrà attribuita anche al Cristo risorto, quando è riferita a Dio sta a caratterizzare anzitutto il suo rapporto con la natura come creatore, e con la storia come redentore. Egli è detto Signore perché ha chiamato il mondo all'esistenza e "lo tiene nelle sue mani", conservandolo e governandolo, e perché tiene anche nelle sue mani le redini della storia umana conducendola verso la salvezza.
Che questa signoria del Dio della Vita non si opponga alla libertà e all'autonomia dell'uomo l'abbiamo già rilevato precedentemente. Dio non è Signore del mondo e della storia escludendo l'intervento dell'uomo, ma viceversa, invitandolo ad essere con Lui "co-signore" di ambedue le cose. Nessuna rivalità prometeica ci può essere, di conseguenza, tra l'agire umano e quello divino: l'uomo, contrariamente a quello che pensavano gli antichi, non "ruba" il fuoco divino che è proprietà esclusiva degli dèi, ma Dio ha fatto il fuoco perché l'uomo ne faccia uso intelligente e libero.
Ma c'è un altro aspetto connotato nell'affermazione biblica della signoria di Dio: quello del Dio geloso che non ammette rivali.
Si tratta, come è chiaro, di un'affermazione metaforica che attribuisce a Dio una esperienza non rara nel nostro mondo, quella di un uomo o una donna appassionatamente innamorati che non possono sopportare la concorrenza di altri nel loro rapporto con la persona amata.
Di per sé, la gelosia del Dio biblico potrebbe produrre l'impressione di avere a che fare con un Dio un infinitamente egoista (in fondo la gelosia umana è spesso una manifestazione raffinata di egoismo): si tratterebbe di un Dio che avrebbe fatto gli uomini per sé e li vorrebbe esclusivamente per sé; ogni loro allontanamento da Lui provocherebbe perciò la sua reazione di sdegno e scatenerebbe addirittura la sua ira.
Non sono rari gli episodi e i testi biblici in cui questa sensazione potrebbe trovare fondamento.
Già nel codice della alleanza enunciato nel libro dell'Esodo troviamo, in testa ai dieci grandi comandamenti, questa ingiunzione fatta al popolo: "Non avrai altro Dio fuori di me ... Io, Jahvè Dio tuo, sono un Dio geloso" (Es 20,3.5). Ma poi, soprattutto negli scritti profetici, quando la metafora del matrimonio entrerà a far parte del linguaggio dell'alleanza tra Dio e il suo popolo, l'intolleranza di Jahvè verso gli altri dèi rivali che li contendono l'amore e la fedeltà del popolo eletto, paragonato alla sua sposa, verrà espressa mediante la qualifica de "adulterio" con la quale verrà bollata ogni infedeltà del popolo stesso.
Ancora nel N.Testamento, quando Gesù verrà interrogato da un maestro della legge su quale sia il primo di tutti i comandamenti egli risponderà, appellandosi a un brano che ogni buon giudeo ricordava a se stesso ogni giorno: "Ascolta Israele: il Signore Dio nostro è l'unico Signore, e tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze" (Mc 12, 22-30).
Spesso, in ambito cristiano, si è collegato questa tematica con quella della gloria di Dio. Si è ripetuto, e si continua a ripetere, che Dio ci ha creato "per la sua gloria" e che, per essere bravi cristiani, occorre lavorare costantemente "per la maggior gloria di Dio".
Già S.Paolo raccomandava ai Corinzi: "Sia che mangiate, sia che beviate, o facciate qualunque altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" (1 Cor 10,31). E, ai cristiani di Efeso diceva nel grande inno introduttorio della lettera scritta a loro: "Benedetto sia Dio... Egli ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo... a lode della gloria della sua grazia" (Ef 1,3-6).
3. Forza vivificante della signoria di Dio
Quindi, abbiamo a che fare con un Dio geloso ed egoista? Quel Dio che abbiamo scoperto attraverso la vicenda storica di Gesù di Nazaret come appassionatamente amante della Vita degli uomini, risulta essere un Dio interessato a noi in ultima istanza solo per Se stesso? Siamo soltanto il "piedistallo" del suo onore?
In realtà, non è affatto così, malgrado le false interpretazioni che alle volte si sono fatte e si continuano a fare delle succitate affermazioni bibliche.
Esaminando infatti le cose con più attenzione, si scopre un filone umanamente molto ricco e vivificante in questa caratterizzazione del Dio della Vita.
3.1. Gli idoli della Morte
Nella loro inarrestabile ricerca di una Vita-senza-Morte i singoli uomini e i gruppi umani possono sbagliare la strada, e di fatto spesso la sbagliano. Credono cioè di trovarla nel possesso di certe realtà a cui attribuiscono un valore assoluto e che, a corto o lungo andare, finiscono per atrofizzare la loro umanità e per dimostrarsi non solo non-vivificanti ma addirittura altamente mortificanti.
Tali sono oggi, per esempio, soprattutto per i giovani, la moda, la fama, lo sport, la droga, il piacere sessuale o di altro tipo, ecc.
A livello collettivo esercitano invece questo ruolo il potere, alcune attuali forme di organizzazione della convivenza sociale fondate sull'avere e non sul condividere, certi stili attuali di rapporto tra le persone che creano degli steccati invalicabili in ragione dell'ideologia, del sesso, della razza, e altr ancora.
Si tratta, in realtà, di veri idoli, perché sono dei relativi eretti ad assoluti. E quando qualcosa di relativo viene assolutizzato, prende il posto di Dio. Ad essi viene reso un culto di adorazione che risulta alla larga molto esigente: milioni di vite umane vengono offerte sui loro altari.
Perfino Dio stesso (la sua idea) può venire convertito dagli uomini in idolo morto e mortificante quando il modo di pensarlo, e soprattutto di viverlo, non coincide con la sua vera immagine.
È il caso, per esempio, di un cristianesimo frammischiato in modo sincretistico con la religiosità magica di tipo cosmico, o convertito in strumento di dominio sugli altri o di sfruttamento dei più deboli. In esso l'immagine del Dio do Gesù Cristo viene violentata e le si fa svolgere delle funzioni opposte a quelle che dovrebbe svolgere.
3.2. La signoria del Dio della Vita
In tale contesto, non puramente immaginario ma molto reale e concreto anche oggi, l'affermazione della signoria di Dio e della sua gelosia acquista una vera portata liberatrice e vivificante.
Essa sollecita a sradicare dal mondo quei falsi assoluti che sbilanciano la dialettica Vita-Morte dal lato della Morte. È una forza antiidolatrica, e perciò stesso una forza che libera dalla Morte.
Chi accetta il Dio vissuto e proclamato da Gesù Cristo come Dio della Vita per tutti, a cominciare da coloro che di Vita ne hanno di meno, deve necessariamente respingere tutti gli altri falsi assoluti creati dagli uomini: il potere, la legge, le ideologie politiche, la ricchezza, ecc.
Le tassative parole di Gesù: "Nessuno può servire due signori, perché o amerà uno e odierà l'altro, o si affezionerà questo e trascurerà l'altro" (Lc 16,13) costituiscono un vero proclama di liberazione umana, nonostante le apparenze della formulazione che sembrerebbe, ancora una volta, fare di Dio un Dio geloso per egoismo. Servire questo Dio implica, infatti, como lo ha fatto vedere in tutta la sua esistenza Gesù stesso, mettersi con Lui dalla parte della Vita più piena degli uomini e contro la Morte e tutto ciò che concretamente la produce.
Si percepisce ancora più acutamente la forza liberante della signoria del Dio della Vita, se si tiene presente che le vittime di queste idolatrie sono sempre soprattutto i più piccoli e deboli dell'umanità. Sono essi a venir offerti in sacrificio cruento sull'altare di questi idoli.
Affinché, come è volontà di questo Dio, i piccoli e poveri possano avere la Vita, è indispensabile far scomparire tali idoli. Solo se il Dio della Vita regna ed è Signore storicamente gli ultimi possono essere strappati dai "lacci della Morte".
4. La gloria di Dio è l'uomo vivente
Sopra abbiamo accennato al tema della gloria di Dio. Esso si ricollega in forma molto stretta con quanto stiamo dicendo. Indubbiamente un certo modo di pensare questa gloria non può sfuggire alla sensazione precedentemente menzionata del Dio infinitamente egoista.
Se questo Dio ha fatto gli uomini per Sé e per la sua gloria, può ancora essere definito come "amore", come fa uno degli scritti più maturi del Nuovo Testamento? Ci riferiamo alla Prima Lettera di Giovanni la quale, in una frase che viene considerata quale vertice di rivelazione, afferma per ben due volte che "Dio è Amore (agape)" (1 Gv 4,8.16).
A dissipare ogni erronea interpretazione della gloria di Dio viene l'affermazione di un altro grande pensatore cristiano dei primi secoli, che coronò la sua vita di fede con la testimonianza del martirio: S.Ireneo di Lione. Egli scrisse una frase che, nella sua laconicità, sintetizza e condensa molto bene quanto di Dio ci ha fatto sapere Gesù Cristo: "La gloria di Dio è l'uomo vivente" (Adversus Haereses IV, XX, 7).
L'immagine di Dio che tratteggia questa frase non è quella di un Dio accentratore, che ripone il suo onore nel fatto che tutto sia "per Lui", ma viceversa quella di un Dio "ec-centrico": di un Dio cioè che ci ha fatto "per noi", perché anche noi fossimo, come Lui, pieni di Vita. La sua gelosia verso gli idoli che noi ci creiamo non è quindi radicata nel suo desiderio di posserderci o di non perderci, ma nel suo appassionato desiderio di Vita per ciascuno di noi. È precisamente per questo che è Amore.