Luis A. Gallo, IL DIO DI GESÙ. Un Dio per l'uomo e in cerca dell'uomo, Elledici 1991
1. Un Dio tenacemente fedele alla sua Promessa
Il tema biblico della Promessa, e anche quello strettamente collegato con esso della fedeltà del Dio Jahvè nell'Antico Testamento e del Padre del Signore nostro Gesù Cristo nel Nuovo, permeano l'intera storia del popolo d'Israele e delle comunità cristiane dei primi momenti.
1.1. Abramo, l'uomo della Promessa
Nell'Antico Testamento, come abbiamo già ricordato, la storia del popolo d'Israele si apre con una grande Promessa: è quella rivolta dal Dio dei Padri al capostipite Abramo: "Lascia il tuo paese ... Io farò di te un popolo grande, renderò glorioso il tuo nome e tu sarai una benedizione ... In te si benediranno tutti i popoli della terra ... Io darò questa terra alla tua progenie" (Gen 12,1-7).
Stando alla narrazione biblica, Abramo era in quel momento un uomo in diverse forme attenagliato dalla Morte .
Anzitutto e fondamentalmente, per la mancanza di discendenza. La sua vita si avviava verso la fine senza avere figli, e per un uomo di quell'epoca ciò significava uscire completamente e definitivamente dalla vita. Solo i figli, e più precisamente i figli maschi, salvavano il padre dalla morte prolungando la sua stirpe.
Ma la Morte assediava Abramo anche come insicurezza, essendo un seminomade che si aggirava con la sua gente attendandosi ai bordi del deserto, nelle regioni della Bassa Mesopotamia, alla ricerca di pasto per i suoi bestiami, dai quali aveva i mezzi sostanziale di sopravvivenza per se e per si suoi.
D'altra parte c'era il pericolo delle bande di predatori che in qualunque momento potevano piombare su di lui e sulla sua gente spogliandoli di tutto, tende e bestie, e anche della stessa vita.
Fu in quelle condizioni che egli venne raggiunto da Dio e incamminato decisamente verso un futuro diverso. Dio gli disse una Parola che gli prometteva una possibilità di Vita straripante: fecondità straordinaria (i suoi figli sarebbero stati numerosi "come le stelle del cielo": Gen 15,5); possesso di una terra fertile e generosa per sé e per i suoi (Gen 12,7); sicurezza contro i nemici (Dio stesso sarebbe stato la sua difesa: Gen 12,3; 15,1).
E Abramo, abbandonando la terra dove abitava, si mise in movimento verso quel Futuro sconosciuto che gli veniva promesso. Così diventò il padre del popolo della Promessa: ebbe il figlio che lo rese fecondo, trovò la terra che gli era stata promessa e fu costantemente accompagnato da Dio stesso nelle sue vicende.
1.2. Il popolo della Promessa
Se più tardi i suoi discendenti che finirono, attraverso diverse vicende, schiavi in Egitto si misero in movimento verso la libertà e verso il loro nuovo destino di popolo, e furono capaci anche di continuare la strada inizialmente intrapresa nonostante le innumerevoli difficoltà incontrate in essa, ciò fu dovuto alla loro radicata cconvinzione di essere portatori di una Promessa senza pentimenti del loro Dio Jahvè. Una convinzione confermata e rafforzata, d'altronde, dall'esperienza più volte ripetuta della fedeltà incrollabile di questo loro Dio. Infatti, ogni volta che essi ricaddero sotto il giogo di nuove schiavitù, Jahvè intervenne per strapparli dai loro nuovi "Egitti" e per restituirli alla loro libertà. Ne è una testimonianza il libro dei Giudici, che di questo susseguirsi di ricadute e di riprese ad opera di Dio ha fatto come una tesi.
E se questo popolo si mantenne lungo la sua storia sempre in tensione verso il nuovo e il futuro, e costantemente disposto a mettersi sempre di nuovo in situazione di esodo, ciò si dovette al fatto che si appoggiava sull'esperienza di questa fedeltà indefettibile di Jahvè alla Promessa fatta.
In questo senso il suo passato, rivisitato costantemente nella fede, nella preghiera personale e nella celebrazione cultuale, soprattutto in quella della pasqua annuale, fu per lui una costante spinta verso il suo futuro.
A poco a poco, come attesta la Bibbia, i discendenti del credente Abramo arrivarono a capire che la grande Promessa divina di benedizione e di vita non era destinata solamente ad essi, ma anche all'intera umanità. Non fu un processo facile e rapido. Spesso, infatti, essi caddero nell'errore di ritenersi gli unici beneficiari della grande benedizione divina annunziata al loro padre. Diventarono orgogliosi ed esclusivisti, considerando gli altri, da loro chiamati in maniera spregiativa "le nazioni", "i popoli", "gli incirconcisi", come uomini e popoli non amati da Dio e degni perfino di maledizione da parta sua: erano "gli impuri", con i quali non si doveva avere nemmeno contatto.
Ancora dopo la Pasqua di Cristo, quando l'apostolo Pietro verà chiamato dal centurione Cornelio, un non-giudeo che voleva farsi cristiano, diceva sulla soglia della sua casa: "Voi sapete che è proibito ad un Giudeo unirsi ad uno straniero ed entrare in casa sua; ma Dio mi ha insegnato a non considerare come profano o impuro nessun uomo" (At 10,28).
Nel contesto di questo processo di apertura si può capire la decisiva portata universalistica presente nel testo biblico della promessa ad Abramo (Gen 12,3b) e, ancora prima, in quello del cosiddetto "protovangelo" o primo annuncio della salvezza futura delle pagine iniziali della Bibbia (Gen 3,15), in cui si preannuncia la vittoria definitiva del "figlio della donna", ossia dell'umanità intera, sul serpente antico che introdusse il male e la Morte nel mondo. È una promessa di Vita piena per tutti, senza eccezione e senza privilegi di sorta.
Israele scoprì pure, e quasi toccò con mano lungo la sua esperienza storica, che questa volontà di Vita del suo Dio per gli uomini, per tutti gli uomini, era indefettibile, senza pentimenti. La metafora della roccia, solida ed immutabile, tante volte ripresa nella Bibbia per parlare di Lui e della sua fedeltà, ne è una chiara conferma. D'altra parte, uno degli aggettivi più adoperati per qualificare il Suo modo di agire nella storia e che noi traduciamo per "fedele", ha nella sua radice ebraica le tre consonanti 'mn, che indicano fermezza, solidità: Egli è un "Dio-amen".
Una controprova di tutto ciò si ha nel fatto che ogni qualvolta il popolo dubitò della fedeltà del suo Dio, e di conseguenza si rivolse ad altri dèi, si allentò la sua tensione verso il futuro ed esso si istallò nel suo presente.
L'abbiamo visto precedentemente, parlando della tendenza del popolo a "baalizzarsi", ossia ad abbandonare il suo Dio Jahvè per rivolgersi al dio Baal dei popoli cananei che lo attorniavano.
1.3. Una Promessa adempiuta ma ancora da adempiere
Nel Nuovo Testamento il tema della Promessa e della fedeltà di Dio comporta due aspetti complementari.
In primo luogo, c'è l'entusiasta affermazione delle prime comunità cristiane circa la loro esperienza, avuta nell'avvenimento della Pasqua (At 3,25-26), della suprema fedeltà di Dio alla sua Promessa di benedizione illimitata.
La risurrezione di Gesù, infatti, è vista da esse come il grande "sì" di Dio alla sue Promesse (2 Cor 1,22): vi trovano ormai realizzato il trionfo pieno e definitivo della Vita sulla Morte in uno dell'umanità, in colui che confessano come Cristo e Signore.
D'alta parte esse ritengono che la donazione dello Spirito Vivificante alla comunità, donazione di cui fanno esperienza in mille forme diverse, ordinarie e straordinarie, costituisce come la caparra o anticipo dell'adempimento di tale trionfo per l'umanità intera (Ef 1,14; 2 Cor 1,22).
Ma, in secondo luogo, è proprio in base a questa esperienza pasquale che le prime comunità cristiane sono capaci di vivere in stato di attesa attiva e dinamica, in una accentuata tensione verso il Futuro pieno e definitivo, e di credere indefessamente nella realizzazione piena della Promessa divina a livello non solo personale, ma anche collettivo.
L'esperienza della fedeltà indefettibile del Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo alla sua Promessa sostiene e nutre questa loro speranza, aiutandole a superare gli ostacoli e le difficoltà che sorgono nel loro cammino storico.
Esse sono convinte che l'ultima e definitiva parola sull'uomo, singolo e collettivo, non appartiene alla Morte, ma al Dio della Vita, e che Egli è impegnato nel portare a realizzazione quanto ha promesso agli uomini sin dagli inizi.
Anche l'ultimo del Nuovo Testamento, l'Apocalisse, quando descrive in maniera fortemente simbolica l'adempimento totale della Promessa divina, condensa il tutto dicendo: "Non ci sarà più la Morte" (Ap 21,4).
2. Perseverare malgrado tutto
Un dato incontrovertibile della nostra esperienza è che l'impegno per il trionfo della Vita sulla Morte nel mondo è costantemente minacciato dallo scoraggiamento.
La cruda realtà della Morte, nelle sue molteplici forme di presenza, costituisce una dura prova per la pazienza e la fiducia vitale.
Esse vengono spesso messe alla prova, anzitutto, dalla morte cosiddetta "naturale", quella cioè che ci sopravviene come conseguenza dei determinismi della natura: malattie, cataclismi, incidenti vari. Tutte le lotte intraprese dagli uomini per vincere questi fenomeni si rendono spesso se non completamente almeno in buona parte vane: migliaia e migliaia di persone sono vittime del cancro, dei terremoti improvvisi, delle inondazioni o delle siccità, ecc.
Ma, soprattutto, la pazienza e la fiducia nella vita vengono messe a dura prova dalle mille forme di morte violenta, provocate dalla libera decisione individuale o collettiva degli uomini e dalle strutture da essi create, che avvengono nel mondo. Si potrebbe quasi dire che oggi la maggior parte delle morti, parziali o definitive, sono violente. La morte cosiddetta naturale sembra essere diventata un'eccezione.
In tutti questi casi, sia che si tratti di morte naturale o di morte violenta, ma soprattutto negli ultimi, si ha a che fare con il male, che spesso sembra avere veramente la meglio nel mondo, malgrado tutti gli sforzi positivi fatti per superarlo, e ciò crea un senso di impotenza e perfino dell'inutilità di tali sforzi. La Morte sembra effettivamente più forte della Vita, il Male più forte del Bene, l'Ingiustizia più forte della Giustizia.
In tale contesto l'affermazione biblica sulla fedeltà irremovibile del Dio rivelato in Gesù Cristo come un Dio di Vita per gli uomini, a partire da quelli che di Vita ne hanno di meno, acquista un rilievo del tutto particolare e un senso altamente fecondo.
L'uomo, singolo e collettivo, può infatti trovare in essa la certezza di non essere da solo nella sua lotta per la Vita. Anzi, grazie ad essa sa che la volontà di Dio per la Vita degli uomini è indefettibile, e che va oltre la cruda realtà attuale della Morte, come è avvenuto palesemente nel caso di Gesù. Questi, infatti, caduto "nei lacci della Morte" (At 2,26), e per di più di una Morte quanto mai violenta, a causa della cattiveria degli uomini, venne strappato da essi dal Dio Vivente mediante la forza risuscitante del suo Spirito. Il Padre non lo lasciò abbandonato definitivamente, nonostante questa sua sensazione sulla croce (Mt 27,46); gli venne invece incontro con una risposta straripante di Vita, anzi, introducendolo definitivamente nella pienezza della Vita.
3. Per una vittoria "planetaria" della Vita sulla Morte
Quanto stiamo dicendo acquista oggi delle connotazioni molto realistiche e acute in diversi ambiti della realtà che si sta vivendo nel mondo.
Più volte abbiamo ricordato, anzitutto, la situazione di ingiustizia planetaria in cui è immerso il mondo: sono milioni gli uomini e le donne (la stragrande maggioranza dell'umanità) che sono oggi vittima di un'ingiustizia cristallizzata in strutture di natura economica, sociale, politica e culturale; strutture che sembrano realmente impossibili da rimuovere, tale è la loro vastità e la loro consistenza.
I morti che questa situazione genera si contano per decine di milioni. Le statistiche non lasciano spazio al dubbio al riguardo.
Ora, mentre non pochi ritengono tale situazione come "fatale" e quindi impossibile da rimuovere e cambiare, altri si stanno dando da fare per smuoverla affinché ci possa essere più possibilità di Vita per tutti, e specialmente per quelli che soffrono più duramente le conseguenze di tale situazione.
L'impegno per la trasformazione nasce e si rafforza specialmente tra quest'ultimi, ma è assunto anche da altri che, pur senza condividere con essi la situazione di povertà ed emarginazione, ne condividono le aspirazioni e lo sforzo. Sono coloro che han fatto propria la causa dei poveri e degli ultimi.
Per tutti questi il Dio della Vita costituisce una fonte di forza e di coraggio.
Essi sono convinti che, malgrado tutto, la Vita è più forte della Morte precisamente perché Dio si è rivelato come un Dio fedele in Gesù Cristo. È proprio per questo che, come Gesù, anch'essi sono convinti che, come egli disse, "nulla è impossibile presso Dio" (Mc 10,27) e che, come aggiunse in un'altra occasione egli stesso, "per chi crede, nulla è impossibile" (Mc 9,23). Anzi, sono convinti che ciò che sembra impossibile può diventare possibile con lo sforzo accomunato degli uomini, sostenuto da Dio.
E alcuni ne sono convinti fino a giocarsi la vita per questa causa. Il martirio, infatti, non è solo una realtà dei primi secoli del cristianesimo, quando i seguaci di Gesù dovevano difendere la loro fede rischiando la propria vita, ma lo è anche oggi.
Si tratta di un martirio nel quale uomini e donne attestano la loro speranza circa il "sogno" di un futuro migliore e diverso, nel quale la Vita in abbondanza possa essere una possibilità di tutti, e non solo di alcuni. E ci credono tanto fortemente, da avere il coraggio di consegnare la propria vita per questa speranza. Essi, come dice bellamente uno scritto del Nuovo Testamento parlando degli antichi Patriarchi d'Israele, non vidono con i loro occhi la realizzazione della grande Promessa ma, ricolmi di speranza, la salutano da lontano (Eb 11,12).
Ma, oltre a questa fiducia nel futuro di Vita che si gioca sul fronte planetario o su quello delle grandi strutture, c'è quella che si gioca più modestamente nella quotidianità. È la fiducia dei genitori che scommettono attivamente, e malgrado tutte le difficoltà, per la crescita dei loro figli; dei ragazzi e dei giovani che s'impegnano nel volontariato al servizio degli handicappati o di altri tipi di bisognosi; di coloro che lottano per uscire dalla dura schiavitù della droga o per dare senso ad una malattia terminale; di chi s'impegna per cambiare mediante l'educazione il modo fatalista di pensare della gente; ecc.
È il Dio della Vita colui che è all'opera nel mondo e nei cuori degli uomini alimentando questa tensione invincibile verso il Futuro. Questo Dio che, secondo l'Apocalisse, è il Signore della storia e, mediante il suo Figlio Gesù e il suo Spirito, attraverso l'impegno degli uomini, la porta verso la sua realizzazione finale.