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    Il Dio della vita e la natura (cap. 5 di: Il Dio di Gesù)


    Luis A. Gallo, IL DIO DI GESÙ. Un Dio per l'uomo e in cerca dell'uomo, Elledici 1991



    Nel presente capitolo vogliamo parlare del Dio della Vita in rapporto alla natura in mezzo alla quale è vissuto da sempre l'uomo, una natura che costituisce un componente essenziale della sua esistenza in questo mondo.

    1. L'uomo e la natura: ieri e oggi

    Il rapporto che abbiamo oggi con la natura è notevolmente diverso da quello che intrattenevano con essa gli uomini che ci predecettero nel passato. E non solo quelli che vissero nei secoli precedenti, ma anche quelli di appena qualche decennio fa. Come l'abbiamo già rilevato nel primo capitolo, lo straordinario progresso scientifico-tecnico in corso ha portato a modificare profondamente tale rapporto.
    Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Quelle positive, che sono molte e stupende, ma anche quelle negative, che costituiscono una specie di incubo collettivo. Il problema ecologico, sempre più incalzante, ne è un indizio lampante, benché non l'unico.
    È infatti sempre più evidente che un determinato modo di gestire il progresso scientifico-tecnico sta mettendo in grave pericolo la natura nella sua integrità, e sta perfino minacciando la sopravvivenza del genere umano sul nostro pianeta.
    Ora, questa situazione interessa anche il rapporto degli uomini con Dio. Per i cristiani, più concretamente, interessa il rapporto con il Dio di Gesù Cristo, caratterizzato come un Dio di Vita per tutti, a partire da quelli che di Vita ne hanno di meno.
    È importante quindi focalizzare questa tematica, per le conseguenze concrete che comporta.

    2. Il Dio creatore

    Nella Bibbia c'è un dato ripetutamente sottolineato: il Dio Vivente, che è intervenuto per dare libertà e vita al popolo schiavo e oppresso in Egitto, e che poi ha strappato Gesù di Nazaret dal sepolcro con la potenza del suo Spirito, è il creatore del mondo.
    È un dato che troviamo già nelle prime pagine della Scrittura. Esse, come è risaputo, riportano due narrazioni riguardanti le origini dell'universo in Gen 1 e in Gen 2-3, destinate a creare come la cornice nella quale inquadrare la grande storia di salvezza che trova il suo punto focale nell'esodo dall'Egitto.
    In questo modo la Bibbia riesce a saldare la distanza tra il Dio salvatore, che Israele ha sperimentato e continua a sperimentare nella sua storia, e il Dio creatore dell'universo, che sperimenta al contatto con la natura.
    La prima narrazione, secondo molti studiosi più recente nella sua composizione letteraria, è dovuta alla tradizione creatasi dopo il ritorno del popolo dall'esilio babilonese, quindi nel secolo V prima di Cristo. La troviamo nel capitolo primo del libro della Genesi.
    Come spesso succede tra i popoli antichi, essa racconta gli inizi del mondo avvalendosi dello schema spaziale di un universo diviso in diversi strati sovrapposti, e di quello temporale dei sette giorni. Una delle sue intenzioni principali, consona con la sensibilità di coloro che le diedero origine, appartenenti a quella che è stata chiamata dai biblisti "tradizione P o sacerdotale", è giustificare la santità del sabato come giorno di riposo consacrato a Dio.
    Nel racconto giorno dopo giorno il divino Artefice va chiamando all'esistenza dal nulla i diversi esseri della natura, fino a creare, il sesto giorno, la criatura-culmine, l'uomo, al quale affida tutto il creato (Gen 1,26-28): "Il sesto giorno ... creò l'uomo, maschio e femmina li creò, e disse loro: 'Crescete e moltiplicatevi, e dominate la terra". Il settimo giorno Egli si riposa dalle sue opere, dando così l'esempio all'uomo.
    La seconda narrazione, che secondo l'opinione più comune tra gli studiosi è più antica della precedente, appartiene alla cosiddetta "tradizione J o jahvista", ed è da datare verso il secolo X prima di Cristo.
    Essa, preparando da lontano l'intervento salvatore e liberatore del Dio Jahvé in favore del popolo ebreo schiavo in Egitto, narra con sfumature proprie non solo gli inizi del mondo e dell'uomo, ma anche la vicenda che spiega tutte le sue disgrazie: il suo primo peccato (Gen 3,1-24), che poi verrà chiamato, nella storia della teologia, "peccato originale".
    Queste due magnifiche e altamente poetiche narrazioni iniziali, pur avvalendosi largamente di elementi letterari delle mitologie dei popoli circostanti, si diversificano profondamente da esse.
    Tra le altre differenze si percepisce con chiarezza la seguente: il Dio che crea il mondo e l'uomo è un Dio che agisce con sovrana libertà, chiamando gli esseri all'esistenza con la sola forza della sua parola. Egli "dice", e le cose vengono all'esistenza.
    Ciò significa, anzitutto, che per la fede che ha prodotto queste pagine, come tutte le altre in cui la Bibbia esprime il suo modo di capire Dio, la natura non è Dio, né divina, ma "altro da Dio".
    E permette di affermare, como l'ha fatto con insistenza in sintonia con la sensibilità odierna il Concilio Vaticano II (GS 36 b), che questo Dio pone in esistenza la natura dandole densità e consistenza proprie, e perciò fondando la sua autonomia nell'essere e nell'agire.
    "Autonomia" vuol dire, precisamente, che essa esiste e agisce in forza dei suoi propri dinamismi interni e secondo le sue leggi intrinseche, senza bisogno di un intervento immediato o diretto da parte di Dio.
    Conosciamo quanta strada ha fatto l'uomo in questi ultimi secoli nella presa di coscienza di tale autonomia. Lo abbiamo visto precedentemente, parlando del fenomeno della "secolarizzazione". La scienza e la tecnica hanno avuto un ruolo decisivo al riguardo, perché hanno dato la possibilità agli uomini di scoprire le leggi intrinseche che reggono i fenomeni della natura, svelando in questo modo le cause immediate che li producono.
    Secolarizzazione e dedivinizzazione o sfatalizzazione della natura vanno di pari passo. Quando l'uomo riesce a porsi al di sopra della natura, questa perde automaticamente il suo carattere sacrale ai suoi occhi.

    3. Una natura per la Vita dell'uomo

    Il Dio creatore della fede biblica è, in realtà, la fonte ultima della dedivinizzazione o desacralizzazione della natura, come si vede nelle già citate pagine del libro della Genesi. In esse il sole, la luna e gli altri astri, così spesso divinizzati e fatti oggetto di adorazione da parte dei popoli antichi, sono intenzionalmente presentati come semplici creature di Jahvè, risultato del suo sovrano e libero volere.
    In tale modo questo Dio apre all'uomo la strada per un nuovo tipo di rapporto con la natura all'interno della dialettica o antitesi Vita-Morte in cui esiste e si dibatte. Nuovo tipo di rapporto che può sfociare in una risoluzione vivificante di tale dialettica, se l'uomo lo orienta come corrisponde.
    È palese: la natura è una formidabile fonte di Vita per gli uomini. Lo è in mille forme diverse, a cominciare dall'aria che respirano, dall'acqua che bevono e dal sole che li illumina e li riscalda. Essa è un meraviglioso dono offerto ai fondamentali bisogni umani. Provvede e nutre. Per milioni di anni gli uomini si sono serviti quasi esclusivamente, per sostentare la propria esistenza, di ciò che essa forniva generosamente loro, senza grandi sforzi di ricerca.
    Ma non di rado la natura diventa anche fonte di Morte. Le malattie e i cataclismi naturali di diversa indole che si producono, senza intervento umano alcuno, lo stanno a dimostrare. La natura ammazza anche, e in forma inesorabile. E non solo la natura che è esteriore all'uomo, ma anche quella che è dentro di lui. In fondo, la morte biologica per malattia o per vecchiaia è effetto della natura.
    Ora, una concezione divinizzante o sacralizzante della natura ha portato in passato l'uomo -e lo porta ancora in molti casi ancora oggi- ad un atteggiamento di sottomissione passiva e rassegnata, quando non addirittura fatalista, nei suoi confronti. Non gli permette di reagire verso di essa per modificare i suoi effetti negativi. Se essa e i suoi fenomeni sono sacri, espressioni dirette del divino e della sua volontà, l'uomo non può permettersi di contrapporvisi.
    Ciò lo rende quindi schiavo, lo mette in situazione di inferiorità nei suoi riguardi.
    Per millenni gli uomini sono vissuti in questa condizione, dominati dalla paura di ciò che consideravano delle manifestazioni del divino in una natura più di una volta ostile e vendicativa.
    Il Dio della rivelazione biblica, invece, quel Dio in cui ha creduto e sperato Gesù e che lo ha liberato dalla morte nella Pasqua, consegna la sua creazione nelle mani dell'uomo. Non l'ha fatta per Sé, poiché non ne ha bisogno, ma per l'uomo. Non considera gli interventi umani sulla natura come offese fatte alla sua signoria su di essa, come gli dèi di tante altre religioni antiche, gelosi del loro dominio sulle cose, ma viceversa invita l'uomo a realizzarli: "... dominate la terra" (Gen 1,26).
    In questo modo per il fatto di togliere alla natura e ai suoi fenomeni il carattere divino o sacrale, e di fondare così la loro autonomia, il Dio creatore apre all'uomo la possibilità di agire su di essi per orientarli responsabilmente verso la Vita. Gli apre uno spazio di libertà per la Vita.
    Egli è, quindi, per il semplice fatto di essere creatore, anche Vivificante.

    4. Un rapporto adeguato con la natura

    Dobbiamo tuttavia aggiungere che la strada che il Dio creatore apre all'uomo, appunto perché è Dio della Vita, non è quella di un dominio dispotico della natura, ma quella di una sua gestione vivificante, che non faccia violenza alla natura stessa, ma la orienti amichevolmente ai fini per i quali essa è stata creata.
    In questo contesto acquista un rilievo fortemente emblematico il modo di comportarsi di Gesù di Nazaret, da quanto possiamo ricavare dai vangeli.
    Egli, infatti, se da una parte dimostra di avere una chiara coscienza che solo Dio, suo Padre e Creatore di tutte le cose, è Dio, mentre ogni altra cosa è solo sua creatura, dall'altra si rapporta con esse con un atteggiamento profondamente libero e amicale.
    Gesù dà, infatti, chiari segni di amare le piante e i fiori; parla con affetto dei gigli dei campi e degli uccelli del cielo (Mt 6,26-29); sa servirsi dei beni forniti dalla natura con gioia e ringraziamento e con una freschezza sconvolgente.
    Nella storia del cristianesimo c'è stato un uomo che visse con impareggiabile intensità questo atteggiamento di Gesù verso le creature: Francesco d'Assisi. Egli fu davvero un uomo profondamente innamorato di tutto il creato, un uomo che seppe fare di ogni essere un fratello e una sorella. Il suo "Cantico delle creature" ne è una stupenda testimonianza.
    Ciò contrasta fortemente con quanto sta avvenendo attualmente nel mondo. È vero, come si disse, che il processo scientifico-tecnico degli ultimi decenni ha potenziato enormemente la capacità di dominio dell'uomo sulla natura. Grazie alla conoscenza della razionalità dei fenomeni gli uomini sono sempre più in grado di impadronirsi del loro funzionamento. Riescono a fare delle cose stupende tanto nell'ambito del microcosmo delle particelle e dell'energia, quanto in quello del mondo dove inizia la vita umana e del macrocosmo degli astri dell'universo.
    Sono riusciti e riescono sempre più a debellare malattie un tempo imbattibili, a produrre strumenti sofisticati di lavoro, ad accorciare in modo mai sognato lo spazio e il tempo. Hanno perfino posto i loro piedi sulla luna, per secoli e secoli venerata addirittura come una dea da tanto popoli...
    Le scoperte scientifiche quasi non causano più stupore oggi, tanto sono numerose e frequenti.
    Come dice il Vaticano II (GS 34), lungi dal considerare tutto ciò come espressione di una rivalità sacrilega nei confronti del Dio creatore, occorre guardarlo come qualcosa che corrisponde al disegno della sua volontà. La mitologica figura di Prometeo, punito dagli dèi per via della sua sacrilega incursione nel mondo del divino per rubare il fuoco, non è certamente cristiana.
    Tuttavia, qualcosa sta cominciando a rivelare un modo sbagliato, da parte dell'uomo, nella maniera concreta di realizzare quest'attività. La natura sta reagendo alla violenza che le viene inflitta.
    Il problema ecologico, sempre più acutamente sentito, ha le sue ragioni di porsi: le acque dei fiumi e dei mari sono sempre più inquinate, l'aria è sempre meno respirabile, la desertificazione del pianeta avanza velocemente, le foreste vengono sempre più saccheggiate, le specie viventi sempre più eliminate.
    Una gestione della natura di questo genere è in contraddizione con la fede nel Dio della Bibbia, che è il Dio della Vita per gli uomini. Solo cercando di convertirla in una gestione vivificante si può onorare veramente un tale Dio.
    Non si può agire su di essa come se le sue capacità e le sue energie fossero illimitate, e strafacendo da padroni su di essa. Alla fine la si obbliga a rivoltarsi contro l'uomo, producendo la sua Morte. La si sottomette così veramente alla "vanità", come già diceva, in un altro contesto certamente, S.Paolo nella lettera ai Romani (Rom 8,20), dal momento che, essendo stata creata da Dio per la Vita dell'uomo, la si converte in fonte di Morte.
    La vera fede nel Dio creatore come Dio della Vita dovrebbe condurre a coltivare un rapporto con la natura che, pur rispettando di fatto la superiorità dell'uomo su di essa e la sua libertà, fosse veramente amicale.

    5. Una natura al servizio della Vita di tutti

    C'è ancora un altro aspetto collegato con l'immagine del Dio creatore della rivelazione cristiana che vogliamo mettere a fuoco: quello della destinazione universale dei beni della natura.
    Come abbiamo detto, Dio non creò questo mondo per sé, poiché non ne aveva bisogno alcuno. Lo creò per l'uomo, per la sua Vita. Perciò lo affidò alla sua intelligente operosità e diligenza. Soprattutto la seconda delle narrazioni del libro della Genesi lo mette chiaramente in rilievo.
    Ma, agendo in questo modo, Egli non fece distinzioni tra gli uomini per ciò che riguarda la destinazione di tale dono.
    La Costituzione conciliare Gaudium et Spes sottolineò con forza quest'idea (n.69), e nella sua enciclica Sollicitudo Rei Socialis papa Giovanni Paolo II tornò per ben nove volte su di essa: i beni creati da Dio sono per tutti, e non solo per alcuni privilegiati (nn.7.9.10.21.22b,d.28.39.42).
    La ragione sembra molto ovvia: poiché Egli è il Dio della Vita, ha creato il mondo per la Vita in pienezza degli uomini, per tutti senza eccezione, e non solo per alcuni di essi. Anzi, se è il Dio della Vita a cominciare da quelli che ne hanno di meno, la sua volontà di Vita nei confronti dei beni della natura non può smentirsi.
    Ogni forma di accaparramento, quindi, individuale o collettiva, di tali beni si converte in una fonte di schiavitù e di Morte per gli uomini. Per tutti, senza eccezione: per coloro che ne sono privati, anzitutto, ma anche per gli stessi accaparratori.
    Ciò ha un'attualità del tutto speciale in un tempo come il nostro, nel quale il mondo, come abbiamo già ricordato più di una volta, si trova come spaccato planetariamente in due: da una parte, un Nord sempre più ricco e sviluppato scientifico-tecnicamente e, dall'altra, un Sud sempre più povero e sottosviluppato. Con l'aggravante che la ricchezza e il benessere del Nord crescono a spese del Sud (Sollicitudo Rei Socialis 14-16).
    Stando le cose così, la fede nel Dio creatore comporta una denuncia radicale dell'attuale situazione planetaria. I milioni di morti causati da essa sono come una bestemmia contro di Lui. Perciò, accettare questo Dio como Dio della Vita significa impegnarsi a cambiare tale situazione affinché i beni della vita, sempre più accresciuti, possano venire condivisi equamente tra tutti.


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