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    Dio ancora, oggi? (cap. 1 di: Il Dio di Gesù)


    Luis A. Gallo, IL DIO DI GESÙ. Un Dio per l'uomo e in cerca dell'uomo, Elledici 1991

     

    1. Le ricerche di Dio "a tastoni"

    Sin dai tempi più remoti gli uomini si sono dimostrati religiosi. Reperti archeologici antichissimi permettono di dedurre che i popoli delle più svariate regioni della terra hanno cercato di mettersi in rapporto con delle realtà superiori, misteriose, che ritenevano l'origine di tutto, dei fenomeni della natura e degli avvenimenti della storia.
    S.Paolo, nel suo tentativo di annunciare il Vangelo ai greci di Atene, disse loro che il Dio che ha creato gli uomini ha voluto essere cercato da essi "come a tastoni" (At 17,27).
    È un'immagine molto suggestiva per descrivere quanto è accaduto per millenni nella storia dell'umanità. Essa sta a dire, da una parte, la sete del divino che hanno avuto sempre gli uomini, e dall'altra, le difficoltà che hanno incontrato nell'identificarlo.
    Studi fatti dagli storici della religione arrivano alla conclusione che l'uomo è stato sempre come combattuto da due tendenze: quella di rifuggire il divino e quella di avvicinarsi ad esso.
    La ragione sta nel fatto che egli ha sempre percepito come due facce in quella Realtà misteriosa che lo sovrasta. L'ha vista come un mistero da temere, e perciò ha tremato davanti ad essa cercando di tenersene a distanza; e l'ha vista anche come un mistero da amare, e di conseguenza ha cercato di avvicinarsi ad essa il più possibile.
    Si è sentito allo stesso tempo come respinto e attirato dal divino. In termini più tecnici gli studiosi dicono che per l'uomo il divino appare sempre allo stesso tempo come mysterium tremendum e come mysterium fascinosum.
    Questa doppia sensazione ha dato origine nei secoli alle espressioni religiose più svariate, che vanno dal tabù alla magia e dalla lode al ringraziamento.

    1.1. Il divino avverso e pericoloso

    Con le forme religiose del tabù gli uomini hanno voluto -lo vogliono spesso ancora oggi- erigere un muro di contenimento davanti al divino.
    Sentivano troppo pericolosa la sua vicinanza, troppo minacciosa per la loro sicurezza e la loro vita. Era troppo grande il peso della sua diversità e non se la sentivano di sopportarla. Perciò cercavano di isolarlo mediante oggetti, parole, e riti che lo tenessero distante, isolato nel suo mondo.
    Oltrepassare quel muro significava morire: "Che nessuno osi salire sul monte [Sinai] o toccarne le basi; chi toccherà il monte morirà", dice il Dio Jahvé a Mosè nel deserto prima di stipulare l'alleanza con il popolo (Es 19,12). È un monte convertito in tabù.
    Così, questo divino che restava nascosto, lontano e pericoloso, nel mondo del tabù, finiva per non avere un volto. Semmai, lasciava trasparire oscuramente i tratti di un volto terribile e minaccioso. Era troppo un mysterium tremendum.
    Ma non sempre l'uomo si è lasciato intimidire da quest'immagine paurosa del divino. Pur ritenendolo pericoloso, più di una volta ha voluto -e lo vuole spesso ancora oggi- affrontare l'ardito tentativo di impadronirsi del suo potere e di manipolarlo a proprio vantaggio. Così è nata la magia come atteggiamento religioso.
    Ancora mediante gesti e parole rituali, come nelle espressioni del tabù, egli ha cercato di penetrare il mondo del divino per costringerlo ad operare in suo favore ciò che riteneva opportuno.
    La magia è, in realtà, un atto profondamente irreligioso. Sa che il Mistero è inafferrabile, indisponibile; eppure pretende di afferrarlo e di renderlo manipolabile.
    Tanto il tabù quanto la magia si muovono fondamentalmente all'insegna della paura. Del tabù l'abbiamo già rilevato; ma anche se la magia dimostra una maggiore intraprendenza, e addirittura una specie di aggressività nei confronti del divino, essa sa tuttavia di farlo a proprio rischio. Col fuoco non si gioca. E il suo dio è fuoco.
    Non per niente essa è così guardinga dei passi che fa e dei gesti che compie. È convinta che, qualunque passo o gesto compiuto erroneamente, anziché rendere possibile la manipolazione della potenza numinosa può scatenare le sue ire e le sue vendette. Per ciò diventa così pignola nel suo ritualismo.

    1.2. Il divino favorevole e benevolo

    Quando invece il divino è sentito dagli uomini come favorevole e benevolo, allora esso si rende attraente, affascinante.
    L'atteggiamento e le espressioni religiosi caratteristiche in questo ambito sono quelli della lode e del rendimento di grazie.
    Gesti e parole rituali vogliono esprimere riconoscenza per la vicinanza benefica del divino che interviene per la felicità dell'uomo, sia inviando una raccolta abbondante, sia suscitando una nuova vita, sia producendo la liberazione dai nemici o in altri modi ancora.
    Il popolo d'Israele ne seppe qualcosa al riguardo specialmente dopo aver vissuto il decisivo avvenimento dell'esodo dall'Egitto, che sperimentò come un trionfo spettacolare del suo Dio nei confronti delle potenze umane e cosmiche (Es 15).
    A dire il vero, nelle religioni antiche non si ritrova mai una forma sola di espressione di religiosità. I diversi modi di rapportarsi con il divino che abbiamo enunciato sopra sono quasi sempre in esse mescolati fra di loro, in modo tale che la distanza da esso e la sua vicinanza si alternano costantemente nel loro influsso.
    Vi predomina, tuttavia, l'atteggiamento della paura. Le divinità che le presiedono sono sempre concepite come prevalentemente minacciose e pericolose, e gli uomini sentono di dovere starsene in qualche modo alla larga per evitare le loro ire.
    Così, oscillando tra il tremore e l'attrazione, proprio come "a tastoni", gli uomini antichi hanno cercato il volto di Dio. Sono riusciti solo a intravederlo, molto imperfettamente. È prevalso in essi la sensazione della distanza, che impedì loro di fissare lo sguardo su quel volto e, quando vollero accorciare tale distanza, spesso sono caduti in forme di banalizzazione del divino che impedirono loro ugualmente di conoscerlo veramente.
    Da una parte si sono sentiti come affascinati da Lui, e dall'altra hanno voluto arginare la sua vicinanza perché lo temevano.
    Tutti sono stati tuttavia, senza eccezioni, uomini e popoli religiosi, profondamente convinti dell'esistenza del divino.

    2. Dio oggi

    Le cose sono profondamente cambiate da questo punto di vista attualmente.
    Le questioni sollevate dai cosiddetti "maestri del sospetto" e i profondi e radicali mutamenti avvenuti nell'umanità su scala mondiale, hanno messo in crisi presso molti ciò che prima era una convinzione senza ombre.
    Dio non è più oggi una realtà ovvia e scontata per non pochi uomini e giovani. Al comune e implicito consenso di altri tempi si è sostituita, in larga misura, la contestazione oppure, e sempre più frequentemente, la semplice indifferenza.
    È utile rivisitare, sia pure solo velocemente, quelle situazioni che sembrano essere le più rilevanti al riguardo nel mondo attuale.

    2.1. Le contestazioni dei "maestri del sospetto"

    È diventato ormai classico parlare dei "maestri del sospetto" per riferirsi a quei creatori di correnti di pensiero nel mondo occidentale che, a partire del secolo scorso, hanno messo sotto accusa la religione da diversi punti di vista: K.Marx, S.Freud, F.Nietzche.
    Ognuno di essi ha contestato a modo suo Dio e la sua esistenza, reagendo generalmente contro una determinata immagine del Dio cristiano proposta dai credenti. Le loro contestazioni hanno avuto ampie e svariate ripercussioni nel mondo, anche in quello giovanile. Non sono pochi, infatti, i giovani che, o perché sono nati in un determinato contesto sociale, o perché hanno avuto contatto con tali contestazioni nell'ambito della scuola e dell'università, o semplicemente perché hanno respirato ciò che si diffonde attraverso i mass media, sono entrati in crisi nelle loro convinzioni di credenti in Dio.

    La contestazione di matrice sociologica

    Il primo di questi maestri del sospetto è K.Marx. Come è ampiamente noto, il suo pensiero affonda le sue radici nel sistema filosofico di Hegel e, soprattutto, nella avversione quasi istintiva di questi verso ogni forma di trascendenza.
    Hegel era figlio del grande movimento storico-culturale della Modernità occidentale, la quale si moveva all'insegna dell'emancipazione dell'uomo, della sua "posta in piedi", del suo passaggio dallo stato infantile all'età adulta.
    Per Hegel, quindi, accettare la trascendenza, ossia l'esistenza di qualcosa al di fuori dell'uomo che stesse a fondamento del suo essere e del suo agire, significava svuotare l'uomo stesso della propria consistenza. Fondare l'essere e l'agire dell'uomo altrove, e non in se stesso, era un modo di alienarlo da sé, di renderlo schiavo e non padrone di se stesso. Infantile, in definitiva.
    Questa avversione di Hegel per la trascendenza era in realtà l'altra faccia della sua passione per l'immanenza. In altre parole ciò significa che egli desiderava ardentemente restituire l'uomo a sé stesso, porre il fondamento del suo essere e del suo agire al suo proprio interno.
    Finì così, attraverso un complicato sistema di pensiero che non e qui il caso di ricordare, col sostenere che ciò che chiamiamo Dio -il Trascendente- è la stessa Storia che si evolve organicamente e cresce.
    Più vicino a noi nel tempo un'altro antecedente del marxismo è la critica di Feuerbach alla religione. Marx sosteneva, nei suoi primi momenti di entusiasmo, che ogni uomo doveva attraversare quel "fiume di fuoco" (feuer-bach) per arrivare alla verità.
    Pur differendo profondamente in molte cose da Hegel, dal punto di vista che ci interessa Feuerbach riprese la critica della religione sulla stessa sua linea, quella cioè della passione per l'immanenza. Egli voleva completare il tentativo di Hegel, e far trionfare il ritorno dell'uomo su se stesso, liberandolo da ogni forma di alienazione.
    Sotto l'influsso di tali antecedenti nacque, quindi, il pensiero di K.Marx, che ebbe tanto influsso soprattutto nel nostro secolo. Esso era fondamentalmente, nelle sue intenzioni, un umanesimo, ossia la proposta di un modello di uomo veramente umano; ma, proprio per questo, mise sul tappetto anche la questione di Dio.
    Le prospettive fondamentali della critica marxiana della religione sono le due riduzioni a cui sottopone la religione stessa.
    Anzitutto, la riduzione antropologica, chiara eredità feuerbachiana. Consiste nell'affermare che ciò che la religione attribuisce a Dio, è soltanto una realtà umana: è l'uomo che, nel suo desiderio di felicità, ha creato Dio a immagine e somiglianza delle sue aspirazioni, e l'ha creato di conseguenza onnipotente, onnisciente, illimitato, ecc.
    L'uomo proietta in Dio ciò che vorrebbe essere e che non riesce ad essere. In questo modo si aliena: Dio è il panno di lacrime della sua mancanza di pienezza umana.
    Conseguenza di questa prima riduzione è, tra l'altro, una presa di posizione determinante: siccome occorre restituire l'uomo a se stesso, è necessario abolire la religione, fonte di alienazione.
    La riduzione sociologica della religione è invece una novità di Marx nei confronti di Feurbach. Consiste nel sostenere che la religione è il semplice prodotto di una situazione sociale concreta, quella dell'ingiusto sistema capitalista di produzione, e che di conseguenza è una sovrastruttura di origine economica. Essa serve, da una parte, a sancire e in certo senso a sacralizzare la struttura economico-sociale esistente e, dall'altra, a lenire le sue conseguenze negative in coloro che le soffrono. È, in definitiva, un fattore di alienazione dell'uomo, collettivo e singolo.
    Ciò che caratterizza quest'alienazione, a differenza di altre, è il fatto di essere essenzialmente reazionaria, cioè assolutamente irrecuperabile per l'umanizzazione dell'uomo: l'uomo religioso non s'impegnerà mai nella lotta contro ciò che non gli permette di essere veramente umano.
    Marx arrivò a questa seconda riduzione della religione a partire dalla percezione di diversi conflitti vigenti nel suo tempo.
    Tra essi, anzitutto quello creato dal rapporto tra religione e politica, ossia dall'uso che veniva fatto ai suoi tempi dalla religione per appoggiare i diritti divini e assoluti del re. Ciò lo portò a concepire la religione come una sovrastruttura creata da e in un determinato gruppo sociale per sostenere i propri privilegi. Un secondo conflitto era quello creato dal rapporto tra religione e giustizia sociale, ossia dal fatto che i padroni usassero la religione contro gli operai, giustificando mediante essa le loro ingiustizie, e che questi trovassero in essa una consolazione alienante nei confronti delle loro situazioni di povertà ingiusta. Ciò lo portò alla concezione della religione come ideologia, ossia come sistema di idee costruito a spalle della realtà e in difesa dei privilegi di un gruppo.
    In breve, Marx trova in Dio un avversario alla realizzazione, soprattutto storica e collettiva, dell'uomo. Un tale Dio va, quindi, eliminato se si vuole restituire l'uomo a se stesso.
    Questa presa di posizione non restò puramente teorica, ma acquistò concretezza storica: la religione fu ufficialmente proibita in quelli stati che fecero propria l'ideologia marxista; anzi, diventò un'occasione di repressione da parte di coloro che detenevano il potere nei confronti di quelli che si professavano religiosi.
    Recentemente, con la caduta dei socialismi storici, tale posizione cominciò ad essere rivista e anche abbandonata. In diversi paesi dove prima la religione era stata messa al bando, ora le viene riconosciuto un ruolo anche sociale e culturale non trascurabile.

    La contestazione di matrice psicologica

    Anche per S.Freud, il secondo "maestro del sospetto", Dio è un avversario dell'uomo e della sua realizzazione umana. Come Marx, anche Freud vuole aiutare l'uomo, singolo e collettivo, a diventare veramente uomo, a liberarsi da quelle alienazioni che, sin dall'infanzia, non gli permettono di essere tale.
    Per l'inventore della psicanalisi la religione vera consiste nel culto del Padre onnipotente, legislatore e provvidenza protettrice.
    La genesi psicologica di tale culto si ritrova ultimamente, secondo lui, in un plesso di fattori pulsionali, alla cui base c'è la libido, ossia il desiderio impellente di soddisfare il narcisismo primitivo, quello che l'uomo vive nel seno materno.
    La libido s'incarna in quella realtà psicologica fondamentale che è il "complesso di Edipo", ossia la rivolta contro il padre visto come principale ostacolo alla realizzazione del desiderio narcisista, ribellione che a sua volta genera il desiderio di uccidere il padre. Questo desiderio crea poi nell'uomo il complesso di colpa e il bisogno di espiazione.
    Per antitesi, sorge in lui un altro sentimento complementare, quello dell'ammirazione e della nostalgia del padre, il quale sbocca nella sublimazione e nella divinizzazione del padre stesso.
    Freud applica questo schema -secondo alcuni in forma totalmente ingiustificata- all'ambito sociale. Secondo lui, nella psiche collettiva avviene qualcosa di simile a ciò che accade in quella individuale. E questo dà origine alla religione come fatto sociale.
    Ecco il processo attraverso il quale essa ebbe origine: il complesso collettivo di Edipo condusse l'umanità primitiva all'assassinio del padre; assassinio che, attraverso il senso di colpa, sfocia nel riconoscimento del Padre grandioso, Dio.
    I giudei, a loro volta, ripeterono questo processo nella uccisione del loro padre Mosè, poi dei profeti, infine di Gesù. In questo modo si arrivò, con il cristianesimo, alla più pura spiritualizzazione e divinizzazione della figura paterna.
    In definitiva, la concezione freudiana della religione è quella di una nevrosi ossessiva sociale. Essa è tutt'una illusione, ma costituisce uno stadio necessario nell'evoluzione dell'umanità.
    Per arrivare alla fine del processo di maturazione l'umanità deve però accettare in pieno la sua colpevolezza, rinunciare alla pseudo soddisfazione che gli può dare la religione ed entrare nel regno dell'etica della ragione e dell'onestà.
    Così Dio è, per Freud, qualcosa da far scomparire perché fino a quando egli esiste l'uomo non può crescere. Questo Dio-Padre gli impedisce di prendersi le proprie responsabilità e lo mantiene, di conseguenza, in stato di infantilismo.

    La contestazione di matrice valoriale

    Il terzo "maestro del sospetto", Nietzche, è più radicale ancora dei due precedenti nella sua critica alla religione. Il suo influsso non è stato forse tanto esteso come quello dei due precedenti, ma non lo si può ignorare, anche perché un certo "nihilismo" dei valori è oggi molto presente, anche nel mondo giovanile.
    Si tratta di quei giovani per i quali i valori tradizionali dell'amore, della generosità, della solidarietà ..., non hanno più nessun senso.
    Agli occhi di Nietzche Dio, il Dio della fede cristiana e specialmente quello della teologia elaborata in Occidente a partire da essa, si rivela come la suprema menzogna, come la "maschera del nulla". Un nulla che porta fatalmente con sé anche il nulla di tutti i cosiddetti valori tradizionali.
    Questo Dio è, secondo lui, l'assurdo nemico della vita dell'uomo. E ciò perché su di Lui si sono fondati quei pseudovalori che hanno impedito per secoli lo sprigionarsi della volontà di potenza dell'uomo: la mitezza, la pazienza, la rassegnazione, l’ubbidienza ...
    Nietzche ritiene che questo Dio debba morire per poter fare spazio all'avvento del "oltre-uomo" (il "super-uomo"), dell'uomo vero, attualmente schiacciato dai valori imposti dalla religione e della conseguente morale occidentale. Solo se questo Dio muore l'uomo potrà risuscitare.

    2.2. L'impatto del processo scientifico-tecnico

    Oltre al mondo del pensiero, la questione di Dio trova anche grosse novità nell'ambito di un fenomeno ampiamente diffuso nell'umanità odierna, e specialmente nel mondo occidentale, quello della secolarizzazione.
    Un fenomeno che ha avuto e continua ad avere ancora maggiori ripercussioni che i "maestri del sospetto" sul modo in cui gli uomini di oggi, e specialmente i giovani, si rapportano al problema di Dio.

    Concetto di secolarizzazione

    Intesa nel suo senso attuale, la secolarizzazione consiste nella progressiva presa di coscienza, da parte dell'umanità, della sua autonomia e responsabilità nei confronti della costruzione del mondo e della storia.
    Essa è la conseguenza naturale dell'attuale processo scientifico-tecnico che, permettendo all'uomo di impadronirsi progressivamente della natura, apre la strada a questa nuova coscienza.
    Per capire detto processo occorre ricordare quale sia stata la situazione in cui si è trovata l'umanità antecedetentemente.
    L'uomo è l'essere del mondo che nasce più indifeso e, in certo senso, più sprovvisto tra i viventi che lo popolano. Ciò vale nei confronti dell'individuo umano, ma anche nei confronti dell'umanità globalmente presa.
    L'uomo, infatti, nacque alcuni milioni di anni fa, piccolo e quasi indifeso nel grembo di una natura potente e, più di una volta, anche ostile. Solo a poco a poco riuscì a fare alcuni passi affermando in mezzo ad essa la sua presenza, e cercò di sovrapporsi al suo dominio.
    Quanto più era "primitivo", e quanto più si sentiva indifeso, tanto più concepiva la natura che lo circondava e lo avvolgeva come un'immensa macchina della quale egli stesso veniva ad essere come un piccolo ingranaggio.
    Poiché non possedeva il segreto del funzionamento dei suoi determinismi, si sottometteva ad essa e alle sue "decisioni". Non conoscendo i determinismi che operavano in se stesso e nei suoi rapporti con gli altri esseri, non poteva neanche manipolarli.
    Questo mondo in cui egli era immerso era un mondo già fatto, che doveva solo rispettare, fare oggetto di ammirazione e sfruttarlo magari, benché con precauzione. Qualunque passo in falso poteva arrecargli disgrazie anche terribili.
    Ciò creava in lui un atteggiamento di rassegnazione che lo riducevano in gran parte alla passività. Riusciva a mala pena a difendersi dall'aggressività della natura.
    C'è di più. Spesso, imbattendosi in fenomeni che superavano ciò che egli era abituato a sperimentare o che uscivano dalla sua ordinaria esperienza, poiché non conosceva le cause che li producevano, li riteneva manifestazioni immediate di forze superiori, divine, a carattere avverso o benevolo che fosse. Così li sacralizzava.
    Un uomo con una esperienza simile della realtà finiva facilmente per concepirla come un qualcosa di fatale. Il mondo-natura lo accoglieva certamente nel suo grembo, lo nutriva e lo difendeva in parte, ma anche lo dominava e a volte lo uccideva.
    Molto diversa, da questo punto di vista, è l'esperienza che sta vivendo attualmente un sempre crescente numero di uomini.
    Con la nascita della scienza moderna ebbe origine nell'umanità un nuovo modo di rapportarsi alla natura e, di conseguenza, alla realtà totale.
    Nella misura in cui, grazie a questa scienza, l'uomo si va impadronendo delle cose e arriva alla conoscenza razionale delle cause dei fenomeni che avvengono dentro e fuori di lui, si opera progressivamente una defatalizzazione della natura stessa, nel senso che non la considera più come un qualcosa di immutabile, intoccabile e fatale.
    Conseguenza naturale di tutto ciò è che egli non si sente più piccolo. Viceversa, le sue dimensioni crescono enormemente nella sua coscienza.
    Cresce in lui la convinzione che non solo può difendersi dall'aggressività della natura, ma che può anche arrivare ad impadronirsi, a poco a poco, di tutte le forze che nella natura sono presenti e operanti.
    Nasce così la tecnica, come applicazione pratica delle scoperte scientifiche e, con essa, la possibilità di manipolare gradualmente i fenomeni prima inafferrabili e incontrollabili.
    Si origina, perciò stesso, una forte crescita della coscienza di libertà nei confronti della natura, e di una corrispondente responsabilità.
    Gli uomini immersi nel processo scientifico-tecnico hanno la sensazione che il loro destino personale e collettivo sia sempre maggiormente nelle loro mani, benché sappiano che molte cose sfuggono ancora al loro dominio. Perciò si manifestano sempre meno rassegnati e passivi, e sempre più ribelli davanti a ciò che di negativo viene dai fenomeni, e più creativi nei loro confronti.
    La concezione del mondo propria dell'uomo prescientifico-tecnico era fondata su di una conoscenza mitica o tutt'al più empirica dei fenomeni naturali e anche sociali. E tali tipi di conoscenza, pur nella loro ricchezza umana considerevole e in nessun modo trascurabile, non gli offrivano la possibilità di impadronirsi di essi, di esercitare cioè il loro dominio su di essi.
    Quando invece l'uomo arrivò a scoprire le leggi interne che reggono i fenomeni e, per mezzo della sua ragione, potè percepire il rapporto di causa-effetto presente in essi, allora si produsse una autentica rivoluzione: gli si aprì la strada ad una manipolazione razionale dei fenomeni stessi. Non soltanto riuscì a spiegarli senza ricorrere a forze superiori, ma potè anche provocarli, impedirli, accelerarli e potenziarli secondo il suo arbitrio. Il segreto delle cose cominciò ad indietreggiare davanti al progresso della ragione scientifica e, con esso, anche la schiavitù che teneva l'uomo sottomesso alle forze della natura.
    Crebbe di conseguenza la convinzione che anche ciò che non è ancora conosciuto e dominato, lo sarà certamente in un domani non lontano.
    È quanto sta capitando oggi, in misura sempre più intensa e in forma sempre più accelerata. Con tutte le conseguenze che si possono percepire, tanto positive quanto negative.
    Ora, è facilmente constatabile che il progredire del processo scientifico-tecnico incide profondamente sulla religiosità.
    Il cambiamento del rapporto tra uomo e natura si ripercuote sul rapporto tra uomo e divino. Presa di coscienza della propria autonomia e di quella della natura, e de-divinizzazione e de-fatalizzazione di quest'ultima e dei suoi fenomeni, sono correlative.
    In altre parole, nella misura in cui l'uomo percepisce che i fenomeni della natura e della società hanno "leggi e valori propri" o "consistenza, verità e bontà proprie, leggi e ordine propri" (GS 36b), in quella stessa misura è portato a non considerare questa natura e questi fenomeni come immediatamente e direttamente dipendenti da forze superiori (cf GS 33a). È questa la radice della desacralizzazione del mondo.
    Si intende, infatti, per "sacro" ciò che è ritenuto una manifestazione immediata del divino nel mondo degli uomini.
    Per l'uomo primitivo in certo senso tutta la natura è sacra, dal momento che in essa nulla succede senza l'intervento diretto del divino; per l'uomo scientifico-tecnico invece la natura ha consistenza propria, gode di autonomia propria e ogni suo fenomeno ha la sua spiegazione in se stesso -almeno quella immediata-, nelle leggi intrinseche che lo reggono.
    Si può dire, in breve, che la desacralizzazione è la conseguenza logica del processo di secolarizzazione nell'ambito del religioso.
    Tale processo, infatti, non avviene in una umanità religiosamente neutra, ma viceversa in una umanità che ha vissuto per millenni in una prospettiva religioso-sacrale della realtà. E se al presente si può parlare di presa di coscienza dell'autonomia del mondo, è perché prima tale coscienza non esisteva, o almeno non con l'intensità che caratterizza il fenomeno attuale, tanto quantitativamente quanto qualitativamente.

    I due esiti della secolarizzazione

    La secolarizzazione, così come è stata descritta, può avere -ed ha avuto di fatto- due sbocchi: quello del secolarismo ateo e quello di una ricerca di una nuova immagine di Dio.
    In quest'ultima, la negazione di un rapporto immediato e diretto dei fenomeni naturali e umani con il divino non ha portato alla negazione del divino stesso, ma alla purificazione della sua immagine: Dio non viene più identificato con la natura, come avveniva nelle religioni antiche, ma è pensato soltanto come l'Autore ultimo della autonomia stessa.
    Perciò, il capovolgimento del rapporto uomo-natura non ha portato a uno sfumarsi di Dio nella coscienza dell'uomo, ma soltanto alla scomparsa da essa di un dio-fatalità, di un dio-tappa-buchi. E a sottolineare la trascendenza di Dio senza negare però la sua immanenza.
    Nella secolarizzazione atea o secolarista, invece, ogni rapporto o dipendenza della natura e della società da Dio viene negata, perché viene negata l'esistenza stessa di Dio.
    Sia quindi nello uno sbocco credente sia in quello secolarista, il processo di secolarizzazione ha messo in crisi presso molti uomini e popoli d'oggi l'immagine di Dio.
    Il punto nevralgico messo in crisi è l'identificazione, totale o parziale, di Dio con la natura e i suoi fenomeni.
    Chi ne ha recepito più duramente il colpo è stata, in prevalenza, la religiosità naturale o cosmica, quella cioè dei popoli che arrivano all'affermazione di Dio a partire dall'esperienza prescientifico-tecnica della natura e dei suoi fenomeni. Coloro che ancora attualmente professano questo tipo di religiosità, specialmente nei popoli meno tecnicamente sviluppati, si trovano a confrontarsi con il progresso accelerato della scienza e della tecnica, e più di una volta finiscono per rinnegarla.
    Ha risentito anche l'impatto della secolarizzazione la religiosità popolare cristiana, quella che si porta dentro una buona dose di religiosità cosmica insieme ad elementi di autentica fede cristiana. Si tratta di quella fede semplice ampiamente diffusa, che si esprime attraverso manifestazioni di tipo tradizionale e popolare. Al contatto con i risultati della scienza e della tecnica essa si trova oggi più di una volta in difficoltà, non sapendo come coniugare tali risultati con la visione delle cose ereditate dal passato. Sono soprattutto i giovani che si danno allo studio quelli che sperimentano spesso più fortemente queste difficoltà.

    2.3. Problematica sollevata nell'ambito del linguaggio

    Nell'ambito delle riflessioni sul linguaggio sorte anche delle gravi contestazioni alla fede in Dio.
    Come abbiamo visto sopra, contestazioni a tale fede non sono mancate in passato. Già nei tempi antichi, per esempio, era stata fatta più di una volta l'obiezione contro l'esistenza di Dio a partire dall'esperienza del male, e specialmente della sofferenza ingiusta. "O Dio è onnipotente e può evitare il male -scriveva un antico autore-, ma non lo vuole, e allora è cattivo; o lo vuole, ma non lo può, e allora non è onnipotente, cioè non è Dio" (Epicuro).
    All'insegna di quest'obiezione nacque, più vicino a noi nel tempo, quella scienza che è stata chiamata la "teodicea", impegnata nel difendere con argomenti razionalmente convincenti l'esistenza di Dio.
    Si doveva mettere in chiaro che Dio non era una "ipotesi illogica", e difenderlo dalle accuse lanciate contro la sua bontà e la sua onnipotenza in presenza del dolore soprattutto ingiusto.
    Più vicino a noi, che Dio fosse una "ipotesi inutile" lo sosteneva già in passato -ma lo sostiene anche attualmente- più di uno scienziato: la spiegazione di quanto succede nel mondo si può trovare nei fattori che sono al suo interno e che la scienza è ormai in via di scoprire sempre più pienamente.
    Non c'è quindi bisogno di un "misterioso fattore X", esterno al mondo, trascendente ad esso, per rendersi ragione di quanto avviene nel mondo stesso. Dio è semplicemente "in più".
    Più radicale ancora si era presentata la contestazione di coloro che ritenevano Dio non solo una ipotesi inutile, ma addirittura come una "ipotesi nociva".
    I diversi ateismi sopra descritti, conseguenze della contestazione dei "maestri del sospetto", vogliono al limite essere forme di umanesimi, tentativi cioè di difesa della possibilità di essere veramente uomini. Per tutti essi il problema di Dio costituisce un autentico problema.
    È proprio invece dell'ateismo cosiddetto semantico, quello sorto nell'ambito della riflessione filosofica sul linguaggio, affermare che Dio è un falso problema. Dio è, quindi, per esso una "ipotesi insensata".
    La presa di posizione di questo ateismo è espressa con molta chiarezza nelle seguenti parole: "Chiedersi se Dio esiste ha solo l'apparenza grammaticale di un problema genuino, ma la realtà è che la logica e la semantica mostrano come in effetti siamo davanti ad un inganno linguistico. Il problema di Dio non è un problema, ma un non-senso".
    L'ateismo semantico è una conseguenza logica della filosofia del "Circolo di Vienna".
    Per il Neopositivismo logico da esso professato, il principio di verificazione è ciò che permette di distinguere tra proposizioni sensate e proposizioni insensate. Sono sensate le proposizioni passibili di verifica empirica o fattuale, cioè quelle che appartengono all'ordine delle scienze empiriche. Quelle metafisiche, etiche e religiose sono invece un insieme di proposizioni solo in apparenza sensate, ma in realtà in-sensate.
    Come si vede, stando a queste affermazioni il problema di Dio non può neppure porsi: esso è escluso in partenza. Occuparsi di lui è perdere il tempo in questioni senza senso.

    2.4. L'istanza femminista

    Un'istanza in qualche modo imparentata con quella precedente è quella che proviene dall'ambito del femminismo. Imparentata nel senso che si muove all'interno del problema del linguaggio, non nel senso che neghi necessariamente l'esistenza di Dio.
    Il femminismo è sorto come presa di coscienza dell'ancestrale patriarcalismo e maschilismo della cultura umana, che ha comportato l'accaparramento concreto della soggettività e del protagonismo da parte degli uomini nei confronti delle donne.
    Le espressioni di un tale accaparramento sono svariate. Si riscontrano sia nell'ambito sociale, ai suoi diversi livelli, sia in quello politico, culturale, e perfino in quello religioso.
    Il movimento femminista vuole, in sostanza, contribuire alla liberazione delle donne da tutte queste forme di emarginazione e di misconoscimento della loro dignità presenti nel mondo.
    Per ciò che riguarda più direttamente il nostro tema, l'influsso del patriarcalismo si è fatto sentire soprattutto nell'uso dei simboli maschili per parlare della divinità nelle diverse religioni: Dio è padre, pastore, signore, ecc..
    Il femminismo viene a mettere in crisi un tale modo di parlare del divino. Ritiene che sia effetto di quella cultura maschilista che impugna e che vuole far scomparire.
    "Se Dio è maschio, allora il maschio è Dio", è la frase che potrebbe condensare questa contestazione. L'uso del simbolismo maschile per parlare del Mistero ultimo della realtà, che ovviamente è al di là di ogni connotazione sessuale, è servito storicamente per sacralizzare il dominio degli uomini sulle donne, e a spogliare queste dalla loro dignità e soggetività. Le ha ridotte ad oggetti.

    2.5. Le interpellanze della povertà

    Ricoprendo molti spazi degli ambiti sopra accennati, c'è oggi una nuova situazione che costringe a porre in forma diversa il problema di Dio. È quella della povertà, soprattutto nei suoi risvolti collettivi.
    La povertà è attualmente sempre meno considerata come un semplice fenomeno individuale o di gruppi, e sempre più come un fenomeno di massa. Interessa la stragrande maggioranza dell'umanità. È un vero "problema planetario".
    D'altra parte, questa povertà massiccia è sempre meno vista come una realtà "naturale", "innocente", e sempre più come qualcosa di "causato", di "provocato" da determinati modi di realizzare i rapporti tra i gruppi umani in base al loro rapporto con i beni materiali, naturali o prodotti dal lavoro umano. È una povertà inflitta.
    In questo senso tale povertà interessa tutti gli uomini: moltissimi, in forma passiva, in quanto la soffrono; altri, relativamente pochi in proporzione, in forma attiva, in quanto la infliggono.
    Ancora un dato risulta rilevante al riguardo: la povertà massiccia anziché diminuire tende attualmente a crescere nel mondo.
    Il processo scientifico-tecnico, monopolizzato da coloro questa povertà non la soffrono ma la infliggono, invece di contribuire a superare la privazione di beni addirittura elementari che affligge le grandi masse dell'umanità, si converte in un fattore decisivo di tale privazione.
    Con l'aggravante che alla povertà economica seguono le emarginazioni sociale, politica e culturale, che finiscono con il fare di questi poveri degli esseri spogliati dalla loro più fondamentale dignità umana.
    Se già in passato il problema del dolore e della sofferenza -in particolare la sofferenza ingiusta- è stato, come abbiamo ricordato, un ambito in certo qual modo privilegiato per ciò che riguarda la questione di Dio, la situazione attuale di povertà viene a costituire un luogo di speciale rilievo per tale questione.
    Infatti, per alcuni questa situazione di ingiustizia che mortifica la dignità umana di milioni di uomini e donne si converte in un'occasione di abbandono della credenza in un Dio che, secondo loro, potendo intervenire per eliminarla non lo fa.
    Per altri, invece, costituisce uno stimolo a ripensare l'immagine di Dio in rapporto al dolore umano, e in rapporto specialmente alla sofferenza ingiusta dei più poveri e deboli, di coloro cioè che del gigantesco conflitto strutturale odierno soffrono più acutamente le conseguenze.
    Senza dubbio il modo di porsi la questione di Dio non può essere lo stesso nel mondo ricco e sviluppato, il mondo benestante e opulenta della società occidentale, e nel mondo povero che di questo benessere soffre pesantemente le conseguenze.

    3. Gesù di Nazaret e Dio

    Dio costituisce, quindi, un problema complesso nel mondo attualmente. Alla pacifica e scontata certezza di altri tempi, si è sostituita una nuvola di dubbi e contestazioni. Dio è, veramente, sul banco degli imputati.
    E, in mezzo a tutto questo groviglio di difficoltà e problematiche, i cristiani continuano ad affermare di conoscere il vero volto di Dio. Non solo affermano la sua esistenza, ma dicono anche di sapere chi sia e come sia.
    È vero, c'è stato un tempo in cui si è peccato un po' di tracotanza al riguardo da parte cristiana. Si dava l'impressione -forse anche perché si aveva questa convinzione- di avere Dio in gabbia. Con alcune formule elaborate accuratamente da esperti nel passato, e poi passate ai catechismi e alla predicazione, sembrava di poter manipolare Dio. Una sorta di magia, in fondo.
    Le istanze che ci vengono da tante parti nel mondo attuale esigono di essere molto più modesti. Qualcuno ha perfino creduto di dover far silenzio totale su Dio, al meno per un tempo, come rimedio allo sfrenato discorso di altri tempi.
    Ad ogni modo, pur con quella dose di modestia che stiamo di nuovo imparando ad avere quando si tratta di parlare della Realtà Ultima e del Mistero Grande, noi osiamo dire che lo conosciamo e che sappiamo chi sia.
    Quale è il fondamento di questo atteggiamento? È la nostra fede, la quale ci porta ad affermare che, pur essendo convinti che "nessuno ha mai visto Dio", crediamo che Gesù di Nazaret, il Cristo e Salvatore, "l'Unigenito che è nel seno del Padre, ce lo ha fatto conoscere" (Gv 1,18).
    Ciò significa che, per noi, egli è la Parola definitiva di Dio su Se stesso, colui nel quale e mediante il quale Dio stesso ha voluto svelare il suo volto agli uomini. Che Dio in lui ha voluto venire incontro alla ricerca "a tastoni" fatta, consciamente o inconsciamente, dagli uomini per vedere se lo trovavano.
    Significa anche, conseguentemente, che i tratti fondamentali del volto di Dio noi li cogliamo non dall'esperienza della natura, come avviene nelle religioni cosiddette naturali o cosmiche, né mediante la mera speculazione razionale o filosofica, come succedeva tra gli antichi greci o più recentemente tra i filosofi illuministi.
    Queste vie possono senz'altro fornire degli elementi validi sul volto di Dio; ma chi confessa Gesù di Nazaret come il rivelatore di Dio per eccellenza, dice anche equivalentemente che lui, e solo lui è, in ultima istanza, colui che svela il vero volto di quella Realtà Ultima e Misteriosa che chiamiamo Dio.
    È questo il senso dell'espressione, forse alquanto strana per le orecchie di qualcuno, "il Dio di Gesù Cristo".
    In questo "di" è racchiusa l'originalità di quanto su Dio afferma la fede cristiana. Esso vuol dire che, se vogliamo sapere qual'è l'immagine di Dio che propone la fede cristiana in mezzo a tutte le contestazioni e problematiche attuali, risulta indispensabile rifarsi all'immagine di Dio che si è manifestata nella persona e nella vicenda di Gesù di Nazaret, il Cristo e Salvatore.


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