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    Cammini illusori e nodi da sciogliere per una proposta religiosa al giovani



    Domenico Sigalini

    (NPG 1982-7-37)


    Mi è stato chiesto di rileggere il dossier e di mettere giù alcuni interrogativi in vista di una ulteriore traduzione operativa.
    Non è evidentemente una cosa facile, ma ci provo a partire dalla mia esperienza pastorale, consapevole di dover solo iniziare una riflessione che altri continueranno.
    Il mio punto di vista riguarda la impostazione di fondo della proposta pastorale, per definire la quale mi sembra importante rifarsi ad un metodo di riflessione che utilizza le indicazioni della ermeneutica e quindi uno schema di tipi circolare tra esperienza giovanile ed evento Cristo.
    In un corretto modello circolare, in cui ci si lascia interrogare profondamente dalla realtà che porta con sé tracce di salvezza, di incarnazione del piano di Dio, e ci si pone all'ascolto della storia di Gesù, per poterla rivivere oggi con questi giovani, occorre sempre ricostruire un cammino educativo, riproporre sintesi, valutare comportamenti, mettere a fuoco e rivedere scelte globali precedenti che oggi possono essere meno fedeli a Dio e meno fedeli all'uomo.
    L'attenzione di molti operatori di pastorale si è condensata in questi anni sul rapporto tra giovani e morale. Questo non per affrontare un tema che nel nostro «laboratorio» era stato accantonato da anni, ma perché l'incontro tra situazione giovanile ed evento di Dio non può avvenire se non ricercando serie risposte ai problemi reali di oggi, primo fra tutti appunto quello morale.

    Cammini illusori di pastorale giovanile

    Esistono tuttavia modi di leggere ed affrontare la pastorale giovanile che hanno il fiato corto, che non si preoccupano di lasciarsi interrogare dalla realtà. Ne presento alcuni.

    La categoria dell'impegno sociale

    Lo scontro tra la situazione di stasi e di «apatia» dei giovani (almeno, qualcuno fa questa lettura) e l'esigenza dura di un messaggio di Cristo sconvolgente e trascinante, lo si pensa di risolvere con un rinnovato invito ad impegnarsi nel sociale. Ci gioca la mentalità dell'animatore anni '70, la spinta aggregativa di quegli anni. In realtà la categoria dell'impegno, la cultura del fare non rispondono alla domanda di unità che il giovane oggi cerca, anzi lo frammenta ancora di più. Da sola non è portatrice di una risposta globale.

    La vendita di contenuti

    Si pensa che i problemi giovanili sarebbero risolti se si conoscesse più teologia, più catechismo, più bibbia. Bisogna ritornare a fare scuola seriamente, dice qualcuno. C'è bisogno anche di questo, ma la preoccupazione di «come» incanalare la vita dei giovani dentro schemi precostituiti non è ancora una assunzione globale dignitosa della sua vita.

    La chiusura nei mondi vitali

    Il tutto del giovane, dell'adolescente è o «Il tempo delle mele» o «Lo zoo di Berlino», il suo gruppo, le sue domande di forte emotività, la sua esigenza di larga soggettivizzazione.
    Non si sospetta che ci sono domande fortemente indotte, che c'è una «bonifica antropologica» da fare e c'è da scavare nelle domande ed allargarle perché possano confrontarsi con la storia di Gesù.

    Le tattiche di massa o la categoria dello spettacolo

    I giovani rispondono, si spostano, fanno volentieri festa. In 5000 a vedere «Forza venite gente» in 40 ad un convegno sul volontariato; in 1000 a una veglia, quattro gatti a fare vita organica di gruppo.
    Questi grandi incontri aiutano a creder che la religiosità è in grande ripresa; nessuno poi si accorge che ciascuno nella vita ritorna a comportarsi come vuole, che tra modello ufficiale e gusti soggettivi non c'è assolutamente coerenza e ciascuno diventa consumatore anche di prodotti religiosi secondo una sua frammentata identità.

    L'adolescentizzazione di tutti i giovani, ovvero la scelta di «stare insieme»

    Mancano grandi ideali per cui lavorare e allora si conduce una vita di incontri, di gestione del tempo libero, di risposta al l'immediato, di assenza di prospettive. Esistono invece problemi diversi per età vanno ricercate mete e prospettive più calibrate. C'è un tempo per «stare insieme» e c'è un tempo per ridefinirsi da soli, c'è un tempo per vivere l'immediatezza e c'è un tempo per progettare, un tempo per scandire la vita sugli entusiasmi e un tempo improrogabile per decidersi se fare il militare o il servizio civile, lavorare per avere la paga a fine mese e basta o lavorare per essere...
    Queste vie di uscita non sono, da sole o messe insieme, che dei cammini illusori.

    Una scelta di fondo: la scelta morale

    Vanno prese sul serio le conclusioni di Milanesi nell'indagine sulla domanda religiosa dei giovani, punto di partenza di questo dossier.
    La domanda religiosa è quantitativamente scarsa ed il vissuto religioso è qualitativamente preoccupante. È una religiosità, quella giovanile, probabilmente destinata a rientrare, oppure le circostanze permetteranno di organizzare la propria vita di adulti nel solco dei modelli comandati dalla laicità borghese (vol. I, pag. 395).
    Ora proprio perché ci rifacciamo ad un modello corretto circolare, non ci lasciamo costringere dentro i dati seri di una ricerca sociologica (= lettura della realtà), ma insieme poniamo attenzione alla storia di Gesù (= ascolto dell'evento di Dio) e in questo incontro cerchiamo un obiettivo, una ridefinizione, un luogo esigente in cui la pastorale giovanile possa e debba dispiegarsi.
    Nella domanda di vita quotidiana emergono invocazioni saturabili oggettivamente solo nel riferimento al Gesù Signore della vita, anche se non è ricercato esplicitamente.
    Esiste nel mondo giovanile uno sguardo attento sulla vita, desideroso di senso, capace di costatare ogni giorno il limite dei significati elaborati dall'uomo.
    Ecco allora una scelta, a mio avviso fondamentale: su questa invocazione che mi permette di cogliere come illusorie le vie di uscita di cui ho parlato sopra, la fede deve dispiegarsi con la sua capacità di «progetto», e deve dare origine a modelli, istituzioni, stili di vita, accompagnarsi alla vita quotidiana per farsi etica, morale.
    Non vogliamo fondare criticamente il trascendente, il sacro, l'assolutamente altro, ma «il morale» come posto di coagulo, di riferimento, di rifondazione dell'uomo e della società.
    Non si tratta di norme tutelatrici, di moralismo, ma di progetto, di sistema di valori gerarchizzato anche solo temporaneamente, senza la pretesa di far morire la ricerca e legare la fede, con la consapevolezza di viverne una modulazione concreta e praticabile.

    I passi obbligati e i nodi da sciogliere

    Per attuare questa risposta, perché la fede sappia offrirsi come rilettura, interpretazione, riespressione visibile della vita quotidiana è necessario prendere coscienza di alcuni nodi attorno ai quali spendere pazienti energie pastorali.

    Ricomporre la frammentazione e le molteplici appartenenze attorno alla propria interiorità

    La scoperta di essere qualcuno che sta al di sotto o al di sopra, come «Signore» di ogni cosa che capita nella vita, è esperienza esaltante per ogni giovane, anche adolescente.
    Esiste un riferimento obbligato, solo che spesso è «scomposto» e va ricostruito.
    Lo spazio tipico di una seria vita di gruppo è insostituibile al riguardo. La funzione positiva del gruppo è del resto chiaramente provata nella ricerca Milanesi dalla differenza di dati emersi a seconda che si trattava di giovani «aggregati» o «non aggregati».

    Riattivare la capacità e l'esperienza del comunicare

    Va allargata il più possibile quella «intersezione» tra il mondo del ricevente e dell'emittente (cf l'articolo di Tonelli in questo dossier), che tende a ridursi sempre di più tra giovane e istituzioni, tra giovane e adulto, tra giovane e giovane. L'intersezione è ridotta spesso al linguaggio delle radio private, dell'epidermide dei problemi e delle situazioni di vita che pure risuonano seriamente nell'esperienza di ciascuno.

    Riappassionarsi a un luogo di progettazione: la comunità cristiana

    I contenuti della esistenza cristiana, i grandi temi del senso della vita e della salvezza, i progetti di affidamento alla buona novella, i gesti della fede, i modelli non sono prima di tutto proponibili perché vengono formulati, ma perché vengono sperimentati in una comunità. La pastorale giovanile non può snobbare la comunità, ma la accoglie, la decodifica, lavora perché esista.

    Curare la qualificazione dell'animatore

    I gruppi giovanili hanno bisogno di presenza educativa che faccia crescere che ricomponga nell'unità, che abiliti al protagonismo.
    L'animatore traduce in concreto queste esigenze. Di qui, però, l'esigenza di una seria qualificazione.

    Luoghi concreti che aiutino a identificarsi in un progetto

    Se vuole diventare praticabile, la vita cristiana avrà bisogno di luoghi, di strutture, di istituzioni. Ormai abbiamo finito di snobbare le strutture, anche se non dobbiamo assolutizzarle, perché quando abbiamo dei muri finiscono per essere i muri a comandare. Occorrono luoghi concreti con una precisa identità, che sappiano quello che intendono proporre.


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