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    Le nuove tendenze antropologiche: 3. L'uomo cibernetico; 4. L'uomo dell'autorealizzazione


     

    Carlo Nanni

    (NPG 1982-07-51)

    Si conclude con questo numero l'analisi delle nuove tendenze antropologiche. L'analisi degli altri modelli è stata compiuta nel mese di maggio («L'uomo dei bisogni radicali») ed in giugno («L'uomo nichilista»). Nel prossimo numero l'autore presenterà una riflessione dal punto di vista culturale, religioso e pedagogico.

    3. L'UOMO CIBERNETICO

    Dal '68 e lungo quasi tutto l'arco di tempo dei difficili anni '70 si è avuto in Italia quello che L. Colletti (30) ha chiamato il dilatamento della coscienza ideologica. In quegli anni l'ideologia (o forse meglio quel precipitato di marxismo-freudismo e radicalismo che ne è stata la forma - si fa per dire - più coerente) ha imperversato in tutte le direzioni. Debordando dall'ambito suo proprio, la politica, ha investito tutte le sfere della vita e le forme dell'esistenza.
    Di una tale posizione è caratteristico il Gran Rifiuto della società industriale, dei suoi metodi di produzione, della sua concezione del lavoro.
    O perlomeno si prende distanza da essa. Si identifica società industriale con società capitalistica. Si afferma il carattere classista della scienza e si separa nettamente una scienza e una razionalità borghese da una scienza e una razionalità proletaria ad esse alternative.
    Come si è potuto notare, la tendenza radicale e quella nichilista sono oggi forte. mente critiche a riguardo. Ma spesso solo in forma reattiva. E quindi, tutto som. mato, rimangono sempre nel contesto, se non nello stesso orizzonte prospettico. C'è invece chi, dal ripiegamento dell'esplosione ideologica, trae spunto per ridar< fiducia alla scienza, alla tecnologia e alle loro possibilità di umanizzazione, previi una loro rigida e razionale programmazione.
    Viene così ad essere ripresa quasi completamente l'ipotesi cibernetica e la sua immagine di uomo, che sembrava vincente negli anni del boom economico. In essa l'uomo è visto e modellato sui computers o perlomeno si tende a control• lare l'intero circuito dell'esistenza individuale e collettiva in una linea simile.

    3.1. Il nuovo volto della scienza: rete di modelli (31)

    Indubbiamente ciò comporta una rinnovata visione della scienza, e soprattutto del suo rapporto con la tecnologia.
    Nessuno più concepisce la scienza come i positivisti e nemmeno come i neopositivisti. La fede ingenua nella scienza, la convinzione scientista sulla oggettività delle scienze naturali e fisiche e la possibilità di arrivare all'unità fisicalistica di tutte le scienze è crollata, insieme alla fiducia di poter illuminare progressivamente l'intero arco dell'esperienza umana attraverso la razionalità scientifica, secondo un'inarrestabile cammino di comprensione e di possesso, e di regressione di ogni forma di metafisicheria oscurantistica.
    I seguaci di Popper (Lakatos, Feyerabend, Agassi, Kuhn, ecc.) hanno messo in risalto il ruolo delle teorie nella ricerca scientifica e dell'errore nello sviluppo storico della scienza.
    Non esistono, secondo alcuni, procedure e metodi scientifici univoci. La ricerca scientifica è piuttosto un ritagliare la realtà, secondo la propria visione, e su questa base costruire dei modelli che come una rete pescano nel mare del reale, per comprenderlo e agire su di esso.
    Si tratta di una concezione più vicina alla creazione artistica e poetica, ma rimane lo scopo finale del dominio umano sui fenomeni che lo circondano e di cui è intessuta la sua esistenza: l'importante è che si possano ricavare, attraverso l'esplorazione intelligente e sistematica, quelle informazioni che permettono condotte efficaci.

    3.2. L'influsso dell'informatica e della cibernetica

    È abbastanza chiara l'influenza dell'informatica con la sua capacità di analisi, elaborazione e trasmissione dei dati informativi (che assurge quasi ad ideologia di fondo di una scienza vista come rete di modelli). Ma lo è di più la esemplarità teorica e pratica dei computers, la rete degli elaboratori elettronici, che mostrano la forza della tecnologia e la sua egemonia nella stessa ricerca scientifica avanzata. L'indagine logico-linguistica e la tecnica si compenetrano nel rilevare l'automazione dei processi argomentativi e cognitivi.
    Con la messa in risalto della retroazione (in termini tecnici feed-back), si tende a equiparare l'autoregolazione e i sistemi di controllo degli automi ai sistemi di adattamento, equilibrio, controllo e comunicazione dell'organismo vivente (in termini tecnici omeostasi) e dell'uomo in particolare (32).

    3.3. La cibernetizzazione dell'esistenza

    La cibernetica, con le sue capacità conoscitivo-operative, deborda ben presto dai confini della ricerca scientifica e tecnologica per sfociare in una ipotesi antropologica globale e in progetto d'uomo totalizzante.
    L'uomo è definito come parola. Il suo funzionamento è il suo comportamento in termini di informazione. Non solo il singolo, ma la società intera possono essere compresi, nella dinamica con l'ambiente, unicamente e semplicemente attraverso l'analisi dei loro linguaggi e dei loro sistemi di informazione e di comunicazione. Attraverso il controllo e l'uso regolato delle informazioni si viene a prospettare un futuro «in cui nulla sia lasciato al caso, alla fantasia ed all'umore, ma tutto sia precisamente determinato e previsto dal computer, in modo da evitare errori e sprechi in campo economico, il disordine in campo sociale e, soprattutto, quell'enorme cumulo di sofferenze che fino ad oggi hanno imposto all'umanità l'irrazionalismo, il fanatismo, l'imprevidenza, il mancato ricorso agli strumenti offerti dal progresso scientifico e tecnico per la soluzione dei problemi sociali ed umani» (33).
    Computerizzazione dell'esistenza e programmazione del futuro ne sono le vie di attuazione specifica.

    3.4. Rilievi critici ed influssi

    Dopo le intuizioni esaltanti di W. Cannon, C. Bernard, e soprattutto di N. Wiener, fondatore della cibernetica, sul finire degli anni sessanta, la denuncia delle mistificazioni e delle disastrose strumentalizzazioni politiche ed economiche delle apparecchiature tecnologiche, ha fatto sbollire un po' anche gli entusiasmi sottesi a tali ipotesi.
    Si è messo in luce la loro inadeguatezza a spiegare la complessità dei fenomeni psichici e il mondo affettivo umano: la logica del cuore umano non è quella del cervello elettronico.
    Si è fatto notare che venivano dimenticati alcuni aspetti fondamentali e specifici della attività umana, come la capacità creativa e l'intrinseco carattere morale di essa. Se infatti è vero che l'attività della macchina può dirsi intenzionale, lo si può solo nel senso che ha una mèta da raggiungere (magari operando successivi aggiustamenti e autocorrezioni), ma non nel senso che si pone una mèta, uno scopo, sulla base di una scelta, di un giudizio di valore, come invece fa l'uomo, al quale perciò è imputabile una fondamentale responsabilità dei suoi atti (34).
    In termini semplici, si è detto che una tale ipotesi riduceva il singolo e la collettività ad una «ruota» in un immenso ingranaggio, regolato da una élite, magari anonima, nelle cui mani venivano messe le sorti del mondo e dell'umanità.
    Nonostante ciò, le ipotesi suddette continuano ad esercitare il loro influsso ideale. Il linguaggio quotidiano, la comunicazione di massa, la letteratura fantascientifica e di diporto, ne sono profondamente segnate.

    3.5. L'uomo programmato del comportamentismo

    Molto vicina a questa sensibilità è pure la psicologia behavioristica skinneriana. L'unica uscita di sicurezza, di fronte ai rischi che la società industriale e tecnologica sta correndo è, secondo B. Skinner, un rigido condizionamento della condotta umana, una «tecnologia del comportamento», basata su una solida «scienza del comportamento».
    Sulla scia del behaviorismo classico di E.L. Thorndike e di J.B. Watson, che a loro volta si ricollegavano agli studi dei russi Pavlov e Bechterev, anche egli è dominato dalla istanza di un radicale empirismo e oggettivismo scientifico: solo il comportamento osservabile può essere oggetto di scienza. E per spiegarlo è sufficiente la classica formula stimolo-risposta (S-R) e la categoria del riflesso condizionato. Ed è proprio il condizionamento che dà al movimento behaviorista la sua potenzialità di intervento rivoluzionario: la scienza del comportamento infatti può permettere il controllo e la manipolazione degli stimoli e delle reazioni dell'uomo, come lo studio della fisica permette il controllo e la manipolazione dei fenomeni naturali osservati, e alla pari, degli altri.
    E se la riflessologia russa di Pavlov, e dei suoi seguaci, ben si adattava a costruire l'uomo nuovo, organico agli sviluppi della rivoluzione di ottobre, il behaviorismo americano, a suo modo, viene ad inserirsi nell'istanza scientifico-umanisticosociale del pragmatismo americano, dello strumentalismo miglioristico deweyano, del progressismo democratico del New Dea'.
    Ma proprio l'inconcludenza, il pressapochismo, l'inefficacia spontaneistica di progetti pedagogico-sociali, ad essi ispirati, induce Skinner ad una presa di posizione di radicale e rigida scientificità.
    Attraverso la tecnica psicologica del condizionamento operante, del rinforzo soprattutto positivo, egli crede sia possibile modellare, manipolare l'uomo (così come si fa in laboratorio con gli animali), influenzare il suo agire intervenendo su quelle che ne sono le conseguenze, che appunto lo rinforzano. Uno scientifico dosaggio di ricompense e punizioni, costituiscono il nerbo di quella tecnologia del comportamento che potrà permettere una umanità e una civiltà nuova, razionale e socializzata, capace di far fronte alla svolta fatale della società tecnologica. Padroneggiando il meccanismo del rinforzo lo scienziato-ingegnere ha di mira l'eliminazione delle tensioni e la rimozione dei focolai dell'antagonismo, della competitività, del particolarismo economico, familiare, sociale, causa prima dei mali che ci affliggono e che impediscono il retto utilizzo della tecnica.
    Si tratta di una impresa gravosa, che costringe a misure estreme e che necessita di andare oltre la dignità e la libertà (come si intitola un suo volume del 1971 subito diventato un best-seller (35): le idee e i valori dell'umanesimo tradizionale vanno scalzati via, perché espressione viziata dell'antropomorfismo prescientifico, cagione di condotte irrazionali, passionali, illusorie, e quindi ultimamente dannosi in quest'opera in cui ne va di mezzo la sopravvivenza della cultura e dell'umanità. È appena da rilevare in questo modo di vedere la riduzione oggettivistica dell'uomo al suo comportamento espresso, come pure il rigido condizionamento cui è sottoposto. I risultati valgono la spesa?
    E poi anche in questo caso, chi controllerà la razza eletta dei condizionatori? Non si ridurrà l'uomo, risultato dal condizionamento, ad essere un uomo-robot?

    4. L'UOMO DELL'AUTOREALIZZAZIONE

    L'emergenza del personale ha spinto molti, come si è detto, ad una particolare cura di se stessi. L'io è apparso come l'ultima spiaggia da salvare a tutti i costi dai mali della vita moderna.
    Oltre ad una più attenta cura del proprio corpo si è avuta una particolare attenzione alla propria sanità mentale e psichica. E alle relazioni interpersonali.
    In questo clima ha ricevuto consistenza quella immagine di uomo che esalta il prendere coscienza delle proprie risorse interiori e invita ad esplicarle in modo creativo ed intelligente, in vista della propria ed altrui auto-realizzazione.

    4.1. La psicologia umanistica e le sue diverse versioni

    Nel 1962 A. Maslow lanciò l'idea dell'organizzazione di una «terza forza» nella psicologia, che superasse i limiti della psicoanalisi e del behaviorismo. Questa iniziativa ebbe i consensi di psicologi di varia formazione e provenienza, americana e europea (oltre A.H. Maslow, W. Stern, G.W. Allport, C. Rogers, E. Fromm, H.A. Murray, K. Goldstein, Ch. Bùhler, R. May, V.E. Frankl, J. Nuttin, H. Thomae, ecc.). La nuova formazione fu conosciuta come Psicologia Umanistica (36). Gli aderenti furono d'accordo sulla necessità di privilegiare come campo di attenzione e di indagine la persona sana (e non i meccanismi psicopatologici, come nella psicoanalisi), soprattutto nelle sue innegabili manifestazioni di spontaneità, interiorità, creatività, libertà, ricerca di significato, ecc. Si volle inoltre mirare a tutta la persona, così come essa si dà, come totalità unica e differenziata, contrassegnata da attitutini irrepetibili; capace di consapevolezza, di libera scelta, di responsabilità; fornita di intenzioni e aperta ai valori; tesa ad un divenire che ha come meta l'autorealizzazione; e che ha il suo essere nel contesto umano, ma non si riduce a campo passivo di stimolazioni esterne (come per il behaviorismo).
    Scopo dell'indagine psicologica diventa allora la descrizione la più completa possibile di quel che si intende quando si dice di vivere come essere umano.
    Ciò sarà pure il punto di partenza e l'orizzonte teleologico (= il fine) che guiderà qualsiasi intervento educativo o terapeutico. La stessa costruzione di una società rinnovata - come asserisce Maslow - sarà frutto solo di una lenta e graduale rivoluzione sinergica (= che opera insieme), portata avanti da persone autorealizzate.
    Gli autori di questo indirizzo umanistico vedono la loro attività nel quadro di una lotta contro l'insorgente crisi culturale e sociale e contro la disumanizzazione e la deindividualizzazione della vita contemporanea.

    4.2. La psico-terapia gestaltica e transazionale

    Nella linea del superamento della psicoanalisi e del comportamentismo si pongono pure diverse scuole terapeutiche, che sono in crescente sviluppo negli USA. Attorno agli anni '70 ha preso molta consistenza la terapia della Gestalt, fondata da Fritz Perls e portata avanti soprattutto dal suo discepolo J. Simkin (37).
    Gestalt è una parola tedesca che significa intero o figura, forma. In Germania prima e poi trapiantata negli USA a seguito di quella colossale fuga di cervelli, seguita all'imporsi del Nazismo, si sviluppò la psicologia della Gestalt, che in opposizione alla teoria psicologica tradizionale, affermava che la percezione non è frutto dell'associazione di puntuali e atomistiche sensazioni, ma avviene in termini di tendenza alla totalità, all'interno, secondo la dinamica di figura-sfondo, in cui le singole parti avevano senso, e che solo analiticamente si potevano distinguere.
    Nella stessa linea la terapia gestaltica, influenzata dalla filosofia esistenziale, considera l'uomo «come un organismo completo che funziona come un tutto e non come un'entità divisa in dicotomie quali mente e corpo» (38). L'organismo fin dalla nascita ha la capacità di far fronte alla vita. Più che da reprimere o da rafforzare per divenire civilizzato, c'è solo da prendere consapevolezza e quindi scoprire cosa è, piuttosto che cosa dovrebbe essere, o cosa potrebbe essere stato, o l'ideale di cosa è permesso essere.
    Le difficoltà sorgono quando l'organismo non è in contatto con l'ambiente esterno, ma si immerge nel suo proprio sfondo, nel suo proprio ambiente interno, nelle sue fantasie, creando insoddisfazione, tensione, aggressività, squilibrio, che si cerca di superare con Gestalten incomplete, distorte, che disturbano, bloccano o fanno irrigidire ad un certo stadio la tendenza all'integrazione del flusso e del riflusso continuo tra organismo ed ambiente.
    La terapia della Gestalt, soprattutto attraverso l'esercitazione e i «giochi»» di gruppo, aiuta il paziente ad avere consapevolezza di sé e magari delle scissioni che si sono prodotte.
    Il terapeuta e il gruppo sostengono i processi di autostima e autosostegno del paziente che impara così a riprendere fiducia in se stesso e a ricomporre le scissioni che si erano prodotte e a chiudere i «buchi» della sua personalità, riappropriandosi delle parti di sé che aveva considerate inaccettabili o misconosciute.
    La terapia della Gestalt è spesso integrata, come metodo e insieme di tecniche terapeutiche, nell'indirizzo detto della Analisi Transazionale che fa capo a E. Berne (39).
    Anche in questo indirizzo si partecipa la convinzione che più che insegnare qualcosa ad un uomo c'è da aiutarlo a scoprirla dentro di sé, e che ognuno deve prendere la propria vita nelle proprie mani.
    Sia la terapia della Gestalt che quella transazionale «sono volti a scoprire e promuovere la consapevolezza, la responsabilità di sé, la genuinità. Entrambi i metodi si interessano di ciò che accade ora» (40).
    L'analisi transazionale sviluppa di più la teoria della personalità e dell'azione sociale, ed è basata sulla analisi delle possibili transazioni tra due o più persone. Il centro di osservazione sono infatti gli interscambi e le interazioni, i giochi che avvengono tra persone. Per giungere alla comprensione delle transazioni si suppone una strutturazione della personalità in Bambino - Adulto - Genitore, che sembrerebbe a prima vista ricordare la concezione dinamica della personalità di Freud: Es - Ego - Super Ego; ma mentre in Freud i tre strati sono i «determinanti della personalità», qui invece sono «organizzatori psichici degli stati dell'io». Ogni stato dell'io o fenomeno è un complesso di comportamenti osservabili «nel presente» della transazione.
    La transazione è come «l'unità di misura» che scandisce la strutturazione del tempo. Ogni essere umano - secondo Berne - in qualsiasi età e condizione psicologica può ritrovare in sé il potenziale psichico per risistemare le proprie forze affettive e ampliare il proprio campo esistenziale e il proprio raggio di azione. La terapia è solo un aiuto a prendere coscienza di queste possibilità per poter così vivere autonomamente, cioè per scelta autocosciente spontanea e flessibile secondo le esigenze della vita e non secondo il copione che ci è stato introiettato nei primi anni di vita da quella che Berne chiama la «programmazione parentale». Superando la fissazione funzionale e la ripetizione coattiva del copione, ognuno è capace di vincere la vita, cioè sa reagire in modo autentico, è credibile, degno di fiducia, sensibile, genuino, pensante, consapevole, creativo, produttivo personalmente e socialmente (vincente in questo senso, non nel senso che fa perdere gli altri, come gli autori di questo indirizzo tengono a precisare).
    Spesso in questo indirizzo c'è un sensibile ascolto della saggezza orientale, quasi per compensare i rischi di intellettualismo freddo, di analicità fissistica e di oggettività anonima, che sembra essere parte della scientificità occidentale.

    4.3. La psicoterapia relazionale

    Alla corrente umanistica sembrano richiamarsi anche gli autori che in qualche modo provengono dal Menta! Research Institute di Palo Alto (D. Jackson, U. Satir, P. Watzlawick, J. Weakland, J. Haley, J.H. Beavin, G. Bateson, ecc.) e che si sono interessati in particolare all'analisi della comunicazione e alla terapia della famiglia.
    Anch'essi intendono superare l'impostazione atomistica e associazionistica della psicologia tradizionale, e sono per questo particolarmente attenti al contesto in cui i fenomeni si verificano, allo sviluppo delle relazioni, alla interazione tra organismo ed ambiente, ecc.
    Sulla scia della teoria dei sistemi di L. von Bertalanffy (41), il biologo di origine austriaca che ha inteso superare il meccanicismo e il vitalismo attraverso l'organicismo, gli autori della scuola di Palo Alto parlano della famiglia come sistema aperto (già Allport lo diceva della personalità), cioè in continuo scambio di materiale, energia ed informazione con il proprio ambiente. E mettono ad esempio in risalto il ruolo della comunicazione verbale e non verbale o l'interazionismo simbolico dei ruoli nelle dinamiche familiari.
    Gli sviluppi non sono omogenei e sussistono forti divergenze o accentuazioni tra singoli o gruppi di autori (42).
    In particolare è difficile negare del tutto l'impressione che in molti casi l'affermazione umanistica non sia un po' soffocata da vedute cibernetiche e dall'enfasi sull'analogia con il funzionamento di macchine o congegni tecnologici. In questo senso la concezione della comunicazione di questi autori sembra avvicinarsi per certi aspetti al modello cibernetico e alle teorie comportamentistiche (43).

    4.4. La religione dell'io?

    Tutto il filone umanistico, soprattutto americano, non sembra andare esente da grossi interrogativi.
    In primo luogo un certo pragmatismo di fondo, che talvolta sembra bruciare, ai fini dell'efficacia e del benessere individuale e sociale, le lunghe e non sempre semplici vie della ricerca scientifica. Soprattutto per ciò che riguarda il campo della terapia, dove per evidenti ragioni prevale l'operatività, a molti sembra che le asserzioni prodotte dalla psicologia umanistica siano una assunzione scomposta e acritica di convincimenti ideologici e filosofici, di osservazioni scientifiche e di conclusioni del senso comune.
    In secondo luogo non sembra essere superato un orizzonte tutto sommato naturalistico: anche quando si parla di bisogni superiori (di riconoscimento, di sviluppo di sé, di amore, di religiosità), tutto sembra rimanere nell'ambito della psiche e nell'arco del tempo, anche quando si parla e si invita al dono di sé e all'impegno sociale.
    In terzo luogo agli occhi di alcuni critici l'immagine dell'uomo autorealizzato sembra essere l'ipostasi scientifica (= il modello idealizzato e assolutizzato) del medio borghese statunitense (e del suo stato di avanzamento tecnologico, nella scuola di Palo Alto). Peggio, secondo qualcuno, l'esaltazione dell'uomo autorealizzato sembra essere la razionalizzazione di quell'idolatria dell'uomo moderno, che è il culto di sé (44).
    Più attenti a significati e valori trascendenti sembrano essere gli europei Frankl, Thomae, Nuttin.
    Non è da tacere il possibile effetto - magari non voluto, ma non per questo meno incombente - che l'insistenza sulla realizzazione di sé, sull'essere vincenti, non ponga l'esistenza individuale e le relazioni interpersonali in un regime di concorrenza (fino a forme di imposizione e dominazione sull'altro) o faccia perdere il senso del limite, del dolore (fino alla frustrazione esistenziale di fronte ad una eventuale o troppo dilazionata riuscita).
    Del resto l'ottimismo naturalistico, che molti di questi autori proclamano, è quasi tutto in gran parte da dimostrare.
    Allo stesso modo non sembra essere superata di molto quella prospettiva individualistica, fatta rilevare come un limite di altri orientamenti antropologici del nostro mondo occidentale, anche se qui si dà risalto alle relazioni interpersonali, al ruolo del gruppo, al rapporto organismo-ambiente, al contesto, ecc.

    4.5. La commercializzazione della self-realization: l'uomo dei mass-media

    Questi rischi si fanno più seri ed evidenti quando dal campo della riflessione psicologica si passa a quello della pratica terapeutica o si scende dai grandi psicologi agli allievi: ma soprattutto quando questi indirizzi sono portati al loro livello di prodotto commercializzabile, attraverso i canali della industria culturale, i mass-media, la letteratura di massa e la pratica incontrollata delle più disparate forme terapeutiche.
    Infatti l'ideale dell'uomo autorealizzato, autonomo, capace di spontaneità, e senza complessi nella relazione con gli altri, creativo e con ricche capacità di rapporto, è l'idea madre di quella che è stata proclamata la psicologia per tutti e le sue tecniche (Encounter Groups, trainings autogeni, creative Workships, sedute-maratone, self Help Sex, per una vita sessuale più ricca, ecc.).
    Come tutti i prodotti culturali che provengono da oltreoceano, questa psicologia per tutti si va diffondendo a livello di massa e entra a far parte sempre più della mentalità comune.
    Per lo più - secondo i canoni dell'industria culturale, che cerca di «mediare» tutto - questa psicologia per tutti combina, e fa incontrare sul terreno della selfrealization, suggestioni e stimoli provenienti dalle forme volgarizzate e dalle immagini elaborate di uomo che abbiamo chiamato cibernetica, nichilista, dei bisogni radicali: in un aggregato comune che potremo chiamare l'uomo dei mass-media.
    Di esso, in quanto uomini-massa, che non vivono fuori del mondo, in qualche modo tutti partecipiamo nei nostri modi di pensare e di comportarci. L'idea dell'autorealizzazione sembra avere particolare influsso nella attività educativa quotidiana, catechetica e pastorale, così come in quello che si potrebbe dire il comune senso pedagogico. Nonostante tutto infatti si pone ancora abbastanza l'enfasi sulla creatività, sulla spontaneità, sulla non-direttività, sulla socializzazione, sull'anti-autoritarismo, ecc. In ciò ci si viene ad incontrare con quelle teorie pedagogiche cosiddette delle «scuole nuove» dell'attivismo, che parlavano di una educazione centrata sul bambino (puerocentrismo), di una pedagogia degli interessi, di metodi esperienziali ed attivi, ecc.
    Lo psicologo umanista Rogers parlerà di libertà di apprendere.
    Ma al limite si può incontrare anche con le recenti teorie della programmazione curricolare, che pur nella sua previsonalità tecnologica è tuttavia rivolta ad un «apprendimento ad essere».
    In sede catechetica e pastorale è pure abbastanza comprensibile l'influenza dell'immagine d'uomo auto-realizzato, non tanto per motivi di essere à la page, secondo la moda, ma indubbiamente e soprattutto per la riaffermazione personalistica che essa sembra veicolare (contro la massificazione anonima e deindividualizzata), con l'enfasi sulla libertà, sulla scelta consapevole e responsabile, sulla apertura agli altri, ecc.
    Ma si sono fatti notare i rischi tutt'altro che immaginari, che essa può comportare, quando si assume acriticamente e indiscriminatamente senza alcuna cautela e reinterpretazione anche questa immagine di uomo.

    NOTE

    (30) L. Colletti, Tramonto dell'ideologia, Laterza, Bari 1980, p. 48ss.
    (31) Sul problema si veda in generale A. Chelmers, Che cos'è questa scienza? La sua natura e i suoi metodi, Mondadori, Milano 1979; V. Tonini, Le scelte della scienza, Studium, Roma 1977.
    (32) Su tutta la questione si indicano, per un primo approfondimento, oltre l'antologia curata da V. Somenzi, La filosofia degli automi, Boringhieri, Torino 1965, i due testi a cura di P.A. Rossi, Cibernetica e teoria dell'informazione, La Scuola, Brescia 1978, e di D. De Martino - M. Bianca, La mente e la macchina, La Scuola, Brescia 1978, con testi antologici e bibliografia essenziale.
    (33) Realizzare insieme un «progetto d'uomo» veramente umano, in «Civiltà Cattolica», 1981, n. 3133, p. 4.
    (34) Cfr. T.R. Miles, On the Difference between Men and Machines, in «The British Journal for the Philosophy of Science», 1957, pp. 277-292; E. Agazzi, Alcune osservazioni sul problema dell'intelligenza artificiale, in «Rivista di Filosofia Scolastica», 1967, n. I, pp. 1-34.
    (35) B.F. Skinner, Oltre la libertà e la dignità, Mondadori, Milano 1973.
    (36) Una breve e chiara presentazione di essa è: C. Bühler - M. Allen, Introduzione alla psicologia umanistica, Armando, Roma 1976.
    (37) Peris F., La terapia gestaltica parola per parola, Astrolabio, Roma 1980; L'approccio della Gestalt, Astrolabio, Roma 1977.
    (38) Simkin J., Brevi lezioni di Gestalt, Borla, Roma 1978, p. 12.
    (39) Da E. Berne, A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano 1976; Ciao!... e poi? La psicologia del destino umano, Bompiani, Milano 1979. Così di T. Harris, Io sono OK, tu sei OK, Rizzoli, Milano 1976.
    (40) J. Muriel - D. Jongeward, Nati per vincere. Analisi transazionale con esercizi di Gestalt, Paoline, Roma 1980, p. 18.
    (41) Di lui si indica Il sistema uomo, ILI, Milano 1971; Teoria generale del sistema, ILI, Milano 1971.
    (42) Di tali autori si cita in particolare: P. Watzlawick - H.J. Beavin - D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971; G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976; Watzlawick P. - J.H. Weakland (a cura di), La prospettiva relazionale, Astrolabio, Roma 1978.
    (43) Su questi esiti si veda l'ultimo capitolo di M. Rossi - Monti - S. Vitale, Dall'analisi esistenziale alla teoria dei sistemi, Feltrinelli, Milano 1980, o il vol. 2 di S. Korchin, Psicologia clinica moderna, 2 voll., Boria, Roma 1977.
    (44) Così suona il volume di P. Vitz, Psychology as Religion: the Culi of Self-Worship, Eerdams, Grand Rapids (Mt.) 1977.


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