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    Un’educazione

    per un nuovo umanesimo

    Pascual Chávez Villanueva


    In un intervento di Ferruccio Capelli dal titolo “Per un nuovo umanesimo” in occasione del quinto incontro pubblico organizzato nell'ambito del percorso comune della Casa della Cultura e della Casa della Carità per recuperare uno "sguardo umano", Capelli offre le ragioni che stanno portando a questa situazione di attenzione, di curiosità, di interesse diffuso per la proposta di un "nuovo umanesimo".[1]

    “Si parla spesso, in questi tempi, di nuovo umanesimo. Ne parlano anche voci molto autorevoli. Il tema è stato evocato da papa Francesco. "Serve un patto educativo globale che educhi a un nuovo umanesimo", ha detto il pontefice. Espressione forte, ma, nel caso del pontefice, del tutto coerente con il suo insegnamento: il tema del nuovo umanesimo era già implicito in tanti atti del papa e attraversava tutta la sua Enciclica, Laudato si'.
    Quando, come in quest'incontro, poniamo il problema di un "nuovo umanesimo" andiamo oltre questa emergenza, allarghiamo l'orizzonte del ragionamento. Stiamo invitando a riflettere su un problema più di fondo che attraversa tutto l'Occidente e non solo, ci proponiamo di mettere a fuoco problemi strutturali che stanno modificando la condizione umana, che stanno alterando le relazioni fra gli esseri umani e degli esseri umani con la natura e l'ambiente circostante.
    Si tratta di una riflessione che vorremmo impostare con serietà ed impegno anche perché avvertiamo il rischio che la proposta di un nuovo umanesimo, così pervasiva ma anche un po' vaga, possa, se non impostata e declinata con attenzione, di dissolversi in una retorica un po' banale e poco concludente, del tipo: vogliamoci tutti un po' più di bene.
    Cerchiamo perciò di collocare il problema nella sua giusta dimensione. Secondo noi - proviamo ad impostare bene il problema - siamo immersi in una trasformazione epocale, una vera e propria "grande trasformazione" (l'espressione venne usata da un grande studioso, Karl Polanyi, per spiegare il passaggio dal mondo agricolo tradizionale a quello industriale), una nuova grande trasformazione quindi, che sta cambiando profondamente il modo di lavorare, di comunicare e di vivere degli esseri umani. Essa nasce dall'azione congiunta di due potentissimi fattori di cambiamento, la globalizzazione e gli sviluppi impetuosi della scienza e della tecnica: la loro azione congiunta, sovrapposta, sta letteralmente riplasmando la vita umana.
    Con alcuni effetti che dobbiamo cogliere lucidamente: da un lato la rottura di legami sociali essenziali, con l'allentamento delle strutture tradizionali di solidarietà sociale, fino all'emersione di vere e proprie forme di solitudine involontaria di massa; dall'altro lato l'alterazione del rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale fino al punto di generare fenomeni radicalmente nuovi e potenzialmente devastanti come il cambiamento climatico.
    È dentro questo scenario di mutazione radicale che dilagano quell'incertezza e quello spaesamento oggi così diffusi nell'opinione pubblica. Le persone, gli esseri umani, avvertono un mutamento profondo delle strutture sociali e delle condizioni ambientali: tutto cambia, rapidissimamente, ma in tanti non riescono ad afferrare quale sarà la direzione, lo sbocco del cambiamento. L'innovazione è radicale quanto mai nel passato, ma ad essa nessuno riesce ad affiancare l'idea di progresso, di un cammino chiaro, progressivo, in avanti. Innovazione radicale senza progresso: c'è n'è abbastanza per esporre le persone a inquietudini diffuse e a mille interrogativi anche laceranti.
    In un simile passaggio epocale emergono inesorabilmente gli interrogativi sulla collocazione degli esseri umani nella società e nella natura. È successo altre volte nel passato: ai grandi passaggi epocali è corrisposto un ripensamento della collocazione dell'uomo nel mondo.
    La straordinaria stagione dell'umanesimo italiano ed europeo - per riprendere un esempio classico - è maturata nel passaggio dal mondo medievale al mondo moderno. In quel frangente storico, un passaggio drammatico come ci stanno ricordando tanti studi e pubblicazioni recenti (ricordo per la diffusione che hanno avuto gli studi di Michele Ciliberto e Massimo Cacciari), è maturata una nuova visione dell'uomo, del suo modo di concepire la sua collocazione sulla terra e nell'universo, di pensare e praticare il lavoro, le relazioni umane, di immergersi nella storia.
    Anche noi oggi siamo dentro un passaggio epocale, di portata non dissimile a quello che, alcuni secoli fa, segnò la transizione all'età moderna. Stanno emergendo interrogativi di fondo che ci incalzano, a cui non possiamo illuderci di sfuggire. Ecco perché emerge la questione di un nuovo umanesimo.
    Non si tratta, quindi, solo di contrastare eccessi e intemperanze, neppure solo di frenare i deliri dei populismi sovranisti. Il problema è più profondo e ha carattere generale: bisogna affrontare e dare risposte positive a una trasformazione generale e globale i cui sviluppi ed esiti appaiono assai incerti.
    Il nuovo umanesimo su cui vogliamo ragionare deve rispondere alla crisi dei legami sociali ed anche alla minaccia ambientale incombente. Fenomeni come il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacciai, la ricorrenza di fenomeni metereologici estremi segnalano quanto è minacciato l'equilibrio uomo - natura: una nube oscura si addensa sulla stessa riproduzione della specie umana. Umanismo e naturalismo, per l'appunto, non sono più pensabili separatamente.
    Il tema, in tempi recenti, è stato posto con particolare vigore da papa Francesco quando nella sua Enciclica ci ha ricordato che "tutto nel mondo è intimamente connesso", ovvero che vi è una connessione inestricabile tra dimensione sociale, economica, demografica e ambientale.
    In discussione - ecco il punto essenziale - sotto la spinta della gigantesca trasformazione in corso, è l'idea stessa di organizzazione del lavoro, della società, del rapporto con la natura. Ovvero in discussione è il modello stesso di sviluppo. La riflessione sul nuovo umanesimo si intreccia profondamente con quella per un nuovo modello di sviluppo. Il modello di sviluppo dei paesi industrializzati non è più sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale. Per la libertà e la dignità degli esseri umani, per la salvaguardia del nostro ambiente, per la riproduzione stessa della specie umana urge pensare e imboccare un nuovo modello di sviluppo.”
    Nel discorso tenuto durante l’Udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 9 gennaio 2020, Papa Francesco ha affrontato il tema delle sfide educative delle nuove generazioni invitando ad elaborare nuovi modelli di sviluppo, per superare le crisi, le divisioni, le disuguaglianze e le ingiustizie che segnano la nostra epoca. In tale orizzonte, ha ricordato che i giovani sono pieni di sogni e di speranze e desiderano creare un mondo più umano; perciò “gli adulti non devono abdicare al loro compito educativo”, ma “condurre i giovani alla maturità spirituale, umana e sociale”.[2]
    Dunque, per avere uno sviluppo sostenibile nella prospettiva di lungo termine, è strategico investire sull’educazione quale strumento indispensabile per preparare le giovani generazioni. E l’invito del Papa riflette la preoccupazione che molti avvertono guardando al futuro, in particolare agli sforzi che vengono compiuti dagli organismi internazionali, i quali tentano di indicare obiettivi e di tracciare percorsi da seguire per rispondere alle sfide del presente e guidare al cambiamento.

    Gli scenari del XXI secolo

    Gli scenari complessi che caratterizzano i primi decenni di questo XXI secolo sono evidenti agli occhi dei più attenti osservatori; i giovani che vogliono mettere in gioco la propria esistenza con i propri ideali, compiendo scelte importanti, hanno certamente dinanzi a sé opzioni fondamentali con cui confrontarsi, ma queste sono inevitabilmente connesse con aspetti molto concreti e spesso problematici, riguardanti il lavoro, la professione, il guadagno, la famiglia, gli affetti, ecc. Le sfide connesse a questi ambiti rendono il giovane indeciso e insicuro nella scelta e poco incline al rischio.
    Il Rapporto OCSE[3], con il suo piano strategico per il 2030 chiamato Learning Framework, ha approfondito tali questioni, ovviamente ponendosi dal punto di vista dell’economia e dello sviluppo, e quindi dall’ottica dell’occupazione giovanile negli anni a venire[4]. E per capire quali abilità professionali si dovranno richiedere ai giovani del XXI secolo, esso fa notare anzitutto che i sistemi educativi attuali dovranno essere ridefiniti confrontandosi con un quadro di riferimento profondamente mutato, caratterizzato da un’esplosione di esigenze e di conoscenze scientifiche e da problemi sociali molto complessi.
    Da una parte, il contesto del secolo da poco iniziato continuerà a rimanere quello di un ambiente in pericolo, di una popolazione in continuo aumento con le risorse che diminuiscono, di cambiamenti climatici che interpellano la responsabilità di tutti e dei bisogni delle generazioni future. D’altra parte, nuove sfide si manifesteranno in modo più accentuato, provocate dall’interazione fra tecnologia e globalizzazione[5]. Per agire in modo efficace nel mondo futuro, dicono i commenti al Rapporto OCSE, i giovani dovranno essere innovativi, responsabili e consapevoli e a tale scopo occorrono modelli concettuali e un quadro di riferimento più aperti e dinamici, insieme ad un sistema di conoscenze che facciano da bussola per l’apprendimento, onde aiutare i giovani a navigare attraverso le proprie vite ed il proprio mondo.
    In altri termini, l’istruzione deve preparare i giovani ad impegnarsi ad agire nel mondo attraverso un approccio più attivo e dinamico. Per questo occorrono, in primo luogo, processi formativi più improntati alla trasformazione, in cui vengano rafforzati immaginazione, curiosità intellettuale, costanza di impegno, collaborazione, resilienza ed auto-disciplina.
    In secondo luogo, la realtà sempre più complessa impone la necessità di educare a sapersi confrontare con tensioni, dilemmi e negoziati. In questa società le soluzioni ai problemi nasceranno dalla capacità di ricercare equilibri tra equità e libertà, autonomia e solidarietà, innovazione e continuità, efficienza e rispetto delle regole democratiche. Sarà necessario avere persone competenti, ma che sappiano includere empatia (cioè la capacità di comprendere il punto di vista degli altri); adattabilità (cioè capacità di modificare le proprie percezioni alla luce di nuove esperienze e nuove informazioni); e fiducia negli altri e nel futuro (cioè il tema della speranza).
    In terzo luogo, occorre formare alla responsabilità. Si tratta della competenza trasformativa che porta gli individui a “pensare per proprio conto e a condividere le proprie posizioni”. I giovani vanno preparati alla capacità di considerare le conseguenze delle proprie azioni, ad un senso di responsabilità, di maturità morale e intellettuale per riflettere sulle proprie azioni e valutarle sulla base di cosa è giusto e cosa è sbagliato. E questa capacità di giudicare ha a che fare con l’etica, cioè con la capacità di rispondere alle questioni fondandosi su norme, valori, significati e limiti.
    Dinanzi a questo scenario, sono pienamente condivisibili le indicazioni fornite dal documento dell’UNESCO sugli obiettivi dell’educazione per il 2030, visti come strumenti indispensabili per realizzare uno sviluppo durevole[6]. In esso si chiede un profondo cambiamento ai processi formativi, finalizzandoli al benessere degli individui e alla prosperità delle nostre società. Si chiede, in sostanza, che i sistemi formativi aiutino: a sviluppare le competenze che rendono gli individui capaci di riflettere sui loro propri atti, tenendo conto delle conseguenze sociali, culturali, economiche e del contesto presente e futuro; che l’educazione sia di qualità e prolungata lungo tutto l’arco della vita; che i sistemi formativi puntino su una pedagogia trasformatrice che obbliga a ripensare i contenuti e i risultati.
    In altri termini, occorre fare acquisire ai giovani una serie di competenze e capacità, quali, ad esempio; sapere comprendere ed analizzare le relazioni ed i sistemi complessi; capire l’evoluzione dei possibili scenari futuri con una visione che sappia anticipare i rischi e i cambiamenti; comprendere e analizzare le norme e i valori sui quali basare le proprie azioni, sapendoli negoziare in contesti differenti e contraddittori; concepire e mettere in atto collettivamente delle azioni innovative che accrescano il livello del bene comune; saper imparare dagli altri, capire e rispettare i bisogni e i punti di vista altrui; saper rimettere in questione le norme, le pratiche e le opinioni, di riflettere sui propri valori e percezioni per poter prendere posizione.
    Sempre l’UNESCO riassume i vari obiettivi di apprendimento in tre categorie fondamentali: la sfera cognitiva (che comprende le conoscenze e competenze in materia di riflessione sui problemi esistenti); la sfera socio-emotiva (che include le competenze sociali che permettono di collaborare, negoziare e comunicare); la sfera comportamentale (relativa alle competenze riguardanti l’azione concreta).

    La sfida dell’intelligenza artificiale

    In tale contesto di cambiamenti epocali, appare, inoltre, sempre più significativa la sfida dell’intelligenza artificiale. Segreti algoritmi influiscono sulle nostre letture, deviano l’attenzione, rimpiccioliscono la visione generale, convogliano il pensiero verso concetti prefabbricati a cui l’individuo si piega incoscientemente. La prepotenza delle fake news e l’invadenza delle “bolle fittizie” della cosiddetta post-verità ne sono una chiara testimonianza. Per le suddette ragioni, non di minore importanza sono la protezione dei dati personali, la trasparenza delle informazioni, la non-discriminazione in un contesto di crescita allarmante del cyberbullismo e del “discorso di odio” (hate speech)[7].
    Non bisogna, ad ogni modo, demonizzare tout court l’applicazione delle intelligenze artificiali. Specialmente in ambito didattico il loro uso potrebbe essere d’ausilio ai tradizionali metodi di insegnamento, andando ad individualizzare l’approccio pedagogico con programmi ad hoc e proposte coinvolgenti, declinate anche in modo ludico. In alcuni paesi occidentali – come dimostrano recenti statistiche di settore – si offre come una piattaforma ideale soprattutto per le materie di carattere matematico e scientifico dove si ha grande difficoltà a reperire docenti specializzati[8].

    Ricostruire il patto educativo

    Una prospettiva interessante da considerare per la formazione delle future generazioni ci viene indicata dal ricco patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa, attraverso la quale il magistero ecclesiale si confronta con le grandi sfide del mondo in evoluzione, fornendo principi e orientamenti di vita. Ad essa si ispira la diplomazia multilaterale e la cooperazione internazionale della Santa Sede ed accompagna la sua azione mediante le numerose istituzioni educative ed accademiche presenti nel mondo.
    Nel messaggio del 12 settembre 2019 e nell’ultimo discorso al Corpo Diplomatico, il Papa Francesco chiarisce molto bene gli obiettivi per un nuovo Patto Educativo, come risposta alle problematiche sopra citate. Li vorrei riassumere evidenziando che essi sono desunti dal pensiero sociale della Chiesa degli ultimi decenni, dal Vaticano II ad oggi, ed in particolare nelle quattro encicliche papali tra le quali si può cogliere un’intima convergenza: la Populorum progressio di Paolo VI, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II (come pure la Sollicitudo rei socialis), la Caritas in veritate di Benedetto XVI e la Laudato si’ di Papa Francesco[9], con altri documenti del suo magistero.
    Tre sono le prospettive principali enunciate nell’enciclica di Papa Montini e poi riprese dai suoi successori. La prima prospettiva da perseguire, per costruire una nuova civiltà, nasce dalla presa di coscienza che “il mondo soffre per mancanza di pensiero” (Populorum progressio 85). Questo spunto pone il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo in tutte le sue dimensioni, fino a sottolineare l’esigenza attuale di promuovere una interdisciplinarità ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano integrale.
    La seconda prospettiva è l’idea che “non vi è un umanesimo vero se non aperto all’Assoluto” (Populorum progressio 42) e anche il ricco magistero successivo alla PP si muove nella prospettiva di promuovere un umanesimo integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini oggi è ancora davanti a noi come una urgenza inderogabile.
    La terza prospettiva è l’idea che all’origine dell’ingiustizia c’è una mancanza di fraternità (cfr. PP. 66). Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava le persone – specialmente chi ricopre responsabilità politiche – ad operare “con tutto il [loro] cuore e tutta la [loro] intelligenza” (Populorum progressio 82), per costruire una “civiltà dell’amore”.
    Questi tre orientamenti fondamentali – ordinare il pensiero, aprirsi all’Assoluto e sviluppare la fraternità – sui quali vorrei brevemente soffermarmi, possono stimolare le scienze pedagogiche ed i percorsi accademici per una adeguata progettualità dei saperi, capace di avviare processi che aiutino le giovani generazioni ad affrontare le sfide attuali.

    Pensare apertamente
    Cosa significa ordinare il pensiero? Anzitutto, in una società come quella attuale, con i cambiamenti epocali che incidono profondamente nell’avventura umana, divenuta planetariamente interdipendente, occorre domandarsi quale sia il divenire dell’umanità. Constatiamo, infatti, che dai motori congiunti di scienza/tecnica/economia esce un “uomo aumentato”, un uomo amplificato ma per nulla migliorato; si tratta di un uomo che viene immesso in una società governata da algoritmi, tendente a farsi guidare dall’intelligenza artificiale, con il reale rischio di diventare una macchina superficiale e banale[10]. In questo contesto occorre, con coraggio, educare le giovani generazioni a “sapere pensare” per avere la possibilità di essere liberi e creativi dinanzi alla micidiale arma informatica che può disintegrare la società, di saper pensare in modo logico per stare liberamente dentro la realtà. In particolare c’è bisogno di un insieme di saperi transdisciplinari, capaci di estrarre, assimilare e integrare le conoscenze che, purtroppo, sono ancora separate, compartimentate, frammentate. C’è bisogno di un approccio nuovo, di un pensiero complesso e ordinato, cioè capace di legare e articolare le conoscenze, e non soltanto di giustapporle[11].

    La scoperta dell’Assoluto
    La seconda prospettiva consiste nell’idea che “non vi è un umanesimo se non aperto all’Assoluto” (PP. 42). Il problema dell’avventura umana ci pone, soprattutto nelle convulsioni attuali della cultura e società, un quesito di fondo: che cos’è l’umano? Purtroppo la natura della nostra propria identità non è per nulla insegnata nelle nostre scuole e università, e dunque non è riconosciuta e recepita dalle nostre menti. Tutti gli elementi utili per riconoscerla sono dispersi in innumerevoli scienze, incluse l’arte e la letteratura. In questo orizzonte, occorre disegnare un nuovo umanesimo planetario che solo potrà nascere dall’incontro fra le diverse culture del pianeta, dalla capacità di pensare insieme unità e molteplicità, dal coraggio di affrontare le sfide immergendosi nella realtà senza paura e soprattutto dall’apertura all’Assoluto.
    A partire dalla visione antropologica maturata nel Concilio, Papa Francesco ha affermato che “educare cristianamente è accompagnare i bambini e i giovani nei valori umani presenti in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza”. Questa dimensione verticale dell’uomo incrocia quella orizzontale ed insieme portano sui sentieri dell’incontro, della costruzione di ponti verso tutti nel rispetto, nella stima e nell’accoglienza reciproca. Tutto ciò conferma quanto già sosteneva San Giovanni Paolo II nella Centesimus annus ribadendo che “la dottrina sociale oggi specialmente mira all’uomo, in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne. Le scienze umane […] sono di aiuto per interpretare la centralità dell’uomo dentro della società e per metterlo in grado di capire meglio se stesso, in quanto “essere sociale”. Soltanto la fede, però, gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della chiesa, la quale, valendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l’uomo nel cammino della salvezza”[12].

    Solidarietà e fraternità
    Pertanto, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa pienamente se stessa solo nella sua apertura al “tu”, al “noi”, poiché è creata per la relazione, per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. Noi siamo debitori di tante cose agli altri e dobbiamo guardare agli altri superando la falsa idea di autonomia dell’uomo che non è un “io” completo in se stesso, ma lo diventa attraverso il rapporto fraterno e solidale con l’alterità, con il “noi”. Si deve partire dall’idea di fondo che l’umanità è costitutivamente incompiuta e molteplici sono le sue manifestazioni, individuali e culturali. In questo orizzonte, l’educazione è chiamata a trasformarsi, e potrà a sua volta trasformare il mondo se porrà alla base della sua progettualità il principio di “fraternità universale”, di “solidarietà”.
    In questa linea è pienamente condivisibile la missione principale dell’Agenda 2030 per l’Educazione finalizzata a non lasciare nessuno indietro (leaving no-one behind). Questo principio si struttura come un imperativo di educazione permanente affinché – oltre all’accesso per tutti – vi siano interventi adeguati durante l’intero arco della vita. Si afferma, per questo, che “tutte le fasce d’età, compresi gli adulti, dovrebbero avere l’opportunità di apprendere e continuare ad apprendere”[13]. In questo modo un’educazione aperta, inclusiva, di qualità ed equa diventa il catalizzatore per raggiungere tutti gli altri Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile[14] e consolidare una società educativa[15] che sappia essere veramente aperta e inclusiva. Ovviamente un simile compito educativo non è affidato alla sola scuola o università, ma – come viene sottolineato nella Dichiarazione di Incheon – alle diverse agenzie educative.
    Vorrei concludere ribadendo nuovamente che per preparare le giovani generazioni al futuro è necessaria un’educazione impostata sulla trasformazione. Papa Francesco denuncia la rottura del patto educativo[16] in nome di una certa rigidità esclusiva e di un neo-positivismo disumanizzante[17]. È urgente promuovere una educazione solida, fornendo ai giovani spazi di discussione e di intervento personale e, soprattutto, offrendo loro mezzi per approfondire la cultura del dialogo.
    Occorre ripensare la parabola educativa e, più in generale, i “saperi” in termini di alterità e di solidarietà e anche attraverso l’introduzione di nuovi modelli, andando al di là di una semplice organizzazione metodologica dei processi formativi basandosi su una vera e propria “rifondazione antropologica”. Un’educazione solidale ed umanizzata non si limita a elargire un servizio formativo, sia pure di grande qualità, ma si occupa dei risultati di esso nel quadro complessivo delle attitudini personali, morali e sociali dei partecipanti al processo educativo[18].
    Nel suo Messaggio per il lancio del Patto Educativo, Papa Francesco invita, senza giri di parole, a “ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Mai come ora [sottolinea il Santo Padre] c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna.”[19]
    La Chiesa sta unendo tutti i suoi sforzi affinché tale invito si realizzi avviando un processo di trasformazione sociale e culturale.”[20]

    Educazione e Valori

    Propongo alcuni spunti di riflessione, senza peraltro approfondirli; anche perché alcuni sono già patrimonio personale di ciascuno; si tratta solo di nominarli per metterli in evidenza. Ma sarà utile trarre le conseguenze di un’eventuale quanto auspicabile presa di coscienza.
    Una prima osservazione che credo da tutti condivisa: ed è che non è possibile educare senza una antropologia, ossia un modello d’uomo che si ritiene valido e perciò si pensa utile e doveroso proporre; e questo perché l’educando è proprio alla ricerca d’un modello di umanità quale struttura fondamentale per la definizione del proprio io, la lettura del mondo e la progettazione di sé. Ciò gli proviene dalla famiglia, dall’ambiente di vita, dagli influssi culturali, dalle esperienze già fatte, ma anche dalla scuola visto l’incidenza che tale esperienza ha lungo tutto l’arco evolutivo. È, dunque, compito della scuola definire un progetto d’uomo che orienti scelte educative e didattiche. Tale antropologia trova, o dovrebbe trovare, adeguata espressione nel progetto organico istituzionale (POI); che rischia però di rimanere una valida ma inefficace dichiarazione d’intenti se non passa nella viva coscienza dei docenti, per improntare, di conseguenza, le scelte anche didattiche, dato che, siamo convinti che la didassi è solo un mezzo in funzione della complessiva maturazione personale, ossia dell’educazione.
    Una seconda: ed è che la cosa più negativa, in educazione, è operare sulla base di antropologie sottaciute, ossia non esplicitate, discusse e condivise; sono antropologie implicite che ciascun docente, inevitabilmente, propone nel suo modo di essere e di operare (poiché la presunta neutralità che alcuni rivendicano è semplicemente autoinganno). Con ogni probabilità le antropologie implicite vengono a configgere tra di loro, creando nell’educando una confusione quanto mai pericolosa; egli, infatti, non possiede ancora quella capacità di discernimento e di sintesi che dovrebbero caratterizzare l’adulto; ma è proprio questo l’aiuto che cerca e che si aspetta dagli educatori. Tanto più che l’attuale mercato culturale propone di tutto e di più: si parla di homo faber, homo prometeicus, homo oeconomicus, homo ludens, homo cyberneticus, homo symbioticus, homo aestheticus (c’è, addirittura, un esponente dell’antropologia culturale che afferma: “ormai non si può più parlare di homo sapiens ma piuttosto di homo zappiens”). Ma oltre alle etichette di dubbio sapore scientifico, che peraltro designano non solo legittime accentuazioni quanto piuttosto una visione complessiva della vita e dell’umano (dato che diventano pervasive generando mentalità e stili di vita), pensiamo anche ai modelli di umanità proposti dalla cultura del relativismo, del consumismo, del nichilismo (L’ “Ospite inquietante”), dell’efficientismo, dello scientismo, del funzionalismo del tecnicismo … E c’è poi l’homo christianus, l’homo islamicus, l’homo religiosus, l’homo scepticus, con tutti i derivati di spiritualismi, dogmatismi e integrismi che tanta preoccupazione suscitano per il loro diffondersi in certe parti del mondo, soprattutto tra i giovani. Le scaffalature del supermercato, non c’è dubbio, sono piene di prodotti culturali.
    Da ogni parte provengono messaggi (espliciti o subliminali) che dicono “Questo è l’uomo” e lo dicono giocando sul fascino della felicità, della riuscita personale, del successo sociale, del futuro assicurato; ed attivando quei raffinati processi di omologazione che inceppano la capacità critica e minacciano la libertà di scelta. L’esito di tale confusione può essere la rinuncia a quel lavoro di analisi, riflessione e sperimentazione che potrebbe portare alla definizione di sé come soggetto pensante, libero e responsabile nei confronti di se stesso, degli altri e del mondo. 
    Ora, non definire l’antropologia che maggiormente ci convince comporta un altro pericolo: quello del sincretismo, ossia una mescolanza di elementi che provengono da antropologie diverse; in tal modo si offrono valutazioni del reale, criteri interpretativi e prospettive di realizzazione che il più delle volte si contraddicono e si elidono. L’esito non può essere che lo smarrimento interiore; ci si consegna, allora a quel relativismo per cui nulla è vero, nulla è valido, nulla davvero conta; e l’esistenza viene governata dalla superficialità che soffoca l’interiorità compromettendo in tal modo la crescita dell’umano.
    Una terza osservazione: siamo altrettanto convinti che educare significa agire su due fronti. Anzitutto significa far sorgere e promuovere le dimensioni fondamentali della persona; che sono:
    - la razionalità, cioè la capacità che ha la persona umana di conoscere ciò che è fuori di sé e, nello stesso tempo e con lo stesso atto, di tornare su di sé e sul proprio atto di conoscenza, e quindi di conoscersi come conoscente;
    - l’unità-identità, per cui la persona umana unisce in sé l’infinita molteplicità dei suoi pensieri e dei suoi atti, riconoscendoli come suoi e attribuendoli a se stessa, e si riconosce come soggetto permanente nel fluire del tempo;
    - l’essere-in-sé, cioè la sostanzialità, in virtù della quale la persona umana, nel suo esistere e nel suo agire, non dipende e non è condizionata dall’altro, chiunque sia questo altro; in altri termini moderni è l’«interiorità» che fa sì che il soggetto possa entrare in rapporto con l’«esteriorità», conservando la propria autonomia e la propria identità, senza diventare un «oggetto»;
    - l’essere-per-sé, cioè l’essere fine di quanto nell’ordine cosmico, sociale e politico, ha la funzione di mezzo e di strumento, in quanto non ha il suo fine in se stesso.
    - la libertà e la responsabilità (intese qui non come esercizio ma come strutture), poiché l’essere-in-sé e l’essere-per-sé fanno sì che la persona sia padrona di se stessa, capace di determinarsi liberamente e autonomamente, di proporsi da sé i propri fini, di dominare il mondo fenomenico in cui si trova e di trasformarlo secondo la sua volontà, mostrando in tal modo di non essere una parte in esso, ma di trascenderlo; libertà non assoluta, ma responsabile, cioè rivolta alla ricerca e al compimento del bene per sé e per gli altri.
    l’individualità, per cui ogni persona è una novità, una realtà assolutamente inedita, che non ha l’equivalente in nessun’altra persona né può essere sostituita da nessun’altra.
    Ma su queste strutture di base s’innesta l’incontro con l’altro fronte, quello dei valori, proprio quelli che “riempiono” di contenuti le varie dimensioni della persona. Ciò avviene grazie ad un processo di
    - conoscenza,
    - apprezzamento,
    - sperimentazione,
    - scelta
    - e convalida
    fino a che emerge un valore cardine che raggruppa tutti gli altri per omogeneità e congruenza, vincolandoli a sé; è allora che i valori incontrati diventano “convinzioni” nel senso etimologico del termine ossia un legame interiore che dà unità e solidità a quella che ormai possiamo chiamare una “personalità”. Diceva Romano Guardini: “Certo, (il giovane) lo "diviene" (qualcuno e non solo qualcosa) a contatto con l'oggetto, cioè imparando... Ma come diviene tale? Mediante la graduale conquista di un ordine interiore: man mano che il giovane diviene una forma strutturata, via via che si forma in lui un centro interiore, un punto di partenza unitario dell'agire e un punto di sintesi dell'esperienza, un criterio di discernimento del vero dal falso” (L’educazione). E questo è tanto più importante in quanto, ci si dice, siamo immersi e portati da una società liquida (Bauman) la cui caratteristica principale è proprio la “perdita del centro” sociale e culturale, e quindi, per riflesso, del centro interiore.
    Una quarta osservazione: tanti sono i modi attraverso i quali l’educando incontra i valori. Ma non si può escludere, di certo, il rapporto con gli educatori. Il processo, infatti, di identificazione (più accentuato nell’infanzia, nella preadolescenza e nella prima adolescenza, ma efficace anche nella adolescenza matura quando ben autorevole è la figura dell’educatore) mira non tanto a “copiare” materialmente linguaggi, stili, abitudini di vita di questo o quell’insegnante, quanto a “saggiare” i valori dei quali egli è portatore e che lo presentano come una personalità matura, tanto più se è positiva la relazione tra educatore ed educando. Ciò mette in gioco la figura stessa dell’educatore.

    Tre sono i compiti che gli si affidano:
    - nominare i valori, e questo in forza non solo dell’esperienza personale ma della ricchezza culturale di cui è portatore;
    - testimoniare i valori, il che non significa nascondere o attenuare difficoltà resistenze e dubbi; anzi, dato che vero educatore è colui che si pone come partecipe dell’avventura e compagno di viaggio di chi vive la fatica di approdare ad una qualche maturità;
    - far esperire i valori, poiché essi non sono idee astratte ma “beni” che attengono alla vita per cui è solo sperimentando che si può saggiare “validità in sé” ed “utilità per me” fino alla personale appropriazione. E questo avviene non solo tra le pareti dell’aula ma in quell’ambiente educativo fatto di proposte che intendono assumere il più ampio vissuto dei nostri studenti per significarlo alla luce, appunto, dei valori.
    Ma ecco che ritorniamo alla antropologia. Siamo sicuri che le parole che pronunciamo suonano univoche agli orecchi dei nostri ragazzi? Quando diciamo “è vero che …” intendiamo tutti la stessa cosa? O quando diciamo “è giusto che …” o anche solo quando diciamo “è razionale che …”, “è umano che …”? Usiamo le stesse parole ma forse non intendiamo gli stessi contenuti. Ora, sui valori di fondo, dovrebbe esserci un accordo, altrimenti non facciamo che aumentare la confusione impedendo o affaticando proprio quel processo di maturazione che diciamo di voler promuovere. Sui valori di fondo, dico; salvo poi quelle specificazioni e quelle declinazioni personali che affermano la legittima diversità da persona a persona e che costituiscono una ricchezza per l’educando proponendo modelli plurimi e diversificati.
    E non è che tale accordo si tramuti in plagio ossia stampaggio della personalità secondo clichés prestabiliti. Di fatto il soggetto avrà tutto l’agio di confrontare, sperimentare, comprovare o smentire quanto gli è stato proposto, e la molteplicità di esperienze alle quali oggi un giovane va incontro gli offrono tante - forse eccessive - opportunità.
    Ma la cosa che più mi preoccupa è pensare che un allievo esca dalla nostra scuola senza potere o saper rispondere, con sufficiente chiarezza, ai tre fondamentali quesiti che caratterizzano una personalità, ossia:
    - “chi sono”,
    - “chi posso essere”,
    - “chi voglio essere”.
    Questo denuncerebbe una inconsistenza interiore che, quasi certamente, lo consegnerà alla dispersione interiore, esponendolo peraltro a qualsiasi genere di cattura esteriore, con gravi esiti su quel bene essenziale che è la libertà della persona.
    Quando, l’anno scorso, proponevo di riflettere sui contenuti (non solo testi ed autori, ma stili di pensiero, logiche mentali, letture del reale) intendevo appunto proporre di interrogarci sui valori che offriamo ai nostri studenti; perché è ovvio che tali scelte obbediscono a ciò che onestamente riteniamo importante e più importante di altre cose. E l’allievo non fatica ad intuire quello che davvero conta per noi: quello è il valore.
    Ma esiste una sufficiente concordia tra di noi? Ecco la domanda che mi permetto di rivolgere con l’auspicio che possa essere accolta e produrre una qualche ricerca, riflessione o confronto. Sono convinto che il vantaggio potrà essere enorme anzitutto per noi dato che ciascuno potrà fruire della sensibilità e dell’esperienza dell’altro arricchendo in tal modo la propria competenza educativa; ma ancor più per i nostri ragazzi se a loro offriremo un riferimento più chiaro e sicuro.[21]
    È proprio in questo contesto in cui risuona la voce di Papa Francesco invitando ad un nuovo patto educativo.

    Per un nuovo patto educativo che educhi alla solidarietà universale

    “Ricostruire “un patto educativo globale” che ci educhi alla “solidarietà universale” e a “un nuovo umanesimo”, al fine di affrontare le sfide di un mondo in “continua trasformazione” e “attraversato da molteplici crisi”. Questo è l’appello lanciato da Papa Francesco a tutti gli operatori del campo dell’educazione e della ricerca e alle “personalità pubbliche che a livello mondiale occupano posti di responsabilità e hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni”, in vista di un incontro su questo tema previsto inizialmente per il 14 maggio 2020 in Vaticano e posposto, a causa del Covid-19, per il 15 ottobre 2020.
    In un momento di estrema frammentazione, di estrema contrapposizione, come quello che stiamo vivendo, c'è bisogno di unire gli sforzi, di far nascere un’alleanza educativa, per formare persone mature capaci di vivere nella società e per la società. Serve un patto educativo globale che ci educhi alla solidarietà universale, a un nuovo umanesimo. Cerchiamo insieme di trovare soluzioni, avviare i processi di trasformazione, senza paura.
    Quello che sta a cuore è educare giovani alla fraternità, per imparare a superare divisioni e conflitti, promuovere accoglienza, giustizia e pace. Per generare questo cambiamento di mentalità su scala planetaria c’è bisogno che tutti i responsabili dell’educazione delle giovani generazioni siano disposti a sottoscrivere un Patto Globale.

    Costruire il futuro del pianeta
    L’invito del Pontefice è a unire gli sforzi per rinnovare il dialogo “sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta” e creare “un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna”. Un’alleanza, spiega il Papa, “tra gli abitanti della Terra e la ‘casa comune’, alla quale dobbiamo cura e rispetto. Un’alleanza generatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana nonché di dialogo tra le religioni”.

    Educazione contro rapidàcion
    Un patto che per Francesco passa innanzitutto attraverso l’educazione, che nei nostri tempi si sta scontrando con un cambiamento epocale, segnato da quella che il Papa chiama rapidàcion. Una “rapidizzazione” culturale, in cui la digitalizzazione “imprigiona l’esistenza nel vortice della velocità tecnologica” e cambia continuamente punti di riferimento, generando nuovi linguaggi che scartano “senza discernimento, i paradigmi consegnatici dalla storia”.  In questo contesto, prosegue il Papa citando l’enciclica Laudato Si’, “l’identità stessa perde consistenza e la struttura psicologica si disintegra di fronte a un mutamento incessante che contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica”.

    Il villaggio dell’educazione
    Questo cambiamento, ricorda il Papa, ha bisogno di un “cammino educativo che coinvolga tutti” perché, come recita un proverbio africano, “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Ma dobbiamo costruirlo questo villaggio. Tutti insieme. Per educare i bambini, per educare il futuro.
    Dobbiamo fare in modo che in questo villaggio nasca una convergenza globale per un’alleanza tra gli abitanti della terra e la casa comune, affinché l’educazione sia creatrice di pace, di giustizia. Sia accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana, nonché dialogo tra le loro religioni. Un “villaggio dell’educazione”, appunto, dove “nella diversità, si condivida l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte” in un terreno che, afferma Francesco citando il Documento sottoscritto lo scorso febbraio ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar, “va anzitutto bonificato dalle discriminazioni con l’immissione di fraternità”.

    Rimettere la persona al centro
    Per far sì che si realizzi questa convergenza globale “tra lo studio e la vita; tra le generazioni; tra i docenti, gli studenti, le famiglie e la società civile con le sue espressioni intellettuali, scientifiche, artistiche, sportive, politiche, imprenditoriali e solidali”, il cammino comune del “villaggio dell’educazione” deve muovere tre passi fondamentali:
    - Innanzitutto “avere il coraggio di mettere al centro la persona”, dando “un’anima ai processi educativi” e trovando, secondo una “sana antropologia”, altri modi di intendere “l’economia, la politica, la crescita e il progresso”.
    - Poi bisogna avere “il coraggio di investire le migliori energie con creatività e responsabilità”.
    - Infine, è necessario avere “il coraggio di formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità”, “come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli apostoli”.

    NOTE

    [1] Ferruccio Capelli, “Per un nuovo umanesimo”, Ambiente, diritti, etica. Laboratorio n5 "Con uno sguardo umano", 28 settembre 2019 in https://www.casadellacultura.it/930/per-un-nuovo-umanesimo
    [2] Discorso del Santo Padre Francesco al Corpo Diplomatico Accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2020/january/documents/papa-francesco_20200109_corpo-diplomatico.html
    [3] La sigla OECD sta per Organisation for Economic Co-operation and Development
    [4] Il Convegno internazionale si è tenuto a Roma il 19 settembre 2017 sul tema: “Quali skills per i giovani del XXI secolo? Cosa può fare la scuola italiana?” 
    [5] Cf. M. STEVENSON, Il quadro di riferimento OECD 2030 per l’apprendimento, relazione al Convegno TREELLE sopra citato. 
    [6] UNESCO, L’éducation en vue des objectifs de développement durable: Objectifs d’apprentissage, UNESCO, Parigi 2017 
    [7] COUNCIL OF EUROPE, Unboxing Artificial Intelligence: 10 Steps to protect Human Rights, CoE, Strasbourg 2019. 
    [8] Artificial Intelligence Market in the US Education Sector 2018-2022, Technavio, Toronto 2018. 
    [9] Mi limito, per brevità, alla corrispondenza tra queste due encicliche, senza prendere in considerazione un’altra importante enciclica sociale, la Sollicitudo rei socialis, di Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1987 in occasione del XX anniversario della Populorum progressio. 
    [10] Cf. E. MORIN, Prefazione al volume di M. CERUTI, Il tempo della complessità, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, VII-X. 
    [11] Ibid. 
    [12] Giovanni Paolo II, Centesimum annus, 54 
    [13] D. PAUL, World Education Forum 2015 Adopts Incheon Declaration on Education for All by 2030, International Institute for Sustainable Development, Winnipeg 2015
    https://sdg.iisd.org/news/world-education-forum-2015-adopts-incheon-declaration-on-education-for-all-by-2030/ 
    [14] Si veda UNESCO, Education 2030. Incheon Declaration and Framework for Action for the Implementation of SDG 4, UNESCO Paris, 2017. 
    [15] Cf. E. Faure, Apprendre à être, UNESCO-Fayard, Paris 1972, 184 e ss. 
    [16] “Si è aperta una frattura tra famiglia e scuola, il patto educativo oggi si è rotto; e così, l’alleanza educativa della società con la famiglia è entrata in crisi.” Papa Francesco, Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8
    [17] Cfr PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Congresso Mondiale promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, 21 novembre 2015 
    [18] Cf. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare all’umanesimo solidale …, op. cit., n. 10. 
    [19] PAPA FRANCESCO, Messaggio per il lancio del Patto Educativo, 12 settembre 2019. 
    [20] Intervento di Mons. A. Vincenzo Zani, “Sfide educative e formative: preparare le giovani generazioni per il futuro”, alla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. https://www.centesimusannus.org/wp-content/uploads/2020/02/6.-Paper-by-H.E.-Msgr.-Angelo-V.-ZANI.pdf
    [21] Cfr. Conferenza di Giannantonio Bonato, 2012.


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