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    Gli Scritti Pedagogici

    di Antonio Rosmini

    Gianni Picenardi

     

    Breve sguardo alla situazione odierna

    La riedizione del corpus degli "Scritti pedagogici" rosminiani che oggi presentiamo, può rispondere in maniera adeguata ed offrire un contributo sostanziale ad una preoccupazione espressa da tante autorevoli voci sia della società civile, sia della Chiesa. Da più parti infatti, si sono alzate voci allarmate per denunciare una pericolosa incapacità odierna di trasmettere alle nuove generazioni valori essenziali alla formazione della persona umana.
    Molti parlano di una grande "emergenza educativa", la cui causa più profonda pare sia originata dall'affermarsi sempre più esplicito nella nostra cultura di un mutato concetto di uomo, nel quale si afferma che «il soggetto umano non sarebbe altro che un risultato dell'evoluzione stessa» e niente più; la sua intelligenza e la sua spiritualità non sarebbero altro che rispettivamente funzioni del suo organo celebrale, il cervello, e pulsioni del suo istinto. Di conseguenza sono entrati in crisi, o quanto meno in grande disorientamento, i «fondamentali parametri educativi» [1].
    In questi due anni da più parti e in più occasioni si sono tenute giornate di studio, forum, convegni, appelli, perché questa sfida dell'educazione venga accolta e affrontata, come pure abbondanti sono stati studi e pubblicazioni [2].

    Attualità preziosa del contributo del beato Antonio Rosmini

    Il secolo in cui Rosmini visse, presentava problemi analoghi a quelli di oggi, pur con le doverose ed evidenti diversità. La rivoluzione francese ed il secolo dei lumi aveva investito le società con la turbolenza di un uragano, risvegliando ed agitando violentemente aspirazioni a lungo sopite che esplosero in tutta Europa.
    La cultura illuministica, vista sotto il profilo del suo sensismo, dell'utilitarismo, del naturalismo e persino del materialismo, da una parte generò lo sconsolato pessimismo che in Italia trovò in Leopardi uno dei maggiori esponenti; dall'altra, dopo un entusiasmo iniziale [3], portò ad un'anarchia individualista in tutti i campi spegnendo nei cuori la fede e trovando il suo apice nel nichilismo niciano.
    Rosmini s'inserisce con la sua personalità in questo particolare momento della pedagogia italiana ed europea, insieme ad altre grandi figure quali ad esempio Capponi, Lambruschini, Ferrante Aporti, Rayneri, Gioberti e Tommaseo [4].
    In Rosmini l'interesse per i problemi educativi fu sempre vivo e costante. A fianco alla appassionata ricerca della verità e della sapienza, vi è sempre stata in lui altrettanto viva e vivace la preoccupazione di come trasmettere la verità trovata al fine di contribuire a migliorare l'uomo e la società. Ancor giovane studente, nel 1813 nel suo diario scriveva: «Quest'anno fu per me un anno di grazia: Iddio mi aperse gli occhi su molte cose e conobbi che non vi era altra vera sapienza se non in Dio» [5]; e tra i "Frammenti" di alcuni lavoretti di quello stesso anno: «L'istruzione è la principale fonte per il miglioramento dell'uomo. Per essa le tenebre dell'intelletto umano si schiariscono e il cuore riceve il suo nutrimento venendo a conoscere le cose e il modo di amarle. Per cui questo è l'affare più importante di ogni governo e la cura più tenera degli uomini caritatevoli, per mezzo della quale la gioventù e tutti coloro che ne hanno bisogno vengano saggiamente educati» [6].
    Tuttavia nel Roveretano non troviamo un trattato completo ed esauriente di pedagogia, ma non c'è scritto o studio da lui composti in cui non sia sottesa la finalità pedagogica. Così anche alla più alta speculazione filosofica soggiace questa finalità; nel suo scritto Sistema filosofico [7], annota che se invece di considerare la filosofia nella sua natura di scienza «si vuol considerare la scuola della filosofia, ella in tal caso diventa la vera pedagogia dello spirito umano: della mente, che conduce alla scienza più compiuta, e dell'animo, ai cui affetti svela innanzi il più compiuto bene» [8].
    Rosmini intravide che il maggior problema della società del suo tempo consisteva nell'«universale dissolversi di tutti i legami che stringono gli uomini fra loro»: famiglia, società civile e chiesa; «e l'uomo privo di tutti gli affetti e di tutte le abitudini si trova solo in mezzo agli uomini». Comunque la sua non è una visione pessimistica, in quanto afferma che «l'errore non sta che alla superficie dell'uomo», perché soltanto la verità «penetra il cuore dell'uomo» e vive in lui «immortale anche dove dall'errore ne sono state cancellate le tracce»; l'errore ha creduto di occupare il seggio della verità nel cuore degli uomini, ma non ha fatto che toglierne l'immagine esteriore di cui era abbellita la superficie, che rendeva visibile all'esterno la sua interiore bellezza divina [9].
    La via per uscire da questo empasse negativo rimane uno solo: l'educazione delle nuove generazioni. Nondimeno non basta conoscere lo "strumento", è altrettanto necessario che venga indicato il modo ed i mezzi con cui applicarlo. Ed era proprio in ciò, che Rosmini vedeva la difficoltà maggiore: «Non è che l'uomo non voglia fare, quanto piuttosto che non sa come fare» [10].
    Se da una parte bisognava aver chiaro il concetto di uomo - e per chiarirlo sviluppò studi e scrisse opere di antropologia, di morale, di logica e di metafisica -, dall'altra doveva essere altrettanto chiaro cosa fosse e che fine avesse la pedagogia. Rispondendo nel 1850 a Don Bernardo Smith [11], benedettino cassinese residente nel Collegio Irlandese di Roma, che gli aveva chiesto indicazioni per un trattato sull'educazione formula una chiara definizione di pedagogia: «la Pedagogia è quell'arte e scienza [12] che intende condurre l'uomo al punto più alto della perfezione morale a lui possibile e quindi all'eterna beatitudine, per mezzo di uno sviluppo ben ordinato e la coltivazione armonica di tutte le sue facoltà» [13].

    Il corpus degli "Scritti pedagogici"

    Le varie opere che compongono questo corpus di Scritti pedagogici ebbero origine da situazioni contingenti, che spinsero il nostro a trattare aspetti pedagogici specifici. Fu solo dopo la sua morte che don Francesco Paoli li riordinò sistematicamente pubblicandoli in due torni (il primo immediatamente dopo la morte di Rosmini, nel 1857, con il titolo Pedagogia e metodologia; il secondo ventiquattro anni dopo, nel 1883, con il titolo Scritti vari di metodo e pedagogia). L'odierna riproduzione anastatica di queste edizioni in un unico volume, torna ad offrire ad un pubblico più vasto l'opportunità di avvicinare questa preziosa parte del patrimonio culturale rosminiano.
    In questa presentazione essenziale, seguiremo l'ordine cronologico in quanto renderà più vivo il maturare della concreta preoccupazione dell'autore per le diverse questioni educative [14].

    La Lettera sopra il cristiano insegnamento [15]

    Nel settembre del 1819 a Rovereto, Rosmini ed altri due amici, Stefano De Apollonia e Giuseppe Sebastiano Stoffella, già compagni di studi all'Università di Padova, sula scia della fioritura di diverse "Società Cattoliche", decisero di costituire insieme una "Società degli Amici" [16] che si proponeva la «la difesa della religione cattolica» e il risanamento morale della società. Il numero dei soci ben presto si allargò in tutto il Lombardo Veneto (soprattutto Trentino, Veneto e Friuli); tra le finalità privilegiate della "Società" vi era l'educazione, la stampa e la «diffusione di libri buoni»: «Cura prediletta della società sarà l'educazione della gioventù. Questa è il germe del mondo futuro. Rinnovata questa, è rinnovato il mondo. Quindi ogni socio dovrà promuovere per quanto può la correzione dei collegi, Seminari, Scuole pubbliche e Istituzioni dirette a questo fine», scrisse negli Statuti [17].
    A tal fine, immediato fu il contributo di Rosmini, segno di una sua attenzione prioritaria all'educazione religiosa. Infatti già nel 1819 si accinse a tradurre un opuscolo di S. Agostino, il De catechizandis rudibus, che poi pubblicò nell'agosto del 1821 col titolo Del modo di catechizzare gli idioti [18], insieme ad un altro suo scritto: Delle lodi di S. Filippo Neri, ed un altro intitolato Lo Spirito di San Filippo Neri, composto nel 1818, ma continuamente riveduto e rimaneggiato fino alla sua pubblicazione nel 1843 [19].
    Ma fu la lettera di un caro amico e compagno di studi a Padova, anch'egli membro della "Società degli Amici", che con la richiesta di indicazioni per come tenere la catechesi dei fanciulli lo indusse a stendere una risposta articolata, che poi pubblicò nel 1823 con il titolo Lettera sopra il cristiano insegnamento [20].
    Preziose sono le indicazioni pedagogiche che vi inserisce: chi deve trasmettere le verità della fede, prima deve farle sue, come lo stomaco che prima digerisce il cibo e lo trasforma in proteine e poi lo distribuisce per l'intero corpo; la sola conoscenza della dottrina genera parole fredde come ghiaccio che lusingano e adulano, mentre un cuore convinto si esprime con parole semplici ed umili, ma che avvincono e si insinuano profondamente nell'animo di chi ascolta.
    Per quanto riguarda il contenuto, descrive tre possibili modi di trasmettere la fede. Il primo si basa sull'esposizione ordinata delle verità di fede (dogmatica) e quindi l'insegnamento dello stile con cui viverle (morale); queste due parti non vanno mai separate, la natura umana infatti non passa mai all'operare se prima non ama ciò che deve fare, e non lo ama se non lo conosce.
    Il secondo è quello di seguire Io svolgersi della liturgia della Chiesa che distribuisce nel distendersi dell'anno i più importanti misteri della fede, ma facendo attenzione a spiegare anche i riti e le parole con cui si celebra la liturgia, altrimenti i riti rimangono gesti vani e spettacoli senza senso; le parole a loro volta, se non comprese, rimangono vuote e morte, non vive ed efficaci.
    Infine il terzo, quello da lui maggiormente preferito e tratto proprio dal De catechizandis rudibus di S. Agostino, suggerisce di seguire «il filo della storia sacra», perché nella sua varietà non stancherà mai chi ascolta e sarà adatto anche ai semplici.
    Ma il segreto più importante per chi ha il compito di educare i fanciulli, sta nello scegliere il modo più adeguato per giungere al cuore del tipo di uditorio che ha dinanzi: «Quando però il sacro istruttore parla di ciò di cui ha mente e cuore pieni, allora egli sa ben rendersi conto dei casi accidentali che avvengono, e trarre frutto utilissimo da quelli. Per esempio l'improvvisa morte di una persona che visse pubblico scandalo, la morte di un grande, o altri casi simili si devono utilmente trattare dal maestro cristiano; e lo farà sicuramente quando lo zelo delle anime a lui affidate, congiunto con la prudenza sacerdotale, sia quello che lo conduce nel suo insegnamento. Non credo che si possa dare nessun precetto più importante di questo» [21].

    Dell'educazione cristiana [22]

    Nel settembre del 1820 la sorella di Rosmini, divenuta suora canossiana, aprì a Rovereto e assunse la direzione dell'orfanotrofio femminile "Vannetti". Il fratello che l'aveva sostenuta e seguita durante tutte le trattative e i tempi di preparazione, pensò ad un regalo per la sorella che fosse adeguato al nuovo compito. Che cosa poteva trovare? L'idea fu quella di preparare un testo che potesse giovarle [23], compose così tra la fine del 1820 e il novembre 1821 il suo primo libro di pedagogia il cui titolo definitivo fu: Della educazione cristiana. Lo pubblicò nel 1823 e fu immediatamente ben accolto; il Manzoni, che lo ebbe tra le mani, lo apprezzò molto affermando che vi aveva trovato l'antico spirito dei Padri della Chiesa; altra valutazione molto favorevole la diede anche l'amico di Rosmini, card. Cappellari, futuro pontefice Gregorio XVI.
    L'opera è divisa in tre libri. Il primo, dedicato alla formazione dell'educatore, contiene tra l'altro due capitoletti di una preziosità unica: attraverso sei semplici verbi, "confutare, consigliare, esortare, riprendere, castigare, vigilare", delinea in maniera esauriente, il profilo di qualsiasi figura educativa.
    Il secondo libro tratta dell'"insegnamento delle verità cristiane" e dopo qualche capitolo di esposizione di diverse regole, dedica il resto ad un concreto e pregiatissimo esempio di come trarre dalla Parola di Dio gli insegnamenti fondamentali. Presenta, infatti, una vera e propria "lectio divina" dei primi sedici versetti del capitolo quarto della Lettera di S. Paolo agli Efesini; un commento versetto per versetto che si sviluppa per ben trentadue pagine, che non ha nulla da invidiare agli odierni commenti biblici.
    Il terzo libro, intitolato "Della pratica delle virtù", sviluppa spiegazioni ed indicazioni puntuali dei vari aspetti della spiritualità cristiana (in passato si parlava di "pietà cristiana"): dalla preghiera alla celebrazione eucaristica, dal significato dei riti e degli oggetti sacri al senso delle varie celebrazioni della liturgia della Chiesa, dai Sacramenti alla carità del prossimo.
    Anche se non incluso in questi scritti, è bene ricordare tra i testi che Rosmini dedica alla educazione religiosa un'altra opera che diede alle stampe solo nel 1837, ma che ha le sue radici nel periodo in cui era diacono e poi parroco a Rovereto, il "Catechismo disposto secondo l'ordine delle idee".

    L'unità dell'educazione [24]

    Ancora una volta furono le richieste insistenti dell'amico don Giovanni Stefani, a far comporre al Rosmini quest'opera. Lo Stefani nel 1825 aveva accettato l'ufficio di precettore presso una nobile e ricca famiglia genovese dopo essersi consigliato con l'amico roveretano. E per prepararsi a questo nuovo compito aveva passato alcuni giorni con lui a Rovereto a trattare insieme sui compiti di un precettore ed avergli strappato la promessa di una lettera in cui gli avrebbe indicato quale metodo di studi dovesse adottare.
    Rosmini mantenne la promessa e sulla fine del marzo 1825 predispose una Lettera sopra l'elementare insegnamento, che chiamava "letterone". Tutta una serie di incresciose vicende, non da ultima la censura austriaca, ostacolò la spedizione allo Stefani e andò perduta. Ne fece allora una seconda stesura, che chiamò "scartafaccio", rivista integrata e modificata da testo dedicato alla prima educazione in progetto educativo che tenesse conto dell'educazione integrale della persona e la intitolò Fondamenti della educazione più utile all'umanità.
    Questa versione venne integralmente pubblicata anonima [25] sul Giornale degli Apologisti della Religione Cattolica di Firenze, diretto da mons. Giovanni Fortunato Zamboni, nel primo fascicolo del 1826, col titolo Saggio sull'unità dell'educazione. Successivamente inserì quest'opera quale terzo saggio negli Opuscoli filosofici stampati a Milano nel 1827-1828; in questa terza revisione intervenne sia per togliere i passi riguardanti lo Stefani ed il sistema scolastico austriaco, sia per dare maggior consistenza filosofica al tema trattato, sviluppando anche una netta distinzione tra «educazione cristiana» definita «educazione intera», ed «educazione mondana» definita «educazione smozzicata» [26]. La congruenza con gli altri saggi viene da lui indicata nella prefazione: «Si può dire che i primi quattro Saggi [27], i quali formano il primo Volume, riguardano tutti la divina Provvidenza, sebbene ciò non è indicato dal loro titolo: questa è almeno l'idea dominante in essi, e quella intorno a cui si raggirano, come intorno al loro centro, tutte le altre. ... La Provvidenza comparisce nel terzo Saggio come quella che avendo educato l'umanità con un fine costante ed infinitamente sublime, e avendo a quest'unico fine tutti gli avvenimenti del mondo o sieno piccoli o sieno grandi preordinati e diretti; si è fatta esemplare, da cui ricopiar debbono i pastori dei popoli, i principi delle nazioni, e tutti quelli che influiscono sull'educazione degli uomini, e che Dio chiama a parte della grande sua impresa di realizzare il sistema da lui disegnato ab eterno, e nella creazione cominciato» [28]
    L'edizione pubblicata negli Opuscoli Filosofici, fu quella ripresa dal Paoli nel secondo volume di Pedagogia e Metodologia: Scritti vari di metodo e pedagogia e riprodotto nel nostro Scritti Pedagogici [29].

    STRUTTURA. L'opera, dopo una prima parte dove Rosmini rileva la situazione del suo tempo in cui l'Europa si presentava lacerata dai profondi contrasti tra illuminismo e restaurazione, che avevano provocato un disordine sociale, morale e religioso, indica nell'educazione delle nuove generazioni l'unica via di soluzione [30].
    Ma è necessario che questa non sia frammentata o parziale, deve avere un principio unificatore: «... la prima legge, e secondo il mio avviso immutabile, della Educazione ... è questa: l'unità della medesima» [31]. Da questo principio si sviluppa tutta la trattazione successiva del tema, divisa in tre parti; l'unità dell'educazione esige: l'unità del fine, l'unità degli oggetti, l'unità del metodo.
    Per Rosmini vi è anche un altro principio inseparabile da quello dell'unità: la vera educazione non può essere che religiosa, anzi: «Non solo dunque dev'essere religiosa l'educazione, ma dev'essere, per dir così, unicamente religiosa» [32].
    Questa convinzione nel suo principio generale - non però in tutte le sue successive applicazioni [33] - al suo tempo era abbastanza condivisa: «Sì; della necessità della religione l'uman genere è persuaso; ne è persuaso a tal punto da esserne avido ed irrequieto per il bisogno che ne sente. Non ci chiede dunque che ci affatichiamo a persuaderlo che sia un bene, ... ma ci domanda che gli insegniamo un modo saggio per soddisfare questo bisogno» [34].
    Ma per noi in una società globale, liquida e relativista, il parlare di "educazione religiosa" come risposta all'emergenza educativa, suonerebbe per lo meno sospetto se non qualcosa di più. Si rende perciò necessario comprendere e studiare più a fondo il pensiero rosminiano, come già fece nell'ormai lontano 1916 Giovanni Gentile in una ristampa di un'antologia di Scritti pedagogici, tra cui anche l'Unità dell'educazione che così presentava: «... spogliato delle sue forme contingenti, il pensiero svolto dal Rosmini in questo scritto è profondamente vero oggi come nel 1826, quando fu scritto: vero per i cattolici e per i non cattolici, e perfino per coloro che si credono di non credere in nessun Dio» [35].
    Bisogna rifarsi ai principi antropologici su cui si fonda l'educazione umana: essa ha per fine l'educazione di tutto l'uomo sino al punto più alto a lui possibile, ossia la sua perfezione morale, la quale per sua natura non può mai escludere la dimensione religiosa, e la "religiosità" è parte integrante della persona umana. E qui che per Rosmini si innesta la rivelazione cristiana: «II Cristianesimo insegnò che bisognava rivolgere tutti gli studi e le diligenze dell'ottima educazione a questo altissimo scopo, di porre in mente al giovanetto altamente impresso e piantato quel vero: Dio solo è bene assoluto, tutti gli altri beni nell'uomo o fuori, ricchezze, potenza, onore, scienza, non valgono se non nella misura in cui giovano a farlo più puro e più vero adoratore dell'Eterno» [36].
    Questa unità del fine si sviluppa attraverso il rispetto di quattro principi ordinati fra loro e conseguenti l'uno dall'altro:
    1° L l'uomo che deve adeguarsi alla realtà fuori di lui e non il contrario.
    2° Lo spirito dell'uomo va educato a ritenere essenziale e necessario l'amore di Dio, accidentale l'amore delle altre cose; va educato a riconoscere Dio come principio ordinatore di tutte le cose, e tutte le cose come quelle che devono essere da lui ordinate.
    3° La natura primitiva dell'uomo, resa guasta dal peccato, non ha più la possibilità di essere riparata se non dopo la sua distruzione; ed ogni sua perfezione non può essere ottenuta in nessun altro modo, se non nel nuovo ordine della grazia, cioè "incorporata" a Cristo.
    4° L'educare deve essere completo ed intero, perché ciascuno possa avere quanto necessario in relazione alla sua debolezza e imperfezione, per arrivare a Dio ed ottenere quanto può giovare a quel bene del prossimo che la carità richiede di avere.
    Come ben si vede in questi principi sono sintetizzate anche le principali verità di fede del cristianesimo.
    Nella seconda parte, la più estesa, la riflessione rosminiana si sofferma sulla tematica dell'unità degli oggetti, prima con una critica alle molteplici e frammentate forme educative del suo tempo e poi suggerendo le sue soluzioni per mantenere l'unità degli oggetti.
    È necessario che vi sia complementarità tra educazione pubblica ed educazione privata; entrambe hanno i loro oggetti specifici che non vanno mai confusi [37].
    Stigmatizza quindi l'uso del "principio della facilità", che vuole risparmiare la fatica dell'apprendere sia ai fanciulli, sia agli adulti. Se il principio della facilità è preziosissimo per quanto riguarda il modo d'esprimersi e la chiarezza delle idee, diventa pericolosissimo quando viene applicato all'apprendimento. E vero che non si devono affaticare più del necessario le menti dei fanciulli, ma nel campo della conoscenza della verità, in particolare della verità morale, il semplificarla togliendo tutto ciò che appare difficile, la impoverisce ed in ultima analisi la distrugge. Invece le grandi verità trasmesse ai fanciulli, anche se immediatamente da loro non comprese, sono il seme che si svilupperà nel corso della loro vita e diverrà gradualmente luce e guida della loro intelligenza [38]. Lo stesso principio di facilità è stato applicato anche per la composizione dei testi scolastici e nella scelta degli autori. Ci vuole invece una equipe degli uomini migliori, perché «non è cosa così leggera il possedere le chiavi del cuore umano» e «quantunque nei fanciulli questo cuore sia tenero e semplice, tuttavia è sempre cuore umano» con tutte le sue inclinazioni, pieghe, sinuosità e misteri. Per metterci le mani ci vogliono uomini colti, preparati, perspicaci e dotati di molta esperienza [39].
    Le pagine successive di questa seconda parte vengono poi dedicate ad esporre un articolato progetto di formazione della persona a partire dai suoi primi anni fino all'università, fondata sulla stessa legge naturale dell'arte dell'educare, la quale vuole «che l'uomo si formi, e poi si adoperi» [40].
    La terza ed ultima parte è dedicata all'unità del metodo. Come è necessario ricondurre ad unità la molteplicità degli oggetti che concorrono all'intera formazione dell'uomo, altrettanto dev'essere per il metodo. Ed il metodo deve operare sulle tre parti dell'uomo, intelletto cuore e vita: «l'Intelletto deve trovare il Cuore che gli risponda, e dal Cuore deve procedere ogni virtù per abbellire la Vita».
    Concludendo: l'arte dell'educare deve sviluppare l'armonia della persona umana il cui fine è l'unione con Dio, l'armonia delle scienze che sono gli oggetti dell'educazione, l'armonia delle facoltà umane che né sono il metodo [41].

    Del Principio supremo della Metodica e di alcune sue applicazioni in servigio dell'umana educazione

    Anche quest'opera trova la causa immediata della sua origine in un'esigenza concreta. Nel 1839
    i due istituti fondati dal Rosmini, l'Istituto della Carità e le Suore della Provvidenza, avevano tra le loro opere anche la direzione di diverse scuole; da due anni a Domodossola si era ufficialmente aperto il Collegio Mellerio-Rosmini la cui gestione e direzione era stata definitivamente affidata dal conte Mellerio all'Istituto della Carità, e proprio sul finire di quell'anno madama Anna Maria Bolongaro di Stresa voleva affidare alla sua famiglia religiosa la direzione delle scuole elementari di quel borgo fondate da un suo antenato, come di fatto avvenne l'anno successivo il 1840 [42]; così pure la prima finalità delle Suore della Provvidenza era l'educazione delle fanciulle.
    Rosmini aveva dunque l'esigenza di formare parte dei suoi religiosi per l'insegnamento e l'educazione dei fanciulli; aveva già individuato in uno dei suoi religiosi, don Francesco Paoli, la persona idonea a condurre e sviluppare quest'opera di carità [43] e si apprestava ad istituire il "Collegio dei Maestri"; doveva però dar loro testi adeguati per istruirli sul metodo pedagogico.
    E proprio sulla fine del 1839 si accinse a scrivere un ampio trattato che spiegasse il metodo intitolato: Del principio supremo della metodica e di alcune sue applicazione in servigio dell'umana educazione, il cui fine era quello di indagare sul metodo specifico con cui la pedagogia diviene "arte dell'educare". Questo metodo è il «metodo espositivo, che insegna a comunicare agli altri nel modo migliore le nostre cognizioni» [44]: un maestro o un educatore è chiamato ad usare le regole di questo metodo, ordinandole e semplificandole, per educare la gioventù [45].
    Non basta però conoscere ed applicare queste regole. L necessario ordinarle, trovarne la connessione e subordinazione, risalendo sino al primo o supremo principio da cui tutte le altre regole dipendono, si tratta in ultima analisi di trovare la legge della gradualità educativa. Per cui Rosmini dice: «noi stimiamo di rivolgere principalmente le nostre ricerche a trovare il principio supremo dal quale tutto il metodo espositivo discende, il che sappiamo che fin qui non è mai stato fatto da nessun altro». Questo principio supremo è l'unico in cui «trova il suo riposo la mente umana», la quale «non è mai appagata se non si vede pervenuta all'ultimo anello della catena, all'ultima semplicissima assoluta ragione» [46].
    Ed il principio supremo è il seguente: «Si rappresentino alla mente del fanciullo (e si può dire in generale dell'uomo) dapprima gli oggetti che appartengono al primo ordine d'intellezioni, poi gli oggetti che appartengono al second'ordine d'intellezioni, poi quelli del terzo e così successivamente, di maniera che non avvenga mai che si voglia condurre il fanciullo a fare un'intellezione di second'ordine senz'essersi prima assicurati che la sua mente fece le intellezioni, a quelle rispettive, del primo ordine, e il medesimo si osservi colle intellezioni del terzo, del quarto e degli altri ordini superiori» [47].
    Nelle intenzioni di Rosmini l'opera avrebbe dovuto essere un lavoro approfondito diviso in cinque libri, il primo dei quali dedicato a trattare il principio supremo e gli altri quattro una descrizione delle sue applicazioni alle varie età dell'uomo, a partire dalla nascita fino all'età adulta. Ma nel maggio del 1840 interruppe la stesura nel corso del secondo libro, mentre descriveva la "sesta età" del fanciullo che comincia approssimativamente dopo il quarto anno di vita.
    Per una più dettagliata analisi del contenuto rimandiamo alla esauriente presentazione che il Paoli premette alla sua edizione dell'opera [48].
    Rosmini non ebbe più occasione di riprenderne la stesura, ma cominciò a farlo applicare nelle scuole del suo Istituto, rendendolo sempre più familiare nello stendere non pochi regolamenti scolastici [49]. Non mancò tuttavia lo scambio di opinioni e confronti con altri studiosi ed amici ed in via del tutto confidenziale nel 1845 fece avere il manoscritto all'amico prof. Michele Tarditi, divenuto titolare della cattedra di Metodologia all'università di Torino, il quale se ne fece una copia e poi restituì l'originale al Rosmini [50].
    Quando questi improvvisamente mori, il 5 gennaio 1848, l'amico suo Domenico Berti, ritrovò tra le sue carte anche il manoscritto sulla Metodica; ritenendolo un frammento di un'opera inedita del Tarditi stesso ed apprezzandolo molto, decise di pubblicarlo in appendice al suo Iibro [51].
    Rosmini non disse mai nulla, solo dopo la sua morte quando nel 1857 il Paoli lo pubblicò nel primo volume delle Opere Pedagogiche gli venne restituita l'autentica paternità. L'edizione del Pali è rimasta l'unica fino ad oggi.

    Metodo filosofico, Regolamenti scolastici, Lettere pedagogiche

    Sono questi una serie di scritti raccolti dal Paoli nel secondo volume di Metodo e pedagogia, nati da esigenze pratiche e dalla intensa corrispondenza, in cui Rosmini applica concretamente i principi pedagogici a cui aveva ispirato le sue opere.
    Quanto è pubblicato sotto il nome di Metodo Filosofico, ebbe origine dal profondo rapporto di amicizia e stima tra Rosmini e il prof. Michele Tarditi. Questi, già segnalatosi come discepolo in filosofia del Roveretano quando ne prese le sue difese contro Gioberti pubblicando nel 1845 le Quattro lettere di un Rosminiano, era stato chiamato in quello stesso anno a reggere una nuova disciplina istituita dall'Università di Torino, la "Scuola normale di metodo filosofico". Per prepararsi al nuovo compito nel mese di settembre si recò a Rovereto dove Rosmini era in vacanza per farsi indicare da lui la linea da seguire e poter avere qualche testo su cui basarsi. Rosmini, come sempre disponibilissimo, stese immediatamente per lui un programma in forma di tesario e gli promise la traccia di tutta una serie di lezioni che esponessero l'importanza dello studio della filosofia, l'importanza di un metodo filosofico, le sue regole fondamentali, applicazione del metodo alla psicologia e alla teologia naturale. Di queste lezioni gli consegnò le prime due promettendogli di mandargli poi le altre. E così fece; sfogliando il suo epistolario ritroviamo come a partire dal novembre 1845 fino al febbraio 1847 abbia continuato a mandargli le lezioni ed a rispondere ai suoi vari quesiti [52].
    I Regolamenti scolastici sono una raccolta di scritti occasionali, sotto forma o di lettera, o di decreti, raccolti nel "Codex Regularum" voluto da Rosmini per il suo Istituto, o di istruzioni a singoli che predispose per una buona direzione delle scuole affidate ai suoi religiosi o alle Suore della Provvidenza. Vanno dai regolamenti delle scuole elementari a quelle ginnasiali, liceali e teologiche, quindi dalle elementari all'università. Secondo una testimonianza del Paoli, Rosmini aveva in animo di elaborarle in una completa Ratio studiorum, ma che non riuscì mai a portare a termine. Rimangono comunque testi preziosissimi, perché al di la dei limiti temporali, contengono un concreto esempio dell'applicazione dei suoi principi pedagogici.
    Le Lettere pedagogiche, sono una raccolta cronologica scelta, di argomento pedagogico e didattico che il Paoli fece nel vasto epistolario Rosminiano. Prese nel loro insieme offrono un panorama degli sviluppi degli interessi e preoccupazioni educative di Rosmini lungo tutto l'arco della sua vita.

    Giure didattico: Della libertà d'insegnamento

    In questa sezione il Paoli ha raccolto i principali scritti di Rosmini in materia di libertà d'insegnamento. Cronologicamente il primo (l'ultimo nella raccolta del Paoli) sono le Risposte a tre gravi quesiti riguardanti l'istruzione e l'educazione del popolo in uno stato, che scrisse a Rovereto
    nell'ottobre del 1840 in conseguenza di un dispaccio della Eccelsa Commissione Aulica degli studi di Vienna ed indirizzato anche alla prefettura ginnasiale di Rovereto alla fine di settembre di quello stesso anno. Rosmini, che si era fatto anche una concreta esperienza dello stato delle scuole del distretto roveretano, quando nel 1834-35 era arciprete decano di S. Marco in Rovereto ed ispettore delle Scuole, quasi sicuramente fornì questo scritto al carissimo amico don Paolo Orsi, allora Prefetto del patrio Ginnasio di Rovereto. Le tre domande a cui rispose erano le seguenti: 1. Se l'aumento di studiosi possa produrre dannose conseguenze; 2. Da quali cause derivi l'aumento degli studiosi; 3. Se sia cosa prudente reprimere tale tendenza agli studi, e con quali mezzi si potrebbe ottenere questo scopo. Si tratta di un problema analogo a quello odierno dell'incremento della popolazione scolastica, dello sbocco lavorativo dei vari percorsi di studio, e dell'utilizzo di test d'ingresso.
    Il secondo scritto e la Memoria al Presidente-capo della riforma degli studi a Torino, (il Marchese Alfieri di Sostegno) spedita da Stresa 11 12 dicembre 1846 in difesa delle scuole del suo Istituto di fronte all'intenzione di quest'ultimo di abolire di fatto e senza riguardo il diritto ad insegnare delle Società Religiose. Questa memoria non ottenne alcun risultato, anzi inasprì la valutazione della commissione sabauda per l'approvazione dei maestri e delle maestre delle istituzioni rosminiane.
    Il terzo scritto (primo nella raccolta del Paoli) sono una serie di articoli che scrisse a partire dall'aprile 1854 per il giornale Armonia di Torino e poi riuniti sotto il titolo Della libertà d'insegnamento. Sono scritti in stile giornalistico e giuridico che a partire dalla nozione e fondamento giuridico della libertà d'insegnamento svolgono in polemica con molte opinioni opposte dell'epoca il diritto-dovere d'insegnare e di apprendere.
    Stabilito che «La libertà è "l'esercizio non impedito dei propri diritti". I diritti sono anteriori alle leggi civili. Il fondamento della tirannia è la dottrina che insegna il contrario», ne deduce che «La libertà dell'insegnamento è "l'esercizio non impedito del diritto d'insegnare e d'imparare"» e che tale diritto è anteriore ad ogni legge civile. Certamente ogni diritto presenta dei limiti e condizioni, oltre i quali cessa di esistere come diritto.
    Quindi passa ad esaminare chi sia titolare di questo diritto e quale titolarità ne abbia e come debbano interagire tra di loro. Ne individua sei, e sono: 1. la Chiesa cattolica, 2. i dotti, 3. i padri di famiglia, 4. coloro che economicamente mantengono istitutori e maestri, 5. la Provincia e i Comuni, 6 il Governo Civile.
    Sempre il Paoli testimonia l'intenzione del Rosmini di raccogliere il lavoro, una volta terminato, in un libro che avrebbe dovuto servire di indirizzo alla legislazione dell'insegnamento pubblico e privato; ma ancora una volta l'opera rimase incompleta per l'aggravarsi della sua salute e la successiva morte il 1 luglio 1855.

    NOTE

    1. Cfr. IX Forum del Progetto Culturale della Chiesa Italiana, L'emergenza educativa - Persona, intelligenza, libertà amore, Roma 27-28 marzo 2009; Prolusione del Card. CAMILLO RUINI.
    2. Ne voglio qui ricordare alcuni:
    - la "Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell'educazione", Città del Vaticano, 21 gennaio 2008.
    - CENTRO DI CULTURA E SPIRITUALITÀ ANTONIO ROSMINI – CAPO RIZZUTO (KR), Cattedra Rosmini 2: "L'emergenza educativa. Attualità della Pedagogia di A. Rosmini", 1-5 settembre 2008.
    - STUDIO AMBROSETTI – CONFCOMMERCIO, 1° edizione del Forum Giovani Imprenditori Confcommercio: "L'emergenza educativa", Venezia, "Ca' Corner", 19-20 settembre 2008.
    - CENTRO TURISTICO GIOVANILE, L'emergenza educativa. Una sfida per il Ctg e l'associazionismo nel terzo millennio - Seminario nazionale del sessantennio, Torino 20-22 marzo 2009.
    CEI, "L'emergenza educativa. Persona, intelligenza, libertà, amore", IX Forum del progetto Culturale della Chiesa Italiana, Roma 27-28 marzo 2009.
    - ASSOCIAZIONE AMICI DEI BAMBINI IN COLLABORAZIONE CON L'UCIIM, "Convegno internazionale Emergenza educativa. – Adozione, affido e leaving care tra scuola e famiglia", Cervia 24-25 agosto 2009.
    3. Rosmini, in una magistrale pagina della sua Antropologia sopranaturale, denuncia esplicitamente quanto fossero illusori questi entusiasmi: «Non c'è uomo, né pure fra quelli del mondo ed alieni dalla religione, il quale non riconosca che le sensazioni illudono: che questa illusione viene dissipata dalla realtà; che questa realtà delle cose, come confessava un uomo che se n'era voluto scapricciare, è trista e fredda [allude ad Ugo Foscolo]: e che è più il gioco della fantasia che abbellisce il futuro quello che seduce e imbaldanzisce l'uomo di speranze, che non la realtà del godimento presente, circoscritto, breve, avvelenato di segreto angore». Cfr. Antropologia sopranaturale, 1,5,2, vol. I, p. 84-86.
    4. Cfr. D. MORANDO, Pedagogia rosminíana e pedagogia attuale. - 1. Rosmini e la pedagogia del suo tempo, in: A. ROSMINI, Antologia pedagogica, Brescia 1955, p. VII-VIII.
    5. Diario personale, in "Scritti autobiografici inediti", a cura di E. CASTELLI, Roma 1934, p.419.
    6. Dei testi per la gioventù del Ginnasio Roveretano, secondo il Metodo già posto in uso, in Scritti pedagogici, parte seconda, p. 478.
    7. Fu pubblicato per la prima volta a Torino nel 1844 dai Fratelli Pomba, nel volume Sulla filosofia. Documenti per la storia universale di Cesare Cantù, e confluito poi nel 1850 nel primo volume della collezione dei suoi scritti da lui ideata ed intitolato Introduzione alla filosofia.
    8. Sistema filosofico, n. 263, in: Introduzione alla Filosofia, Roma 1979, ECR 1, p. 302
    9. Cfr. Sull'unità dell'educazione, in Scritti pedagogici, parte seconda, p. 4-6.
    10. Ivi, p. 7-8.
    11. Fu poi uno dei consultori nell'esame delle opere di Rosmini e validamente lo difese nelle sedute della Sacra Congregazione Romana dell'Indice nel 1854.
    12. La pedagogia come scienza è lo studio dei principi pedagogici, la pedagogia come arte è l'applicazione effettiva e concreta dei principi studiati.
    13. Lettere pedagogiche, lettera del 7 marzo 1850, in Scritti pedagogici, parte seconda, p. 324.
    14. Un esauriente e concreto studio secondo questa visuale, rimane il libro di RACHELE LANFRANCHI, Genesi degli scritti pedagogici di Antonio Rosmini, Città Nuova Editrice, Roma 1983.
    15. Lettere pedagogiche, in: Scritti pedagogici: "A don Giovanni Stefani di Val Vestino" del 15 ottobre 1821, parte seconda p. 273-281.
    16. Un ottima storia di questa "Società" è quella scritta da G. PUSINERI, La «Società degli Amici» A. Rosmini precursore dell'Azione Cattolica, in articoli successivi sul Bollettino Charitas dal 1931 al 1933, ed oggi disponibile nel sito internet ufficiale rosminiano (www.rosmini.it).
    17. Cfr. U. PELLEGRINO, Sebastiano De Apollonia e Antonio Rosmini. Ricerche sul rosminianesimo del Friuli, 2 voll. Marzorati, Milano 1973, vol. Il, p. 147.
    18. Stampato per la prima volta a Venezia, presso Giuseppe Battaggia, nel 1821. Per quanto riguarda il termine "idiota" è utilizzato nel significato originario di questo sostantivo derivante dal greco: rozzo e inetto a partecipare alla cosa pubblica, stupido, ignorante, rozzo.
    19. A tal proposito si veda la riflessione tenuta dal Procuratore generale dei Padri Filippini, E. A. CERRATO, a Roma il 28 novembre 2007 dal titolo Antonio Rosmini e lo spirito di San Filippo Neri, pubblicato nel nostro sito web (www.rosmini.it) tra gli articoli della rassegna stampa per la beatificazione; ed il libro a cura di F. DE GIORGI:: A. ROSMINI, Lo spirito di S. Filippo Neri, La Scuola, Brescia, 1996, in cui oltre al suo esauriente studio riporta anche i due testi.
    20. Si trattava di Giovanni Stefani di Val Vestino sul versante delle Alpi trentine verso Brescia, era uno dei suoi più cari amici di gioventù il quale, prete novello, interessa l'amico, prete novello anch'esso, ad occuparsi con zelo nella educazione dei giovanetti cristiani. Lo Stefani fu ben presto assunto da un Principe di Lisbona come educatore di suo figlio; ma essendo questi morto dopo qualche anno, passò la più parte della sua vita a Parigi, non dimenticato mai dal Rosmini, e a Parigi morì nel 1881. Questa lettera fu stampata a Rovereto nel 1823 dal Marchesani; a Firenze nel 1827 dal Conti; a Lugano nel 1834 nelle Prose: e nel 1836 nel Cattolico; e finalmente a Milano nel 1838 delle Prose Ecclesiastiche di A. Rosmini al volume Catechetica.
    21. Lettera sopra il cristiano ..., in Scritti pedagogici, op. cit., parte seconda, p. 280.
    22. Quest'opera è già stata pubblicata nel volume 31 dell'edizione critica delle opere di Rosmini a cura di LINO PRENNA, alla cui Introduzione si rimanda per un maggior approfondimento.
    23. «Allorché avete preso la cura e il governo, o Sorella mia, di alcune povere orfane, pensai di farvi un dono a segno del piacere che io sentivo nel vedervi occupare un così santo ufficio. E mi parve, che non potessi trovare per voi nulla di più piacevole, quanto un libretto di sante norme, che vi desse qualche lume nella nuova impresa. Al che mi convinsi di scegliere io stesso e unire alcuni detti da ottimi scrittori, affinché sembrasse che il dono fosse frutto del mio lavoro, o meglio almeno apparisse la buona volontà mentre con qualche mia fatica ve lo procuravo. E raccogliendo alcune spighe d'una e d'altra parte, m'è venuto (quasi senza accorgermi) questo fascio molto maggiore di quanto mi ero proposto. Accoglietelo pertanto com'è, scegliendo voi stessa quanto ci trovaste d'inutile»: Dell'educazione cristiana, n. 1, in: Scritti pedagogici, parte seconda, p. 335.
    24. Anche quest'opera è stata pubblicata nel volume 31 dell'Edizione Critica a cura di L. PRENNA. Per un maggiore approfondimento si veda la sua Introduzione.
    25. L'anonimato era motivato dalle leggi austriache: «... Essendo in questo scritto qualche allusione alle nostre circostanze, sarà necessario che Vostra Signoria ci premetta due parole nelle quali avvisi "che essendole venuto alle mani questo scritto di autore non toscano, e parendole cosa a proposito Ella pensò di stamparlo ecc.". L'autore non può esserne pubblicatore perché prima di questo dovrebbe il libro essere sottoposto alla censura dello Stato. Anche per questo gioveranno quelle due parole, colle quali apparisca che Ella non lo stampa per commissione dell'autore, ma per proprio giudizio ...»: Lettera a Monsignor Gio. Fortunato Zamboni a Firenze, Rovereto 10 dicembre 1825, in: A. ROSMINI, Epistolario completo, vol. I, p.710.
    26. «E qui si deve osservare l'errore e il difetto di ogni altro modo di crescere la gioventù. Poiché non è difficile rilevare che la differenza tra lo spirito della Educazione cristiana da quella della Educazione mondana, o come la chiamano scherzosamente filosofica, sta in questo: la Religione domanda una Educazione intera e il senno dei mondani s'accontenta di una Educazione smozzicata e imperfetta ...»: Sull'unità dell'educazione: I Unità del fine, in Scritti pedagogici, parte seconda, p. 13.
    27. Saggio sui limiti dell'umana ragione ne' giudizi intorno alla divina Provvidenza; Saggio sulle leggi secondo le quali sono distribuiti i beni e i mali temporali; Saggio sull'Unità dell'Educazione; Saggio sull'idillio e sulla nuova Letteratura Italiana.
    28. A. ROSMINI, Opuscoli filosofici, 2 voli., Milano dalla Tipografia Pogliani, 1827-1828, vol. l, Prefazione, p. V-VII.
    29. E proprio il Paoli nell'introdurre il saggio Sull'unità dell'Educazione, premise il giudizio espresso su esso nel decreto Dimittantur del 1854, della Sacra Congregazione Romana dell'Indice in cui andarono assolte da ogni errore tutte le opere di Rosmini. In esso si afferma che l'autore con questo opuscolo «cerca e stabilisce i primi principi, da cui dipende la teoria di ogni educazione, e dimostra in una maniera nuova ed invincibile, come la Religione sia e deva essere il principio ed il fine d'ogni educazione. Si pone quindi innanzi da sciogliere il problema del come conciliare l'educazione individuale, famigliare, nazionale, cosmopolitica, sicché né l'egoismo della famiglia e dell'individuo siano di ostacolo allo sviluppo dello spirito nazionale, né lo spirito nazionale metta un muro di separazione fra quegli esseri, che comprati col sangue di Cristo non conoscono più distinzione di Giudeo e di Greco, ma sono altrettanti fratelli, benché sparsi su tutta la faccia dell'Universo; e viceversa l'ampiezza del circo umanitario e nazionale non distruggano i sentimenti del cittadino, del membro della famiglia e dell'individuo. Insomma in quest'opuscolo si gettano i principi per rispondere a tutte le gravissime questioni sull'educazione che si agitano oggidì fra i più alti pensatori; il tutto sempre a maggiore incremento del Cristianesimo»; in: Scritti pedagogici, parte seconda, p. 1 in nota.
    30. Cfr. Unità dell'educazione, in: Scritti pedagogici, parte seconda, p. 7: «Ed è certamente l'educazione delle venienti generazioni uno di quei mezzi preziosi che possono mettere il mondo al coperto dalle estreme sciagura, e fargli acquistare un aspetto meno odioso, per così dire, agli occhi dell'Onnipotente: è l'educazione quella che può cogliere i frutti della vittoria e riparare le devastazioni della guerra ... è l'educazione quella di cui si contesta il bisogno da tutti ...».
    31. Cfr. Unita dell'educazione, ivi, p. 8.
    32. Cfr. Unità dell'educazione, ivi, p. 10.
    33. «Educazione religiosa. Ecco ciò che tutti richiedono; unità d'educazione religiosa: ecco ciò che pochi considerano, e che sola può soddisfare quella richiesta universale», ivi, p. 10.
    34. Cfr. Unità dell'educazione, ivi, p. 9.
    35. Riportato da L. PRENNA nell'Introduzione al testo dell'Unità dell'educazione, op. cit., p. 213-214.
    36. Cfr. Unità dell'educazione, op. cit., parte seconda, p. 10-11.
    37. Oggetto dell'educazione pubblica è l'educazione cosmopolitica e quella nazionale; oggetto dell'educazione privata è l'educazione familiare e quella privata. Cfr. Unita dell'educazione, op. cit., parte seconda, p. 33-35.
    38. La natura delle verità morali «ha una certa profondità inesauribile che col primo sguardo non si attinge, per cui è necessario insistere a lungo sopra ciascuna, e quanto più vi si insiste e vi si penetra, tanto più vi si sentono e vi si scoprono cose prima non scorte né sospettate, e così gradualmente si arriva a comprendere la natura intima di tali verità, la quale non è mai abbastanza investigata da non avere ancora nel suo fondo qualcosa di così segreto e così misterioso da incutere alla mente indagatrice riverenza e virtuosa curiosità. Ma una tale lentezza di meditare è detestata dal presuntuoso e dal materialista, perché il primo è costretto a frenare la sua troppa confidenza, al secondo, disperso nella superficialità della materia, quell'universo morale, la cui natura è tutta interiore tanto più reale quanto più è nascosta ai sensi e manifesta allo spirito, sembra più un gioco dell'immaginazione che una vera realtà. ... Questo spirito di superficialità col pretesto di facilità fu purtroppo introdotto nelle scuole, che furono ridotte ad occuparsi quasi interamente di oggetti materiali e a sorvolare sulle cose morali colla stessa leggerezza con cui si può fare con quei primi». Cfr. Unità dell'educazione, op. cit. parte seconda, p. 38-41.
    39. Cfr. Unità dell'educazione, op. cit., parte seconda, p. 40-45.
    40. Cfr. Unita dell'educazione, op. cit., parte seconda, p. 47-64.
    41. Cfr. Unita dell'educazione, op. cit., parte seconda, p. 64-70.
    42. Cfr. F. PAOLI, Agli educatori italiani, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 9.
    43. «Ho poi in animo di adoperare il Paoli, subito dopo finito il primo anno di Noviziato, non ammettendolo tuttavia ai voti degli Scolastici, nell'opera che sto meditando di riformare tutti i metodi delle nostre scuole, cominciando dalle inferiori. Confido che questa della gioventù e dei metodi sarà la sua provincia»: Lettera a don Francesco Puecher al Calvario, Stresa 20 Gennaio 1840, in: Epistolario completo, vol. VII, p. 290-291.
    «Credo che il Paoli sarebbe atto a succedervi, quando voi doveste cessare dal presente uffizio: ma una cosa mi sta sommamente a cuore. lo sono risolutissimo di por mano il più presto che possa a riformare i metodi scolastici, cominciando dalle scuole primissime e ascendendo alle maggiori. Ora il Paoli sarebbe l'unico ch'io vedessi idoneo ad entrare nelle mie viste per un'opera così grande: oltre l'intelligenza e l'amore ai fanciulli, mi pare che egli avrebbe la potenza di corpo necessaria a far intendere successivamente ai Maestri i metodi mettendoli in pratica; giacché non si possono intendere se non colla pratica. Ora se lo destinassimo a futuro Maestro dei Novizi, quando mai potrei cominciare una cosa di cui l'Istituto ha tanto bisogno? Pensateci seriamente e scrivetemi a lungo, ma con comodo, perché non voglio ora affaticarvi» Lettera a don Francesco Puecher al Calvario, Stresa 30 Gennaio 1840, in: Epistolario completo, vol. VII, p. 303.
    44. Del principio supremo della Metodica ..., n. 6, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 22.
    45. Cfr. Del principio supremo della Metodica ..., n. 8, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 25.
    46. Del principio supremo della Metodica ..., n. 11, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 25.
    47. Del principio supremo della Metodica ..., n. 80, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 54.
    48. Cfr. F. PAOLI, Agli educatori italiani, in: Scritti pedagogici, parte prima, p. 9-17. Si veda anche l'Introduzione premessa da DANTE MORANDO all'Antologia pedagogica, di Rosmini pubblicata da La Scuola di Brescia nel 1955, e precisamente: n. 8 Lo sviluppo psicologico dell'infanzia e la sua educazione.
    49. Così, ad esempio, nei Regolamenti delle Scuole elementari dell'Istituto della Carità, al titolo IV "Del metodo", scrive: «Il metodo tende a facilitare l'apprendimento di ciò che si insegna, e rendere piacevole la fatica dell'imparare. Perciò si usa un metodo graduato che va costantemente dal noto all'ignoto: si procura di mettere le cose che s'insegnano sotto l'esperienza dei sensi, di illustrare le verità astratte con casi simili, i più ordinari e comuni, e con esso si intende non solo comunicare delle notizie, ma a far sì che si esercitino e sviluppino le facoltà dello spirito, non aggravando la sola memoria di parole, ma dando pascolo ed esercizio a tutte le potenze, principalmente a quelle dell'intendimento, formando negli alunni un pensare retto e giudizioso»; in: Scritti pedagogici, parte seconda, p. 229-230.
    50. Vedi la lettera del Rosmini al Tarditi del 6 agosto 1845 e del Rosmini a don Giuseppe Sciolla del 13 marzo 1846, in Epistolario completo, vol. IX, p. 378 e p. 510.
    51. D. BERTI, Del metodo applicato all'insegnamento elementare, Paravia, Torino 1849.
    52. Cfr. Epistolario completo, vol. IX: Lettere a Michele Tarditi del 18 novembre 1845, p. 412-413, del 4 gennaio 1846, p. 463-465, del 20 febbraio 1846, p. 492-493, del 7 ottobre 1846, p. 640-641, dell'8 novembre 1846, p. 661, del 24 febbraio 1847, p. 753-754. Vedi anche Lettera a don Giuseppe Sciolla del 7 aprile 1846, p. 527-528.


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