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    Per un dialogo

    interculturale

    Francis-Vincent Anthony

    Atteggiamenti per un dialogo interculturale

    Il dialogo interculturale ad intra ed ad extra – nelle modalità ermeneutica, critica e partecipativa – esige alcuni atteggiamenti coerenti, cioè alcune disposizioni cognitive, affettive e operative. Cogliendo le indicazioni di Catherine Cornille nel suo libro The im-possibility of interreligious dialogue (2008) tentiamo di tracciare un quadro essenziale degli atteggiamenti da coltivare per un dialogo interculturale autentico e proficuo.

    Atteggiamenti generali per un dialogo interculturale

    Per sua natura, il dialogo interculturale e interreligioso implica da una parte un radicamento nella propria tradizione cristiana e culturale, [1] dall'altra un'apertura a inter-relazioni con gli altri. Il dialogo esige che i partners interagiscono come pari e ugualmente vincolati alla verità e valore della propria religione e cultura. Ciò significa che le convinzioni non negoziabili delle tradizioni religiose e dei valori culturali devono essere riconosciuti onestamente e valutati criticamente dai partners in dialogo. In altre parole, la parità dei partners deve essere accolta insieme con le loro differenze. Tale interazione può diventare un'occasione privilegiata di sviluppo religioso e culturale con l'integrazione di nuove idee, simboli, pratiche e principi.
    Il dialogo interreligioso e interculturale è possibile solo se siamo aperti alle interconnessioni tra le tradizioni religioso-culturali. Tali interconnessioni possono essere comprese, non solo sulla base delle sfide sociali e politiche comuni che le comunità religiose devono affrontare nel contesto attuale, ma anche dal comune fondamento antropologico delle tradizioni religioso-culturali. Il dialogo per il superamento delle sfide esterne spesso conduce pure alla scoperta dell'inter-connettività antropologica, che va oltre le possibilità concernenti le sfide. Inoltre, il loro modo specifico di riferirsi alla realtà ultima trascendente offre un altro fondamento per l'inter-relazionalità delle tradizioni religioso-culturali. Uno scambio sincero è reso possibile se si riconosce che i partecipanti al dialogo lo fanno partendo dalla propria percezione della interconnessione tra le tradizioni religioso-culturali e con il proprio quadro ermeneutico. [2]

    Atteggiamenti specifici per un dialogo interculturale

    La natura specifica delle tradizioni religioso-culturali e le concrete modalità di interazione tra di esse necessitano di tre fondamentali atteggiamenti dialogici: umiltà, empatia e ospitalità. In questa scia Panikkar afferma: «In primo luogo bisogna per così dire mettere ordine in casa propria. In secondo luogo bisogna aprirsi agli altri. E da ultimo, insieme, o se necessario da soli, bisogna avere fiducia nella tendenza complessiva dell'esperienza umana». [3]

    Atteggiamento di umiltà: [4] L'umiltà è riconoscere la natura parziale della comprensione e della realizzazione umana. È proprio questo che giustifica la nostra ricerca di una comprensione sempre più adeguata della verità. In questa scia, il dialogo interculturale impone due forme di umiltà: quella verso le tradizioni religioso-culturali altrui e quella verso la propria tradizione.
    La nostra conoscenza e comprensione delle altre tradizioni religioso-culturali sono generalmente limitate, se non distorte, a causa dei nostri pregiudizi religiosi e culturali. Inoltre, non possiamo presumere di possedere una visione complessiva delle credenze e pratiche, delle filosofie e delle ramificazioni settarie della tradizione religioso-culturale dell'altro. Questo fatto ci obbliga a rimanere aperti alla correzione, ad ammettere la nostra comprensione imperfetta dell'altro. È l'umiltà che genera una maggiore attenzione e recettività alla verità delle altre tradizioni. L'umiltà genuina nutre l'interesse verso l'altro e stimola la consapevolezza autocritica delle possibili distorsioni nella conoscenza dell'altro.
    L'umiltà verso la propria tradizione religioso-culturale si riferisce alla perfettibilità della nostra comprensione religioso-culturale della verità, e quindi al restare aperti alla verità delle altre tradizioni. Si tratta dell'umiltà dottrinale, cioè dell'accettazione della distanza che permane tra la verità ultima e le sue forme espressive all'interno della tradizione.
    Se l'umiltà dottrinale è una condizione essenziale per imbarcarsi nel dialogo, quest'ultimo da parte sua può condurci alla prima. Nel dialogo si diventa consapevoli della contingenza e del condizionamento storico della propria tradizione. Poiché la realtà ultima è ineffabile, stando oltre tutte le categorie dottrinali, essa può essere raggiunta solo con un atteggiamento di totale umiltà. Tale atteggiamento ci conduce da una comprensione statica della verità a quella dinamica. Il compimento escatologico della verità in certo qual modo fornisce la base per tale umiltà dottrinale. Similmente, la differenza tra la chiesa storica e il Regno di Dio e la teologia apofatica espongono ulteriori motivi per l'umiltà dottrinale.
    Nella spiritualità cristiana, come nelle altre tradizioni spirituali, l'umiltà occupa un posto centrale. Essa è ritenuta la via maestra all'esperienza ultima di Dio, tanto quanto l'espressione di tale esperienza. D'altronde il dialogo religioso-culturale tra i seguaci di varie tradizioni può condurli a una penetrazione più profonda dell'umiltà stessa.

    Atteggiamento di empatia: [5] II dialogo comporta anche una comprensione della tradizione religioso-culturale dell'altro proprio dalla prospettiva dell'altro, una certa penetrazione del quadro mentale dell'altro. L'empatia qui rappresenta il mezzo idoneo per percepire la dimensione affettiva dell'altra tradizione: i desideri e i bisogni che sottostanno alle credenze, alle pratiche particolari ed alle esperienze da esse generate.
    L'empatia, quale comprensione dell'altro, è un processo continuo e aperto. Il più delle volte, le proprie esperienze e orientamenti e una certa familiarità con i desideri e le emozioni religiose universali servono come analogia per afferrare il sentimento religioso dell'altro. Come tale, l'empatia suppone altre disposizioni come la simpatia, un insieme di esperienze religioso-culturali personali, e una ricca immaginazione religioso-culturale.
    La simpatia nel contesto interculturale non si riferisce solo all'atteggiamento di calore e affetto personale verso l'altro, ma anche all'apertura alla significatività e valore della vita religiosa altrui. La simpatia così comprende il rispetto e l'interesse verso le credenze e le pratiche dell'altro. Maggiore simpatia e senso di libertà potrebbero facilitare ulteriore partecipazione nella vita rituale degli altri. [6]
    Maggiore ricchezza e diversità di esperienze religioso-culturali si possiedono, migliore sarà la possibilità di comprendere l'altro. In altre parole, l'empatia è determinata dall'ampiezza della propria esperienza e sensibilità religiosa. [7] Secondo Edith Stein, invece, è l'attrazione verso l'esperienza, più che l'esperienza stessa, la base per una comprensione empatica dell'altro: è nel completare gli elementi mancanti nel proprio vissuto che si ottiene la comprensione empatica dell'altro. Nel dialogo pertanto ci si apre alla comprensione empatica delle esperienze che non fanno parte del proprio repertorio religioso. [8] Questo è reso possibile attraverso la facoltà di immaginazione.
    In qualche modo l'immaginazione ci permette di concepire la realtà che va oltre l'immanente; cioè permette alla mente umana di entrare nel mondo della rappresentazione simbolica e mitica e assimilare i significati altamente complessi e spesso contraddittori presenti nei simboli della propria tradizione. [9] Il dialogo con le altre tradizioni, a sua volta, può sviluppare l'immaginazione dando origine a forme nuove di rappresentazione religioso-culturale. Il contatto con le letterature religiose, le testimonianze dei credenti e la partecipazione alla vita religiosa delle altre comunità religiose possono diventare stimoli efficaci per ampliare l'immaginazione interreligiosa. [10]

    Atteggiamento di ospitalità: [11] Ospitalità sta per riconoscimento dell'altro e per apertura ad imparare dalle differenze che l'altro porta con sé. Si tratta di andare oltre l'autosufficienza della propria tradizione. L'ospitalità in genere comincia con quegli elementi delle altre religioni che pressappoco riflettono oppure assomigliano alla propria. Le somiglianze possono essere legate all'origine comune, all'influsso reciproco o unilaterale, oppure alla contingenza storica dell'immaginazione religiosa. Le somiglianze possono essere di visione del mondo, insegnamento etico, concezione del divino, ragionamento teologico, virtù religiose, ecc. Ospitare le somiglianze, poiché segnalano la presenza di qualche verità nelle altre religioni, può essere abbastanza facile, ma diventa una sfida quando si tratta di ospitare le differenze. Queste ultime pongono il problema della presenza delle verità distintive in un'altra religione. L'apertura a queste possibilità richiede un'ampia creatività teologica e uno sforzo ermeneutico. In questo senso, paradossalmente, l'ospitalità diventa difficile tra le religioni che formano parte della stessa famiglia, che condividono anche una storia parziale ma rivendicano qualche avanzamento di verità specifiche sull'altra, come per esempio tra Giudaismo, Cristianesimo, ed Islam. A volte l'ospitalità delle differenze risulta più facile tra le religioni che non hanno nessun legame storico o religioso-culturale.
    L'altra facciata dell'ospitalità è lasciarsi accogliere dall'altro. Nell'inviare i suoi discepoli a predicare ad ogni creatura, Gesù li invita ad andare come stranieri sprovvisti di tutto, eccetto del tesoro del Vangelo. È nella necessità di dover dipendere dall'ospitalità offerta che il discepolo trova l'ambiente appropriato per condividere il Vangelo. In altri termini, lo sradicamento culturale e sociale diventa una condizione essenziale per gli evangelizzatori, e per ogni agente pastorale. [12] Una Chiesa troppo radicata e istituzionalizzata, troppo sicura e autonoma dal contesto socioculturale, sciuperebbe l'esperienza dell'ospitalità evangelica.
    L'ospitalità reciproca delle differenze può favorire un nuovo sviluppo in quanto contribuisce ad una più profonda autocomprensione, ad una maggiore capacità di sana autocritica, e all'integrazione di alcune intuizioni e pratiche religioso-culturali genuinamente nuove. Tutto ciò però consegue dal «conoscere quanto meglio possibile la nostra tradizione, sviluppare l'empatia e la comprensione, renderci conto che scoprire le altre religioni è al contempo approfondire e purificare la nostra e che iniziarci a un'altra tradizione non può che arricchirci». [13]

    L'intercultura nell'ottica educativo-pastorale

    Le modalità (ermeneutica, critica e partecipativa) concrete dell'intercultura e gli atteggiamenti coerenti (di umiltà, empatia e ospitalità) ne evidenziano la rilevanza educativo-pastorale, cioè il significato dell'intercultura per l'agire ecclesiale in generale e per la pastorale giovanile in particolare. La pastorale giovanile riguarda l'orientamento dei giovani alla vita più piena, in un mondo globalizzato, secolarizzato, plurireligioso e multiculturale. Tale mondo si presenta in modo concreto nelle reti della comunicazione, ma soprattutto nei volti variopinti dei migranti. Con la presenza invadente e scomoda degli immigrati, l'intercultura acquista un aspetto reale nella vita della chiesa locale e nella pastorale giovanile.

    Immigrazione come luogo di intercultura

    Nella situazione odierna di cambi socioculturali, il documento della CEI giustamente richiama la chiesa locale alla necessità di passare dall'accoglienza all'integrazione: «In tale prospettiva, la nostra attenzione si rivolge in modo particolare al fenomeno delle migrazioni di persone e famiglie, provenienti da culture e religioni diverse. Esso fa emergere opportunità e problemi di integrazione, nella scuola come nel mondo del lavoro e nella società. Per la Chiesa e per il Paese si tratta senza dubbio di una delle più grandi sfide educative». [14]
    Se, da una parte, l'immigrazione apre nuove prospettive per l'educazione cristiana e umana, dall'altra sollecita nuove condizioni di vita intra-ecclesiale.

    «La comunità cristiana educa a riconoscere in ogni straniero una persona dotata di dignità inviolabile, portatrice di una propria spiritualità e di un'umanità fatta di sogni, speranze e progetti. Molti di coloro che giungono da lontano sono fratelli nella stessa fede: come tali la Chiesa li accoglie, condividendo con loro anche l'annuncio e la testimonianza del Vangelo» [15]. In altre parole, l'arrivo di immigranti cattolici non solo sollecita l'accoglienza e il sostegno da parte della chiesa locale nell'ambito della vita sociale e lavorativa, ma anche nella stessa vita ecclesiale. L'integrazione nel senso di interazione reciprocamente arricchente esige che i credenti vadano accolti nell'unità della fede, proprio con la loro diversità cultuale, etnica e nazionale. Alimentare l'unità della fede in un contesto di diversità culturale esige un'apertura interculturale, cioè la capacità di arricchire la propria vita di fede accogliendo l'esperienza e l'espressione della fede dei credenti provenienti da altri contesti sociali e culturali. Integrare questi elementi filtrati dalle varie culture nella vita cristiana locale è vitale per progredire verso la pienezza della Verità, alla piena conoscenza del mistero di Cristo e alla salvaguardia dell'unità ecclesiale.
    Non si può ignorare che la fede cristiana di origine semitica viene oggi celebrata e vissuta maggiormente nell'emisfero sud, cioè nel continente latinoamericano, africano e asiatico, da dove provengono la maggior parte dei migranti. Per comprendere la fede cristiana vivente occorrerà quindi fare riferimento non solo allo sviluppo diacronico della fede ma anche alla realtà sincronica delle chiese locali sparse nel mondo. D'altronde, il mistero di Cristo è inesauribile, e ogni nuova cultura che la Chiesa incontra nel suo peregrinare nel tempo e nello spazio diventa una chiave in più per spingersi verso la piena conoscenza della Verità. In questo cammino, la Chiesa di Roma, e insieme la Chiesa italiana, non può rinunciare al ruolo collaudato dalla sua tradizione millenaria di essere il centro di unità, cioè il luogo di interscambi religioso-culturali nella fede e in vista dell'unità della fede. «Nella Chiesa unità non significa uniformità, ma comunione di ricchezze personali. Proprio esprimendo nella loro diversità l'abbondanza dei doni di Gesù risorto, i vari carismi [e possiamo aggiungere le varie culture] concorrono alla vita e alla crescita del corpo ecclesiale e convergono nel riconoscimento della signoria di Cristo». [16]
    Come crocevia delle istanze educative, la parrocchia oggi è chiamata ad essere una comunità accogliente e dialogante, che instaura rapporti di amicizia e risponde alla sete di Dio espressa in vari modi dai credenti e non credenti che l'avvicinano. La parrocchia come espressione concreta della comunità locale,
    nell'iniziazione cristiana, catechesi, liturgia, diaconia, oltre che nella koinonia può diventare un luogo di interazione e integrazione dei credenti migranti. Questo può essere facilitato da una «pastorale integrata» in cui si stabiliscano alleanze educative tra centri giovanili e oratori, associazioni e movimenti, gruppi e confraternite. Queste strutture ecclesiali possono favorire l'interazione e l'inserimento dei credenti migranti nella comunità locale. [17]

    Pastorale giovanile e intercultura

    Il multiculturalismo, inteso come rispetto e tolleranza della diversità culturale, ha in sé qualcosa di positivo, come del resto l'acculturazione dovuta all'effetto prodotto dal contatto con altre culture. Mentre deferenza e tolleranza, nel caso di multiculturalismo, rischiano di trasformarsi in indifferenza e isolamento rispetto alle altre culture, l'acculturazione può ridursi a subire in modo inconscio l'effetto anche indesiderato delle altre culture. La pedagogia interculturale segna un passo in avanti nel senso che la diversità culturale diventa un'opportunità e una condizione per un'interazione consapevole e critica di maturazione e di crescita personale e sociale. È in questa prospettiva che le istituzioni educative - le scuole e le università cattoliche, i centri di formazione professionale d'ispirazione cristiana - come luogo di incontro tra studenti e docenti, provenienti anche da altri mondi culturali, acquistano un nuovo significato. [18] L'educazione può intervenire in questo processo con un doppio ruolo: quello di fondare la possibilità stessa del dialogo sulla comune umanità, aprendo la coscienza all'universale, formando al credere che al mondo mai nessuno sarà uno 'straniero morale' per un altro; e quello di rendere effettivo e quotidiano il dialogo interculturale nella promozione di un pensiero libero, razionale, decentrato, ma anche empatico verso gli altri. Il fine dell'interculturalità diviene promuovere uno sviluppo aperto della personalità, dando gli strumenti per decifrare e comunicare i codici e i valori culturali, soggettivi e in continuo cambiamento, distinguendo tra relatività e relativismo, in un orizzonte di comune appartenenza all'umanità. [19]
    Siccome le culture esprimono visioni e progetti di vita di un popolo, l'interazione con un'altra cultura favorisce una maggiore presa di coscienza circa la propria visione della vita o il proprio progetto di vita, che sovente uno ritiene pacifico e scontato, poiché manca del confronto con la diversità. Dal punto di vista pedagogico ciò è già un risultato positivo dell'intercultura: produce infatti l'appropriarsi in maniera consapevole della propria visione della vita, ereditata dalla propria tradizione socioculturale e religiosa. Nell'ambito dell'educazione questa dinamica può essere di stimolo a prendere atto in modo riflesso del proprio progetto di vita, prima ancora di confrontarlo con quello degli altri. Se non assicura una certa consapevolezza circa la visione e direzione della propria vita, l'educazione cristiana difficilmente può essere in grado di sostenere la maturazione umana e cristiana dei giovani.
    Favorendo la consapevolezza circa alcuni aspetti della propria visione della vita, la pedagogia interculturale sollecita i giovani a confrontarsi con quella degli altri. Un confronto onesto e critico fa scoprire anzitutto i limiti, i pregiudizi, le ideologie distorte, ... di fronte ai quali si è in genere ciechi, appunto perché sono condivisi acriticamente da tutti gli appartenenti alla propria cultura e società. La presenza di un estraneo, portatore di una sua cultura alternativa, attiva automaticamente una critica nei confronti della cultura locale; ne rivela la limitatezza e ne fa prendere coscienza. Nell'ottica pedagogica riconoscere i limiti e gli aspetti decadenti della propria cultura (anche della cultura moderna/postmoderna) è un imprescindibile requisito per promuovere l'autenticità umana e cristiana nella vita personale e sociale.
    Il riconoscimento dei limiti della propria cultura porta anche alla scoperta degli aspetti pregevoli delle altre culture. Alcuni di questi aspetti possono essere facilmente integrati nella propria visione di vita, altri più difficilmente o meno. La crescita umana e cristiana avviene integrando la propria visione di vita con la recezione critica (perché non ogni differenza è un valore) dei sistemi di significato e dei valori degli altri. Le varie culture esprimono differentemente in sistemi di significati e di valori la diversa comprensione di una realtà che è comune a tutte le persone. La scoperta delle diverse interpretazioni della stessa realtà diventa una sfida per la propria visione di vita e per la propria maturazione umana e cristiana.
    Tutto ciò dimostra che l'intercultura è un fattore rilevante per un'educazione impegnata a raffinare il senso critico e a rafforzare l'apertura mentale in un continuo processo di ricerca sempre più approfondita della verità, cioè di piena comprensione della realtà e del suo scopo ultimo. L'educazione inter-culturale in questo modo non solo contribuisce alla crescita e maturazione del credente ma anche all'edificazione di una chiesa cattolica (in senso intensivo) e di una umanità integrata e nuova (in senso estensivo).

    Conclusione

    In questa riflessione teologico-pastorale abbiamo cercato di chiarire la rilevanza della intercultura diacronica e sincronica nella vita inter-ecclesiale in vista di una crescita nella comunione e nella vita di fede, e nella vita extra-ecclesiale in vista dell'integrazione socioculturale e dello sviluppo del patrimonio culturale. Come processi complementari, inculturazione e intercultura nella vita quotidiana sono resi concreti nelle modalità ermeneutica, critica e partecipativa. Per la realizzazione adeguata in queste modalità, l'intercultura necessita di alcuni atteggiamenti generali come l'aderenza alla propria tradizione religioso-culturale e, allo stesso tempo, l'apertura all'interazione con le altre. Abbiamo anche rilevato che come atteggiamenti specifici, l'intercultura ha bisogno di umiltà, empatia e ospitalità. Nella vita ecclesiale e, in modo particolare, nella maturazione umana e cristiana dei giovani il processo di inter-cultura si presenta come un'interazione tra visione e valori della vita cristiana segnata da varie culture.
    In fine, sulla scia di R. Panikkar, uno dei massimi cultori dell'intercultura (recentemente scomparso), possiamo delineare l'attuale incontro delle tradizioni culturali e religiose come inevitabile, importante, urgente, sconvolgente e soprattutto purificante. [20]
    È umiliante perdere la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma è una grande lezione scoprire che nessuno di noi basta a se stesso. Nessuno può aspirare all'universalità quando il modo stesso di esprimerla è parziale. Questa presa di coscienza ha un effetto purificatore. Le tradizioni umane scoprono che altri sistemi e altre credenze, altri costumi o altri stili di vita, possono non solo essere pari ai nostri, ma possono epurare, completare, correggere, mettere in risalto, e magari anche cambiare quelle che fino a quel momento erano considerate acquisizioni definitive, e quindi in toccabili, dell'umanità. [21]


    NOTE

    1 Vedi CORNILLE C., The im-possibiliy of interreligious dialogue, Herder & Herder, New York 2008, 59-94.
    2 Vedi Ibid., 95-135.
    3 PANIKKAR R., Religione e le religioni, Opera Omnia II, Jaca Book, Milano 2011, 210; cf 210-230.
    4 Ibid., 9-58; CARLOS SUSIN L., Spirituality in the intercultural and inter-religious dialogue, in GNANAPRAGASAM & SCHÜSSLER FIORENZA E. (eds.), Negotiating borders. Theological explorations in the global era, ISPECK, Delhi 2008, 218-220.
    5 Vedi CORNILLE C., The im-possibilio of interreligious dialogue, 137-176.
    6 Ibid., 153. Cf PANIKKAR R., Religione e le religioni, 228.
    7 Ibid., 157.
    8 Ibid., 161.
    9 Ibid., 162.

    10 Ibid., 164.
    11 Vedi Ibid., 177-210; PANIKKAR R., Religione e le religioni; 117-149.
    12 Cf GITTINS A.J., Gifts and strangers. Meeting the challenge of inculturation, Paulist Press, New York & Mahwah 1989; ANTHONY F.-V., Fondamenti cristiani per una pastorale migratoria attuale, in BENTOGLIO G. (a cura), Sfide alla Chiesa in cammino. Strutture di pastorale migratoria, Urbaniana University Press, Roma 2010, 77-92.
    13 PANIKKAR R., Vita e parola, 96.
    14 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il decennio 2010-2020, EDB, Bologna 2010, n. 14.
    15 Ibid.
    16 Ibid., n. 35.
    17 Cf Ibid., nn. 39-43.
    18 Cf Ibid., nn. 46-49.

    19 SANTERINI M., intercultura, 550.
    20 Cf PANIKKAR R., Vita e parola, 94s.
    21 Ibid., 95.


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