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    Educare al tempo

    della laicità

    Paola Bignardi

    La crisi dell'educazione è determinata anche da una cultura che ha contribuito a togliere valore all'educazione. Veniamo da anni nei quali era quasi impossibile parlare di educazione, fino al punto che il termine stesso è stato sostituito «con surrogati lessicali, che in fondo tradiscono la paura di raccogliere e affrontare la sfida vera, che è appunto quella educativa» [1]. Essa è stata spesso considerata come sopravvivenza di una mentalità del passato, superata da una visione dell'uomo "emancipata" nella prospettiva di una laicità che, paradossalmente, ha tolto valore all'educazione e ancor prima alla persona.
    La concezione della laicità che si è diffusa nel nostro tempo, sia nelle sue forme più estreme e radicali che in quelle più moderate, porta con sé non solo l'idea della separazione tra dimensione religiosa e dimensione secolare, ma quella della neutralità di fronte a visioni della vita connotate dal punto di vista dei valori.
    Questo orientamento ha raggiunto anche il modo comune di pensare: oggi si ritiene che non vi siano valori che possano essere considerati universalmente condivisibili. Ciascuno può avere la propria visione della vita, ma questa non può che essere un fatto privato, senza riconoscimenti pubblici, tanto meno legislativi, o riguardanti i programmi scolastici o educativi. In questo contesto, appare difficile impostare l'educazione; essa infatti suppone un modo di pensare la vita, un'idea della persona e della convivenza civile. Allora quali valori assumere per educare oggi? Quale idea di persona porre a fondamento della propria azione?
    Questa incertezza è rafforzata dal carattere pluralistico e multiculturale della società di oggi; se le visioni della vita presenti nella società sono numerose e anche molto differenti tra di loro, a quale di esse educare? Chi decide l'orientamento da dare ai ragazzi e ai giovani? Ma «l'autentico pluralismo, ben lungi dall'esigere la rinunzia alla propria identità storica, culturale, religiosa, da parte dei soggetti che si confrontano, la suppone. Una società dove – per un malinteso rispetto degli altri – ognuno rinunziasse ad essere se stesso, sarebbe il regno del nichilismo» [2].
    Riflessi di questa concezione relativista si riconoscono facilmente nella scuola, soprattutto a proposito di quei capitoli dell'educazione dove maggiormente è in gioco la dimensione etica e valoriale: l'educazione religiosa e quella affettiva e sessuale, aspetti della vita su cui più frequentemente oggi vi sono visioni plurali e fortemente divergenti. Non sono poche le scuole nelle quali per Natale non si fa più il presepe e che hanno trasformato questa festa religiosa in una festa della pace, o in un momento di folclore stagionale, con abeti, neve e Babbo Natale. Si dice che sia per rispettare i ragazzi che professano altre religioni, ma questo costume è iniziato ben prima che nelle scuole del nostro Paese fossero presenti tanti ragazzi stranieri, e testimonia l'imbarazzo di assumere un'esplicita e definita visione della vita.
    Ma non sono lontani da questo modo di pensare quei genitori che scelgono di astenersi dal dare ai propri figli un'educazione religiosa, ritenendo che debba essere l'interessato, quando sarà il momento, a scegliere se credere oppure no, se impegnarsi in una prospettiva di fede oppure no.
    Eppure, come non rendersi conto che anche questo è un modo per assumere una visione della vita? Che anche questo modo comunica un'idea di persona? Dunque, di educazione?
    Vi è un'altra forma di arretramento di fronte alla dimensione valoriale e alla prospettiva personalista nella scuola. Alcuni anni fa è entrata in voga la scuola delle tre "i": inglese, informatica, impresa; secondo questa prospettiva sono state introdotte riforme e programmi scolastici. In effetti, questo modo di pensare traduce sul piano pratico la mentalità che riconosce valore alla scuola in rapporto alla sua capacità di essere utile concretamente, funzionale all'inserimento nel mondo del lavoro, dominato oggi dalla cultura tecnologica. Rimane fuori da tale concezione una fondamentale responsabilità della scuola: quella educativa, che riguarda la persona nella sua globalità, nelle sue esigenze di crescita in umanità, in maniera integrale, prima e al di là di ciò di cui essa ha bisogno per il lavoro e per l'inserimento nella società. Anche la scuola che si accontenta di istruire è espressione di una cultura che rinuncia a educare la persona, o che ritiene che basti istruire per educare. Anche in questo modo si pretende di garantire quella neutralità valoriale invocata da una certa visione laica della società.
    In famiglia, le forme dell'arretramento educativo si riconoscono nella scelta di taluni genitori di lasciar fare ai loro figli tutte le esperienze che vogliono, abbandonandoli senza rete di fronte ai rischi che, tra l'altro, questo comporta. O nel desiderio di lasciarli liberi di esprimersi, di tirar fuori da sé le loro risorse, le loro attitudini, le loro preferenze. Così non ci si accorge di quanto si lascino soli i più giovani di fronte al compito più impegnativo della vita, che è quello di capire e di decidere che cosa è in) portante e che cosa non lo è.
    È evidente (mine tin tale modo di pensare e di impostare il rapporto tra gli adulti e le nuove generazionisia carico di conseguenze, che espongono le giovani generazioni ai rischi della crescita; le conseguenze di questo sono proprio ciò che denominiamo "emergenza educativa".
    Ci sono alternative significative e autorevoli a questo modo di porsi di fronte alla questione educativa?
    Credo che sia necessario ricostruire con un certo rigore i passaggi fondamentali di una riflessione sulla laicità, sul rapporto che esiste tra questione antropologica ed educazione, sull'educazione e sul suo significato, sul profilo di un possibile progetto educativo per questo tempo complesso e plurale.
    Anche negli ambienti cosiddetti laici, si va diffondendo negli ultimi tempi l'esigenza di una "laicità positiva" che contemperi la necessità di una corretta distinzione tra sfera religiosa e sfera politica e che al tempo stesso mitighi gli aspetti più radicali di intendere la laicità, riconoscendo che in essi si giunge ad un impoverimento della vita della società e si immettono in essa elementi conflittuali laceranti. È la posizione espressa da Benedetto XVI a Parigi, dove ha affermato il valore di una laicità positiva [3].
    Si tratta di una visione nella quale la comune natura umana, come universale, e la dimensione creaturale contribuiscono a dare valore alla realtà, alle cose e all'esistenza delle persone e, in questa prospettiva, a dare orizzonti di impegno e di vasto respiro all'educazione stessa.la prospettiva indicata chiaramente dal Concilio Vaticano II quando afferma che dalla condizione di creature le cose prendono «la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine» [4] riconoscendo al tempo stesso la necessità dell'impegno dei cristiani nell'affermare il valore di ciò che li accomuna alla vita di tutti e la responsabilità di vivere nel mondo assumendo una prospettiva di universale legame con gli altri e di solidarietà con le realtà storiche' [5].
    Anche nella società attuale è possibile una via diversa da quella di un'educazione neutrale e di una scuola indifferente ad ogni valore. In una prospettiva laica l'educazione non può fare a meno di valori umani di riferimento; laicità non è solo separazione e distinzione di ambiti, ma riconoscimento della qualità e dei contenuti della vicenda umana nella sua dimensione universale, comune a tutti. È quanto fanno per altro le grandi Carte: la Carta dei diritti umani, che si fonda su valori universalmente riconosciuti; è ciò che fa la nostra Carta costituzionale, che esprime la prospettiva culturale e sociale che costituisce l'identità del nostro Paese e che sta alla base della convivenza dei suoi cittadini. Essa, nata dal confronto di visioni della vita e della società molto diverse tra loro, è ispirata a una visione personalista e contiene il riferimento a valori essenziali: la centralità della persona; il lavoro come diritto e come dovere; la libertà e le libertà – di pensiero, di culto, di associazione, di stampa –; la famiglia fondata sul matrimonio; la scuola come diritto per tutti; la giustizia, la democrazia e le istituzioni che la garantiscono. I valori costituzionali possono costituire una base capace di sostenere un progetto educativo per questo nostro tempo.
    Ridare dignità e vigore al compito educativo richiede la scelta di rimettere a fuoco il valore della persona e al tempo stesso il rapporto che esiste tra persona ed educazione.

    NOTE

    [1] P. ANDRIA, in A,.Vv., Educazione, un'emergenza?, cit., p. 10.

    [2] G. SAVAGNONE, Dibattito sulla laicità, Elledici, Torino 2006, p. 31.

    [3] BENEDETTO XVI, Discorso all'Eliseo, Parigi, 12 settembre 2008.

    [4] CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 36.

    [5] Su questo aspetto, cfr. il mio Dare sapore alla vita. Da laici nel mondo e nella Chiesa. Editrice AVE, Roma 2009.

     


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