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     Salmo 50

    Pietà di me, o Signore

    Udienze generali di Giovanni Paolo II

    huhnxy


    PRIMA PARTE
    Mercoledì 24 ottobre 2001
    Lodi Venerdì 1a Settimana (Lettura: Sal 50,3-5.11-12.19)

    1. Abbiamo ascoltato il Miserere, una delle preghiere più celebri del Salterio, il più intenso e ripetuto Salmo penitenziale, il canto del peccato e del perdono, la più profonda meditazione sulla colpa e sulla grazia. La Liturgia delle Ore ce lo fa ripetere alle Lodi di ogni venerdì. Da secoli e secoli sale al cielo da tanti cuori di fedeli ebrei e cristiani come un sospiro di pentimento e di speranza rivolto a Dio misericordioso.
    La tradizione giudaica ha posto il Salmo sulle labbra di Davide sollecitato alla penitenza dalle parole severe del profeta Natan (cfr vv. 1-2; 2Sam 11-12), che gli rimproverava l’adulterio compiuto con Betsabea e l’uccisione del marito di lei Uria. Il Salmo, tuttavia, si arricchisce nei secoli successivi, con la preghiera di tanti altri peccatori, che recuperano i temi del "cuore nuovo" e dello "Spirito" di Dio infuso nell’uomo redento, secondo l’insegnamento dei profeti Geremia ed Ezechiele (cfr v. 12; Ger 31,31-34; Ez 11,19; 36, 24-28).

    2. Due sono gli orizzonti che il Salmo 50 delinea. C’è innanzitutto la regione tenebrosa del peccato (cfr vv. 3-11), in cui è situato l’uomo fin dall’inizio della sua esistenza: "Ecco, nella colpa sono stato generato, peccatore mi ha concepito mia madre" (v. 7). Anche se questa dichiarazione non può essere assunta come una formulazione esplicita della dottrina del peccato originale quale è stata delineata dalla teologia cristiana, è indubbio che essa vi corrisponde: esprime infatti la dimensione profonda dell’innata debolezza morale dell’uomo. Il Salmo appare in questa prima parte come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio. Tre sono i termini ebraici usati per definire questa triste realtà, che proviene dalla libertà umana male impiegata.

    3. Il primo vocabolo, hattá, significa letteralmente un "mancare il bersaglio": il peccato è un’aberrazione che ci conduce lontano da Dio, meta fondamentale delle nostre relazioni, e per conseguenza anche dal prossimo.
    Il secondo termine ebraico è ‘awôn, che rinvia all’immagine del "torcere", del "curvare". Il peccato è, quindi, una deviazione tortuosa dalla retta via; è l’inversione, la distorsione, la deformazione del bene e del male, nel senso dichiarato da Isaia: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre" (Is 5,20). Proprio per questo motivo nella Bibbia la conversione è indicata come un "ritornare" (in ebraico shûb) sulla retta via, compiendo una correzione di rotta.
    La terza parola con cui il Salmista parla del peccato è peshá. Essa esprime la ribellione del suddito nei confronti del sovrano, e quindi un’aperta sfida rivolta a Dio e al suo progetto per la storia umana.

    4. Se l’uomo, però, confessa il suo peccato, la giustizia salvifica di Dio è pronta a purificarlo radicalmente. È così che si passa nella seconda regione spirituale del Salmo, quella luminosa della grazia (cfr vv. 12-19). Attraverso la confessione delle colpe si apre, infatti, per l’orante un orizzonte di luce in cui Dio è all’opera. Il Signore non agisce solo negativamente, eliminando il peccato, ma ricrea l’umanità peccatrice attraverso il suo Spirito vivificante: infonde nell’uomo un "cuore" nuovo e puro, cioè una coscienza rinnovata, e gli apre la possibilità di una fede limpida e di un culto gradito a Dio.
    Origene parla a tal proposito di una terapia divina, che il Signore compie attraverso la sua parola e mediante l’opera guaritrice di Cristo: "Come per il corpo Dio predispose i rimedi dalle erbe terapeutiche sapientemente mescolate, così anche per l’anima preparò medicine con le parole che infuse, spargendole nelle divine Scritture… Dio diede anche un’altra attività medica di cui è archiatra il Salvatore il quale dice di sé: ‘Non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati’. Lui era il medico per eccellenza capace di curare ogni debolezza, ogni infermità" (Omelie sui Salmi, Firenze 1991, pp. 247-249).

    5. La ricchezza del Salmo 50 meriterebbe un’esegesi accurata di ogni sua parte. È ciò che faremo quando tornerà a risuonare nei vari venerdì delle Lodi. Lo sguardo d’insieme, che ora abbiamo rivolto a questa grande supplica biblica, ci rivela già alcune componenti fondamentali di una spiritualità che deve riverberarsi nell’esistenza quotidiana dei fedeli. C’è innanzitutto un senso vivissimo del peccato, percepito come una scelta libera, connotata negativamente a livello morale e teologale: "Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto" (v. 6).
    C’è poi nel Salmo un senso altrettanto vivo della possibilità di conversione: il peccatore, sinceramente pentito, (cfr v. 5), si presenta in tutta la sua miseria e nudità a Dio, supplicandolo di non respingerlo dalla sua presenza (cfr v. 13).
    C’è, infine, nel Miserere, una radicata convinzione del perdono divino che "cancella, lava, monda" il peccatore (cfr vv. 3-4) e giunge perfino a trasformarlo in una nuova creatura che ha spirito, lingua, labbra, cuore trasfigurati (cfr vv. 14-19). "Anche se i nostri peccati - affermava santa Faustina Kowalska - fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria. Occorre una cosa sola: che il peccatore socchiuda almeno un poco la porta del proprio cuore… il resto lo farà Dio… Ogni cosa ha inizio nella tua misericordia e nella tua misericordia finisce" (M. Winowska, L’icona dell’Amore misericordioso. Il messaggio di suor Faustina, Roma 1981, p. 271).


    SECONDA PARTE
    Mercoledì, 8 maggio 2002
    Lodi Venerdì 2a settimana (Lettura: Sal 50, 3.6.9-10)

    1. Ogni settimana della Liturgia delle Lodi è scandita al venerdì dal Salmo 50, il Miserere, il Salmo penitenziale più amato, cantato e meditato, inno al Dio misericordioso elevato dal peccatore pentito. Abbiamo già avuto occasione in una catechesi precedente di presentare il quadro generale di questa grande preghiera. Si entra innanzitutto nella regione tenebrosa del peccato per portarvi la luce del pentimento umano e del perdono divino (cfr vv. 3-11). Si passa poi ad esaltare il dono della grazia divina, che trasforma e rinnova spirito e cuore del peccatore pentito: è questa una regione luminosa, colma di speranza e di fiducia (cfr vv. 12-21).
    In questa nostra riflessione ci soffermeremo, per alcune considerazioni, sulla prima parte del Salmo 50 approfondendone qualche aspetto. In apertura, però, vorremmo porre la stupenda proclamazione divina del Sinai, che è quasi il ritratto del Dio cantato dal Miserere: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato" (Es 34, 6-7).

    2. L’iniziale invocazione si eleva a Dio per ottenere il dono della purificazione che renda - come diceva il profeta Isaia - "bianchi come neve" e "come lana" i peccati, in se stessi simili a "scarlatto" e "rossi come porpora" (cfr Is 1, 18). Il Salmista confessa il suo peccato in modo netto e senza esitazioni: "Riconosco la mia colpa… Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto" (Sal 50, 5-6).
    Entra, dunque, in scena la coscienza personale del peccatore che si apre a percepire chiaramente il suo male. È un’esperienza che coinvolge libertà e responsabilità, e conduce ad ammettere di aver spezzato un legame per costruire una scelta di vita alternativa rispetto alla Parola divina. Ne consegue una decisione radicale di mutamento. Tutto questo è racchiuso in quel "riconoscere", un verbo che in ebraico non comprende solo un’adesione intellettuale ma una scelta vitale.
    È ciò che, purtroppo, molti non compiono, come ci ammonisce Origene: "Ci sono alcuni che dopo aver peccato sono assolutamente tranquilli e non si danno pensiero del loro peccato né sono sfiorati dalla consapevolezza del male commesso, ma vivono come se nulla fosse. Costoro certo non potrebbero dire: il mio peccato mi è sempre dinanzi. Quando invece, dopo il peccato, uno si consuma e si affligge per il suo peccato, è tormentato dai rimorsi, è dilaniato senza tregua e subisce assalti nel suo intimo che si leva a confutarlo, costui a buon diritto esclama: non c’è pace per le mie ossa di fronte all’aspetto dei miei peccati… Quando dunque ci mettiamo davanti agli occhi del nostro cuore i peccati commessi, li guardiamo uno per uno, li riconosciamo, arrossiamo e ci pentiamo di quanto abbiamo fatto, allora sconvolti ed atterriti giustamente diciamo che non c’è pace nelle nostre ossa di fronte all’aspetto dei nostri peccati…" (Omelie sui Salmi, Firenze 1991, pp. 277-279). Il riconoscimento e la consapevolezza del peccato è dunque frutto di una sensibilità acquisita grazie alla luce della Parola di Dio.

    3. Nella confessione del Miserere c’è una sottolineatura particolarmente marcata: il peccato non è colto solo nella sua dimensione personale e "psicologica", ma è delineato soprattutto nella sua qualità teologica. "Contro di te, contro te solo ho peccato" (Sal 50, 6), esclama il peccatore, a cui la tradizione ha dato il volto di Davide, consapevole del suo adulterio con Betsabea, e della denuncia del profeta Natan contro questo crimine e quello dell’uccisione del marito di lei, Uria (cfr v. 2; 2Sam 11-12).
    Il peccato non è, quindi, una mera questione psicologica o sociale, ma è un evento che intacca la relazione con Dio, violando la sua legge, rifiutando il suo progetto nella storia, scardinando la scala dei valori, "cambiando le tenebre in luce e la luce in tenebre", cioè "chiamando bene il male e male il bene" (cfr Is 5, 20). Prima che un’eventuale ingiuria contro l’uomo, il peccato è innanzitutto tradimento di Dio. Emblematiche sono le parole che il figlio prodigo di beni pronunzia davanti a suo padre prodigo d’amore: "Padre, ho peccato contro il cielo – cioè contro Dio - e contro di te!" (Lc 15, 21).

    4. A questo punto il Salmista introduce un altro aspetto, più direttamente connesso alla realtà umana. È la frase che ha suscitato molte interpretazioni e che è stata anche collegata alla dottrina del peccato originale: "Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre" (Sal 50, 7). L’orante vuole indicare la presenza del male nell’intero nostro essere, come è evidente nella menzione della concezione e della nascita, un modo per esprimere l’intera esistenza partendo dalla sua sorgente. Il salmista, tuttavia, non ricollega formalmente questa situazione al peccato di Adamo ed Eva, non parla cioè esplicitamente di peccato originale.
    Resta comunque chiaro che, secondo il testo del Salmo, il male si annida nelle profondità stesse dell’uomo, è inerente alla sua realtà storica e per questo è decisiva la domanda dell’intervento della grazia divina. La potenza dell’amore di Dio supera quella del peccato, il fiume dirompente del male ha minor forza dell’acqua fecondatrice del perdono: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5, 20).

    5. Per questa via la teologia del peccato originale e l’intera visione biblica dell’uomo peccatore vengono indirettamente evocati con parole che lasciano al tempo stesso intravedere la luce della grazia e della salvezza.
    Come avremo occasione di scoprire in futuro ritornando su questo Salmo e sui versetti successivi, la confessione della colpa e la consapevolezza della propria miseria non sfociano nel terrore o nell’incubo del giudizio, bensì nella speranza della purificazione, della liberazione, della nuova creazione.
    Dio, infatti, ci salva "non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro" (Tt 3, 5-6).


    TERZA PARTE
    Mercoledì, 4 dicembre 2002
    Lodi del venerdì della 3a settimana (Sal 50,3.12-13.15-16)

    1. Ogni settimana la Liturgia delle Lodi ripropone il Salmo 50, il celebre Miserere. Noi l’abbiamo già meditato altre volte in alcune sue parti. Anche ora sosteremo in modo particolare su una sezione di questa grandiosa implorazione di perdono: i versetti 12-16.
    È significativo innanzitutto notare che, nell’originale ebraico, per tre volte risuona la parola «spirito», invocato da Dio come dono e accolto dalla creatura pentita del suo peccato: «Rinnova in me uno spirito saldo… Non privarmi del tuo santo spirito… Sostieni in me uno spirito generoso» (vv. 12.13.14). Potremmo quasi parlare – ricorrendo a un termine liturgico - di un’«epiclesi», cioè di una triplice invocazione dello Spirito che, come nella creazione si librava sulle acque (cfr Gn 1,2), ora penetra nell’anima del fedele infondendo una nuova vita e innalzandola dal regno del peccato al cielo della grazia.

    2. I Padri della Chiesa nello «spirito» invocato dal Salmista vedono la presenza efficace dello Spirito Santo. Così sant’Ambrogio è convinto che si tratti dell’unico Spirito Santo «che ribollì con fervore nei profeti, fu insufflato [da Cristo] negli apostoli, fu unito al Padre e al Figlio nel sacramento del battesimo» (Lo Spirito Santo I, 4, 55: SERMO 16, p. 95). La stessa convinzione è espressa da altri Padri come Didimo il Cieco di Alessandria d’Egitto e Basilio di Cesarea nei rispettivi trattati sullo Spirito Santo (Didimo il Cieco, Lo Spirito Santo, Roma 1990, p. 59; Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, IX, 22, Roma 1993, p. 117 s.).
    E ancora sant’Ambrogio, osservando che il Salmista parla della gioia da cui l’anima è invasa una volta ricevuto lo Spirito generoso e potente di Dio, commenta: «La letizia e la gioia sono frutti dello Spirito e lo Spirito Sovrano è ciò su cui noi soprattutto ci fondiamo. Chi perciò è rinvigorito con lo Spirito Sovrano non soggiace alla schiavitù, non sa essere schiavo del peccato, non sa essere indeciso, non vaga qua e là, non è incerto nelle scelte, ma, piantato sulla roccia, sta saldo su piedi che non vacillano» (Apologia del profeta David a Teodosio Augusto, 15,72: SERMO 5,129).

    3. Con questa triplice menzione dello «spirito», il Salmo 50, dopo aver descritto nei versetti precedenti la prigione oscura della colpa, si apre sulla regione luminosa della grazia. È una grande svolta, paragonabile a una nuova creazione: come alle origini Dio aveva insufflato il suo spirito nella materia e aveva dato origine alla persona umana (cfr Gn 2,7), così ora lo stesso Spirito divino ri-crea (cfr Sal 50,12), rinnova, trasfigura e trasforma il peccatore pentito, lo riabbraccia (cfr v. 13) e lo rende partecipe della gioia della salvezza (cfr v. 14). Ormai l’uomo, animato dallo Spirito divino, s’avvia sulla strada della giustizia e dell’amore, come si dice in un altro Salmo: «Insegnami a compiere il tuo volere, perché tu sei il mio Dio. Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana» (Sal 142,10).

    4. Sperimentata questa rinascita interiore, l’orante si trasforma in testimone; promette a Dio di «insegnare agli erranti le vie» del bene (Sal 50,15), così che essi possano, come il figlio prodigo, ritornare alla casa del Padre. Nello stesso modo sant’Agostino, dopo aver percorso le strade tenebrose del peccato, aveva poi sentito il bisogno nelle sue Confessioni di attestare la libertà e la gioia della salvezza.
    Chi ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio ne diviene un testimone ardente, soprattutto nei confronti di quanti sono ancora impigliati nelle reti del peccato. Pensiamo alla figura di Paolo che, folgorato da Cristo sulla via di Damasco, diventa un instancabile missionario della grazia divina.

    5. Per un’ultima volta l’orante guarda al suo passato oscuro e grida a Dio: «Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza» (v. 16). Il «sangue», a cui egli fa cenno, è variamente interpretato nella Scrittura. L’allusione, messa in bocca al re Davide, fa riferimento all’uccisione di Uria, il marito di Betsabea, la donna che era stata oggetto della passione del sovrano. In senso più generale, l’invocazione indica il desiderio di purificazione dal male, dalla violenza, dall’odio sempre presenti nel cuore umano con forza tenebrosa e malefica. Ora, però, le labbra del fedele, purificate dal peccato, cantano al Signore.
    E il brano del Salmo 50, che abbiamo oggi commentato, finisce appunto con l’impegno di proclamare la «giustizia» di Dio. Il termine «giustizia» qui, come spesso nel linguaggio biblico, non designa propriamente l’azione punitiva di Dio nei confronti del male, ma indica piuttosto la riabilitazione del peccatore, perché Dio manifesta la sua giustizia col rendere giusti i peccatori (cfr Rm 3,26). Dio non ha piacere per la morte del malvagio, ma che desista dalla sua condotta e viva (cfr Ez 18,23).

    QUARTA PARTE
    Mercoledì, 30 luglio 2003
    Lodi del Venerdì della 4a settimana (Lettura: Sal 50,3-4.15.17-19)

    1. È la quarta volta che ascoltiamo, durante queste nostre riflessioni sulla Liturgia delle Lodi, la proclamazione del Salmo 50, il celebre Miserere. Esso, infatti, è riproposto nel venerdì di ogni settimana, perché divenga un’oasi di meditazione, dove scoprire il male che si annida nella coscienza ed invocare dal Signore purificazione e perdono. Come confessa, infatti, il Salmista in un’altra supplica, «nessun vivente davanti a te è giusto», o Signore (Sal 142,2). Nel Libro di Giobbe si legge: «Come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato di donna? Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi: quanto meno l’uomo, questo verme, l’essere umano, questo bruco!» (25,4-6).
    Frasi forti e drammatiche, che vogliono mostrare in tutta serietà e gravità il limite e la fragilità della creatura umana, la sua capacità perversa di seminare male e violenza, impurità e menzogna. Tuttavia, il messaggio di speranza del Miserere, che il Salterio pone sulle labbra di Davide, peccatore convertito, è questo: Dio può «cancellare, lavare, mondare» la colpa confessata con cuore contrito (cfr Sal 50,2-3). Dice il Signore attraverso la voce di Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (1,18).

    2. Ci fermeremo questa volta brevemente sulla finale del Salmo 50, una finale piena di speranza perché l’orante è consapevole di essere stato perdonato da Dio (cfr vv. 17-21). Ormai la sua bocca sta per proclamare al mondo la lode del Signore, attestando in tal modo la gioia che sperimenta l’anima purificata dal male e perciò liberata dal rimorso (cfr v. 17).
    L’orante testimonia in modo netto un’altra convinzione, connettendosi all’insegnamento reiterato dei profeti (cfr Is 1,10-17; Am 5,21-25; Os 6,6): il sacrificio più gradito che sale al Signore come profumo e fragranza soave (cfr Gn 8,21) non è l’olocausto di tori e di agnelli ma piuttosto il «cuore affranto e umiliato» (Sal 50,19).
    L’Imitazione di Cristo, testo tanto caro alla tradizione spirituale cristiana, ripete lo stesso ammonimento del Salmista: «L’umile contrizione dei peccati è per te il sacrificio gradito, un profumo molto più soave del fumo dell’incenso… Là si purifica e si lava ogni iniquità» (III, 52,4).

    3. Il Salmo si conclude in modo inaspettato con una prospettiva completamente diversa, che sembra persino contraddittoria (cfr vv. 20-21). Dall’ultima supplica di un singolo peccatore si passa a una preghiera per la ricostruzione di tutta la città di Gerusalemme, il che ci trasporta dall’epoca di Davide a quella della distruzione della città, secoli dopo. D’altra parte, dopo aver espresso nel v. 18 il rifiuto divino delle immolazioni di animali, il Salmo annuncia nel v. 21 che Dio gradirà queste stesse immolazioni.
    È chiaro che questo passo finale è un’aggiunta posteriore, fatta nel tempo dell’esilio, che vuole, in un certo senso, correggere o almeno completare la prospettiva del Salmo davidico. E questo su due punti: da una parte, non si è voluto che tutto il Salmo si restringesse a una preghiera individuale; bisognava pensare anche alla situazione pietosa di tutta la città. Dall’altra parte, si è voluto ridimensionare il rifiuto divino dei sacrifici rituali; questo rifiuto non poteva essere né completo né definitivo, perché si trattava di un culto prescritto da Dio stesso nella Torah. Chi ha completato il Salmo ha avuto una intuizione valida: ha capito la necessità in cui si trovano i peccatori, la necessità di una mediazione sacrificale. I peccatori non sono in grado di purificarsi da soli; non bastano buoni sentimenti. Ci vuole una mediazione esterna efficace. Il Nuovo Testamento rivelerà il senso pieno di questa intuizione, mostrando che con l’offerta della sua vita, Cristo ha effettuato una mediazione sacrificale perfetta.

    4. Nelle sue Omelie su Ezechiele san Gregorio Magno ha colto bene la differenza di prospettiva che esiste tra i vv. 19 e 21 del Miserere. Egli ne propone una interpretazione, che possiamo anche accogliere, concludendo così la nostra riflessione. San Gregorio applica il v. 19, che parla di spirito contrito, all’esistenza terrena della Chiesa e il v. 21, che parla di olocausto, alla Chiesa nel cielo.
    Ecco le parole di quel grande Pontefice: «La santa Chiesa ha due vite: una che conduce nel tempo, l’altra che riceve in eterno; una con cui fatica in terra, l’altra che viene ricompensata in cielo; una con cui raccoglie i meriti, l’altra che ormai gode dei meriti raccolti. E nell’una e nell’altra vita offre il sacrificio: qui il sacrificio della compunzione e lassù il sacrificio di lode. Del primo sacrificio è detto: "Uno spirito contrito è sacrificio a Dio" (Sal 50,19); del secondo sta scritto: "Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione" (Sal 50, 21)… In entrambi si offrono le carni, perché qui l’oblazione della carne è la mortificazione del corpo, lassù l’oblazione della carne è la gloria della risurrezione nella lode a Dio. Lassù si offrirà la carne come in olocausto, allorché trasformata nella incorruttibilità eterna, non ci sarà più nessun conflitto e niente di mortale, perché perdurerà tutta intera accesa di amore per lui, nella lode senza fine» (Omelie su Ezechiele/2, Roma 1993, p. 271).

     

    Pietà di me, o Dio,
            secondo la tua misericordia; 
        nel tuo grande amore
            cancella il mio peccato.

    Lavami da tutte le mie colpe, 
        mondami dal mio peccato.
    Riconosco la mia colpa, 
        il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

    Contro di te, contro te solo ho peccato, 
        quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;
    perciò sei giusto quando parli, 
        retto nel tuo giudizio.

    Ecco, nella colpa sono stato generato, 
        nel peccato mi ha concepito mia madre.
    Ma tu vuoi la sincerità del cuore 
        e nell'intimo m'insegni la sapienza.

    Purificami con issopo e sarò mondato; 
        lavami e sarò più bianco della neve.
    Fammi sentire gioia e letizia, 
        esulteranno le ossa che hai spezzato.

    Distogli lo sguardo dai miei peccati, 
        cancella tutte le mie colpe.
    Crea in me, o Dio, un cuore puro, 
        rinnova in me uno spirito saldo.

    Non respingermi dalla tua presenza 
        e non privarmi del tuo santo spirito.
    Rendimi la gioia di essere salvato, 
        sostieni in me un animo generoso.

    Insegnerò agli erranti le tue vie 
        e i peccatori a te ritorneranno.
    Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, 
        la mia lingua esalterà la tua giustizia.

    Signore, apri le mie labbra 
        e la mia bocca proclami la tua lode;
    poiché non gradisci il sacrificio 
        e, se offro olocausti, non li accetti.

    Uno spirito contrito 
        è sacrificio a Dio,
    un cuore affranto e umiliato, 
        tu, o Dio, non disprezzi.

    Nel tuo amore
            fa' grazia a Sion, 
        rialza le mura
            di Gerusalemme.

    Allora gradirai i sacrifici prescritti, 
        l'olocausto e l'intera oblazione,
    allora immoleranno vittime 
        sopra il tuo altare.


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