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    Pace e giustizia nel messaggio dei profeti (cap. 8 di: Dio e l'uomo)


    Mario Cimosa, DIO E L'UOMO: LA STORIA DI UN INCONTRO, Elledici 1997



    La dimensione religiosa della vita per i profeti non è mai distinta da quella politica e sociale. Nella concezione biblica l'uomo è un'unità e anche la vita del popolo è unitaria.
    Per i profeti la pace non si identifica mai solo con la sicurezza, l'assenza di nemici, la mancanza di guerra, anche se include tutti questi elementi. Per cui la traduzione greca eirene o quella latina pax sono riduttive e non coprono tutta l'area semantica dell'ebraico shalom.
    La pace non coincide con la sola felicità dell'uomo o il suo benessere materiale, fisico o spirituale, anche se completo. Ma essendo la pace un bene veramente straordinario, la sua realizzazione non si potrà mai raggiungere pienamente nei limiti angusti della vita terrena benché talvolta se ne potranno ottenere delle realizzazioni parziali. La pace piena e definitiva è riservata quindi solo per la fine dei tempi.
    Inoltre la pace vera è dono di Dio e quindi la si deve attendere da lui, non senza la collaborazione umana.
    Queste convinzioni sono a monte di tutti i testi profetici che parlano della pace e ne sottolineano sempre la dimensione escatologica, per cui occorre tenerne conto.
    La pace come attesa viene quindi sempre vissuta come una realtà che si «spera» di raggiungere. Essa va quindi coniugata con la dimensione della speranza nella vita. Una speranza però dinamica e attiva che permette, man mano che la storia avanza, realizzazioni parziali, quasi caparra della pace definitiva. Le stesse figure messianiche, prima che proiezione verso il futuro, sono un modello per il presente.
    Una delle conseguenze della pace è un ritrovato equilibrio delle forze della natura e del rapporto dell'uomo con il creato. Scriveva in modo molto suggestivo Lutero: «L'uomo giocherà con cielo e terra e sole e con tutte le creature; tutte le creature proveranno anche un piacere, un amore, una gioia lirica e rideranno con te e tu a tua volta riderai con loro» (M. Lutero).
    Inoltre, essendo un bene pieno, il suo concetto è determinato ulteriormente da quello della giustizia (sedaqah) e in particolare, specie nei profeti, questi due concetti come espressione di due realtà parallele vanno sempre assieme. L'una presuppone l'altra e non si realizza se non con l'altra.
    Questa pace finale è vista come raggiunta per mezzo della persona e dell'opera di un rappresentante di Dio, il messia, perciò si chiama anche «pace messianica».
    Queste brevi riflessioni introduttive determinano anche l'area di questo capitolo sulla pace messianica nei profeti, in particolare in Isaia.

    La pace e il rapporto dell'uomo con il creato

    Una pace sperata significa la ricomposizione della perfetta armonia dell'uomo con il suo Dio, col suo simile e con il cosmo.
    «La solidarietà uomo-cosmo è una delle grandi costanti dell'antropologia biblica. Gli interventi storici di Dio non si lasciano circoscrivere a questo settore della sua creazione che è la specie umana; sempre raggiungono una risonanza cosmica» (J.L. Ruiz de la Peña).
    Diversi testi profetici mostrano questo collegamento della pace con l'armonia dell'uomo con il creato. La benedizione divina promessa ha in tutto l'AT i tratti classici della pace, armonia con Dio, prosperità, gioia, longevità. Eccone qualche esemplificazione.

    La futura restaurazione (Am 9,11-15)

    Il libro del profeta Amos si conclude con due brevi testi che descrivono con linguaggio escatologico la futura restaurazione d'Israele e i giorni futuri per tutta l'umanità e lo fanno in termini di pace piena, cioè di abbondanza e di sicurezza.

    Verrà il giorno in cui - dice il Signore -
    non si finirà di seminare il grano,
    che sarà già ora di mietere; non si finirà di pigiare l'uva,
    che sarà già ora di vendemmiare di nuovo.
    Dai monti stillerà il vino dolce,
    e scorrerà giù per le colline.
    Farò tornare il mio popolo Israele nella sua terra.
    Ricostruirà le sue città devastate, e vi abiterà.
    Pianterà vigne, e ne berrà il vino.
    Coltiverà giardini, e ne mangerà i frutti.
    Io lo trapianterò nella terra che gli ho dato,
    mai più ne sarà sradicato.
    Così ha parlato il Signore Dio tuo.

    Questo testo è probabilmente una delle profezie messianiche più antiche e inizia uno stile di predizione che avrà molte altre concretizzazioni nella letteratura profetica.

    Cantico delle creature e della pace (Is 11,6-9)

    In questo brano i tempi futuri vengono descritti come un ritorno al paradiso terrestre. È un canto delle creature e della pace.

    Lupi e agnelli vivranno assieme in pace,
    i leopardi si sdraieranno accanto ai capretti.
    Vitelli e leoncelli mangeranno assieme
    e un ragazzino li guiderà.
    Mucche e orse pascoleranno insieme,
    i loro piccoli si sdraieranno vicini.
    i leoni mangeranno la paglia come i buoi.
    I lattanti giocheranno presso nidi di serpenti
    e se un bambino metterà la mano
    nella tana di una vipera
    non correrà alcun pericolo.
    Nessuno farà azioni malvagie o ingiuste
    su tutto il monte del Signore.
    Come l'acqua riempie il mare,
    così la conoscenza del Signore
    riempirà tutta la terra.

    È la coabitazione pacifica e amicale degli animali ora separati da una lotta crudele. Significativa è la disposizione a coppie formate da un animale domestico e da uno selvaggio. Dopo ogni tre coppie appare l'uomo, rappresentato come un bambino.
    Le coppie esprimono la riconciliazione degli animali feroci con quelli domestici; annunciano che tutti gli animali saranno addomesticati. E questo attraverso la sottomissione dell'uomo, a tutti gli uomini, compresi i più piccoli, cioè i bambini.
    Il vero significato della pace tra gli uomini e la natura si trova espresso al v.9. È messo sulla bocca stessa di Dio: «Nessuno farà azioni malvagie o ingiuste... ma la conoscenza del Signore riempirà la terra».
    In questo nuovo paradiso non ci sarà più alcun male; esso avrà come centro il monte Santo su cui Dio sarà presente. Nel primo paradiso l'uomo si era perduto per aver aspirato alla scienza di Dio; qui invece gli sarà concessa la conoscenza di Dio che sarà il risultato di una convivenza con lui e porterà una pienezza di pace universale paragonabile soltanto all'immensità del mare.

    «Nuova creazione» e «nuovo esodo» (Is 49,9-11)

    Il Secondo e Terzo Isaia (Is 40-66) sviluppa ampiamente il tema della creazione/liberazione connesso con quello della salvezza futura. La salvezza futura sarà come quella passata di cui hanno fatto esperienza gli antenati, ma anche superiore ad essa. Il profeta usa le due categorie della «nuova creazione» e del «nuovo esodo». In questo contesto si inserisce la promessa di un futuro salvifico che coinvolgerà anche il cosmo, che non sarà più nemico dell'uomo.

    Ai prigionieri dirai: Uscite!
    A coloro che vivono nell'oscurità:
    Venite alla luce del sole.
    Saranno come pecore,
    che pascolano lungo le strade
    e trovano erba abbondante
    su ogni collina.
    Non soffriranno più la fame o la sete,
    né il sole, né il vento caldo del deserto
    li colpirà.
    Li condurrò con amore,
    li guiderò a fresche sorgenti.
    Farò passare attraverso le montagne
    facili strade.

    Questi brani uniscono antico e nuovo esodo. Questo nuovo gesto del Signore sarà al di fuori dell'ordinario, stabilirà un nuovo paradiso con una pace universale. La “via” del nuovo esodo possiamo quindi veramente chiamarla una liberazione creativa o una creazione redentiva.
    «Questo(i) testo(i) non va(nno) letto nella prospettiva di una trasformazione fisica del mondo materiale, ma - attraverso le immagini poetiche - nell'orizzonte di un cosmo ordinato e pacifico, integrato nell'esistenza dell'uomo come ambiente benefico» (A. Bonora).

    La pace e la giustizia

    Parlando del re messianico, come in Is 11,5, Isaia afferma che suoi distintivi saranno la giustizia e la fedeltà; esse rifulgeranno nel nuovo regno in modo speciale e non lo abbandoneranno mai. Nel nuovo regno messianico trionferanno la pace e la giustizia.
    Nel nuovo regno instaurato dal messia più nessuno temerà nulla. Il nuovo re non compirà imprese straordinarie, ma restituirà l'impero della giustizia e farà degli umili, già duramente oppressi, l'oggetto privilegiato delle sue illuminate decisioni. Iahvè viene in aiuto dei poveri, è dalla loro parte. Ecco perché l'AT parla così spesso delle vedove, dell'orfano e dello straniero: nella società di allora erano i più umili, i più indifesi. Toccarli è come toccare Dio nella pupilla dei suoi occhi.
    Nella denuncia delle ingiustizie sociali e nel parlare del futuro regno di giustizia, Isaia parla spesso di giustizia-diritto.
    Questo binomio viene usato soprattutto nei rimproveri, quando si tratta di denunciare le ingiustizia sociali. In Is 5,7 i frutti dell'ingiustizia sono specificati nei guai che egli lancia contro i colpevoli. Tra questi guai risaltano quelli contro i latifondisti, che solo a forza di soprusi sono giunti alla loro ricchezza; quello contro i ricchi gaudenti, che trascorrono notte e giorno in lauti banchetti noncuranti delle grida di aiuto dei poveri e oppressi; e, infine, quello contro i giudici corrotti.
    Per Amos e Isaia il giusto designa una categoria sociale, quella dei poveri, coloro che si identificano con gli aventi diritto: il giusto oppresso è il povero.
    Ma “giustizia-diritto” nella Bibbia non possono essere considerati indipendentemente dal significato religioso che implicano. Denunciando i casi di ingiustizia sociale, Isaia parla sempre del castigo incombente, un castigo molto severo che porterà alla distruzione dei due regni del sud e del nord.
    È significativa l'immagine di Is 1,16-17: Dio rigetta il culto che gli viene tributato perché l'agire del suo popolo non è secondo giustizia. Quelle mani di sacerdoti levate nell'offerta del sacrificio delle vittime, agli occhi di Iahvè grondano sangue non degli animali uccisi, ma degli oppressi, dei miseri, dell'orfano e della vedova.
    Ciò che Iahvè vuole dagli uomini non sono preghiere e sacrifici, ma un agire retto, il fare la giustizia, il vivere nella giustizia, l'amore del prossimo. Per questo la condanna dell'ingiustizia sociale è così violentemente dichiarata al popolo e ai capi della nazione. Per questo il castigo sarà così severo: rottura dell'Alleanza, abbandono del popolo in mano ai nemici.
    Il concetto di pace, in Isaia e in altri libri dell'AT, specie dei Salmi è così legato a quello di giustizia che non può essere compreso senza di questo. La pace è il dono messianico per eccellenza, un bene essenziale in tutte le dimensioni dell'esistenza umana.
    Questo vale anche oggi e sempre. Non è possibile una pace vera e duratura, o meglio ancora, Dio non può fare questo suo dono a chi non si sforza di realizzare la giustizia, a chi non tende a ricostruire quell'equilibrio del cosmo e dell'umanità che è la giustizia di Dio.

    La pace e la speranza

    Il dono dell'Emmanuele è visto dal profeta Isaia nei tre oracoli a lui destinati come un segno di sicura speranza per il futuro. Il messianismo è un principio-speranza per tutti gli uomini .
    Dio che sorregge la sua promessa e il popolo che va alla ricerca di giorni migliori: ecco il senso del messianismo.
    La speranza biblica conosce una precisa valenza etica, è impegno, in quanto promessa di un futuro migliore, si fa impegno di vivere orientati in quella direzione, anticipando nello stile di vita di giustizia, di pace e di onore verso Dio quella che sarà la forma ultima del mondo.
    Il lavoro di attualizzazione del messaggio biblico operato dal traduttore greco di Isaia appare in modo mirabile in Is 18,1-17, dove è chiaro il messaggio di universalismo religioso del traduttore greco.
    La traduzione greca è completamente diversa dal testo ebraico e ha la funzione di consolare, incoraggiare alla speranza nel Signore che ricondurrà in patria gli ebrei che vivono nella diaspora, specie ellenistica in un mondo dove la lingua e la cultura dominante è il greco.
    In Is 26,1-6 sono riportate le parole di un canto liturgico in occasione della festa escatologica in un paese rinnovato e libero. Nei vv. 2-5 il traduttore descrive con le sue qualità questo popolo privilegiato invitato a partecipare alla festa. È sempre la diaspora descritta come chi vive di speranza nel Signore.
    Il popolo che può entrare nella nuova Gerusalemme è un popolo "che rispetta la giustizia", “che rispetta la verità”. Il senso è più o meno uguale all'ebraico che dice: “aprite le porte della città e fate entrare tutti gli uomini che agiscono con fedeltà e rettitudine” (Is 26,2).
    Ma quel che segue è diverso: il traduttore insiste ancora sulle qualità morali di questo popolo. Riprende e approfondisce il pensiero del versetto precedente: «(un popolo) che si preoccupa della verità e che rispetta la pace» (Is 26,3).
    L'ebraico ha un testo differente riportandolo a Dio: «Signore, tu doni la pace a chi è costante e pone in te la sua speranza».
    Per il traduttore greco mi pare che la speranza nel Dio di Israele non è sufficiente; occorre una condotta morale conforme alla Legge. Sono indicati anche gli elementi di questa condotta morale: la giustizia, la verità (nel senso sapienziale di fedeltà) e la pace.
    La terminologia qui usata fa pensare proprio ad atteggiamenti morali attivi, dal contenuto preciso e in corrispondenza a norme positive indicate dalla Torah. Siamo di fronte a qualcosa di diverso di un semplice abbandono alla provvidenza di Dio. Non si tratta di un «tu doni la pace», ma di un popolo che lavora per realizzare la pace, come si può vedere anche in Is 27,5: «cerchi pure la mia protezione e faccia la pace, sì faccia la pace con me».

    La pace e il messia

    C'è nei profeti un legame stretto tra la pace e il messia. Il testo più sintetico da questo punto di vista è quello di Mic 5,4, specialmente nella traduzione greca dei LXX, che sarà poi utilizzato da Paolo in Ef 2,14: “E sarà lui la pace”.
    Quella di cui parlano i profeti è una pace ideale che diventerà reale perché Dio la donerà malgrado l'infedeltà del popolo e sarà introdotta dal re davidico futuro, il messia che opererà la restaurazione di Israele.
    Ma i due testi più espliciti del legame tra messia e pace appartengono al profeta Isaia e sono Is 9 e Is 11.

    «Un principe di pace» (Is 9,5-6)

    Il profeta Isaia sviluppa nel c.9 del suo libro in un bel poema la speranza messianica: è una specie di salmo di gioia a gloria di Dio e del suo Messia.
    Questo Messia di Isaia si presenta come un Messia non violento, un Messia pacifico! Israele non viene liberato mediante la guerra, anzi la venuta del Messia segna la fine della guerra, e Dio farà scomparire ogni traccia di battaglie.
    Attraverso questo bambino, il Messia, la gloria, la luce, la gioia, si espanderanno la liberazione da un nemico oppressore, l'inaugurazione della pace; in poche parole, il regno eterno della giustizia sul trono di Davide. È l'opera di Dio. È il messianismo che avanza sempre più.

    È nato un bambino per noi!
    Ci è stato dato un figlio!
    Gli è stato messo sulle spalle
    il segno del potere regale.
    Sarà chiamato: "Consigliere sapiente,
    Dio forte, Padre per sempre,
    Principe della pace".
    Diventerà sempre più potente,
    e assicurerà una pace continua.
    Governerà come successore di Davide.
    Il suo potere si fonderà sul diritto
    e sulla giustizia per sempre.
    Così ha deciso il Signore dell'universo
    nel suo ardente amore, e così sarà.

    Il terzo oracolo dell’Emmanuele (Is 11,1-5)

    È un oracolo parallelo e complementare a quello precedente con cui ha in comune diversi motivi: la giustizia come fondamento, la pace universale, due titoli. Canta una pace definitiva, un nuovo paradiso.

    Obbedire a Dio sarà la sua gioia.
    Non giudicherà secondo le apparenze,
    non deciderà per sentito dire.
    Farà giustizia ai poveri,
    e difenderà i diritti degli oppressi.
    A un suo ordine saranno puniti e uccisi
    quelli che commettono violenze nel paese.
    La giustizia e la fedeltà saranno legate a lui
    come una cintura stretta attorno ai fianchi.

    Il giudizio del Messia sarà fondato e non soltanto per sentito dire. Difenderà soprattutto i poveri, quelli che non hanno appoggi e non possono difendersi.
    È l’abbozzo vigoroso del tema dell’”evangelo della pace”:

    Gente di Giuda,
    ecco che viene sui monti
    un messaggero di pace..» (Na 2,1).
    Quanto è bello vedere
    arrivare sui monti
    un messaggero di buone notizie,
    che annunzia la pace,
    la felicità e la salvezza!
    Egli dice a Gerusalemme:
    "Il tuo Dio regna" (Is 52,7).

    La pace che il messia realizzerà include tutti gli aspetti della felicità che un israelita poteva sperare; equivale quasi a beatitudine. Spesso la «Bibbia di Gerusalemme» traduce shalom con "felicità": Is 45,7; 48,18; 54,13 ecc.
    Ma la pace piena e duratura appartiene alle realtà escatologiche, proprio per il carattere di pienezza che riveste.

    La pace e l'escatologia

    Nella predicazione profetica, benché la pace sia vista come dono di Dio che per mezzo della collaborazione dell'uomo ha delle realizzazioni parziali, la promessa però di una pace duratura e definitiva è vista come qualcosa che si realizzerà soltanto “alla fine”; presenta cioè, come si dice, una prospettiva escatologica sia per Israele che per tutti i popoli.
    I testi che permettono questa riflessione nei profeti sono molteplici, mi fermerò brevemente soltanto su quelli che ritengo i più significativi.

    Il «cantico universale di salvezza» (Is 2,2-5 e Mic 4,1-4)

    Entrambi questi brevi canti sono abbastanza simili anche se quello di Michea è più recente, forse del 6° secolo a.C.
    Si tratta di un oracolo escatologico, una parola profetica che annuncia in anticipo quello che sarà il compimento e il traguardo finale di tutta la storia.

    a) la visione del monte del Signore (v.2)
    Alla fine il monte dove sorge il tempio del Signore
    sarà il più alto di tutti e dominerà i colli.
    Tutti i popoli si raduneranno ai suoi piedi
    e diranno:

    b) il cantico dei popoli (vv. 3-4)
    "Saliamo sul monte del Signore,
    andiamo al tempio del Dio d'Israele.
    Egli ci insegnerà quel che dobbiamo fare;
    noi impareremo come comportarci".
    Gli insegnamenti del Signore (lett. legge)
    vengono da Gerusalemme,
    da Sion parla al suo popolo (lett. parola di Dio).
    Egli sarà il giudice delle genti, e l'arbitro tra i popoli.
    Trasformeranno le loro armi in aratri
    e le lance in falci.
    Le nazioni non saranno più in lotta tra loro
    e cesseranno di prepararsi alla guerra.

    c) la conclusione (v.5)
    Ora, Israeliti, seguiamo il Signore.
    Egli è la nostra luce.

    Il v.5 sembra una conclusione liturgica aggiunta qui per far notare che questi tempi non sono ancora giunti e che il popolo d'Israele deve essere il primo a seguire le vie del Signore per preparare poi l'afflusso di tutti i popoli. La conclusione di Michea (4,4) continua invece il tema della pace e non ha forse lo stesso carattere liturgico. Dice infatti:

    Ognuno vivrà in pace
    in mezzo alle sue vigne
    e sotto i suoi alberi di fico,
    e nessuno più lo spaventerà.
    Così ha promesso il Signore dell'universo.

    Nel futuro i due profeti vedono il trionfo di Gerusalemme e del tempio. In visione Isaia “ascolta” un cantico con cui questi popoli si incoraggiano a vicenda a salire “al tempio del Dio di Israele”. Questo motivo del pellegrinaggio dei popoli è ripreso ampiamente in Is 60.
    Tutti i popoli vanno al «tempio del Dio di Israele» per ascoltare insegnamenti di tipo pratico. Nel testo ebraico si parla di sentieri, di via, di camminare: tutta una terminologia che nella Bibbia indica "come comportarsi".
    Avremmo qui una visione quasi teocratica del mondo e dell'umanità. Con la Legge ascoltata da tutti i popoli Dio guiderà e giudicherà tutti gli uomini. Naturalmente in questo mondo universale dove trionfa la giustizia e la pace, il profeta intravede anche un disarmo universale. Gli strumenti di guerra, le armi, si trasformeranno in strumenti di pace, da utilizzare nel lavoro dei campi. Anche altrove si parla di questa distruzione delle armi, di questa trasformazione della società con il trionfo della pace. Una pace perfetta è la caratteristica dei tempi messianici (Is 9,6; 11,6-9).
    Non si tratta quindi solo di assenza di guerra ma si tratta dell'unificazione religiosa dei popoli attorno a Gerusalemme, sede di Dio in mezzo a Israele. Il profeta invita gli Israeliti a realizzare sin d'ora, anticipatamente e come in prefigurazione quella pace che tutti i popoli raggiungeranno alla fine dei tempi.
    Questo tema domina tutto il Terzo Isaia come appare sia all'inizio (Is 56,1-9) che alla fine dello scritto (Is 66,18-21) trovando uno svolgimento ampio nel poema che forma il cuore del libretto (Is 60-62).
    Il Trito-Isaia (Is 60) presenta agli occhi degli ebrei rimpatriati la grandiosa visione della Gerusalemme futura avvolta dalla luce di Dio, punto di incontro di tutti i popoli e centro della religione universale, dove tutti gli uomini anche gli stranieri, porteranno offerte cantando inni liturgici (Is 60,6); il tempio «si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7); e il Signore sceglierà anche tra gli altri popoli «sacerdoti e leviti», abolendo il privilegio esclusivo di un solo popolo (Is 66,21). Così questo profeta anonimo del postesilio descrive la nuova Gerusalemme, punto di convergenza di tutti i popoli.
    La comunità di Dio del postesilio è chiamata a «sorgere come stella di giustizia e a splendere come lampada» (cf Is 62,1) nel mondo:

    Allora le nazioni vedranno che il Signore ti ha liberata,
    tutti i re ammireranno la tua gloria...
    nelle mani del Signore diventerai
    una corona splendida, un diadema regale (Is 62,3).

    Il “mondo nuovo” creato da Dio non è né illusione né moda passeggera. Esso durerà per sempre. Questo “mondo nuovo” è quello che deve risplendere nella nuova società dei Giudei, segno per tutto il mondo. «I pellegrini che salgono al tempio di Gerusalemme vedono, nella valle della Geenna, i cadaveri dei ribelli a Dio, rosi continuamente da un verme che non muore e da un fuoco inestinguibile. Vuol dire che la salvezza di Dio non è automatica, ma è legata - nella sua effettuazione concreta di fatto, - alla libertà e alla responsabilità umana. Dio non vuole nessuna forma di male, anzi vuole fare vivere; ma gli uomini possono volere il male, la rovina e la perdizione. La salvezza divina è dono gratuito alla libertà umana, che può impedire alla volontà divina di realizzarsi» (A. Bonora).
    «Possiamo sintetizzare queste constatazioni sulla pace nell'AT (e in particolare nei profeti) in alcune proposizioni:
    1. Shalom, benessere, sarebbe lo stato normale dell'uomo e della società non disturbata dal peccato.
    2. Nello stato di ribellione dell'individuo e della società Iddio toglie il suo shalom.
    3. La pace nello stato attuale ed esistenziale dell'uomo è un dono di Dio.
    4. Il conflitto tra reale e ideale viene proiettato nel futuro come promessa di un intervento particolare di Dio.
    5. Tale intervento avverrà attraverso un re ideale il quale «metterà ordine» e porrà il fondamento della pace vera.
    6. L'idea primitiva di pace attraverso la guerra santa viene reinterpretata in senso spirituale di salvezza, prima come riconciliazione poi in chiave escatologica.
    7. La vittoria sarà una vittoria sul male del mondo (P. Grech).
    Se ne può aggiungere qualche altra. Nei profeti la pace è vista sempre come impegno per la giustizia che coinvolge l'uomo perché con la sua collaborazione possa attuare delle realizzazioni parziali di questa pace nella speranza di quella definitiva. La pace indica sempre anche ristabilimento dell'armonia iniziale dell'uomo con tutto il creato.

     


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    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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