Mario Cimosa, DIO E L'UOMO: LA STORIA DI UN INCONTRO, Elledici 1997
Attesa messianica
Che cos'è il "messianismo"
Oggi, normalmente, la parola “messianismo” non indica soltanto l'attesa di una salvezza realizzata da un messia futuro nell'ambito della religione giudaico-cristiana, ma comprende tutti quei movimenti politici e religiosi che tendono a rinnovare la società e a dare una risposta a tutti i problemi di incertezza e di angoscia che la opprimono. Si tratta di un principio-speranza per tutti gli uomini. Il messianismo appare come un modello universale di organizzazione socio-religiosa.
Il termine "messianismo" continua ad essere usato per la sua densità biblica, anche se alcune volte si riferisce di più a quanto avverrà nel futuro (escatologico), prescindendo anche da un mediatore di salvezza, di carattere regale, profetico o sacerdotale, "consacrato" per una missione. “Il messianismo è l'utopia di un mondo giusto e felice (dimensione antropologica), che la promessa di Dio trasforma in possibilità oggettiva (dimensione teologica) e che l'obbedienza dell'uomo, vittoriosamente rinnovata dallo Spirito (dimensione etico-teologale), è chiamata a tradurre in realtà” (A. Rizzi).
La prima dimensione è quella antropologica, il desiderio di ogni uomo, specie in tempo di crisi e di delusione, di un mondo migliore dove trionfi l'armonia dell'universo, dove abbondi la pace e la prosperità, dove i rapporti interpersonali siano improntati all'amore; il desiderio di un tempo di riconciliazione universale con Dio, con la natura, tra gli uomini, «i tempi messianici» della Bibbia, un'utopica «età dell'oro» di altri scrittori. Chi può realizzare un'epoca simile?
L'uomo da solo non ce la può fare, ha bisogno di un dono di Dio: e questa è la dimensione teologica: Dio ne offre all'uomo la possibilità attraverso l'alleanza, la promessa. Ma l'uomo deve anche dare la sua collaborazione attiva, la quale purtroppo è inquinata dalla colpa, dal peccato che fa perdere all'uomo la possibilità concreta di realizzare la sua felicità: dal primo rifiuto nel paradiso terrestre, alla non osservanza della legge, condizione dell'alleanza, all'infedeltà continua a Dio (dimensione etica). Ma l'amore di Dio rinnova e ricrea per mezzo dello Spirito il cuore corrotto dell'uomo (dimensione teologale) e mette in grado di realizzare questa pace messianica. È l'uomo nuovo che nasce da questa azione ricreatrice dello Spirito.
Ecco i ritmi del messianismo biblico: Dio - peccato - perdono - pace messianica. Ma questi sono anche i ritmi di quel «messianismo nella vita quotidiana» che l'uomo è chiamato a realizzare.
La concezione cristiana prevede due livelli: quello di un re ideale futuro e quello del Servo di Iahvè e del Figlio dell'uomo. Prima c'è la realizzazione umile e terrena della missione del Servo e poi la rivelazione di un messia glorioso, Figlio dell'uomo e re per sempre.
Che significa la parola "messia"
Nella Bibbia la parola mashiah, di solito è riferita al re, e vuol dire «ungere» e quindi «che è stato unto». Era un titolo che metteva in diretto rapporto con Dio: «l'unto di Dio».
Ma il termine si applica anche ai sacerdoti e ai patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe). Il termine con l'articolo, in quanto nome proprio, col tempo indicò il re ideale del futuro escatologico, il liberatore definitivo di Israele. Ma per avere questo significato bisogna attendere i Salmi di Salomone, scritti apocrifi del I° secolo a.C.
Dagli scritti di Qumran e dal NT appare che al tempo di Gesù c'era l'attesa di un messia regale, inteso in questo senso.
Dio dirige la storia e le impone una finalità che realizza a poco a poco attraverso le sue promesse, le quali manifestano progressivamente il suo disegno misterioso.
È difficile cogliere i vari momenti e le varie tappe di questa storia, ma è certo che coloro che le hanno registrate nella Scrittura avevano della storia una concezione teleologica. In ogni tappa gli avvenimenti sono polarizzati verso una finalità segreta. «Ogni tanto il velo si leva un po' sulla natura di questa finalità, grazie alle promesse divine che scandiscono il corso della storia... Come procedimento letterario, ai narratori piace mettere al punto giusto brani di stile profetico che sottolineano questa polarizzazione della storia e aprono, nei punti cruciali, prospettive future... Dopo ogni realizzazione dell'obiettivo assegnato, l'orizzonte si allarga di nuovo ed un altro obiettivo appare; ed è così che la storia sacra progredisce... L'adempimento storico delle promesse non ne esaurisce mai il contenuto totale... In breve, la storia di Israele è un'idea in cammino, che è possibile già chiamare l'idea della salvezza; l'éschaton, il fine della storia, ne porterà la realizzazione perfetta; le promesse divine hanno come oggetto, al di là degli avvenimenti di un avvenire immediato, questo avvenimento della salvezza definitiva» (P. Grelot).
Oggi alcuni parlano anche di premessianismo veterotestamentario che ritrovano in alcuni passi biblici: nella "promessa" di Gn 3,15; nella "profezia" di Giacobbe di Gn 49,10; e nell'oracolo di Balaam di Nm 24,17.
Il Messia come re
Il messianismo regale non esaurisce la concezione delle credenze e delle speranze future del popolo ebraico nelI'AT. Dio vuole salvare il suo popolo e per far questo si serve di intermediari, suoi rappresentanti, che sono innanzitutto i re: perciò messianismo regale. I re vengono unti "messia" e viene loro affidata la missione di promuovere gli interessi di Iahvè: realizzare il suo regno. La missione, piuttosto che essere affidata a loro personalmente, è affidata alla regalità che essi rappresentano e esprime quindi un compito dinastico.
La profezia di Natan a Davide
Il punto di partenza del messianismo regale-dinastico coincide con il momento in cui Davide diventa re, il cui ricordo fu poi fissato nel celebre testo di 2 Sam 7,1-16. La parola-chiave del brano è il termine bajit, che in ebraico ha un doppio significato: casa (tempio) e casato (dinastia). Natan rovescia le parole secondo le quali il re avrebbe costruito un tempio: non sarà Davide a costruire una bajit (tempio) per il Signore, ma sarà il Signore che costruirà una bajit (dinastia) per Davide.
Il v. 14 insinua l'adozione divina del re: il successore di Davide sarà figlio di Iahvè, che si mostrerà per lui padre:
Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Quando peccherà, lo correggerò con frusta di uomini e con percosse umane. Ma la mia benevolenza non si ritirerà da lui, come la ritirai da Saul che tolsi dalla tua presenza. La tua casa e il tuo regno dureranno per sempre alla mia presenza, il tuo trono sarà saldo in eterno (vv. 14-16).
Inoltre la rilettura deuteronomistica dei vv. 23-24 ha compreso la promessa fatta a Davide nel contesto di un'alleanza divina integrata nell'alleanza sinaitica di Dio con tutto il popolo. Il re è presentato in questa profezia come il vassallo di Iahvè per assicurare al popolo il diritto e la giustizia di Dio e per procurare la pace e il benessere.
I salmi riprendono e amplificano la profezia di Natan (cf Sal 9, 132, 72, e i salmi regali soprattutto il 2 e 110). Essi «registrano e magnificano la filiazione divina del re intronizzato. Evocano costantemente il simbolismo regale. Non dimenticano le esigenze di diritto e giustizia che l'erede deve esercitare e far sì che vengano praticate nel paese. Egli governa ormai in virtù dell'elezione e della grazia di un Dio riconosciuto non soltanto come nazionale, ma universale» (H. Cazelles).
In breve, la speranza di Israele da Davide in poi si identifica con la dinastia davidica. Il re è presentato come l'eletto, il vassallo di Dio, il messia, l'alleato, il benedetto da Dio. Sembra che tutte le caratteristiche che aveva Israele, come partner dell'alleanza prima dell'epoca monarchica, ora si ritrovino nel re. Non solo, ma il salmista le vede nel discendente di Davide, il messia-re che comincia ad essere idealizzato e che troverà la forma più matura di idealizzazione nei profeti.
Gesù, messia e figlio di Davide
Dopo Abramo e Mosè, la figura di Davide è, tra i personaggi dell'AT, la più ricordata nel NT. Gesù è l'erede delle promesse fatte a Davide e nella sua persona si realizzano in pieno le aspettative poste nel Davide ideale e nel suo discendente.
«Figlio di Davide» e «messia» nel NT sono titoli equivalenti con un significato soprattutto teologico. Gesù è il destinatario della promessa fatta ad Abramo ed è l'erede del trono di Davide, come ci ricorda Matteo nella genealogia all'inizio del suo Vangelo. Tra gli evangelisti Matteo è quello che maggiormente fa rilevare questa situazione di figlio di Davide, di Gesù. Egli viene riconosciuto dal popolo come il figlio di Davide allorché scaccia i demoni, come pure nelle invocazioni dei malati.
Gesù accetta di essere chiamato messia come accetta di essere chiamato figlio di Davide con l'identico significato. Davanti al Sinedrio, quando ormai sta per essere condannato e il suo messianismo non può essere più frainteso; lo dichiara apertamente (Mt 26,63).
Gesù è figlio di Davide perché è suo discendente secondo la Legge, perché è il re-messia annunciato dai profeti, perché già in questo mondo ha inaugurato il regno di Dio, con la sua azione messianica ne ha fatto il luogo della salvezza e della speranza per ogni uomo.
Così delineata, anche la figura di «Gesù-messia», uno degli aspetti della sua mediazione e del suo ministero di salvezza, che è all'origine e fonda i ministeri ecclesiali, ha il suo archetipo nell'AT.
I ministeri ecclesiali, quelli che a partire dal NT si sono andati strutturando nella Chiesa, e quelli che ancora potrebbero nascere nel futuro, specie per quanto riguarda un maggiore coinvolgimento della donna come nella Chiesa primitiva, possono attingere dalla tradizione viva dell'attesa del Messia elementi per una spiritualità più profonda e più feconda.
Come il «messia» anche chi esercita un ministero nella Chiesa viene consacrato, riceve l'abbondanza dello Spirito del Signore, e agisce sempre con la sua assistenza e protezione.
La funzione mosaica dell'intercessione a favore del popolo presso Dio ricorda ai ministri della Chiesa la loro stretta solidarietà con il popolo e la necessità di portare a Dio le attese e le invocazioni del popolo e di mostrare al popolo le esigenze di Dio.
La solidarietà con il popolo, al cui servizio i ministri sono dedicati, comporta talvolta anche la sofferenza e il pagare di persona, come nella vita di Mosè.
I ministri della Chiesa hanno il compito di guidare e animare il popolo di Dio nella giustizia e nella pace. Ma soprattutto la loro grande umanità li deve far sentire membri vivi del popolo da cui sono scelti per essere al servizio del popolo e solidali con tutte le sue miserie, le sue debolezze, ed essere anche persone di speranza e di fiducia per guardare al futuro.
L’Emmanuele di Isaia
La speranza messianica in un futuro mediatore di salvezza, visto come re, figlio di Davide, unto di Iahvè, con il passare del tempo viene sempre più idealizzata e resta una figura centrale negli oracoli del Proto-Isaia, appartenenti al cosiddetto «libro dell'Emmanuele» (Is 6-12), e in un testo attribuito a Michea, contemporaneo di Isaia. Li riprendiamo per la loro rilevanza.
Il primo oracolo si trova in Is 7,10-14: il grande profeta promette al re Acaz, a nome di Dio, un segno che consisterà nel concepimento e nella nascita di un misterioso bambino chiamato «Emmanuele», espressione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Un segno che avrà tre caratteristiche: interesserà la casa di Davide, interesserà il regno di Giuda e sarà indizio di salvezza e di punizione. Certamente alla base di questa promessa c'è l'oracolo di Natan a Davide. Questo bambino, re futuro, è il tipo dell'ideale presenza continua di Dio nella storia della salvezza. In questa tensione si inserisce la lettura messianica intravista quindi dallo stesso Isaia.
Qualche anno appresso, quando, dopo un periodo di silenzio, Isaia riprende la sua predicazione, annuncia di nuovo la nascita di un bambino. L'oracolo del c. 9, dicendo che il bambino inizierà un regno di salvezza e di pace, completa quanto era stato precedentemente annunciato: il bambino di 7,14, che ha come nome Emmanuele, può identificarsi con il piccolo bambino nato di 9,5. Con questo versetto comincia la descrizione del bambino, del messia, della gioia di Israele e della sua liberazione. Sono la gloria, la luce, la gioia che stanno per espandersi grazie a lui. Sono la liberazione da un nemico oppressore, l'inaugurazione della pace: in poche parole, il regno eterno della giustizia sul trono di Davide. È l'opera di Dio. È chiaro che se in primo piano nella descrizione del profeta c'è Ezechia, vi è pure qualcosa che va più in là, verso un regno eterno e glorioso. E il messianismo che avanza sempre più. Il profeta ci descrive un nuovo ritratto, più preciso e più ricco del primo, del misterioso bambino.
Il terzo oracolo dell'Emmanuele è quello di Is 11,1-9, dove si parla di un germoglio che esce dalle radici di Iesse: è quindi un discendente di Davide, come lo era l'Emmanuele di 7,14 e di 9,6. Si tratta di un oracolo parallelo e complementare a quello di Is 9,4-6 con cui ha in comune diversi motivi: la giustizia come fondamento del regno, la pace universale. L'Emmanuele, che era stato presentato dal profeta come il segno di un'imminente liberazione da un pericolo immediato e come l'iniziatore di un'epoca che rinnoverà i segni gloriosi di Davide e di Salomone, che diventerà in seguito l'artefice di una liberazione e causa di una grande gioia, l'iniziatore di un regno glorioso, appare ora come il re giusto per eccellenza, ricco di ogni dono dello spirito, che restituirà la felicità delle origini prima del peccato.
La visione di altri profeti
In Mic 5,1-5 vengono ripresi alcuni motivi di Isaia: la salvezza arriverà attraverso un bambino, discendente di Davide; parlando alle tribù del nord, Michea annuncia che il messia uscirà da "Betlemme di Efrata", dal clan di Iesse, e che le sue «origini» risalgono ai tempi antichi. Alla madre di questo bambino si allude nel v. 2: «Per questo li abbandonerà finché una partoriente non avrà partorito. Allora il resto dei suoi fratelli ritornerà ai figli di Israele!». C'è qui un riferimento non solo alla madre del re, I'Emmanuele di Is 7,14, ma anche alla «partoriente» di Mic 4,9-10, in cui si parla del parto doloroso della figlia di Sion, cioè degli esiliati, i quali dovranno soffrire i dolori del parto prima di essere liberati dall'esilio di Babilonia. In questo momento il re ritroverà i suoi fratelli, quando gli Israeliti esiliati si ricongiungeranno con quelli rimasti nella terra dei loro padri.
Il profeta Geremia connetterà poi l'idea del messianismo regale alla sua concezione dell'alleanza nuova: riprende un concetto tradizionale della letteratura profetica e gli dà un significato più spirituale. Sono di grandissima importanza gli oracoli di Ger 30-31 e soprattutto l'oracolo che annuncia un'alleanza nuova e definitiva (31,31-34). Nei testi profetici che parlano del messianismo davidico fa impressione la tendenza che essi hanno ad accentuare il carattere di rinnovamento morale e religioso del tempo messianico annunciato e atteso. In tutte le figure intraviste si profila il ritratto di un sovrano ideale dell'avvenire. Alcuni testi sottolineano maggiormente il rapporto del re con il regno di Dio e con la manifestazione escatologica di questo regno, dando luogo ad una reinterpretazione sempre più spiritualizzante del messianismo regale.
Il Messia come profeta
Con l'esilio il messianismo regale entra in crisi e si accentua sempre più l'attesa di un regno che Dio stesso inaugurerà senza bisogno di intermediari. E quello che viene chiamato “messianismo senza messia”. Alcuni testi, però, sembrano sognare per quest'epoca futura l'arrivo di un profeta ideale, un profeta escatologico con il compito di preparare la venuta del Signore. E questo viene chiamato il “messianismo profetico”: questo profeta si chiamerà "nuovo Mosè" (cf Dt 18, 15.18, Is 61, 1-3) o "servo del Signore" (Is 40, - 55, soprattutto 53).
Gesù, profeta escatologico e servo del Signore
Alcuni studiosi pensano che Gesù abbia mostrato di avere coscienza di essere il profeta simile a Mosè (di cui parla Dt 18,5-19) nella scena della trasfigurazione, quando la voce dal cielo dice: “Ascoltatelo!”. Altri invece pensano che tale identificazione di Gesù con il profeta di Dt 18 che si incontra nel NT per la prima volta in due testi degli Atti (3,22-23 e 7,37 ss), sia di origine redazionale. Non è detto che Gesù abbia avuto chiara coscienza di essere il profeta escatologico atteso; è certo però che ha interpretato la sua missione alla luce dell'attesa del messia escatologico, di cui era così viva la speranza ai suoi tempi.
È significativo che nella sinagoga di Nazaret, proprio all'inizio della sua missione, Gesù mostra compiersi in lui le parole sul profeta ideale atteso (Lc 4,16-21). Per quanto riguarda invece la profezia del Servo del Signore, notiamo come, per l'evangelista Marco, Gesù è il “giusto sofferente”, e lo dimostrano i tanti riferimenti ai canti del Servo che si trovano nel racconto della passione.
Il NT sottolinea i due aspetti principali del messianismo profetico: uno molto realista: il destino tragico di Gesù; l'altro più spirituale: il senso della sua vita e della sua morte. Così Gesù ne potrà fare in certo modo il programma della sua vita collegando il suo annuncio evangelico con Is 61,1-2 e la sua passione con Is 53.
Il Messia come giudice
Il Figlio dell'uomo di Dn 7,13
Nella tradizione apocalittica Daniele vede apparire in visione «il Figlio dell'uomo» sulle nubi del cielo che riceve l'impero universale. Da tutto il contesto appare che la conclusione e il trapasso dai quattro regni umani a quello di Dio non sarebbe avvenuto senza la collaborazione di un particolare inviato da parte di Dio. La visione non è quindi solo escatologica ma messianica. Si parla però, nella visione, della collaborazione che il Vegliardo> riceverà da un Figlio dell'uomo e dai Santi.
Il passaggio continuo da una concezione collettiva a una concezione personale dura in tutta la letteratura biblica del giudaismo anche nei riguardi del messianismo.
Conosciamo il valore simbolico delle nubi nella teologia biblica. Certamente Daniele, volle esprimere la convinzione che nel Figlio dell'uomo, nel messia, c'era un essere che apparteneva alla categoria del divino. La preparazione messianica ricevette perciò con la visione danielica del Figlio dell'uomo un altro aspetto rilevante. Se il messia in quanto uomo doveva partecipare alla sofferenza umana, in quanto manifestazione del divino doveva restare divinamente glorioso. Ecco perché il titolo di «Figlio dell'uomo» diventa da parte di Gesù e degli apostoli un titolo particolarmente messianico, capace di manifestare il messia sofferente e il messia glorioso.
Gesù, Figlio dell'uomo
Nel Vangelo di Giovanni l'espressione «Figlio dell'uomo» ricorre 13 volte e nella tradizione sinottica 69 volte. Soprattutto Marco ne fa un grande uso quando presenta Gesù come giudice escatologico e nell'annuncio della passione e risurrezione. È probabile che Gesù stesso abbia visto realizzata in se stesso la visione di Dn 7,13-14. Questo gli permise anche di liberare il messianismo regale del suo carattere terreno. Il significato della sua esistenza, il suo ruolo davanti a Dio e di fronte agli uomini è il ruolo del Figlio dell'uomo. Già prima della sua passione però Gesù si serve del titolo per affermare il proprio ruolo: in quanto «figlio dell'uomo» ha il potere di perdonare i peccati degli uomini (Mt 9,6); è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (Lc 19,10); è padrone anche del sabato (Mt 12,8). Ma Gesù evocò questa figura soprattutto quando reagì davanti ai giudici che lo condannavano, annunciando la certezza di un ritorno glorioso che avrebbe realizzato la visione danielica di un uomo esaltato presso Dio.
Le lettere paoline non fanno un grande uso di questo titolo dato a Gesù, forse anche per l'ambiguità che poteva creare nei cristiani provenienti dal paganesimo il termine ánthropos, a motivo delle speculazioni cui aveva dato luogo nel mondo ellenistico. Paolo preferisce ricorrere al titolo “Signore” e al titolo “Cristo” nel quadro di una reinterpretazione e di una rilettura del messianismo regale dinastico.
È probabile che Gesù stesso abbia fatto una rilettura attualizzante e abbia visto realizzata in se stesso la visione di Dn 7,13-14.
Tenendo conto della scienza umana progressiva di Gesù, quando questi si rese conto chiaramente del destino tragico che lo attendeva, pensando alle Scritture, scoprì in due libri che gli erano assai familiari, il Deuteroisaia e Daniele, due figure che sembravano anticiparlo. Quella del Servo sofferente di Is 52,13--53,12 gli permise di comprendere il mistero della sua morte sacrificale e di misurarne la portata, aprendo già la prospettiva a una futura glorificazione. La seconda, quella del Figlio dell'uomo di Dn 7,13-14, gli fece intravedere in certo modo un'anticipazione e un annunzio profetico di questa esaltazione. Gli permise anche, per il suo quadro celeste, di liberare il messianismo regale del suo carattere terreno.
Messianismo come principio-speranza
Il messianismo è la categoria che più di ogni altra permette di cogliere e riesprimere il nocciolo del messaggio biblico che ha come scopo di trasformare i rapporti tra gli uomini e il mondo stesso.
Questa situazione non è soltanto biblica ma universale: è un fenomeno tipico di ogni gruppo o società in trasformazione e in crisi. Se si ha un contatto anche solo superficiale con i movimenti messianici sorti in questi ultimi anni, soprattutto nei paesi del terzo mondo, si vede come all'origine di ogni rivolta politica o militare ci sono germi di rinnovamento religioso che hanno tutti elementi costanti.
A. Rizzi li descrive così: a. La situazione di crisi in cui un popolo viene a trovarsi; b. chi subisce la crisi sono soprattutto i gruppi subalterni; c. essi si esprimono attraverso la figura di un profeta-leader che prende la guida del movimento; d. il suo messaggio è radicato nel passato e, in particolare, nel “mito delle origini”, e l'epoca messianica viene vista come un ritorno a queste origini felici e edeniche; e. anche nel cristianesimo la tensione messianica è collegata con il ritorno alle origini: la fine sarà come il principio; f. questi diversi gruppi si uniscono superando le divisioni e costituendo insieme un unico popolo.
La situazione religiosa vissuta dal popolo di Israele ritorna presso tutti i popoli. Nella Bibbia vengono presentate le origini felici dell'uomo, del mondo, “qualis esse debet” in Gen 1-2; e il mondo come invece è in realtà, in conseguenza di una colpa originale, in Gen 3. L'epoca messianica, poi, è sempre descritta dai profeti come un ritorno all'Eden. E interessante notare come tutte le teologie della liberazione, più recenti, vedano in un intervento di Dio l'atto determinante della costruzione di questo mondo nuovo, proprio come nella storia biblica. “Gli eventi messianici di liberazione nell'AT non furono il risultato di efficienza umana, ma piuttosto un dono, un atto di forza, che trascendeva le possibilità concrete della storia” (R. Alves).
Nell'AT il Deuteronomio segna la situazione esistenziale storica di Israele: il dono della terra da parte di Dio è condizionato dall'adesione all'alleanza e alla fedeltà del popolo alla legge. Ma non c'è stato un momento della sua storia nella quale il popolo è entrato nella terra promessa, perché non c'è stato un momento in cui il popolo è stato fedele all'alleanza (cf Dt 8).
Le profezie messianiche sono un rilancio dell'alleanza al di là delle cadute e delle delusioni del presente. Quel rilancio che il Deuteronomio compie nel “sempre futuro” di ogni giorno (oggi), i profeti lo hanno poi enfatizzato nel futuro di una nuova epoca nazionale (e universale).
L'alleanza è responsabilità, è umanità adulta, è felicità a caro prezzo> (A. Rizzi). Vale per tutti gli uomini quello che A. Rizzi dice di Israele: Il presente è l'"essere", la situazione di ingiustizia e di miseria: il passato è il "dover essere" rimasto inattuato; il futuro è il dovere essere che viene riproposto come possibilità ancora aperta (ibid., p. 24). Così il messianismo è un principio-speranza per tutti.