Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    L'attesa del Messia (cap. 7 di: Dio e l'uomo)


     Mario Cimosa, DIO E L'UOMO: LA STORIA DI UN INCONTRO, Elledici 1997



    Attesa messianica

    Che cos'è il "messianismo"

    Oggi, normalmente, la parola “messianismo” non indica soltanto l'attesa di una salvezza realizzata da un messia futuro nell'ambito della religione giu­dai­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­co-cristiana, ma comprende tutti quei movimenti politici e religiosi che tendono a rinnovare la so­cietà e a dare una risposta a tutti i problemi di incertezza e di angoscia che la opprimono. Si tratta di un principio-speranza per tutti gli uomini. Il messianismo appare come un modello universale di or­ganizzazione socio-religiosa.
    Il termine "messianismo" continua ad essere usato per la sua densità biblica, anche se alcune volte si ri­ferisce di più a quanto avver­rà nel futuro (escatolo­gico), pre­scin­dendo anche da un mediatore di salvez­za, di ca­rattere regale, profetico o sacerdota­le, "consa­cra­to" per una missione. “Il messianismo è l'u­to­pia di un mondo giusto e felice (dimensione an­tropo­lo­gi­ca), che la promessa di Dio trasforma in possibi­li­tà oggettiva (dimensione teologica) e che l'obbe­dien­za dell'uomo, vittoriosamente rinnovata dallo Spirito (dimensione eti­­­­­­­­­­­­­­­­­­­co-teologale), è chiama­ta a tradurre in realtà” (A. Rizzi).
    La prima dimensione è quella antropologica, il desiderio di ogni uomo, specie in tempo di crisi e di delusione, di un mondo migliore dove trionfi l'armo­nia dell'universo, dove abbondi la pace e la prospe­rità, dove i rapporti interpersonali siano improntati all'amore; il desiderio di un tempo di riconciliazio­ne universale con Dio, con la natura, tra gli uomini, «i tempi messianici» della Bibbia, un'utopica «età dell'oro» di altri scrittori. Chi può realizzare un­'epoca simile?
    L'uomo da solo non ce la può fare, ha bisogno di un dono di Dio: e questa è la dimensione teologica: Dio ne offre all'uomo la possibilità attraverso l'al­leanza, la promessa. Ma l'uomo deve anche dare la sua collaborazione attiva, la quale purtroppo è inquinata dalla colpa, dal peccato che fa perdere all'uomo la possibilità concreta di realizzare la sua felicità: dal primo rifiuto nel paradiso terrestre, alla non osservanza della legge, condizione dell'alleanza, all'infedeltà continua a Dio (dimensione etica). Ma l'amore di Dio rinnova e ricrea per mezzo dello Spi­rito il cuore corrotto dell'uomo (dimensione teologa­le) e mette in grado di realizzare questa pace mes­sianica. È l'uomo nuovo che nasce da questa azione ricreatrice dello Spirito.
    Ecco i ritmi del messianismo biblico: Dio - pec­cato - perdono - pace messianica. Ma questi sono an­che i ritmi di quel «messianismo nella vita quotidia­na» che l'uomo è chiamato a realizzare.
    La concezione cristiana prevede due livelli: quello di un re ideale futuro e quello del Servo di Iahvè e del Figlio dell'uomo. Prima c'è la realizza­zione umile e terrena della missione del Servo e poi la rivelazione di un messia glorioso, Figlio dell'uo­mo e re per sempre.

    Che significa la parola "messia"

    Nella Bibbia la parola mashiah, di soli­to è rife­rita al re, e vuol dire «ungere» e quindi «che è sta­to unto». Era un titolo che metteva in diretto rap­porto con Dio: «l'unto di Dio».
    Ma il termine si applica anche ai sacerdoti e ai patriarchi (A­bramo, Isacco, Giacobbe). Il termine con l'articolo, in quanto nome proprio, col tempo indicò il re ideale del futuro escatologico, il liberatore definitivo di Israele. Ma per avere questo significa­to bisogna at­tendere i Salmi di Salomone, scritti apocrifi del I° secolo a.C.
    Dagli scritti di Qumran e dal NT appare che al tempo di Gesù c'era l'attesa di un messia regale, inteso in questo senso.
    Dio dirige la storia e le impone una finalità che realizza a poco a poco attraverso le sue promesse, le quali manifestano progressivamente il suo disegno misterioso.
    È difficile cogliere i vari momenti e le varie tappe di questa storia, ma è certo che coloro che le hanno registrate nella Scrittura avevano della storia una concezione teleologica. In ogni tappa gli avveni­menti sono polarizzati verso una finalità segreta. «Ogni tanto il velo si leva un po' sulla natura di questa finalità, grazie alle promesse divine che scandiscono il corso della storia... Come procedimen­to letterario, ai narratori piace mettere al punto giusto brani di stile profetico che sottolineano que­sta polarizzazione della storia e aprono, nei punti cruciali, prospettive future... Dopo ogni realizzazione del­l'obiettivo assegnato, l'oriz­zonte si allarga di nuo­vo ed un altro obiettivo appa­re; ed è così che la storia sacra progredisce... L'a­dempimento storico delle pro­messe non ne esaurisce mai il contenuto to­tale... In breve, la storia di Israele è un'idea in cammino, che è possibile già chiamare l'idea della salvezza; l'é­schaton, il fine della storia, ne porte­rà la realiz­zazione perfetta; le promesse divine han­no come og­getto, al di là degli avvenimenti di un avvenire im­mediato, questo avveni­mento della salvezza definiti­va» (P. Grelot).
    Oggi alcuni parlano anche di premessianismo vete­ro­te­stamentario che ritrovano in alcuni passi biblici: nella "pro­mes­sa" di Gn 3,15; nella "profezia" di Giacobbe di Gn 49,10; e nell'oracolo di Balaam di Nm 24,17.

    Il Messia come re

    Il messianismo regale non esaurisce la concezione delle credenze e delle speranze future del popolo ebraico nelI'AT. Dio vuole sal­vare il suo popolo e per far questo si serve di in­termediari, suoi rappre­sentanti, che sono innanzitut­to i re: perciò messia­nismo regale. I re vengono unti "messia" e viene loro affidata la missione di promuo­vere gli interessi di Iahvè: realizzare il suo regno. La missione, piutto­sto che essere affidata a loro perso­nalmente, è affi­data alla rega­lità che essi rappre­sentano e esprime ­quin­di un compito dina­sti­co.

    La profezia di Natan a Davide

    Il punto di partenza del messianismo regale-dinastico coincide con il momento in cui Davide di­venta re, il cui ricordo fu poi fissato nel celebre testo di 2 Sam 7,1-16. La parola-chiave del brano è il termine bajit, che in ebraico ha un doppio signi­fica­to: casa (tempio) e casato (dinastia). Natan ro­vescia le parole secondo le quali il re avrebbe co­struito un tempio: non sarà Davide a costruire una bajit (tem­pio) per il Signore, ma sarà il Signore che costruirà una bajit (dinastia) per Davide.
    Il v. 14 insinua l'adozione divina del re: il successore di Davide sarà figlio di Iahvè, che si mostrerà per lui padre:

    Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Quando peccherà, lo correggerò con fru­sta di uomini e con percosse umane. Ma la mia benevo­lenza non si ritirerà da lui, come la ritirai da Saul che tolsi dalla tua presenza. La tua casa e il tuo regno dureranno per sempre alla mia presenza, il tuo trono sarà saldo in eterno (vv. 14-16).

    Inoltre la rilettura deuteronomistica dei vv. 23-24 ha compreso la promessa fatta a Davide nel contesto di un'allean­za divina integrata nell'alleanza sinaitica di Dio con tutto il popolo. Il re è presentato in questa profezia come il vassallo di Iahvè per assicurare al popolo il diritto e la giustizia di Dio e per procu­rare la pace e il benessere.
    I salmi riprendono e amplificano la profezia di Natan (cf Sal 9, 132, 72, e i salmi regali soprattut­to il 2 e 110). Essi «registrano e magnificano la fi­lia­zio­ne divina del re intronizzato. Evocano costan­te­mente il simbolismo regale. Non dimenticano le esi­genze di diritto e giustizia che l'erede deve eserci­tare e far sì che vengano praticate nel paese. Egli governa or­mai in virtù dell'elezione e della grazia di un Dio riconosciuto non soltanto come nazionale, ma univer­sale» (H. Cazelles).
    In breve, la speranza di Israele da Davide in poi si identifica con la dinastia davidica. Il re è pre­sentato come l'eletto, il vassallo di Dio, il messia, l'alleato, il benedetto da Dio. Sembra che tutte le caratteristiche che aveva Israele, come partner del­l'alleanza prima dell'epoca monarchica, ora si ritro­vino nel re. Non solo, ma il salmista le vede nel discendente di Davide, il messia-re che comincia ad essere idealizzato e che troverà la forma più matura di idealizzazione nei profeti.

    Gesù, messia e figlio di Davide

    Dopo Abramo e Mosè, la figura di Davide è, tra i personaggi dell'AT, la più ricordata nel NT. Gesù è l'erede delle promesse fatte a Davide e nella sua persona si realizzano in pieno le aspettative poste nel Davide ideale e nel suo discendente.
    «Figlio di Davide» e «messia» nel NT sono titoli equivalenti con un significato soprattutto teologico. Gesù è il destinatario della promessa fatta ad Abramo ed è l'erede del trono di Davide, come ci ricorda Matteo nella genealogia all'inizio del suo Vangelo. Tra gli evangelisti Matteo è quello che maggiormente fa rilevare questa situazione di figlio di Davide, di Gesù. Egli viene riconosciuto dal popolo come il figlio di Davide allorché scaccia i demoni, come pure nelle invocazioni dei malati.
    Gesù accetta di essere chiamato messia come accetta di essere chiamato figlio di Davide con l'identico significato. Davanti al Sinedrio, quando ormai sta per essere condannato e il suo messianismo non può essere più frainteso; lo dichiara apertamente (Mt 26,63).
    Gesù è figlio di Davide perché è suo discendente secondo la Legge, perché è il re-messia annunciato dai profeti, perché già in questo mondo ha inaugurato il regno di Dio, con la sua azione messianica ne ha fatto il luogo della salvezza e della speranza per ogni uomo.
    Così delineata, anche la figura di «Gesù-messia», uno degli aspetti della sua mediazione e del suo ministero di salvezza, che è all'origine e fonda i ministeri ecclesiali, ha il suo archetipo nell'AT.
    I ministeri ecclesiali, quelli che a partire dal NT si sono andati strutturando nella Chiesa, e quelli che ancora potrebbero nascere nel futuro, specie per quanto riguarda un maggiore coinvolgimento della donna come nella Chiesa primitiva, possono attingere dalla tradizione viva dell'attesa del Messia elementi per una spiritualità più profonda e più feconda.
    Come il «messia» anche chi esercita un ministero nella Chiesa viene consacrato, riceve l'abbondanza dello Spirito del Signore, e agisce sempre con la sua assistenza e protezione.
    La funzione mosaica dell'intercessione a favore del popolo presso Dio ricorda ai ministri della Chiesa la loro stretta solidarietà con il popolo e la necessità di portare a Dio le attese e le invocazioni del popolo e di mostrare al popolo le esigenze di Dio.
    La solidarietà con il popolo, al cui servizio i ministri sono dedicati, comporta talvolta anche la sofferenza e il pagare di persona, come nella vita di Mosè.
    I ministri della Chiesa hanno il compito di guidare e animare il popolo di Dio nella giustizia e nella pace. Ma soprattutto la loro grande umanità li deve far sentire membri vivi del popolo da cui sono scelti per essere al servizio del popolo e solidali con tutte le sue miserie, le sue debolezze, ed essere anche persone di speranza e di fiducia per guardare al futuro.

    L’Emmanuele di Isaia

    La speranza messianica in un futuro mediatore di salvezza, visto come re, figlio di Davide, unto di Iahvè, con il passare del tempo viene sempre più ide­alizzata e resta una figura centrale negli oracoli del Proto-Isaia, appartenenti al cosiddetto «libro dell'Emmanuele» (Is 6-12), e in un testo attribuito a Michea, contemporaneo di Isaia. Li riprendiamo per la loro rilevanza.
    Il primo oracolo si trova in Is 7,10-14: il gran­de profeta promette al re Acaz, a nome di Dio, un segno che consisterà nel concepimento e nella nascita di un misterioso bambino chiamato «Emmanuele», espressione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Un segno che avrà tre caratteristiche: inte­resserà la casa di Davide, interesserà il regno di Giuda e sarà indizio di salvezza e di punizione. Cer­tamente alla base di questa promessa c'è l'oracolo di Natan a Davide. Questo bambino, re futuro, è il tipo dell'ideale presenza continua di Dio nella storia della salvezza. In questa tensione si inserisce la lettura messianica intravista quindi dallo stesso Isaia.
    Qualche anno appresso, quando, dopo un periodo di silenzio, Isaia riprende la sua predicazione, annun­cia di nuovo la nascita di un bambino. L'oracolo del c. 9, dicendo che il bambino inizierà un regno di salvezza e di pace, completa quanto era stato prece­dentemente annunciato: il bambino di 7,14, che ha come nome Emmanuele, può identificarsi con il picco­lo bambino nato di 9,5. Con questo versetto comin­cia la descrizione del bambino, del messia, della gioia di Israele e della sua liberazione. Sono la gloria, la luce, la gioia che stanno per espan­dersi grazie a lui. Sono la libera­zione da un nemico op­pressore, l'inaugurazione della pace: in poche parole, il regno eterno della giusti­zia sul trono di Davide. È l'opera di Dio. È chiaro che se in primo piano nella descrizione del profeta c'è Eze­chia, vi è pure qualcosa che va più in là, verso un regno eterno e glorioso. E il messianismo che avanza sempre più. Il profeta ci de­scrive un nuo­vo ritratto, più preciso e più ricco del primo, del misterioso bambino.
    Il terzo oracolo dell'Emmanuele è quello di Is 11,1-9, dove si parla di un germoglio che esce dalle radici di Iesse: è quindi un discendente di Davide, come lo era l'Emmanuele di 7,14 e di 9,6. Si tratta di un oracolo parallelo e complementare a quello di Is 9,4-6 con cui ha in comune diversi motivi: la giu­stizia come fondamento del regno, la pace universale. L'Emmanuele, che era stato presentato dal profeta come il segno di un'imminente liberazione da un peri­colo immediato e come l'iniziatore di un'epoca che rinnoverà i segni gloriosi di Davide e di Salomone, che diventerà in seguito l'artefice di una liberazio­ne e causa di una grande gioia, l'ini­ziatore di un regno glorioso, ap­pare ora come il re giusto per ec­cellenza, ricco di ogni dono dello spi­rito, che re­stituirà la felicità delle origini prima del pecca­to.

    La visione di altri profeti

    In Mic 5,1-5 vengono ripresi alcuni motivi di Isaia: la salvezza arriverà attraverso un bambino, discendente di Davide; parlando alle tribù del nord, Michea annuncia che il messia uscirà da "Betlemme di Efrata", dal clan di Iesse, e che le sue «origini» risalgono ai tempi antichi. Alla madre di questo bam­bino si allude nel v. 2: «Per questo li abbandonerà finché una partoriente non avrà partorito. Allora il resto dei suoi fratelli ritornerà ai figli di Israe­le!». C'è qui un riferimento non solo alla madre del re, I'Emmanuele di Is 7,14, ma anche alla «partorien­te» di Mic 4,9-10, in cui si parla del parto doloroso della figlia di Sion, cioè degli esiliati, i quali dovranno soffrire i dolori del parto prima di essere liberati dall'esilio di Babilonia. In questo momento il re ritroverà i suoi fratelli, quando gli Israeliti esiliati si ricongiungeranno con quelli rimasti nella terra dei loro padri.
    Il profeta Geremia connetterà poi l'idea del mes­sia­ni­smo regale alla sua concezione dell'alleanza nuova:­ riprende un concetto tra­di­zio­na­le del­la lettera­tura profetica e gli dà un si­gnifi­ca­to più spirituale. Sono di grandissima importanza gli ora­coli di Ger 30-31 e soprattutto l'oracolo che an­nun­cia un'allean­za nuova e definitiva (31,31-34). Nei testi profetici che par­la­no del mes­sianismo davi­dico fa impressione la ten­den­za che essi hanno ad accen­tuare il carattere di rinnovamento mo­rale e re­ligioso del tempo messianico annunciato e atteso. In tutte le figure intraviste si profila il ritratto di un sovra­no ideale dell'avveni­re. Alcuni testi sotto­lineano maggiormente il rappor­to del re con il regno di Dio e con la manifestazione escatolo­gica di questo regno, dando luogo ad una reinterpre­tazione sempre più spi­ritualizzante del messianismo regale.

    Il Messia come profeta

    Con l'esilio il messianismo regale entra in crisi e si accentua sempre più l'attesa di un regno che Dio stesso inaugurerà senza bisogno di intermediari. E quello che viene chiamato “messianismo senza messia”. Alcuni testi, però, sembra­no sognare per quest'epo­ca futura l'arrivo di un pro­feta ideale, un profeta escatologico con il compito di preparare la venuta del Signore. E questo viene chia­mato il “messianismo profetico”: questo profeta si chiamerà "nuovo Mosè" (cf Dt 18, 15.18, Is 61, 1-3) o "servo del Signore" (Is 40, - 55, soprattutto 53).

    Gesù, profeta escatologico e servo del Signore

    Alcuni studiosi pensano che Gesù abbia mostrato di ave­re coscienza di essere il profeta simile a Mosè (di cui parla Dt 18,5-19) nella scena della trasfi­gu­ra­zione, quando la voce dal cielo dice: “Ascoltate­lo!”. Al­tri invece pensano che tale identificazione di Gesù con il pro­feta di Dt 18 che si incontra nel NT per la prima volta in due testi degli Atti (3,22-23 e 7,37 ss), sia di origine redazionale. Non è detto che Gesù abbia avuto chiara coscienza di es­sere il profeta escatologico atteso; è certo però che ha interpretato la sua missione alla luce del­l'attesa del messia escatologico, di cui era così viva la spe­ranza ai suoi tempi.
    È significativo che nella sinagoga di Nazaret, proprio all'inizio della sua missione, Gesù mostra compiersi in lui le parole sul profe­ta ideale atteso (Lc 4,16-21). Per quanto riguarda invece la profezia del Servo del Signore, notiamo come, per l'evangeli­sta Marco, Gesù è il “giusto sof­ferente”, e lo dimo­strano i tanti riferimenti ai can­ti del Servo che si trovano nel racconto della pas­sione.
    Il NT sottolinea i due aspetti principa­li del messianismo profetico: uno molto realista: il destino tragico di Gesù; l'altro più spirituale: il senso della sua vita e della sua morte. Così Gesù ne potrà fare in certo modo il programma della sua vita colle­gando il suo annuncio evangelico con Is 61,1-2 e la sua passione con Is 53.

    Il Messia come giudice

    Il Figlio dell'uomo di Dn 7,13

    Nella tradizione apocalittica Daniele vede appa­rire in visione «il Figlio dell'uomo» sulle nubi del cielo che riceve l'impero universale. Da tutto il contesto appare che la conclusione e il tra­passo dai quattro regni umani a quello di Dio non sarebbe avve­nuto senza la collaborazione di un parti­colare invia­to da parte di Dio. La visione non è quindi solo escatologica ma messianica. Si parla pe­rò, nella vi­sione, della collaborazione che il Ve­gliardo> rice­verà da un Figlio dell'uomo e dai Santi.
    Il passaggio continuo da una concezione colletti­va a una concezione personale dura in tutta la lette­ratura biblica del giudaismo anche nei riguardi del messianismo.
    Conosciamo il valore simbolico delle nubi nella teologia biblica. Certamente Daniele, volle espri­mere la convinzione che nel Figlio dell'uomo, nel messia, c'era un essere che apparteneva alla ca­tego­ria del divino. La preparazio­ne messianica rice­vette perciò con la visione danie­lica del Figlio del­l'uomo un altro aspetto rilevante. Se il messia in quanto uomo doveva partecipare alla sofferenza umana, in quanto manifestazione del divino doveva restare divi­namente glorioso. Ecco perché il titolo di «Fi­glio dell'uomo» diventa da parte di Gesù e degli apo­stoli un titolo particolarmente messiani­co, capace di mani­festare il messia sofferente e il messia glorio­so.

    Gesù, Figlio dell'uomo

    Nel Vangelo di Giovanni l'espressione «Figlio dell'uomo» ricorre 13 volte e nella tradizione sinottica 69 volte. Soprattutto Marco ne fa un grande uso quando presenta Gesù come giudice escatologico e nell'annuncio della passione e risurrezione. È probabile che Gesù stesso abbia visto realizzata in se stesso la visione di Dn 7,13-14. Questo gli permise anche di liberare il messianismo regale del suo carattere terreno. Il significato della sua esistenza, il suo ruolo davanti a Dio e di fronte agli uomini è il ruolo del Figlio ­­­dell'uomo. Già prima della sua passione però Gesù si serve del titolo per affermare il proprio ruolo: in quanto «figlio dell'uomo» ha il potere di perdonare i peccati degli uomini (Mt 9,6); è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (Lc 19,10); è padrone anche del sabato (Mt 12,8). Ma Gesù evocò questa figura soprattutto quando reagì davanti ai giudici che lo condannavano, annunciando la certezza di un ritorno glorioso che avrebbe realizzato la visione danielica di un uomo esaltato presso Dio.
    Le lettere paoline non fanno un grande uso di questo titolo dato a Gesù, forse anche per l'ambigui­tà che poteva creare nei cristiani provenienti dal paganesimo il termine ánthropos, a motivo delle spe­culazioni cui aveva dato luogo nel mondo ellenistico. Paolo preferisce ricorrere al titolo “Signore” e al titolo “Cristo” nel quadro di una reinterpretazione e di una rilettura del messianismo regale dinastico.
    È probabile che Gesù stesso abbia fatto una rilettura attualizzante e abbia visto realizzata in se stesso la visione di Dn 7,13-14.
    Tenendo conto della scienza umana progressiva di Gesù, quando questi si rese conto chiaramente del destino tragico che lo attendeva, pensando alle Scritture, scoprì in due libri che gli erano assai familiari, il Deuteroisaia e Daniele, due figure che sembravano anticiparlo. Quella del Servo sofferente di Is 52,13--53,12 gli permise di comprendere il mi­stero della sua morte sacrificale e di misurarne la portata, aprendo già la prospettiva a una futura glo­rificazione. La seconda, quella del Figlio dell'uomo di Dn 7,13-14, gli fece intravedere in certo modo un'anticipazione e un annunzio profetico di questa esaltazione. Gli permise anche, per il suo quadro celeste, di liberare il messianismo regale del suo carattere terreno.

    Messianismo come principio-speranza

    Il messianismo è la categoria che più di ogni altra per­mette di cogliere e riesprimere il nocciolo del mes­saggio biblico che ha come scopo di trasforma­re i rapporti tra gli uomini e il mondo stesso.
    Questa situazione non è soltanto biblica ma uni­versale: è un fenomeno tipico di ogni gruppo o socie­tà in trasformazione e in crisi. Se si ha un contatto anche solo superficiale con i movimenti messianici sorti in questi ultimi anni, soprattutto nei paesi del terzo mondo, si vede come all'origine di ogni rivolta politica o militare ci sono germi di rinnovamento religioso che hanno tutti elementi costanti.
    A. Rizzi li descrive così: a. La situazione di crisi in cui un popolo viene a trovarsi; b. chi subisce la crisi sono soprattutto i gruppi subalterni; c. essi si esprimono attraverso la figura di un profeta-lea­der che prende la guida del movimento; d. il suo mes­saggio è radicato nel passato e, in particolare, nel “mito delle origini”, e l'epoca messianica viene vi­sta come un ritorno a queste origini felici e edeni­che; e. anche nel cristianesimo la tensione messiani­ca è collegata con il ritorno alle origini: la fine sarà come il principio; f. questi diversi gruppi si uni­scono superando le divisioni e costituendo insieme un unico popolo.
    La situazione religiosa vissuta dal popolo di Israele ritorna presso tutti i popoli. Nella Bibbia vengono presentate le origini felici dell'uomo, del mondo, “qualis esse debet” in Gen 1-2; e il mondo come invece è in realtà, in conseguenza di una colpa ori­ginale, in Gen 3. L'epoca messianica, poi, è sem­pre descritta dai profeti come un ritorno all'Eden. E interessante notare come tutte le teologie della li­berazione, più recenti, vedano in un intervento di Dio l'atto determinante della costruzione di questo mondo nuovo, proprio come nella storia biblica. “Gli eventi messianici di liberazione nell'AT non furono il risultato di efficienza umana, ma piuttosto un dono, un atto di forza, che trascendeva le possibili­tà concrete della storia” (R. Alves).
    Nell'AT il Deuteronomio segna la situazione esi­stenziale storica di Israele: il dono della terra da parte di Dio è condizionato dall'adesione all'allean­za e alla fedeltà del popolo alla legge. Ma non c'è stato un momento della sua storia nella quale il po­polo è entrato nella terra promessa, perché non c'è stato un momento in cui il popolo è stato fedele al­l'alleanza (cf Dt 8).
    Le profezie messianiche sono un rilancio dell'al­leanza al di là delle cadute e delle delusioni del presente. Quel rilancio che il Deuteronomio compie nel “sempre futuro” di ogni giorno (oggi), i profe­ti lo hanno poi enfatizzato nel futuro di una nuova epoca nazionale (e universale).
    L'alleanza è responsabilità, è umanità adulta, è felicità a caro prezzo> (A. Rizzi). Vale per tutti gli uomini quello che A. Rizzi dice di Israele: Il presente è l'"essere", la situazione di ingiustizia e di miseria: il passato è il "dover essere" rimasto inattuato; il futuro è il dovere essere che viene riproposto come possibilità ancora aperta (ibid., p. 24). Così il messianismo è un principio-speranza per tutti.

     


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu