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    Una nuova pastorale

    per i giovani

    In margine alla GMG di Roma 2000

    Domenico Sigalini



    Premesse

    1. Alcune particolarità della pastorale giovanile italiana

    Esistono alcuni elementi che caratterizzano la pastorale giovanile italiana e che hanno contribuito sia a offrire un denominatore comune a tutti gli operatori di pastorale giovanile, sia a orientare secondo uno stile fortemente educativo, sia a mescolare e innovare varie esperienze pastorali, a fare sintesi tra alcuni modelli educativi, ispirazioni, carismi. Sono in particolare:
    - La presenza capillare dell’Azione Cattolica che in molte diocesi ha sempre fatto da traino della pastorale giovanile di base, in altre ha messo a disposizione molteplici sussidi formativi, in altre ancora ha determinato l’impianto organizzativo e metodologico.
    - L’animazione vivace e originale dei religiosi e delle religiose che vengono a contatto con i giovani italiani, o per la scuola cattolica, o per la vita parrocchiale, o per i movimenti legati ad alcune spiritualità o figure di santi. Ciò spesso ha significato per la pastorale giovanile diocesana la rottura di impostazioni teoriche rigide, l’attenuazione di un certo attivismo esasperato, la creatività nel formulare nuove esperienze spirituali per giovani.
    - La presenza di molte associazioni, gruppi e movimenti che hanno allargato il diritto nativo del battezzato di aggregarsi nel nome di Gesù e di fare percorsi di fede
    - La presenza pensante dell’Università Pontifica Salesiana, che nel campo della pastorale giovanile in Italia ha sempre fatto da coscienza critica, da spinta metodologica e da strenua propositrice dell’integrazione fede-vita, come emerge dal Rinnovamento della Catechesi, elaborando non solo impianti progettuali, approfondimenti teorici sul modello educativo dell’animazione, ma definendo anche le figure educative.
    - L’influsso progettuale del Santo Padre nelle diocesi italiane attraverso le visite pastorali, durante le quali esigeva sempre di avere un incontro con i giovani e la lunga serie delle GMG che, seguite dall’Italia progettualmente hanno orientato tutte le comunità cristiane e i giovani italiani verso obiettivi comuni

    2. Le domande della pastorale giovanile alla vigilia della GMG Roma 2000

    Dal punto di vista del soggetto che fa pastorale giovanile

    Esiste una pastorale giovanile che ha come diretti destinatari i giovani, pur coinvolti da protagonisti, e una pastorale giovanile che ha come destinatario diretto la comunità cristiana e civile e in seguito il mondo giovanile. Può sembrare una distinzione banale, una sfumatura, ma determina due modelli diversi. Proviamo a descrivere i due diversi comportamenti.

    Pastorale della task force
    Nel primo caso si ha la commissione o la consulta o l’ufficio o il centro di pastorale giovanile che dedica la quasi totalità del suo tempo e delle sue energie a fare iniziative con i giovani e per i giovani.

    Pastorale della comunità
    L’altra impostazione invece è quella di chi, ufficio, commissione o quant’altro, si assume come primo compito quello di attivare la comunità cristiana perché si metta a disposizione dei giovani. Ciò significa che il gruppo coordinatore o la commissione ha come scopo primo quello di far crescere la responsabilità educativa di tutti i membri della comunità cristiana.

    Dal punto di vista dei vicini e dei lontani

    Pastorale del bonsai o pastorale di frontiera? Un dilemma di tal fatta è troppo sbrigativo, ma rende l’idea. Si dividono i giovani in vicini e lontani. I vicini vengono accostati attraverso i gruppi, hanno a disposizione percorsi di fede, i lontani li andiamo a pescare.

    Pastorale del bonsai
    Molte realtà parrocchiali, ma anche impianti diocesani, hanno il gruppo come referente del loro servizio ai giovani. La deriva è "piccolo è bello, anche Gesù si è formato un gruppo di dodici persone"... E’ chiaro che ciascuno dice che il centro delle preoccupazioni educative sono le persone singole, ma sempre a partire da quelle che ci sono nei gruppi.. La figura educativa unica è l’educatore o animatore di gruppo; spesso il prete vi si confonde come animatore.

    Pastorale di frontiera
    Dall’altra parte sta prendendo piede una pastorale giovanile che si preoccupa dei lontani, di quei molti giovani che pure hanno domande religiose, ma che non incrociano mai chi è in grado di fare proposte. Entrano in questo modello iniziative varie nelle discoteche, nelle piazze, corsi per animatori della strada, concentrazioni di massa, meeting, convocazioni, manifestazioni culturali, musicali, sportive, turistiche...

    Dal punto di vista formativo

    Su questo sfondo della necessità di offrire ai giovani ideali alti si aprono due altri modelli diversi di fare pastorale giovanile: la pastorale dell’annuncio o kerigma, che spesso è solo slogan, e la pastorale dell’educativo.

    Pastorale del kerigma
    Pastorale dell’annuncio significa che oriento tutto l’impianto pastorale di una comunità nel proporre in termini spesso non razionali, ma molto emotivi, l’esperienza della fede. Incontri con testimoni, vieni e vedi, stai con noi e poi deciderai... La deriva di questo modello è la predicazione ai giovani fatta di slogan, di frasi molto belle, con la parola "Gesù" ripetuta in grande quantità, in un linguaggio spesso molto biblico o ecclesiastico, di Parola di Dio…

    Pastorale dell’educazione
    La pastorale dell’educazione invece si preoccupa di scandire e di attrezzare il giovane per un cammino di crescita in cui assume atteggiamenti, responsabilità, valori, riformulazione di tutto il vissuto in base alla fede accolta come dono. La comunità cristiana fa decisamente la scelta di un accompagnamento educativo, che aiuta non solo ad aprirsi all’invocazione e ad accogliere l’annuncio, ma soprattutto a scoprire e a vivere la chiamata di Dio ridefinendo la propria vita secondo la novità della fede.

    Dal punto di vista vocazionale

    Il problema della famiglia lunga e della carenza di vocazioni, legato alla grande incapacità di decisione dei giovani spesso chiude la pastorale giovanile in una sorta di area di parcheggio o di wwf, per paura di estinzione della specie.

    Pastorale dell’attesa indefinita
    La pastorale giovanile è quella attività che un prete possibilmente giovane fa per tenere assieme i giovani intanto che non sanno che cosa fare, poi, quando si tratta di prendere decisioni, (vedi matrimonio, volontariato, presbiterato, vita religiosa, impegno politico esplicito...) la pastorale giovanile non serve più, ma soprattutto non aiuta a decidere e non accompagna il giovane in situazione.

    Pastorale vocazionale
    L’altro modello che chiamerei latamente vocazionale è quello che offre ai giovani percorsi diversificati in base alle vocazioni che a mano a mano si definiscono o le situazioni di vita che cambiano, spostando l’interesse decisamente verso le scelte di vita che cominciano a diventare chiare.

    Dal punto di vista della santità

    La santità è solo per qualcuno o è per tutti? Qui la distinzione vicini lontani decide quali interventi educativi mettere in atto e quali strutture attivare per i giovani.

    Pastorale dei cerchi concentrici
    In molte diocesi è invalso l’uso, per altro molto immediato, di descrivere i giovani secondo tre categorie o tre cerchi, in base alla vita cristiana che essi conducono. Il centro è la vita della comunità cristiana: il primo cerchio è costituito dai giovani che fanno scelte consapevoli o sono nelle condizioni di farle e che fanno parte di gruppi formativi, il secondo cerchio è dato da chi abitualmente vive nei paraggi della comunità senza impegno, il terzo è dato dai giovani che abitualmente non sono coinvolti o perché indifferenti o perché lontani. In base a ciascun cerchio si prevede un intervento pastorale diversificato.

    Pastorale del territorio
    È la pastorale che si accorge delle differenze tra i giovani, legge le varie situazioni in cui si trovano, ma ne coglie la continua instabilità; vuole spendersi perché tutti abbiano ragioni di vita e di speranza. La comunità cristiana si fa luogo accogliente per ogni giovane; una casa abitabile da tutti, dove tutti possono trovare gente attenta alle domande che vengono dalla solitudine dei giovani. Non offre solo la chiesa, luogo del culto, come spazio di relazione e spesso anch’essa non disponibile negli orari della loro vita di aggregazione…

    3. Il dono grande della GMG ci costringe a rinnovare

    Dall’osservazione attenta di quello che è avvenuto e di quanto ancora oggi i giovani dicono è che siamo stati testimoni di una vera esperienza spirituale più profonda, pervasiva e coinvolgente di quanto ci si aspettasse anche da una organizzazione abbastanza previdente in questa direzione. I giovani non hanno tanto ricordato le fatiche e le difficoltà o gli elementi secondari (come l’amicizia, l’essere stati bene assieme, la contentezza delle cose fatte, l’interesse per la varietà dei programmi) ma soprattutto l’esperienza di fede profonda. Ne hanno dato testimonianza in tutte le interviste, in tutti gli scritti, nelle mail e nelle chat, sui quotidiani e sui giornalini di gruppo, di associazione o diocesani, con i loro volti, con la partecipazione commossa ai momenti di grande coinvolgimento emotivo, ma anche alle celebrazioni, alle catechesi, ai momenti di preghiera, ai dialoghi personali con gli animatori, laici preti, religiosi e le religiose. La preparazione capillare, attenta e progettuale nelle chiese di appartenenza, la figura ieratica e gioviale, forte e tenera del Papa, i luoghi e i monumenti di fede di Roma, la grande accoglienza nelle diocesi italiane prima e a Roma e dintorni poi hanno reso possibile una concentrazione sull’essenziale
    E’ un dato forse scontato per molti, ma non nell’intensità e nella capillarità di questo. Non è mai capitato che giovani tornassero riportando a memoria intere frasi dei discorsi del Papa, con la voglia di continuare e con una ostentata decisione di opporsi a chi prevedeva troppo in fretta la riduzione alla normalità, con la volontà di trascinare in questa scia i propri amici, raccontando loro entusiasticamente ciò che hanno vissuto. Mai come dopo questa GMG la celebrazione dell’"io c’ero" ha voluto dire in forme così decise e intense: " ci sono: contate su di me".
    Ecco i punti di forza che a partire dall’esperienza della GMG è necessario sviluppare:

    La comunità cristiana e il caso serio della vita: la fede

    Con i giovani si deve giocare la proposta della fede come caso serio della vita, non come insieme di pratiche, di emozioni, di riti. Non è facile, ma è possibile. E perché i giovani possano continuare a porsi domande di fede, a fare della fede la decisioni fondamentale della vita, ciascuno è chiamato a mettersi in gioco come credente. L’ha fatto anche il papa rileggendo la sua vita, mettendone a disposizione di tutti le scelte fondamentali, i periodi che le hanno provocate, i punti di riferimento. In Piazza S. Pietro, dopo che in ogni parrocchia alla Messa dell’Assunta si era contemplata la fede di Maria nel Magnificat, il Papa ha detto ai giovani la sua fede: io, credo e ho creduto così, nella mia giovinezza e nella età adulta, quando affrontavo le difficili decisioni della giovinezza, durante la guerra e quando sono diventato pontefice. E voi?
    Le nostre comunità sono chiamate a dichiarare la loro fede, a dire ai giovani il cammino fatto, a proporre la loro memoria viva. La lunga teoria di martiri che ha aperto la veglia ne è stato un esempio.

    1. Laboratori della fede
    Il santo Padre ha proposto tre esempi di laboratori della fede
    Possiamo dire che è laboratorio della fede uno spazio in cui ci sono questi tre elementi fondamentali:
    La ricerca, il farsi domande, il non dare per scontato, il dubbio, la dialettica, il lavoro della ragione e dei sentimenti, delle emozioni e dei comportamenti. Questo significa lavorare molto (laboratorio) sull’aiutare i giovani a dare fondo a tutte le riserve umane che crescono nella vita interiore, nei rapporti sociali, nei propri progetti riguardo al problema religioso, alla propria appartenenza alla chiesa, ai doppi pensieri che popolano ogni esistenze e che nessuno vorrebbe che altri anche solo sospettassero che abbiamo. Ciascuno ha sperimentato la tentazione dell’incredulità e può aiutare gli altri a superarla. Qui c’è lo spazio per chi crede appena qualche pezzo della vita di fede se si mette in cammino di dialogo e di crescita. Alcuni giovani che provengono da ambiente cristiano spesso non si sono domandati fino in fondo che cosa significa credere, non sanno distinguere religione da fede, sentimenti da adesione…
    L’ascolto, il confronto, lo studio, l’incontro con Lui o direttamente, o attraverso gli altri, nel silenzio del raccoglimento o nella ricerca comune. Esiste una esperienza di comunità credente con cui confrontarsi, tante persone che hanno risposto positivamente alla fede. Occorre essere posti con serietà davanti al nucleo fondamentale della fede, al suo centro, sfrondandolo delle cose secondarie; chiarendo quali sono gli elementi fondamentali e quali sono i comportamenti che li traducono nella concretezza. Qui la Parola di Dio, le riflessioni della teologia, le vite dei santi e dei testimoni sono molto importanti. Qui forse si può sperare di ricomprendere il vangelo nella sua radicalità, di toglierlo dalle secche comode in cui i nostri equilibrismi lo hanno chiuso.
    L’adesione, anche sofferta, ma decisa e felice: è la confessione adorante, è l’incontro entusiasta, è il ritorno dopo la fuga, il pentimento e l’invocazione accorata. E’ il momento del "Mio Signore e mio Dio", dell’affidamento, della preghiera anche se ancora di invocazione e non di ringraziamento per il dono ricevuto, della celebrazione, della vita sacramentale, dell’accostamento ai tesori della Chiesa, ma in termini rinnovati, incarnati, capaci cioè di portarsi dentro la vita, illuminata dalla fede. Per chi ritorna è un momento da celebrare anche esternamente, con gli amici, in qualche luogo particolare che segni una sorta di crinale di ritorno.
    Non ci potrà essere comunità che non si presenti come "laboratorio della fede". Le nostre esperienze pastorali, tutte le nostre attività dovranno d’ora in avanti misurarsi con questa affermazione di capitale importanza. Ogni comunità cristiana, ogni gruppo, ogni esperienza giovanile, ogni oratorio, ogni spazio formativo della comunità cristiana deve diventare laboratorio della fede. Penso al ritorno alla fede di tanti giovani oltre i vent’anni attraverso la celebrazione qualcuno del sacramento del Battesimo, molti del sacramento della Cresima o del Matrimonio. Sono tempi assolutamente da non sprecare sia per i giovani soggetti che per gli amici che li accolgono. E’ un grande laboratorio della fede il progetto di pastorale giovanile se fa percepire a chi lo vive una continuità e la convergenza alla meta che è l’incontro con Cristo. La Giornata mondiale della gioventù è stato un laboratorio della fede. Il tema della fede sarà centrale per queste generazioni e lo dovrà essere di ogni pastorale giovanile. La fede è il caso serio della vita di questi giovani, e per essa si deve impiantare dovunque un laboratorio, uno spazio di incontro tra Dio e l’uomo, una palestra che aiuta a capire le domande e a lanciarle oltre le piccole risposte comode di un vangelo ridotto a galateo o di una ingessatura ritualistica. Non per niente i nostri vescovi hanno fatto una assemblea e offerto orientamenti proprio sull’educazione alla fede dei giovani!
    Il pericolo assolutamente da avere ben presente e da affrontare è che si dia il nome di laboratorio della fede a tutte le iniziative che già si fanno, senza cogliere la sfida a ricentrarle più in profondità sull’effettivo essere laboratorio, ricerca, sfida, lotta, nuova attrezzatura, nuovo coinvolgimento della vita dei giovani...

    2. Offerta convinta del patrimonio rinnovato della vita cristiana
    Durante la settimana si sono succedute a Roma varie esperienze toccanti: il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli, la giornata penitenziale con le confessioni, la partecipazione alle catechesi, la diffusione nelle piazze della propria rilettura della fede con spettacoli, veglie, meeting. Non sono elementi nuovi come tanta stampa esalta, sono i mezzi classici e determinati la vita del cristiano, di cui ogni parrocchia è dotata, di cui ogni gruppo può avvalersi, a cui ogni giovane può accedere. Vuol dire forse che molte di queste esperienze le chiudiamo troppo nelle sacrestie o che quando le collochiamo nella quotidianità non fanno notizia e non interessano a nessuno. Le nostre progettualità di pastorale giovanile si misurano continuamente con questi elementi. Il pellegrinaggio è una esperienza che caratterizza l’educazione alla fede dei giovani, come lo è il sacramento della riconciliazione che abita tutte le "scuole della parola", i campiscuola, le feste dei giovani. La catechesi è il momento più importante della formazione nei gruppi ed è servita da due buoni catechismi. La centralità della Parola è stata ribadita nel convegno di Loreto che ci proiettava oltre la GMG ed è stata pure servita dalla pubblicazione della Bibbia Card. Il fatto che la stampa li abbia notati ci aiuta a continuare con maggior progettualità e coraggio. L’elemento di novità forse può essere visto nel linguaggio usato: esplicito, simbolico, fatto di parole e gesti, di canto e danza, di ascolto e partecipazione di tutta la corporeità. La liturgia per i giovani non può restare ingessata nella routine anche se occorre fare i conti con la quotidianità. Quotidianità non è dare per scontato, non è ripetere a macchinetta o inserire la guida automatica, ma rinnovare ogni giorno il miracolo. Le esperienze di base della vita cristiana vanno proposte con coraggio, ma con un grande sforzo di rinnovamento. Un lavoro che ci vedrà impegnati in collaborazione con l’Ufficio liturgico è la ricerca, approfondimento e arricchimento di tutte le musiche delle liturgie a massiccia presenza giovanile.

    3. Radicalità delle proposte
    La scelta del brano di vangelo della domenica, impostato sull’Eucarestia e sull’incalzante dialogo tra Gesù, la gente, i discepoli è la sintesi del modello educativo che il papa offre ai giovani: determinazione, coraggio, radicalità, fino a quel "volete andarvene anche voi?"
    La proposta più impegnativa che ne emerge è la radicalità del vangelo. Si è sempre saputo che i giovani non amano le mezze misure, anche se in esse spesso si adagiano, come tutti. Nessuno più coi giovani sarà tentato di fare sconti, di ridurre al minimo, di adattare, sia nel proporre il vangelo, sia nel presentare la vita sacramentale, sia nell’indicare le grandi mete, sia nell’offrire passi calibrati per raggiungerle, sia nel proporre la bellezza della vocazione al matrimonio, sia nell’offrire spazi di ricerca e di decisione per la verginità per il Regno, sia nel chiamare al servizio esigente della carità, sia nel proporre impegni e responsabilità sociali. Pellegrini sulle strade del tempo, ma con nel cuore una sete di eternità. Tante volte dicevamo nei nostri incontri che occorre sporgersi verso visioni utopiche della vita, che la chiesa deve imparare a sognare di più con i giovani come ha fatto Cristo. Il Papa ce lo ha riconfermato. Il sogno è il primo approccio alla radicalità delle scelte.
    La tendenza ad accontentare i giovani per avere audience non è mai stata proposta pastorale feconda, oggi è assolutamente da cancellare da ogni forma e attività educativa, da ogni progetto, da ogni esperienza pastorale. Il problema è di non scambiare per radicalità e fedeltà al vangelo proposte incomprensibili e incrostazioni tradizionali del nostro modo di vivere la fede o addirittura i nostri stessi comodi adattamenti e riduzioni a moralismi.

    4. Cammini vocazionali e direzione spirituale
    La proposta insistita del papa ai giovani perché decidano da che parte stare, perché rispondano positivamente alla voce di Dio che parla sicuramente a tutti nell’intimità della coscienza e negli eventi della vita ripropone a tutti coloro che stanno con i giovani l’urgenza di sostenerli nelle scelte della vita. Vocazione, diciamo noi: vocazione sempre all’amore sia nel matrimonio che nella verginità, sempre a servizio del Regno di Dio. Sarà possibile aiutare i giovani a non dilazionare esageratamente, come avviene oggi, la propria decisione fondamentale? Questo significa che la pastorale giovanile deve essere più vocazionale, più orientata a sostenere le decisioni, a fare proposte radicali, ad aiutare i giovani ad affrontare la solitudine del credente formandosi una coscienza forte nella verità. Ogni giovane si sente solo e ogni credente viene isolato. Il valore della verità non dipende dal numero di quelli che la sostengono, ma dalla verità che essa è. Ancora vuol dire aiutare ad assumere piccole o grandi responsabilità personali e collettive. E’ impossibile vivere con la testa nei nostri quattro spazi e pensare che il mondo attorno a noi si debba arrangiare. Molti ragazzi stanno chiedendo direttori di spirito, vogliono essere aiutati a decidersi con maggior determinatezza.
    La manifestazione giubilare che più ha coinvolto le giovani generazioni nel loro cammino di ricerca vocazionale è stata sicuramente la GMG, con tutto il suo ricco insieme di manifestazioni e provocazioni. All’interno della giornata sono state pure evidenziate due vocazioni portanti: la vocazione al matrimonio e la vocazione alla vita consacrata. Ambedue sono state celebrate con una veglia di preghiera, riflessioni, canti e testimonianza nella basilica madre di tutte le chiese: S. Giovanni in Laterano, e il Papa non ha mancato di richiamare come sempre fa l’esigenza di una risposta generosa. A Tor Vergata il papa ha chiamato i giovani a rispondere alla vocazione di speciale consacrazione e alla vocazione al matrimonio, ponendole ambedue nel disegno di chiamata all’amore di Dio.
    La presenza tra i giovani di coppie di giovani sposi, di adulti, di preti, di religiose e religiosi a condividere tutta la fatica della GMG, a convivere per una settimana "loco et foco", a fare i volontari, a distribuire pasti, a condurre carrozzelle, a dormire nel sacco a pelo sotto le stelle, a farsi inondare dai getti di acqua fresca sotto il cocente sole ha provocato i giovani a farsi domande sul loro futuro, a "invidiare" quasi chi aveva già avuto la forza di decidere e manifestava tanta gioia. Non c’è che convivere con i ragazzi per trasmettere quasi per osmosi antropologica la forza della decisione e la chiarezza delle prospettive.
    Tornati a casa molti giovani hanno cominciato a cercarsi una guida che li tenesse più "controllati", più orientati a non tergiversare come sempre si fa, più illuminati per capire che cosa sta succedendo nella loro vita. Sentono come un dovere di non lasciar cadere nella routine quotidiana l’esperienza spirituale profonda fatta. E’ chiara la risposta immediata a questa esigenza; l’hanno capita i religiosi e le religiose, che offrono ai giovani incontri formativi più definiti; l’hanno capito i presbiteri che stanno moltiplicando piccole comunità di vita comune e di ricerca
    Necessità di interessarsi a tutto lo spettro vocazionale di una vita cristiana.
    È giusto che la pastorale vocazionale chieda agli operatori di pastorale giovanile di fare ogni sforzo perché nei cammini educativi e nei progetti di pastorale giovanile sia sempre presentata la vocazione di speciale consacrazione, ma è altrettanto importante per la pastorale giovanile che si allarghi la proposta a tutte le vocazioni. Oggi c’è estremo bisogno di far capire che il matrimonio cristiano è una vocazione per la quale occorre attrezzarsi maggiormente, l’essere laici nella chiesa è una vocazione. Nessun cristiano è generico. E’ necessario che ci sia nella pastorale giovanile questa attenzione, almeno come quella che ci si mette per le vocazioni di speciale consacrazione.

    5. Lo stile: l’Incarnazione
    Questi giovani hanno dato l’immagine di che cosa è l’Incarnazione. Nell’anno duemillesimo dalla nascita di Gesù, questi giovani ci hanno fatto capire che essere credenti in Lui è comporre in tanti modi diversi e originali la vita di tutti i giorni con i suoi momenti di gioia e di dolore, di canto e di silenzio, di partecipazione silenziosa ai momenti culminanti della liturgia e di esplosione di vita, di preghiera e di riflessione, di ritualità e di gesti concreti, di fede e di ragione. Vestiti come tutti, con tatuaggi e piercing, in ginocchio davanti al confessore e appoggiati l’un l’altra sul prato, in contemplazione davanti alla croce e inarrestabili nella danza, in massa che sembra anonima, ma in colloquio a due a due, in ascolto e in domanda, in fila per mangiare e pazienti nel cedere il posto ad altri, in silenzio nell’adorazione e esplosivi nel canto. Hanno dato espressione alla loro fede nel raccoglimento delle chiese e nel tumulto delle piazze, nelle liturgie e negli spettacoli, con il gregoriano e con il rock. Questi giovani non mettono contraddizione tra la notte vissuta nella ricerca di amicizia e di libertà e il giorno nel duro confronto con l’impegno e con i riferimenti adulti. Ma ancora più in profondità il messaggio del Santo Padre li ha spinti a leggere nelle loro esperienze quotidiane la presenza di Cristo. "In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna". E’ questa la spiritualità laicale, raccomandata anche dai vescovi italiani, dove il giovane deciso per il vangelo, si decide anche di abitare i luoghi della vita quotidiana e si misura con le sfide dei coetanei e del proprio tempo.
    La comunità cristiana si mette sulla lunghezza d’onda dei giovani per offrire spazi dove costruire laboratori della fede.
    Diceva il Papa subito dopo la GMG ai giovani di Albano:
    "La Giornata Mondiale della Gioventù, che abbiamo celebrato pochi giorni or sono, è stata una splendida conferma di quanto sia giusto confidare nelle nuove generazioni ed offrire loro opportunità positive, perché incontrino Cristo e lo seguano generosamente. Investite, dunque, valide energie pastorali a favore della gioventù, promuovendo luoghi di aggregazione dove i giovani, dopo aver ricevuto la prima iniziazione cristiana, possano sviluppare in un gioioso clima comunitario i valori autentici della vita umana e cristiana" (Castelgandolfo, 27 agosto 2000).
    Gli oratori, le associazioni, i movimenti hanno bisogno di fare un salto di qualità per essere laboratori della fede in due direzioni:
    Nel tornare ad essere veri spazi aggregativi. Se in oratorio, associazione, la vita del giovane, la sua voglia di incontrarsi, le sue domande di vita non sono interpretate non si può neanche iniziare a parlare di laboratorio. E’ solo un dispensario, un mortorio, una sacrestia o una strada.
    Nel qualificare in senso giovanile proposte vere di fede, spazi espliciti di ascolto e di incontro tra le persone e con l’esperienza dei credenti. Se un giovane cerca la fede, l’oratorio gliela può offrire o è attrezzato per tutt’altro? I giovani che li frequentano sono esigenti nei confronti dei loro animatori perché li facciano incontrare Gesù. Se un ventenne dopo la fuga vuol tornare trova quello che cerca o non ce ne è più nemmeno l’ombra e il ricordo?

    4. L’atteggiamento di fondo verso la realtà giovanile: fiducia e stima

    Fin dall’antichità sono rintracciabili scritti che parlano delle giovani generazioni come se fossero la causa dell’imbarbarimento delle civiltà. Dove andremo a finire con queste generazioni di giovani? Riusciremo a mantenere alti gli ideali che hanno formato i nostri popoli? Le risposte sempre negative. Una gioventù come questa distruggerà tutto. In maniera meno drammatica ogni adulto dice: "ai miei tempi". Lo dice il nonno, il genitore, il maestro, il prete, il datore di lavoro, l’animatore, l’allenatore.. ogni persona insomma che ha a che fare con i giovani. Lo dice lo stesso sedicenne che in parrocchia ha un incarico temporaneo di animazione, anche se ha una età che differisce solo di due anni dai ragazzi che segue.
    Il papa, no! Lui dice: "Voi cari amici....sarete all’altezza delle sfide del nuovo millennio". Se ai miei tempi era così, voi ai vostri tempi saprete trovare la strada per fare meglio di noi.
    I giovani, con questo discorso del papa, non si sentono addosso le osservazioni icastiche di rivendicazione di superiorità dell’adulto, di umiliazione di fronte agli errori inevitabili della vita, di subdola soddisfazione perché le previsioni di discontinuità nell’impegno si avverano. Si sentono dire che hanno capacità di cambiare il mondo.
    Per noi adulti frasi rivolte ai giovani come: "mia gioia e mia corona", sono solo citazioni di una Parola, forse un po’ ingessata in altri tempi; per i ragazzi è stato un atto di stima, di amore, di compiacenza, di connivenza.
    "Il Signore ci ama anche quando noi lo deludiamo". Perché dopo questa frase è partito immediato l’applauso? Perché i giovani sanno di non essere sempre all’altezza delle esigenze della vita, sanno che devono ricominciare ogni giorno a credere in qualcosa, sperimentano di adagiarsi, sono tentati di dire: "ormai", si rivedono davanti le piccole e grandi infedeltà, le discontinuità, si sentono addosso i nostri giudizi non solo impazienti, ma di condanna. Gesù è diverso, la fede cristiana non è la somma dei successi, ma delle continue proposte che Dio ci fa di ricominciare.
    Una comunità di cristiani deve allora sbilanciarsi dalla parte dei giovani, sentirsi orgogliosa di essi, investire un massimo di energie per il loro futuro, guardare loro con occhio benevolo, stimolarli sempre alla ripresa. Questo è vero per le parrocchie, per le diocesi, per la scuola, per il dialogo in famiglie, per le associazioni, per la società in genere.

    1. Tutta la comunità cristiana, adulti e famiglia compresi
    Non sono stati pochi gli adulti che accompagnavano i giovani alla GMG: preti, religiosi, religiose, animatori, coppie di sposi che ritmano con loro i passi della vita. Ma la cosa più interessante che occorre mettere in luce è che i giovani italiani hanno fatto una esperienza esaltante in diocesi accogliendo per quattro giorni i loro amici di tutto il mondo. Ne erano 150.000. Il nodo fondamentale della accoglienza, del successo, della soddisfazione di tutti sono state le famiglie. E’ stata esperienza bella dovunque. I genitori, le famiglie hanno fatto meraviglie e hanno riscritto la loro voglia di credere e di mettersi a disposizione dei giovani. Le famiglie sono un potenziale di generosità, di umanità, di disponibilità, di fede, di praticità pastorale, di preghiera semplice e di riflessione profonda e non si riesce a capire perché lasciamo in genere questo capitale inattivo o sepolto tra le mura domestiche a consumarsi di inedia davanti al televisore. La famiglia ancora una volta si è rivelata un bene sorprendente, uno spazio di vita incalcolabile. La pastorale giovanile non si è sentita sola, isolata, ma ha potuto contare su una convergenza naturale di adulti e giovani, di famiglie, di genitori e figli.
    Ora che tutti sono tornati, ora che sono cominciate le prime crisi della vita normale non andremo ancora a seppellirci nei nostri loculi sia personali che pastorali: i giovani alle play station e i genitori ai lavori domestici; i ragazzi all’oratorio e i genitori a messa; i giovani nei loro gruppi e nelle loro piazze, nelle loro notti e i genitori ad aspettare con il cuore in gola. Sarà possibile stanare famiglie che assieme ai figli diventano soggetti di evangelizzazione, di formazione, di missionarietà. L’onda lunga di Tor Vergata può continuare. Nessuno si senta né orfano, né accantonato. La comunità cristiana è sempre il soggetto di ogni vita cristiana e in essa la famiglia, non quella del "mulino bianco", ma quella vera che conta sulla grazia di un amore reso sacramento dell’amore di Dio, popolato, tormentato e incendiato dai figli di Tor Vergata.
    In ogni diocesi si sono costituiti comitati composti da adulti e giovani per organizzare le varie accoglienze e momenti di dialogo con la città, con la gente. Sono stati esempi di grande collaborazione e interesse degli adulti per i giovani. Non si devono più perdere queste realtà e bisogna trasferirle nella vita quotidiana, nei progetti educativi, negli oratori, nelle iniziative di pastorale giovanile.

    2. Con la consapevolezza che l’educazione porta i suoi frutti
    La meraviglia che è stata provocata dai mass media che ritraevano questi giovani in tutte le loro esperienze, percorsi, reazioni, comportamenti è stata quella di vedere giovani motivati, che sapevano quello che stavano facendo, capaci di serietà nell’affrontare la fatica e nel vivere i momenti giubilari più impegnativi, nonostante le condizioni climatiche al limite della sopportazione. Quindi se i giovani vengono seguiti, vengono aiutati ad affrontare la vita, sanno rispondere con generosità: non è vero che l’educazione è tempo perso, che la vita di gruppo, di associazione è una nicchia comoda per chi non ha idee; non è vero che la comunità cristiana non è più casa abitabile da giovani felici e decisi. Paiono discorsi superficiali, ma quei volti, quei canti, quelle liturgie hanno fatto crescere la speranza in non pochi adulti.

    3. In una comunione effettiva e felice con tutte le aggregazioni ecclesiali.
    A detta di tutti si è sperimentato soprattutto in questa GMG una vera comunione fra i vari gruppi, associazioni e movimenti. Sono lontani i tempi della rissa, del litigarci le quattro pecorelle rimaste mentre fuori c’è tanta sete di Dio. E’ finito l’atteggiamento della palingenesi, cioè della rivendicazione al proprio gruppo del vero inizio della fede cristiana. Tutti offrono cammini seri e motivati ai giovani e assieme si fanno esperienze di apostolato, di formazione di missionarietà. Queste aggregazioni laicali spesso possono contare su religiosi e religiose desiderosi di servire il mondo giovanile a partire dal carisma che Dio ha loro dato. L’atteggiamento eccessivamente preoccupato della proposta vocazionale è inserito in una seria pastorale giovanile, aperta su tutte le vocazioni ecclesiali e laicali. I religiosi nella vita ecclesiale non possono essere visti in maniera funzionale alle deficienze della pastorale ordinaria, ma sono la pastorale ordinaria. Così lo sono le associazioni, i movimenti, i gruppi di particolari spiritualità. Il passo successivo è coinvolgere le associazioni e i movimenti in progetti specifici e proposte allargate al territorio o alla zona pastorale. Mettendo assieme le forze lavorando in filiera, in rete possono inventare gruppi di catecumenato, gruppi di primo annuncio, cattedra dei non credenti…. Esistono due tipi di associazioni che possono essere coinvolte: quelle "professionali", cioè quelle più rivolte ad alcune attività specifiche ludiche, musicali o latamente culturali, e quelle di evangelizzazione, più orientate all’annuncio o alla formazione cristiana in termini espliciti.

    4. Un coordinamento nel territorio di tutte le parrocchie e di tutti gli oratori o centri giovanili specializzandoli diversamente a seconda del contesto e delle strutture. Questo significa che non tutti gli oratori o le parrocchie della stessa zona possono offrire tutto quello che serve ai giovani del territorio, ma che ci si coordina con progetti e animatori che lavorano in collaborazione. Ci potrebbe essere un oratorio ben attrezzato che fa da centro propulsore e altri in cui si svilupperanno attività coordinate; per esempio un ambiente si specializza per la notte, un altro per lo sport di un certo livello, un terzo per la musica, il teatro, l’arte..., un altro per i percorsi per i fidanzati o l’educazione all’amore con la presenza anche di un consultorio familiare. Nello stesso tempo ci si dovrà coordinare con le altre realtà del territorio.
    Ogni spazio deve avere un po’ di tutto per la vita concreta dei ragazzi, soprattutto per quelli più giovani (ragazzi e preadolescenti) che non hanno molta autonomia negli spostamenti. Ogni parrocchia offre sicuramente tutto quello che costituisce la vita credente. Ma quando si tratta di luoghi di aggregazione, di interventi qualificati si deve entrare in una nuova collaborazione. Ogni oratorio ha il suo campetto, ha il suo luogo di accoglienza, la sua stanza per la musica. Uno solo però si può attrezzare o con una bella stanza per le incisioni, o con un buon torneo che aiuta a mettere in circolo atteggiamenti meno commerciali per lo sport, o con un informagiovani (servizio educativo) sulle problematiche affettive, o con una scuola per animatori o per un tipo di animatori ben attrezzata culturalmente e didatticamente…

    5. Gli spazi informali della vita dei giovani e la comunicazione della fede

    Continua il papa:
    "Abbiate premura anche dei tanti giovani che non frequentano la comunità ecclesiale e che si riuniscono sulle strade e nelle piazze, esposti a rischi e pericoli. La Chiesa non può ignorare o sottovalutare questo crescente fenomeno giovanile! Occorre che operatori pastorali particolarmente preparati si accostino ad essi, aprano loro orizzonti che stimolino il loro interesse e la loro naturale generosità e gradatamente li accompagnino ad accogliere la persona di Gesù Cristo". (Castelgandolfo, 27 agosto 2000)
    E i vescovi italiani avevano già detto nel 1999 "i giovani chiedono di superare i confini abituali dell’azione pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni". (Educare i giovani alla fede, febbraio 1999)

    1. Una domanda di fondo: Annunciamo la fede che abbiamo oppure abbiamo la fede che annunciamo?
    È un gioco di parole per domandarci: il dono della fede è qualcosa di consolatorio da tener prezioso, di cui fare scorta e da offrire quando siamo sicuri di averla senza perderla (annunciare la fede che abbiamo) oppure la fede che abbiamo è soltanto quella che siamo chiamati a mettere a disposizione di tutti (abbiamo la fede che annunciamo!), è resa viva e vera solo quando la comunichiamo? Come sono stati educati i discepoli di Gesù? Ancora non hanno ben capito la proposta travolgente che Gesù sta facendo, l’hanno ascoltato, ne sono rimasti affascinati, hanno vissuto con lui un po’ di tempo e subito si sentono dire: andate! li mandò a 2 a 2 senza pane, né bisaccia, né denaro: solo con un paio di sandali per camminare.
    Non hanno certezze, sono inaffidabili, i dubbi li assaliranno, la gente non farà il tifo per loro: una cosa è certa capiranno che cosa è il Regno di Dio mentre ne metteranno la vita al servizio; la loro fede crescerà mentre la offriranno come dono.
    Tante nostre vite di fede sono stanche senza senso perché quando abbiamo dubbi anziché metterci a confronto, anziché osare di coinvolgere altri nella nostra faticosa adesione al vangelo, ci mettiamo allo specchio e continuiamo a guardarci addosso. La fede cresce se la doni, il Vangelo diventa luce anche per te se lo poni sulla finestra perché tutti lo vedano.

    2. Quale è questo crescente fenomeno giovanile?
    Ma sopra tutti e sopra tutto, il fenomeno che più caratterizza i giovani d’oggi, sia adolescenti che oltre i diciott’anni è la ricerca di spazi di vita propri, di luoghi in cui passare il tempo senza pagare pedaggi, né fisici, né di simboli, né di immagine: la banda, il muretto, la squadra, la compagnia, il gruppo musicale, la piazzetta, le vasche del corso, la spiaggia, i concerti, il pub, la discoteca, la notte, l’automobile; gli spazi virtuali, la musica, il fumetto e internet.
    Sono gli spazi in cui oggi i giovani vivono, si incontrano, sognano, si relazionano, decidono, stanno bene, aspettano che passi il tempo, sballano, si scambiano esperienze e decisioni di vita, e in cui emergono anche le domande religiose. Ogni decisione deve essere "live", in un contesto in cui pulsa l’esistenza, l’amicizia, il sentirsi vivo e libero.
    Qui, anziché nei luoghi istituzionali a ciò dedicati, come la scuola, la parrocchia, la famiglia, i giovani pongono la forza e l’emotività necessarie per andare avanti nella vita e per decidere che farne. Per le relazioni affettive, per la decisione degli studi da compiere, per i rapporti sociali, per la appartenenza alla Chiesa, per la dimensione religiosa spesso influiscono di più questi mondi vitali che il giovane si crea che i nostri luoghi istituzionali.
    La casa del senso è la vita quotidiana con il suo insieme di relazioni, esperienze affettive, attività del tempo libero. Il senso lo va scoprendo entro i luoghi dell’invenzione della speranza e della constatazione delle delusioni, nel ricamo di percorsi che inventa con la sua motoretta o la sua macchina, nella progettazione delle risposte alle sue aspirazioni che avviene spesso nel gruppo del muretto, nella passeggiata sul corso, ai bordi dei campi da gioco o nei parchi, sui tediosissimi spostamenti in bus per andare a scuola o al lavoro, nelle amicizie di una stagione... Qui nascono e si formulano le ricerche e i primi tentativi di risposta al vivere. Qui affondano in strati impensati della coscienza individuale i perché della vita che non risparmiano nemmeno i più superficiali e distratti. Qui, tra la sopportazione del caos del traffico e la fuga nel proprio mondo veicolato dalle cuffie si affacciano le inevitabili domande di ulteriorità. Che parentela ha tutto questo con il luogo solenne di una celebrazione liturgica o col gruppo troppo ristretto di amici che in parrocchia o nel movimento ha fatto quadrato attorno a se concentrandosi e difendendosi dagli estranei?
    Due luoghi in particolare caratterizzano questo mondo parallelo:

    3. Il vasto mondo virtuale
    I luoghi in cui i giovani piantano le loro tende non sono necessariamente fisici o geografici, possono essere anche virtuali. L’esposizione dei giovani a questi luoghi è altissima. Si direbbe che ne fanno una atmosfera in cui vivono, come l’aria per gli uomini o l’acqua per i pesci, per cui non sono nemmeno percepiti per quello che sono, ma per quello che permettono di vivere. In essi acquisiscono capacità manipolatorie velocissime, facilità di uso, creatività di modi nuovi di comunicare, non necessariamente dipendenza.
    E sono gli stessi luoghi virtuali che spesso creano i luoghi fisici:
    la musica crea la discoteca e il concerto; ogni giovane ha la sua discoteca privata di MP3, compra e vende, ascolta, scarica e cancella, si abbona a riviste e le passa....
    il fumetto crea la compagnia; biblioteche di Dylan Dog sono custodite gelosamente, prestate e fatte circolare, raccontate tra amici. All’eroe si scrivono lettere struggenti e ci si aspetta una risposta.
    il giornale crea il circolo culturale e viceversa; è un circolo difficile da sostenere, ma capace di far vibrare per qualche utopia alcuni giovani.
    la radio crea riconoscimento tra gli amici, forme di linguaggio uguali, capacità di raccontarsi, di sentirsi interpretati, di uscire dall’isolamento.
    Internet crea città virtuali in cui vivere e news group che si danno appuntamento via Internet in luoghi fisici per vedersi e uscire dalle proprie solitudini, questo esige un approfondimento perché è una vera novità, l’innesco di un cambiamento di cui non sappiamo la portata, ma che sicuramente determinerà la comunicazione tra i giovani e dei giovani.
    le playstation creano veri e propri piccoli stadi in cui ci si immerge con creatività, si fa amicizia, ci si isola completamente dal tempo e dallo spazio per entrare in un mondo fantastico, stimolante, spesso anche creativo

    4. La notte
    Oggi le statistiche, ma è sotto gli occhi di tutti, dicono che almeno un buon 80% di giovani oltre i 18 anni, in una almeno delle notti di un week end non torna a casa prima delle tre di notte. Facciamo qualche tara al dato, aggiungiamo pure che tale abitudine un giovane non la tiene per tutto il periodo della giovinezza e altre considerazioni di realismo, sta di fatto però che la notte sta diventando sempre più per i giovani il tempo in cui si scatenano, esprimono libertà, ricerca di amicizia, relazioni e divertimento, voglia di vivere e desiderio di contare. Non si tratta di migliaia, ma di milioni di giovani che vivono questa esperienza. Sono lontani dal mondo degli adulti, si ritagliano luoghi e spazi in cui vivono solo loro, si sentono di potersi esprimere con maggiore libertà. Di giorno puoi vedere tanti giovani con le cuffie per estraniarsi da tutto quello che capita, di notte non ne vedi uno che le porta, perché sono nel loro mondo.
    Che cosa offre la comunità civile? Che cosa offre la comunità cristiana? La notte in termini diretti non vede nessun ambiente educativo anche cristiano a disposizione. Il mondo dei profitti si fa in quattro per offrire ai giovani riposte alle loro domande, non curandosi eccessivamente della qualità umana delle proposte e proponendosi spesso un guadagno economico senza scrupoli. Avviene così che si esaltano le tendenze anche più negative, che si danno risposte false a problemi veri, che si sfruttano i giovani nelle loro pur ragionevoli ricerche e domande.
    Noi come comunità cristiana abbiamo milioni di metri cubi di ambienti (oratori, chiese, conventi, scuole cattoliche, sale...), ma nessun metro cubo ospita giovani durante la famosa notte. Se è vero che in questo tempo i giovani cercano vita, cercano risposta anche alle loro domande religiose, è anche vero che devono rimandare ad altri momenti l’incontro non dico con la comunità cristiana, perché potranno sempre imbattersi, anche di notte, in qualche altro giovane o adulto convinto che offre la testimonianza della sua fede, ma con le sue strutture e esperienze educative fatte di spazi, di aggregazioni, di ambienti.

    5. Se è qui che i giovani pongono la forza delle loro decisioni che ne deriva?
    Buttiamo a mare le istituzioni, la famiglia, la scuola, la parrocchia, l’associazione, l’oratorio? Neanche per sogno, anzi è proprio da qui che deve partire una decisione di educazione diffusa, che si concretizza in alcune conseguenze:
    La prima conseguenza è che i luoghi di ritrovo dei giovani sono sfidati a diventare i nuovi spazi educativi. Se lì costruiscono i loro ideali, maturano le loro scelte, rispondono alle loro domande anche profonde, con spontaneità, possibilmente lontani dagli occhi degli adulti e di qualsiasi organizzazione, è importante che giovani e adulti che abitano questi spazi siano all’interno di essi capaci di offrire ragioni di vita e di speranza, farsi punti di riferimento informali. Ciò esige che tutti siano chiamati in causa per questa opera, siano aiutati e preparati, siano sostenuti dalla comunità cristiana, dalla società civile, da raccordi intelligenti tra l’una e l’altra. Non vogliamo far diventare scuola il tempo libero, parrocchia il corso delle molteplici "vasche", gregoriano il rock, famiglia la compagnia, ma valorizzare la carica enorme che essi si portano dentro per una umanità rinnovata.
    Sembra che oggi le istituzioni riescano meglio ad offrire ciò che necessariamente hanno il dovere di mettere a disposizione dei giovani se sanno collegarsi a questi areopaghi. Questo significa che la scuola, la famiglia, la parrocchia non possono ignorare il tessuto di relazioni che i giovani costruiscono in queste realtà con i loro linguaggi e modelli di vita. "Non possono ignorare" è ancora troppo vago, occorre vedere in concreto che cosa significa. Sicuramente non si intende abbassare il tono di una proposta forte sia culturale che religiosa, non si intende fare il verso alle mode, nemmeno però pensare che tutto quanto viene dalla cultura della notte, dai muretti, dai concerti, dai pub in cui si fa musica dal vivo, da squadre di calcio, da compagnie del tempo libero, da gruppi e band musicali, da bande di motorini, da gruppi folcloristici sia tutta zizzania da evitare e da dimenticare quando si prega, quando si fa catechesi, quando si educa a rispondere con generosità alla vocazione al matrimonio, alla vita consacrata, alla vita tout court. In questa affermazione ci sta sia la necessità di un intervento educativo non formale, sia la consapevolezza che ogni discorso che si fa per intercettare i giovani sulle strade della vita quotidiana non può fare a meno di una struttura istituzionale alle spalle che da una parte prepara e sostiene l’azione.

    6. I massmedia e i nuovi linguaggi della formazione e della missione.
    È stata esperienza di tutti in benedizione o con qualche fastidio la percezione che i mass media si sono tuffati a pesce sulla GMG e ne sono stati in un certo senso i protagonisti per la gente, per le famiglie che da casa seguivano i figli, per gli amici incapaci di vincere il virtuale, per gli uomini della cultura e per tutti i cittadini. L’informazione in genere dalla tv alla radio a Internet si è impossessata dell’evento e lo ha distribuito nelle case e nelle vite, ha fatto da annunciatore talvolta intelligente talaltra impacciato. Tutti i giornali hanno tentato di interpretare, di riconfermarsi nei propri atteggiamenti ideologici o di prendere qualche saggia distanza. E’ il mondo in cui sono collocati sempre i gesti di ogni cittadino e quindi anche dei cristiani. La pastorale giovanile non può ignorare questo mondo e stare solo in difesa o attesa di grandi eventi per comunicare la sua vita, le sue aspirazioni, i suoi sogni e i suoi progetti. E’ tempo di essere più attivi, quindi preparati e coraggiosi sia nella carta stampata, sia nelle radio, che i giovani ascoltano più delle televisioni, sia in Internet. Già esistono buone iniziative, che però vanno incrementate affinate per la comunicazione tra i giovani e per lo stesso annuncio del vangelo. Così è di un altro linguaggio fortissimo: la musica, in cui purtroppo il mondo giovanile è ancora troppo passivo soprattutto quando si tratta di andare controcorrente in maniera professionale. Il Servizio Nazionale ha attivato già alcune esperienze ben impostate sia per la musica e sia soprattutto proprio a partire dalla GMG con la pagina webwww.giovani.org. Da una settimana anche un giornale on line per i giovani chiamati G nella pagina web www.g.giovani.org Molte diocesi già si stanno attrezzando e stanno facendo interessanti esperimenti. La diffusione bella bibbia card e della conseguente bacheca on line saranno sicuramente due strumenti che permetteranno una presenza più decisa in questo campo, fino a prefigurare un giornale per giovani in Internet.

    7. Programmare nuovi corsi per animatori con attenzione a favorire tirocini di apprendimento e non solo lezioni.
    La figura dell’animatore di pastorale giovanile è ormai mitica. Sono i giovani che hanno tirato su in questi anni gruppi vivaci di adolescenti, di giovani, di giovani adulti con tanta passione, pazienza e creatività. Li abbiamo visti alla GMG, pieni di entusiasmo, sorpresi di ottenere dai loro giovani ancora esperienze così belle, dopo tutte le frustrazioni dell’anno e tutte le tergiversazioni da "partecipo non partecipo". Per questi animatori ogni diocesi ha un suo fiore all’occhiello: un corso per animatori. Un corso vivace, s’intende, non fatto con lezioni pizzose, ma con grande coinvolgimento dei soggetti, con Bibbia card e playstation sull’ecclesiologia, con esercizi dei quadrati e del dodecaedro, con analisi dei sentimenti e degli atteggiamenti, con test e dialoghi, dando fondo a tutto il Vopel nei suoi otto volumi.
    Se i giovani che si incontrano non sono solo quelli dei gruppi e delle associazioni, ma sono anche quelli delle piazze e dei pub, della strada e del muretto, della festa e dell’incontro straordinario, dello spazio di aggregazione (leggi: oratorio o centro giovanile) e dello sport, del giorno e della notte, se si è allargata l’esperienza di contatto deve moltiplicarsi anche la figura dell’animatore. Si deve andare in cerca di una nuova generazione di animatori che non sognano immediatamente di "finire" in un gruppo, ma che devono star vivi su tutto il territorio, se vogliono intercettare i giovani e offrire loro ragioni di vita: si tratta allora di genitori, di professori, di professionisti (baristi, musicisti, cantautori, gestori di discoteca, giornalai), di religiosi e religiose, di presbiteri che vogliono riprendere a dialogare coi giovani, di assessori alle politiche giovanili, di datori di lavoro, di responsabili di associazioni professionali, di allenatori sportivi, di proprietari di palestre, di personale scolastico non docente, di operatori nel settore non profit, conduttori di consultori… Solo che il corso per animatori è ancora fermo a preparare giovani per l’animazione di gruppo.
    Si impone urgente un cambiamento.
    Chi sono le persone che invitiamo al corso per animatori? non più solo gli animatori di gruppo, ma tutte quelle figure adulte o giovani di cui sopra. Direi che oggi dobbiamo fare corsi per gente che si vuol appassionare dei giovani là dove essi vivono, lavorano, impiegano il loro tempo in una professionalità dignitosa e attraverso questa offrire il proprio contributo alla crescita di un cristiano e di un cittadino. Ci sono molte persone, molti adulti che nel loro mestiere hanno a che fare con i giovani: questi devono diventare i nuovi destinatari dei nostri corsi per animatori. Non prefiguriamo tutto e solo in vista di una attività nel gruppo e per di più all’interno della parrocchia.

    8. La collaborazione e la non autosufficienza
    Questa decisione allarga la pastorale giovanile al territorio, la obbliga a dialogare con tutti, a progettare assieme. Mi par di sentire una obiezione immediata: allora abbandoniamo i gruppi, non facciamo più formazione spirituale, non facciamo più catechesi? E’ chiaro che la comunità cristiana ha un suo punto di vista e un suo dono da offrire, che è la bellezza della esperienza che fa di Gesù, come salvezza e pienezza di vita, ma il modo di aiutare oggi i giovani a crescere nella fede prevede vari approcci diversificati e in rete, tenuti da gente che sviluppa la propria vocazione particolare entro un progetto grande. Educare alla fede è educare alla vita di fede e la vita dei giovani di oggi è distribuita su vari fronti, tutti interdipendenti e tutti bisognosi di gente generosa che sa investire su di loro. Uno degli strumenti sarà poi anche il gruppo attorno a un tavolo, ma non è l’unico e non è sempre il primo approccio per la maggioranza dei giovani.
    Per noi oggi è urgente allargare il fronte della gente che si appassiona ai giovani e che può offrire loro ragioni di vita. Entro questo fronte nasceranno e saranno preparate persone che guideranno itinerari di fede.

    Conclusione

    Diceva il prof. Vittorino Andreoli "I giovani sono in crisi di astinenza da fede". Per chi conosce che cosa è astinenza nel senso della tossicodipendenza si rende conto della gravità della assenza della fede nella vita dei giovani. Anche alcuni fatti di questi ultimi giorni ce lo confermano. Se la fede non dà risposte profonde alla persona, la vita diventa un inferno, un deserto, manca l’acqua o l’aria, manca l’essenziale. Siamo fatti per il Signore e quindi se non viene accolto nella vita, la vita si distrugge da sola. Il mio cuore sta male finché non ti ha trovato. "Occorre tornare a spacciare la fede", continua Andreoli. Spacciare indica chiaramente che la fede non può essere relegata nei luoghi istituzionali, lontani dalla vita quotidiana spesso per inerzia o abbandono.
    Aggiungo in due appendici le osservazioni nate da gruppi di lavoro con presbiteri e religiose su come devono crescere preti e suore per rispondere alle richieste dei giovani dopo la GMG.

    Appendice 1

    Indicazioni per un dialogo formativo giovani-preti:
    1. Il presbitero che sta coi giovani è spesso giovane lui stesso. Se sei ancora chierico questa dimensione è ancora più evidente e vivi in prima persona le tensioni e le domande dei giovani. Non ti è richiesto di rinnegare la tua giovinezza, ma di metterla al servizio della crescita nella fede dei suoi amici che ancora non hanno fatto scelte decisive nella vita o che vi si stanno preparando. Sei giovane, quindi capace di interpretare le nuove generazioni, ma orientato; sei ancora in formazione e in ricerca, ma direzionato, inserito in un contesto ecclesiale. Non ti rifugi nella atarassia dell’adulto, ma sai fare da ponte con loro; non ti metti le maschere, ma sai essere prudente…Giovani insomma, ma non giovanilisti.
    Il primo atteggiamento personale che deve assolutamente curare se vuol fare della fiducia verso i giovani una scelta è di accettarsi per quello che si è, non vivere in stati continui di depressione dovuti a insuccessi personali o di ruolo. Una stima verso di sé è la base della stima verso gli altri. La voglia di ricominciare è essenziale per proporre fiducia, l’atteggiamento di ascolto completa il quadro
    2. Il papa nell’omelia di piazza S. Pietro ha offerto ai giovani la sua personale esperienza di fede. I giovani hanno bisogno di sentirsi raccontare la fede degli adulti, di sentire che anche noi siamo stati amati alla follia da Dio, che anche noi abbiamo dovuto sempre cercarlo tra tentativi, prove, aiuti e slanci generosi.
    La fede è un caso serio anche della nostra vita, non siamo i mestieranti del religioso. E’ una ricerca sempre da approfondire. Esige di non legare a se i giovani, di orientarli sempre alla Chiesa e in essa a Gesù, attraverso il racconto di quanto Dio ha fatto in noi, non tanto dei nostri sforzi. E’ tentazione anche per noi quella di annacquare il vangelo nelle nostre abitudini o magari, a seconda delle stagioni, di sentirsi chiamati a fare da Savonarola. La saggezza non è sinonimo di buon senso, del quale si può anche morire, ma di accoglienza globale, con la consapevolezza di far diventare il vangelo stile di vita e non arma di rivendicazione nei confronti degli altri o della istituzione.
    3. Nella liturgia l’impegno del presbitero è assolutamente necessario:
    per ridare centralità nei nostri rapporti coi giovani all’incontro sacramentale con Cristo. E’ la nostra unica specializzazione e spesso ci vede inadempienti (cfr. sacramento della riconciliazione, celebrazione dell’Eucaristia soprattutto con una attenzione particolare ai giovani, preparazione alla celebrazione del sacramento del matrimonio…)
    per togliere le molte ingessature della liturgia che spesso dipendono dalla nostra indolenza o prigionia della routine, dalla mancanza di preparazione e applicazione di una vera passione pastorale alle celebrazioni (improvvisazione, adattamenti…).
    Questo non è un compito esterno al presbitero, ma fa parte della sua spiritualità, fa parte della sua fede nei sacramenti, di come li vive per sé, di come sono luoghi di santità, spazi di interiorità per se stesso. Prima di essere una azione o una regia di atti esterni, è un tirocinio spirituale su di sé.
    Il chierico spesso per fuggire alle tensioni del mondo giovanile che lui stresso vive si rifugia nella liturgia, si dà identità a partire dall’altare, dal rito. Si tratta di ripensare seriamente invece come essere aiuto al giovane per cogliere in quei sacramenti la celebrazione del Signore della loro vita.
    4. Per il nostro essere preti o chierici, che si preparano ad esserlo, le attività educative formative che progettiamo, l’offerta della vita sacramentale, gli spazi di presidenza della vita liturgica, la preghiera della comunità cristiana sono i luoghi della nostra santificazione; non sono altro dalla nostra vita interiore. Diventiamo santi facendo i preti, o vivendo da chierici, non facendo i laici. La partecipazione interiore a ciò che facciamo per gli altri è la prima strada di santità, non ce ne è un’altra che continuamente sospiriamo quando siamo impegnati nella pastorale. Se ciò non avviene, vuol dire che manca preparazione e partecipazione profonda a ciò che facciamo per gli altri.
    5. L’offerta di spazi di aggregazione devono vederci interessati a leggere i bisogni di aggregazione dei giovani, i loro stili, le loro esigenze e vederli non dal punto di vista della nostra missione, ma della missione della chiesa. A noi, come chierici prima e come presbiteri dopo, il compito di trovare entro queste esigenze dei giovani quello che compete a noi e quello che invece compete ai collaboratori laici.
    6. Non è bello fare il piccolo prete quando si lavora coi giovani, ma sentirsi tutti sempre alla scuola del Signore. La capacità di osare nel chiedere tutto al giovane spesso cozza contro la nostra debolezza e mediocrità. Né l’una né l’altra possono abbassare il livello della nostra proposta. Non siamo noi il termine di confronto, ma Gesù, anche se essere testimoni convinti è una meta necessaria da vivere. Voglio dire che il livello della proposta che facciamo ai giovani non è definito da quello che del vangelo noi possiamo vivere, altrimenti il vangelo sarebbe già scomparso dalla nostra predicazione. Siamo servitori di una parola più grande di noi e di loro e saremo tanto noi che loro giudicati da essa.
    7. Per aiutare a impostare una corretto dialogo con i giovani occorre:
    non sostituirsi alle decisioni degli altri
    offrire testimoni e esperienze indipendenti dal nostro influsso
    rischiare anche il fallimento per rispettare piccole o grandi responsabilità che i giovani si assumono
    8. Aprire l’orizzonte a tutti i giovani significa qualche volta sentirsi soltanto ospiti del nostro mondo ecclesiastico. Le nostre canoniche o case parrocchiali o conventi devono essere aperti, i giovani devono poter sentirsi a casa loro. Occorre avere qualche capacità di pensare al mondo giovanile girando il campo visuale di 180 gradi con due attenzioni particolari:
    fare una attività di meno pur di tirarsi dietro tutta la comunità nel lavoro coi giovani
    non sentirsi in prima persona l’incaricato del muretto o dell’apertura verso tutti, ma preparare una comunità di apostoli; della serie non sono io che deve andare in discoteca, o che deve girare per i pub, o che deve abitare i giardinetti, o stare nella notte dei giovani (qualche esperienza invero non guasterebbe), ma devo aiutare persone, giovani e adulti a vivere con me questa passione per il vangelo.
    Dialogare con la comunità presbiterale per variare gli orari dell’attività apostolica, per garantire nuovi tempi di presenza e di missione
    9. Il prete non è tanto dei giovani, quanto servitore di tutta la comunità e oggi gli adulti ci aiutano a esprimere una funzione ponte di raccordo tra le generazioni. Questo esige:
    maturità affettiva e progettualità
    chiarezza della propria scelta verginale
    sbilanciamento verso un discorso vocazionale nelle proposte formative
    10. Due elementi di impegno prevedo nel mondo dei nuovi strumenti di comunicazione:
    la valorizzazione della creatività giovanile che sta in ciascuno di noi nel campo dei nuovi strumenti di comunicazione. Ogni prete ha una sua arte comunicativa, che lo fa star bene. O sa suonare, o cantare, o scrivere, o ricercare, comporre. Sicuramente prima o poi queste qualità devono essere messe a disposizione del vangelo in maniera originale.
    la lettura critica e competente delle proposte dei mass-media che inizia da un proprio posizionamento maturo, da ricercare con equilibrio. Non è a mio avviso percorribile la strada: niente TV, niente radio, niente Internet, niente giornali o al contrario notti intere alla TV o a navigare ecc…

    Appendice 2

    La configurazione di una religiosa di fronte alle linee di pastorale giovanile nate dopo la GMG Roma 2000
    1. Fiducia e stima per i giovani
    La religiosa si accetta per quello che è nella sua vita di tutti i giorni e si abitua a vivere la consacrazione come dono, come dimensione quotidiana della vita. E’ contenta di quello che vive e comunica con la sua serenità anche alle consorelle la positività del mondo giovanile. Si sente guardata con amore da Dio e ricambia questo atteggiamento nei confronti dei giovani. Se è giovane e sente dentro di sé le stesse tensioni dei giovani vive con speranza i momenti di incomprensione con la comunità e sperimenta in un clima di donazione la fatica della crescita e dell’accoglienza. Ha da offrire ai giovani l’esercizio spirituale su di sé che rappresenta ogni atteggiamento educativo. Se sperimenta che cosa significa essere giovani nel Signore, nella rinnovata adesione al suo piano, nella freschezza della donazione nella povertà, con il cuore pulito della verginità sa stabilire una santa "connivenza" coi giovani, una compagnia nella crescita.
    2. La fede il caso serio della vita
    Il fondatore è un esempio vivo di come seguire Gesù. E’ vivo perché è incarnato nella vita di ogni religiosa e quindi dalla sua vita può essere continuamente raccontato, non come un superman, ma come qualcuno che ha intercettato i sogni di Dio e ha tentato di realizzarli per la sua vita e per quelli che il Signore gli ha messo accanto. La biografia della sua fede, è la piccola o grande biografia di ciascuna, con le sue lotte, i suoi tormenti, le fatiche, le riprese, la fiducia. Ogni casa religiosa è un laboratorio della fede, uno spazio in cui si fa chiarezza dei dubbi e delle incertezze e si fa esperienza dell’incontro con Gesù. Mettere la fede al primo posto nella vita di comunità e non gli orari o le strutture o le preoccupazioni organizzative deve poter trasparire come esperienza quotidiana. Riportare tutto veramente a Gesù, come centro è tirocinio severo di ogni vita e specchio per chi ci incontra è il servizio primo da offrire alla fede dei giovani. Segue sicuramente la condivisione coi giovani di tratti del cammino di fede. La fede cresce quando la si mette in circolo.
    3. Offrire il patrimonio rinnovato della fede.
    Esistono esperienze liturgiche, celebrazioni, preghiere, particolari espressioni di fede popolare, abitudini che sono spesso patrimonio di alcune congregazioni religiose. Nelle comunità si acquisisce anche un certo stile di celebrare, di pregare, di cantare i salmi. Nella misura in cui sono vere liturgie, non affettate, ma capaci di esprimere lode e contemplazione, richiesta di perdono e gioia possono diventare anche per i giovani non le loro liturgie, ma stimoli e aiuti per rendere vive e autentiche le proprie o quelle di tutti. Il senso di Dio, l’ascolto attento, la celebrazione vissuta sono per i giovani il clima in cui maturare una propria originale capacità espressiva nella liturgia e nelle varie celebrazioni e anche uno stimolo ad arricchire i momenti di preghiera della ricchezza delal vita giovanile.
    4. Lo stile dell’Incarnazione
    Tutte le congregazioni religiose in questi anni si sono misurate con la riattualizzazione del proprio carisma. Il giovane ha sempre da attualizzare l’esperienza della fede nel suo essere giovane di oggi. L’approfondimento dei dati della vita religiosa, il sentirsi donne di questo tempo e nello stesso tempo suore felici è ciò che essenzialmente può aiutare i giovane ad incarnare la sua fede nella vita e nella cultura del suo tempo. Il problema o la sfida è la stessa anche se le modalità sono sicuramente diverse. Certo una suora deve essere molto libera dentro di sé per lasciare ai giovani di essere se stessi nei loro spazi. Non vive dei giudizi sui giovani, né delle riduzioni dei giovani ai propri modelli, ma è talmente matura nella sua vita religiosa, cui ha saputo dare nuove capacità di espressione nella vita di oggi, da aiutare anche il giovane a fare lo stesso per la sua vita di credente.
    5. La radicalità evangelica
    Il dono di vivere i consigli evangelici con i voti è un grande aiuto alla radicalità delle scelte della fede.
    - La povertà come risposta al problema dell’uso dei beni e del bene che ciascuno si sente di essere.
    Alla domanda "che cosa devo fare della mia vita?" spesso dà più risposte un esempio di vita vissuta nella essenzialità che l’analisi di tanti fattori psicologici, tendenze affettive, qualità e sentimenti. - L’obbedienza come affidamento a un progetto
    In una età in cui è molto difficile decidersi, in cui si cerca sempre di spostare la decisione al classico "ci vediamo", per non togliersi mai la terra da sotto ai piedi o chiudere la possibilità di tante altre scelte ugualmente plausibili, poter avere dialogo, dimestichezza, consuetudine con uno che ha il coraggio di affidare la sua vita a un progetto più grande, che vede in questo un piano che lo realizza, che ha già trovato un progetto definitivo per sè, è una forza eccezionale per decidersi.
    - La verginità e la castità come intuizione di ulteriore significato da attribuire alla sessualità
    I giovani hanno voglia di autenticità e di rispondere alle domande di ulteriorità che la sessualità si porta dentro.
    I giovani di oggi non vengono dal nostro mondo; spesso quello che è scontato per noi è per loro la novità di cui hanno bisogno per vivere. Che cosa sanno dell’obbedienza i giovani di oggi? Che cosa sanno della verginità che non sia la descrizione banale dei mass media?
    6. Essere missionari
    Gli istituti devono abituarsi a non chiudere le porte, a cambiare gli orari, soprattutto a riorganizzarsi perché il convento sia una casa abitabile dai giovani e la vita religiosa sia condivisibile in parte dalla loro ricerca di verità e di libertà. Certo occorre favorire le vocazioni all’ascolto e all’uscita verso i luoghi dei giovani. Non tutte lo possono fare, ma qualcuna è particolarmente dotata a fare la missionaria. Va aiutata ad essere l’espressione di tutta una comunità aperta e non una out sider. Gli ambienti dei giovani non possono essere lo sfogo di chi non riesce a vivere nel convento, di chi si sente frustrata nella vita religiosa, ma deve essere una scelta progettuale, fatta possibilmente da tutta una comunità, con la capacità di alternarsi per non perdere l’amore alla contemplazione e alla vita di comunità.
    7. Il coinvolgimento degli adulti
    Non occorre essere giovani per stare con i giovani. Occorre come sempre essere se stessi ed accettare l’età che si ha. Una sana sopportazione o addirittura amore alla vecchiaia ottiene sicuramente di più che la rassegnazione e, per i giovani, trovare una suora adulta contenta di esserlo senza nostalgie e senza rimpianti, è fondamentale. Hanno bisogno di asimmetria, non di confusione, di persone che vivono quello che sono, non che giocano a nasconderlo. Così nella vita fisica che spirituale. Non si può scambiare la capacità di stare con i giovani con la voglia di confondersi tra loro. Da noi si aspettano sempre una azione da adulti.
    8. Missionari nei nuovi mezzi di comunicazione sociale
    Un aggiornamento per crescere continuamente e per rispondere alle sfide del mondo è importante per la vita spirituale nostra. Una persona adulta, una suora, non legge i giornali per fare apostolato, ma per rispondere alle provocazioni che ogni giorno la vita offre, per essere cristiana pienamente nel suo mondo. Una persona aggiornata è una figura di credente che i giovani cercano, perché pensano sempre che per essere credenti oggi, occorre essere un po’ fuori tempo, come spesso lo siamo tutti noi. Non si confondono le mode con l’attenzione al modo di esprimersi, di soffrire, di comunicare. Essere aggiornati è dovere del cristiano per sé ancor prima che per gli altri.
    9. Spiritualità del quotidiano
    Il quotidiano è il luogo della nostra santificazione; passiamo spesso una vita che manca di feste e che è quasi sempre troppo quotidiana, ma il segreto della santità sta proprio nel vivere straordinariamente le cose di tutti i giorni. Il nostro programma di vita, l’orario, la consuetudine non debbono essere visti da noi come routine, ma come fedeltà ai grandi ideali, distribuita lungo tutte le ore della vita. Sappiamo mettere il silenziatore alle nostre esperienze e nella ripetitività sappiamo riconoscere la strada quotidiana di un amore che si fa sempre nuovo. Siccome però il mio quotidiano non è quello dei giovani, devo assolutamente aiutare i giovani a vivere da liberi, autonomi, creativi, non legati alle nostre tonache.
    10. Aiutare a decidere
    Non c’è come far vedere la gioia di essere religiose, che può aiutare i giovani a pensare alla loro vocazione; ma ancor prima per noi stessi è importante avere un atteggiamento di ringraziamento orante per il dono di una scelta definita di vita in un mondo che decide di darsi un pezzo per volta. E’ importante ripensare alle nostre decisioni, alla fatica che ci sono costate per raccontarle; nel narrarle si fanno ancora più forti dentro di noi. Di fronte a un mondo di giovani che non riesce a decidere occorre presentare umilmente il nostro cammino di decisione e di maturazione. Questa responsabilità sa far superare anche le difficoltà che incontriamo, perché anche noi tutti i giorni dobbiamo scegliere la strada della santità dentro la scelta della nostra vocazione.

    (Notiziario SNPG 32, luglio 2001)


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