Ragioni e limiti
del pluralismo attuale
Riccardo Tonelli
cf Appunti per un corso di "PASTORALE GIOVANILE"
Basta guardarsi d’attorno con una punta di senso critico e si scopre facilmente che l’accordo tra coloro che credono alla pastorale giovanile e si impegnano per realizzare cose serie al riguardo… non è proprio idilliaco. Tantissime persone nella Chiesa fanno cose eccellenti per l’educazione dei giovani alla fede e per restituire ad essi vita e speranza, ma lo stile, le scelte, le prospettive sono assai diverse.
Con una parola complicata si dice che oggi c’è pluralismo di modelli. E non si tratta certamente di un pluralismo solo formale, quello che realizziamo quando usiamo dei sinonimi per dire la stessa cosa. Alla radice del pluralismo ci sono scelte teologiche e antropologiche assai differenti. Esiste cioè un modo di comprendere il mistero di Dio e quello dell’uomo davvero poco omogeneo.
Dal pluralismo non si può uscire né ignorandolo né combattendolo. L’unica via praticabile è quella che parte dal tentativo di comprenderlo e individua criteri su cui assicurare la convergenza, anche nella diversità pratica.
Ai primi livelli di analisi delle ragioni del pluralismo, qualcuno può avere l’impressione che il problema sia di scuole teologiche e pastorali. Si può dire: io ho studiato in una facoltà diversa dalla tua… e ho imparato a vedere le cose in un modo diverso. Schierati sulle differenti scuole di pensiero e di progettazione pastorale, lo scontro corre sugli autori di riferimento da citare o sui frammenti di documenti autorevoli a cui appoggiarsi.
Continuando a riflettere e a documentarsi, un poco alla volta, molti di noi hanno scoperto che ci sono ragioni molto più profonde e impegnative. L’azione pastorale si esprime in moltissime scelte pratiche. Esse rispondono alle differenti sensibilità, alle urgenze che il contesto lancia, a quella passione per la causa di Gesù, irriducibile a formule schematiche. Questo pluralismo operativo è espressione di ricchezza e consapevolezza di quanto sia grande l’evento che vogliamo servire e povera la nostra modalità di servizio. Dio e l’uomo sono un mistero così grande, che nessuna espressione – né verbale né di interventi – è in grado di comprenderlo, descriverlo, servirlo adeguatamente.
Per comunicare qualcosa su Gesù e la sua proposta di salvezza, ci sentiamo, infatti, costretti a condividere quella “Parola di vita che abbiamo udita, l’abbiamo vista con i nostri occhi, l’abbiamo contemplata, l’abbiamo toccata con le nostre mani” (1 Gv 1, 1).
In ultima analisi, il pluralismo pratico ci fa toccare con mano la povertà delle nostre parole e dei nostri gesti e ci costringe a consegnare la fiducia piena solo a Dio, un mistero grande e ineffabile, ragione e fondamento del nostro vivere, agire, sperare.
Confrontandosi con queste ragioni profonde del pluralismo, qualcuno conclude con un solenne “benvenuto il pluralismo” e qualche altro, un po’ più rassegnato, si convince che non c’è niente da fare… l’unica e prendere le cose come vengono.
Non mi piacciono queste soluzioni, né la prima né la seconda. Devo trovare una via di uscita, capace di valutare il pluralismo, elaborarlo in modo serio, progettare alternative, senza la pretesa assurda di trovare un’isola felice dove non ci sia più nessuna traccia di pluralismo. Quale?
Dal pluralismo non si esce cercando uno spazio protetto, dove tutto sia ordinato e sicuro e dove ad ogni incertezza c’è pronta la risposta. Si può uscire solo trovando dei criteri che ci aiutino a fare ordine, a giudicare e a valutare.
Di qui il mio invito: cerchiamo assieme dei criteri che ci aiutino ad elaborare il pluralismo.