Attesi dal suo amore
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    Qualche preoccupazione

    per ripensare

    alla pastorale giovanile

    nell'attuale

    stagione culturale

    Riccardo Tonelli


    Quale musica è più incantevole delle voci dei giovani, quando non senti quello che dicono?
    (Logan Pearsall Smith)


    Qualche constatazione

    Suggerisco qualche constatazione, frutto della sensibilità acquisita e condivisa in questi anni, per dare una prospettiva comune alla ricerca, in una situazione di diffuso e intenso pluralismo.
    Esse sono ispirate allo -spirito di Palermo", da cui si coglie l'atteggiamento della comunità ecclesiale nei confronti dei cambi culturali in atto e delle provocazioni che essi lanciano.

    Un problema culturale

    È facile condividere l'impressione che l'attuale sia un tempo che pone problemi non piccoli a chi riconosce di avere un progetto preciso ed esigente da offrire a tutti. Sono notevoli e, spesso, sostanziali, le distanze tra quello che siamo abituati a considerare come irrinunciabile e quello che sta emergendo. La questione su cui ci si divide è quella della natura del problema:
    • dove sta il problema?
    • Perché è problema?

    Tra vita e speranza
    Una chiesa che riconosce nei giovani e negli uomini di questo tempo una "risorsa", da accogliere, servire, salvare, facilmente riesce a concludere, con lo stesso realismo di GS, che i problemi, quelli "veri", quelli che richiedono il massimo di concentrazione di risorse e di impegni, sono quelli che riguardano la vita e la speranza. Viviamo infatti in una situazione di emergenza sulla vita. Soprattutto i giovani, i più fragili e i maggiormente esposti, soffrono di questa situazione di emergenza.

    A confronto con le culture
    Sul problema della vita, del suo senso e di quell'insuperabile minaccia alla vita che è la morte, la fede cristiana è chiamata a misurarsi. Continuare l'esperienza di Gesù e dei suoi discepoli significa, in concreto, annunciare il Vangelo dentro questi problemi, con la preoccupazione che questo annuncio risuoni veramente come «bella notizia».
    Per questo, sono convinto che il problema dell'evangelizzazione e della pastorale giovanile sia soprattutto un problema di tipo culturale (riguarda cioè il confronto tra i modelli culturali dominanti e quelli dentro cui è stato espresso il progetto di esistenza che vogliamo comunicare).

    Una via di soluzione

    Se questo è lo zoccolo duro del problema (di confronto che diventa scontro o indifferenza, a causa della diversità sostanziale), immagino che la via di soluzione debba percorrere contemporaneamente due direzioni: ripensare la relazione comunicativa (che lega adulti e giovani su qualcosa che conta per tutti) e il suo contenuto.
    In concreto, queste possono essere le due direttrici di lavoro:
    • la scelta dell'educazione, come qualità della relazione "verso" i referenti
    • la scelta di un forte impegno ermeneutico (una nuova inculturazione della fede), come ridefinizione del progetto stesso.

    Un compito

    Le constatazioni forniscono la prospettiva generale della mia riflessione.
    In questo orizzonte possiamo cercare via d'intervento per affrontare e risolvere il problema.
    Ricordo tre compiti sui quali penso sia necessario concentrare l'organizzazione delle risorse. Il primo riguarda la strumentazione globale, il secondo la meta, il terzo il metodo d'azione.
    Con questi suggerimenti cerco solo orientare il lavoro di riflessione comune, dicendo forte le direzioni in cui potrebbe svolgersi e facendo qualche esempio, per chiedere il coraggio di scendere davvero nel concreto.

    La prima organizzazione delle risorse

    Chi si trova nelle necessità di uscire da una situazione complessa, non può, prima di tutto, preoccuparsi della completezza e dell'armonia delle parti. Questo lo facevamo, con passione e competenza, in una stagione dove tutto era chiaro, ordinato, organizzabile.
    In situazione di complessità possiamo solo scommettere su "scelte generatrici".
    Ecco la proposta: giocare le molte risorse possedute nella direzione della formazione (e cioè dell'educazione) verso una collaborazione allargata, accettando con gioia i vantaggi e i limiti di un progetto collaborativo.

    Verso un progetto culturale

    In questa logica la comunità ecclesiale mette al centro delle sue preoccupazioni un "progetto culturale":
    • ripensa nella profezia del vangelo
    • la qualità della vita quotidiana
    • in compagnia con tutti
    • offrendo il suo contributo specifico,
    • nella coscienza di poter raggiungere conclusioni sempre provvisorie, come sono quelle in cui l'assoluto (della fede) accetta di dirsi dentro il relativo (della cultura).
    Provo a suggerire alcune direzioni che stimo particolarmente urgenti in questa ridefinizione della qualità della vita. In esse ha cercato di coniugare i modelli culturali emergenti con la profezia inquietante del vangelo.
    1. Restituire il senso della serietà della vita, senza distruggere l'oggettività o schiacciare la soggettività: la vita quotidiana si porta dentro esigenze che misurano ogni soggettività, quando viene assunta in tutta la sua dimensione di imprevedibile provocazione.
    2. Riscoprire la libertà nella sua autenticità: l'amore concreto verso l'altro è la misura della libertà: per osservare la legge, per superare la legge, per realizzare molto di più di quello che la legge prescrive.
    3. In un tempo di incertezze e di dipendenze, ricostruire l'identità personale e il suo senso, in uno spazio di intensa interiorità, dove diventa determinante la provocazione continua dell'altro che ha bisogno e mi chiama.
    4. Ritrovare l'urgenza del perdono (che si fa riconciliazione: un segno eloquente di futuro...) come condizione di convivenza, che va molto oltre la giustizia e la tolleranza.
    5. Ritrovare il coraggio di quella ascesi che è irrinunciabile, sulla strada della solidarietà che si fa responsabilità e competenza.
    6. Ridisegnare il ritmo del tempo in cui scorre l'esistenza: amare il presente, tra memoria e futuro.
    7. Superare la disperazione e la noia, che nasce dalla continua esperienza di "perdita" (di senso, di prospettiva, di possesso...), verso una matura capacità di rischiare nel sogno che anticipa il futuro.

    Qualche priorità operativa

    La ricostruzione di una qualità di vita è compito comune, perché riguarda un problema comune. La comunità ecclesiale serve questo compito comune giocando in esso il suo dono specifico. Abbiamo ormai superato quella distinzione degli ambiti che divideva i compiti e i responsabili, inventando, al massimo, delle opere di supplenza.
    Quello che ci resta da fare (e non è poco!) riguarda il tentativo di verificare quale specifico contributo possiamo offrire nel comune compito e come si riorganizza il compito a partire dal contributo specifico.
    Tento alcuni esempi:
    1. Il nostro è un tempo in cui la fede è debole mentre la religione è (o ritorno ad essere) forte... Stimo urgente lavorare per invertire la logica: rinunciare a atti di religione (o, almeno, fare di tutto per autenticarli... nel rispetto dei ritmi di maturazione di ogni persona), per consolidare esperienze di fede (ricostruire l'esperienza del mistero "indisponibile" nella esistenza, sfondare il possesso nell'invocazione, affidarsi a Dio più grande del suo stesso volto, accogliere oggi, per non dover chiedere perdono domani...).
    2. Rifondare la speranza come esito di un esercizio di libertà che impara a leggere il presente (persone e avvenimenti) dalla parte del futuro di Dio ("faccio nuova ogni cosa... perché non ve ne accorgete?"), superando così la semplice speranza "operosa" e quella "volonterosa".
    3. Sfondare il confine stretto della propria autonomia, autosufficienza, potenza... per decentrarsi verso l'altro, come momento prezioso di ricomprensione della propria verità.
    4. Mostrare che la speranza è "realistica" (qualcosa si realizza...), costruendo spazi dove sia possibile sperimentare che il futuro è già presente: luoghi, persone, incontri, celebrazioni...

    Per non ripetere gli errori di un tempo...

    Prima di concludere, voglio ricordare una esigenza che in questi anni abbiamo largamente maturato: proporre con forza la storia di Gesù, come buona notizia a chi cerca vita e speranza. Ci hanno spinto a questa decisione differenti istanze:
    • la provocazione di chi ha scelto altre strade
    • la paura di ripetere tragici errori del passato
    • la constatazione delle attese dei giovani
    • la riscoperta gioiosa che non possiamo tacere quanto "ci arde in cuore" (Lc. 24, 32). . Due elementi si incrociano:
    • il coraggio della proposta, prima di ogni domanda
    • la preoccupazione costante perché essa risuoni come "buona notizia".
    Di qui il richiamo alla verifica ermeneutica del progetto di esistenza cristiana e, in ultima analisi, di quella spiritualità che ne rappresenta l'organizzazione.
    Questa è la sfida del tempo in cui viviamo. Rispondere, riproponendo, magari con forza rinnovata, le stesse cose di sempre, significa "disprezzare" il presente: stare con i giovani, senza ascoltare la voce.


    T e r z a
    p a g i n A


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