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    Linee per un progetto

    di pastorale giovanile

    Le conclusioni dell’assemblea di Collevalenza

    Domenico Sigalini *



    Premessa


    Il compito che devo svolgere oggi è di fare il punto sulla situazione della pastorale giovanile italiana e soprattutto di offrire il contesto in cui collocare gli orientamenti che i vescovi ci hanno dato a conclusione dell’assemblea di Collevalenza. Ritengo giusto riprendere quell’esperienza significativa che alcuni di noi hanno vissuto con i nostri pastori in uno scambio semplice, libero e attento. Non possiamo certo qui riprodurre quella tensione educativa, ma ne possiamo testimoniare la positività.
    Mi permetto di fare non una presentazione puntuale, ma una lettura ragionata degli orientamenti con l’intento di evidenziare quegli elementi che forse a una lettura rapida vengono dati per scontati.
    Un primo sentimento è di riconoscenza ai nostri vescovi che hanno dedicato anche nell’Assemblea generale tempo, cuore e intelligenza, come già fanno nella quotidianità dei percorsi educativi diocesani, al mondo giovanile che ci hanno affidato come presbiteri o educatori. Gli orientamenti che ci propongono sono veramente un ulteriore passo in avanti nella definizione di un progetto di pastorale giovanile che vede convergere nel massimo della creatività locale e della ricerca di comunione con tutte le Chiese che sono in Italia.

    L’importanza del tempo che viviamo e un soprassalto di entusiasmo

    Ogni tempo è tempo di grazia, è tempo di Dio, è chiamata alla responsabilità e a una intensa scelta di vita. Possiamo però dire che esistono condizioni che esigono una sorta di "colpo di reni", di concentrazione sulle scelte fondamentali senza delle quali manchiamo all’appuntamento con la storia. Le condizioni che oggi chiedono tutto questo sono di una evidenza palmare: il Giubileo e la Giornata Mondiale della gioventù: il primo ci richiama alla trasmissione della fede e al ruolo e collaborazione della comunità e delle nuove generazioni, il secondo ad una grazia forte, unica, capace di ridare forza a progettualità talora stanche. Ambedue sono eventi che possono essere vissuti da tutti e che coinvolgono ogni comunità e ogni giovane.
    Pongo la lente di ingrandimento su alcuni nodi:

    1. Itinerari di fede, percorsi educativi vocazionali e iniziazione cristiana del giovane

    "La comunità cristiana è sfidata a offrire itinerari di fede ben definiti e praticabili, fatti di esperienze e riflessioni, di preghiera e vita comunitaria, di servizio e impegno culturale, che offrano al giovane la possibilità di ricostruirsi come cristiano anche dopo aver abbandonato la vita cristiana per superficialità, per moda, per intemperanza giovanile, per malintesa ricerca di libertà personale e sete di novità."
    Non è più pensabile che oggi che la comunità cristiana si rivolga al giovane in un modo generico. Saranno sempre meno i giovani che stanno in oratorio ad aspettare tempi migliori e che intanto possono essere tenuti buoni da iniziative, da attrazioni, da occasioni. Proprio perché c’è massima indecidibilità per il futuro è necessario che si individui un’area vocazionale in cui inserire l’itinerario di educazione alla fede. Il che significa che anche le deboli chiarezze che si stanno facendo strada nella vita vanno colte come segnali forti nei quali inscrivere cammini di crescita nella vita e nella fede. Così è dell’esperienza di coppia, che per i giovani è molto di più del fare come fanno tutti; così è dell’anno di volontariato, che all’inizio può essere pure una scelta di risulta, ma che lentamente o talora violentemente diventa campo di presa di coscienza forte; lo stesso si può dire della scelta di fare servizio educativo, impegno missionario, vita associativa, vita in cooperativa... Ciascuna di queste scelte può diventare punto di vista da cui guardare a tutta la vita.
    Questo nodo si collega con l’iniziazione cristiana del giovane.
    L’iniziazione cristiana per i giovani non può mai essere ritenuta un dato acquisito una volta per sempre. Ad ogni passaggio importante di età (scuola, lavoro, università...) con conseguente cambiamento di ambiente di vita, il giovane non solo deve "aggiornare" la sua scelta di fede, ma riesprimerla in forme radicalmente nuove, quasi che fosse alla prima esperienza, al primo annuncio, a un vero primo coinvolgimento. Ciò che lo faceva appartenere con gioia alla comunità cristiana a 16 anni, non lo sostiene più a 17; ciò che lo rendeva abbastanza stabile a 18 anni non lo riesce più a motivare a 23, al suo primo impatto col lavoro o con la professione. Ciò esige che ogni itinerario non sia solo un lavoro di cesello per completare un’opera d’arte, quasi che il giovane debba essere aiutato solo a scegliere tra il bene e il meglio, ma una immersione affascinante nella vita cristiana che sa ridire ex novo la bellezza e il fascino della vita di Cristo, che gli permette sempre di scegliere tra il bene e atteggiamenti demenziali, sempre pronti a prendergli la vita a tutte le età, anche dopo belle esperienze spirituali, dopo anni che fa l’educatore o l’animatore, per fargli impostare la vita in termini evangelici, sempre nuovi da definire. In questo senso credo di capire lo sconcerto che si prova nel constatare la esiguità del numero di diciottenni che riescono a fare una scelta definitiva di fede nelle varie iniziative ad hoc delle diocesi e tutte le difficoltà di concentrare a 18 anni la maturità cristiana perinde ac cadaver, come se fossero tutti gesuiti e per giunta di altri tempi. Ma al giovane che cosa interessa questa nostra schematizzazione della vita? È giusto a questo riguardo ciò che si proponeva di poter dire il vescovo di Parma al diciottenne: "... io non ti chiedo di professare la fede, ti consegno il simbolo della fede perché su questo e verso questo tu abbia a camminare".

    2. Sviluppare una autentica spiritualità laicale

    La tendenza è ancora quella di proporre modelli da monastero o da seminario o da noviziato. Si prevede che il giovane sia riuscito se mette un ordine nelle pratiche di pietà, nell’orario della sua vita, nella periodicità di un confronto con la guida spirituale, nella confessione non occasionale. Sono tutti strumenti che sosterranno il cammino di crescita, ma ancora devono sporgersi nella tensione e nelle ambivalenze della vita del giovane, nelle sue contraddizioni, nella vita quotidiana. In essa è necessario:
    che sia attivo e responsabile nel costruire luoghi umani e umanizzanti nel continuo suo abitare "non luoghi" nello studio, nel lavoro, nel tempo libero, nei tempo dello svago e dell’amicizia
    che sia capace di tessere modalità nuove di relazione vincendo la comoda fuga nel virtuale
    che sappia vincere la prigionia nel presente, ridefinire la propria identità nel recupero della memoria e delle radici, ma anche camminare verso il futuro
    fare della propria vita una storia e non una accozzaglia di episodi
    affrontare la solitudine del credente formandosi una coscienza forte nella verità
    assumere piccole o grandi responsabilità personali e collettive...
    acquisire una capacità di discernimento mentre non fugge dalle informazioni e dall’esposizione ai massmedia
    Tutto questo non scatta automaticamente se gli insegniamo a dire le lodi e i vespri mattino e sera, se gira negli spazi della parrocchia, se mette in ordine i tempi forti. La parola qui più importante è l’automatismo cui affidiamo gli esiti di una vita credente. Vorrà forse dire che bisogna educare alla preghiera e non solo alle preghiere, a uno stile e non solo a una regola, a una guida e non solo a un amico, a una coscienza e non a una agenda, a una comunità e non solo a un gruppo.
    È sicuramente una spiritualità che parte da un centro continuamente esplicitato, perché oggi i giovani hanno bisogno di incrociarlo sempre.
    Ogni giovane è spesso vittima di incantesimi e sottili adescamenti di modelli e idoli. È necessario che si stagli netta, precisa, affascinante, provocatoria una figura potente che sconvolge, prende, sorprende per la sua assoluta novità e meraviglia, per il suo non essere dato per scontato, per la novità assoluta che presenta e che è. Un incontro così preciso e coinvolgente non può non offrire unità all’esistenza, compagnia alla solitudine, radicalità e qualità alla vita. Chi se non Gesù Cristo potrebbe occupare questo campo nella vita del giovane? Non confondiamo questo radicamento con le raccomandazioni di comportamento corretto che sa più di galateo che di scelta radicale di vita. Forse anche noi ci lasciamo incantare da qualche meraviglia miracolistica della serie "Misteri o X files" o da qualche una visione ideologica stretta e sicura.
    Se ti metti di fronte a Cristo in maniera coinvolgente riesci a chiarire a te stesso quella serie di domande indefinite che ti aiutano a dare senso alla vita e che ti tengono spesso in uno stato di incertezza e di indecisione. Da qui il giovane sentirà l’esigenza di ricostruire una gerarchia di valori che parte dalla vita stessa di Gesù e dal volto nuovo di Dio che egli esprime.
    Il compito di una comunità cristiana allora non è di supplire con norme alla mancanza di cultura condivisa o di valori condivisi, ma di pensarsi e proporsi come comunità che facendo la scelta di Gesù, eccede la società e le sue norme. I giovani devono poter contare su qualcuno che fa capire la differenza tra una scelta di vita basata sulla fede e un semplice insieme di norme di condotta finalizzate allo star bene.
    All’interno della coscienza di ciascuno ci vuole una continua mistica dell’incontro con Gesù e all’interno di ogni nostro itinerario ci vuole allora sempre un laboratorio che con creatività sa riesprimere per la cultura e la vita dei giovani d’oggi la bellezza della figura di Gesù.
    Non facciamo un buon servizio ai giovani se non sappiamo farli incontrare con il centro della vita.

    3. Impegno culturale e politico

    Occorre ricostruire esperienze che fanno continuamente lo sforzo di tradurre la fede in ragioni di vita e abilitare i giovani ad abitare con questa scelta radicale tutti i campi dell’esperienza umana: letteratura, musica, teatro, riviste, fiction, murales, cinema. In questi anni ci siamo fissati troppo sulla cura di contenuti di carattere formativo religioso (evidentemente con quelli che ci seguono settimanalmente). Abbiamo forse pensato che il massimo fosse fare sussidi, scrivere cristian music, fare un recital di respiro parrocchiale... Perché non scuola seria professionale di musica, di teatro, di regia, di pubblicità, di radiofonia...? Ad una visione culturale più impegnata deve essere innestato un soprassalto di visioni utopiche della realtà, della società, della convivenza tra i popoli, della costruzione di un’Europa non assediata da scafisti, di un mondo senza profughi... che permetta di guardare alla politica come la conclusione naturale di anni di impegno sociale.

    4. Oratorio, spazi dell’ambivalenza e cultura della notte

    Gli spazi in cui il giovane decide della sua vita oggi non sono definiti dalle istituzioni (famiglia, chiesa, scuola, società...), ma dagli intrecci della vita quotidiana di cui il giovane è soggetto. Sono spazi che si ritaglia contro tutto e contro tutti: lo spazio della notte, lo spazio del tempo libero, dello stare, delle cuffie, delle amicizie, della solitudine, dell’attesa indefinita, del silenzio, della ricerca, del girovagare, del rispondere alle convocazioni. In questi spazi si formulano domande, si insinuano sogni, si accendono vocazioni, si cerca il senso e lo si elabora. Questi spazi creano al giovane una sorta di piattaforma da cui è necessario partire per qualsiasi viaggio nella vita, per qualsiasi ricerca di risposte o aiuti o prospettive. È in atto una forte destrutturazione dei luoghi di vita dei giovani. Questi luoghi non sono necessariamente fisici o geografici, possono essere anche metaforici, come i fumetti e mass media. E sono gli stessi luoghi metaforici che spesso creano i luoghi fisici: la musica crea la discoteca e il concerto; il fumetto crea la compagnia; il giornale crea il circolo culturale e viceversa, Internet crea news groupche si danno appuntamento via Internet in luoghi fisici per vedersi e uscire dalle proprie solitudini, la radio crea riconoscimento tra gli amici.
    Avviene allora che per la scelta del tipo di lavoro da cercare e del come affrontare tale nuova esperienza serve di più il gruppo degli amici che qualsiasi orientamento; per l’impostazione della propria vita affettiva si decide più in base al proprio giro di esperienze e di conoscenze che a tutti gli interventi della famiglia; la domanda religiosa nasce e vuol trovare risposte nei meandri della vita quotidiana più che nelle celebrazioni o attività parrocchiali; lo sport stesso per molti non è esercitato in maniera formale nella squadra con tanto di magliette e di mister, ma in campetti fuori mano, ai crocicchi delle strade. Non sono poche le automobili dei giovani che si portano nel baule un pallone per tirare quattro calci in qualche prato di periferia o su una curva di qualche strada fuori mano. Lo stare di molti adolescenti sul muretto è come andare a scuola. Il gruppetto degli scooter insegna o distrugge il codice stradale più di tanti corsi di educazione civica fatti a scuola. È il solito discorso della scuola della strada e della vita, che però oggi è molto più decisivo sia per la debolezza dei luoghi istituzionali che dovrebbero educare il mondo giovanile, sia per le nuove esigenze soggettivizzate dei giovani, sia per la sfiducia nei confronti degli adulti. Dice D. Coupland:
    "Dai ai genitori la minima confidenza e vedrai che la useranno come cric per aprirti a forza e riaggiustarti la vita senza la minima prospettiva".

    5. Dagli spazi informali alle istituzioni

    A partire da tutto questo il giovane in seguito tende l’orecchio e la vita anche nei luoghi istituzionali, se riescono a interpretarne le domande, se si collocano sulla stessa lunghezza d’onda, se sanno parlare il linguaggio della loro vita; soprattutto se sanno dare un nome all’indefinito che si è accumulato, alle paure o frustrazioni, agli slanci ideali e ai sogni.
    La prima conseguenza è che i luoghi di ritrovo dei giovani sono sfidati a diventare i nuovi spazi educativi. Se lì costruiscono i loro ideali, maturano le loro scelte, rispondono alle loro domande anche profonde, con spontaneità, possibilmente lontani dagli occhi degli adulti e di qualsiasi organizzazione, è importante che giovani e adulti che abitano questi spazi siano all’interno di essi capaci di offrire ragioni di vita e di speranza, farsi punti di riferimento informali. Ciò esige che tutti siano chiamati in causa per questa opera, siano aiutati e preparati, siano sostenuti dalla comunità cristiana, dalla società civile, da raccordi intelligenti tra l’una e l’altra. Non vogliamo far diventare scuola il tempo libero, parrocchia il corso delle molteplici "vasche", gregoriano il rock, famiglia la compagnia, ma valorizzare la carica enorme che essi si portano dentro per una umanità rinnovata.
    Riesce a dialogare col giovane solo chi sa condividere gratuitamente questo suo mondo, chi non lo snobba, chi non dice solo i difetti che lo colorano, chi non lo demonizza, anche se non fa il compiacente, chi non sta comodo in attesa che passi, chi non perde la sua identità per accalappiare, ma chi la sa riscrivere sulla sua onda, entro le nuove espressività e ricerche.
    Sembra che oggi le istituzioni riescano meglio ad offrire ciò che necessariamente hanno il dovere di mettere a disposizione dei giovani se sanno collegarsi a questi areopaghi. Questo significa che la scuola, la famiglia, la parrocchia non possono ignorare il tessuto di relazioni che i giovani costruiscono in queste realtà con i loro linguaggi e modelli di vita. "Non possono ignorare" è ancora troppo vago, occorre vedere in concreto che cosa significa. Sicuramente non si intende abbassare il tono di una proposta forte sia culturale che religiosa, non si intende fare il verso alle mode, nemmeno però pensare che tutto quanto viene dalla cultura della notte, dai muretti, dai concerti, dai pub in cui si fa musica dal vivo, da squadre di calcio, da compagnie del tempo libero, da gruppi e band musicali, da bande di motorini, da gruppi folcloristici sia tutta zizzania da evitare e da dimenticare quando si prega, quando si fa catechesi, quando si educa a rispondere con generosità alla vocazione al matrimonio, alla vita consacrata, alla vita tout court. In questa affermazione ci sta sia la necessità di un intervento educativo non formale, sia la consapevolezza che ogni discorso che si fa per intercettare i giovani sulle strade della vita quotidiana non può fare a meno di una struttura istituzionale alle spalle che da una parte prepara e sostiene l’azione.
    Entro questi spazi occorre oggi che la comunità cristiana lanci un ponte educativo. Dire ponte educativo significa veramente fare mediazione, offrire un tessuto di relazioni che è immerso negli spazi dell’ambivalenza che spesso la risolvono solo nell’esito negativo, e nello stesso tempo essendo nutrito di mete alte sa orientare verso una esperienza di fede esplicita.
    È la classica mediazione tra la strada e la chiesa, che non perpetua la povertà della strada, ma nello stesso tempo non è un prolungamento della sacrestia.
    Molte nostre iniziative non si liberano da questi due estremi:

    La povertà della strada
    È la incapacità ad offrire acqua pura per la sete che i giovani esprimono, adattarsi, imitare, chiedere e spendere per avere audience, senza proporre vita, perdere di mira l’obiettivo, farsi irretire dalle preoccupazioni organizzative... Rispondere anziché scommettere
    È non rinnovarsi di vangelo, nascondersi dietro un dito, essere fotocopia anziché risonanza originale, esasperare l’analisi del vissuto, senza avere il coraggio di proporre.
    È fare comunità cristiana con i criteri della organizzazione, dell’assolutizzazione, dell’isolamento, della mancanza di ispirazione, della tecnica e non della educazione
    È contrapporsi, separare la fede dalla vita, preparare leaders senza ispirazione, dimenticare l’obiettivo e perdersi sempre nelle introduzioni o nelle analisi del vissuto.

    Il prolungamento della sacrestia
    È non tener conto della vita quotidiana e lasciarla fuori,
    assumere il criterio dei pochi ma buoni, perché si è deciso che la santità è solo per qualcuno,
    offrire come unico spazio di interesse per i giovani l’aula dell’assemblea liturgica o del catechismo o del gruppo.
    Ritenere l’interessamento per i giovani solo strumentale alla nostra organizzazione o ecclesiale o alla nostra associazione o movimento,
    pensare che l’educazione sia solo strumentale e non parte integrante del cammino di fede ("concepire l’educazione come dimensione interagente nella nascita e sviluppo della fede, vuol dire valorizzare al massimo le mediazioni educative, non soltanto come facilitazioni metodologiche esterne, ma come elementi integranti l’esperienza della fede stessa: il rapporto educativo, la comunità, i processi di crescita, la qualità della proposta pedagogica..." dice J. Vecchi)
    È chiudersi nei nostri che vediamo sempre, ridurre la pastorale giovanile a preparare animatori, fare vita di gruppo, a proporre modelli idraulici di educazione

    Le linee di azione sono molteplici; ne sottolineo alcune:

    1. Abitare i nuovi areopaghi del mondo giovanile

    - il fatto
    Spesso la comunità cristiana ha relegato il vangelo a recinti sacri, a luoghi sicuri, a condizioni talora impossibili. Senza accorgerci lo abbiamo fatto diventare un premio per i buoni piuttosto che una speranza per tutti, una offerta a chi lo merita piuttosto che un dono gratuito, una consolazione per chi ne sa parlare, piuttosto che una luce per chi cerca senza saperlo. Abbiamo così scambiato l’obiettivo per criterio, abbiamo cioè offerto il vangelo solo a chi ci avrebbe offerto la garanzia di venire dalla nostra parte, entro i nostri schemi e non tra le braccia di un Padre. A un gruppo di ragazzi del muretto, a giovani di una squadra di calcio, a ragazzi che vanno in discoteca, ad adolescenti che si cimentano in avventure impossibili, a giovani che fanno le ore piccole a mettere assieme una band musicale sembra uno spreco offrire il vangelo. Abbiamo già deciso noi che per loro il vangelo ha niente da dire, perché non riusciamo a immaginarne la forza dirompente, perché non viene collocato entro i nostri modelli culturali o comportamentali. Invece non è una ideologia, né una parola che si consuma, ma una vita che sconvolge.

    - la necessità
    La teoria dell’animazione culturale, come abbiamo visto dal recente convegno tenuto a Roma all’inizio di dicembre, è ancora capace di interpretare il vissuto e i percorsi di crescita dei giovani; il gruppo invece, pur restando condizione necessaria per educare i giovani alla fede, non è più sufficiente. Il gruppo si è fatto eccessivamente selettivo per poter essere l’unico strumento formativo, si sono frantumate le pressioni di conformità, ha perso la sua pretesa di essere l’appartenenza assoluta e onnicomprensiva del giovane. Occorre allora tentare nuove strade. Il rischio è di buttare il bambino con l’acqua sporca, cioè di perdere la tensione formativa che si era acquisita e sostenuta con il gruppo e optare per l’improvvisazione o la massa, o l’occasione o la cultura anziché la fede, la socializzazione religiosa anziché l’educazione alla fede, l’informazione al posto della formazione, il presenzialismo invece della continuità. Si fa presto a scrollarsi di dosso un cammino serio, settimanale, ben compaginato in un itinerario, per una serie di incontri improvvisati sulla piazza o in discoteca che forse colpiscono, ma che sicuramente non sono capaci di sostenere una conversione. Comunque non è in causa massa o gruppo, ma conservazione o missione. Molti adolescenti e giovani infatti non riescono a passare dai nostri gruppi formativi e questo non perché non hanno domande religiose o voglia di rispondere generosamente, ma perché provengono da altre impostazioni di vita, hanno un altro modo di sentire, di vivere, di riflettere.
    Andare oltre il gruppo è anche un modo nuovo di fare cultura.
    La stessa società in cui viviamo tollera abbastanza bene che i giovani o i cristiani tout court si facciano le loro belle riunioni in gruppo, si diano le motivazioni spirituali che credono più opportune. Purché tutto resti nel modello bonsai: piccolo, carino, apprezzato, ma mai in grado di diventare una foresta, esperienza di popolo, di mondo giovanile, di comunità. Non ti è permesso di creare cultura diversa; in questo campo vige la legge del branco promossa spesso dai massmedia, dalla cultura dominante del sondaggio, dalle mode introdotte ad arte per orientare se fosse possibile anche le speranze degli uomini.
    Il discorso è complesso e difficile né si può addossare tutto al dilemma "gruppo sì o gruppo no". Noi però vogliamo dimostrare che è possibile contribuire alla formazione delle giovani generazioni con nuovi strumenti, che il vangelo non può mai essere imbrigliato in nessun mezzo, che abbiamo tantissime energie nel nostro mondo giovanile che aspettano solo di essere stimolate a esplodere.

    - gli spazi
    Deve essere spazio di nuova presenza educativa: il bar, la sala giochi, la festa, la gita-pellegrinaggio, la gita nella natura, il club degli scalatori, la compagnia delle varie feste della lumaca, della vongola, della birra, delle salsicce..., la squadra sportiva (calcio, arti marziali, pallavolo, body building...), la "golf" degli spostamenti in cerca di.... il coro giovanile, la compagnia teatrale, le cooperative di animazione, l’associazione che si dedica alla strada, la banda di adolescenti che si mobilita per il Grest, la compagnia che regge una radio o Tv locale, il pool di persone che tengono attiva una pagina Internet, la stanza di quelli che si trovano ad ascoltare musica, i duri e decisi delle comunità di recupero, il quartetto di registi che si interessano di riprese e di videocassette, gli obiettori in partenza, in servizio e in congedo, la band musicale rock e hard, la curva dello stadio, la redazione di un giornalino, la banda che fa attività da guiness dei primati (scalate, sfaticate a piedi, attraversate di stretti), il comitato di quartiere per le feste patronali, la confraternita, i filatelici, il terzetto di comici che gira per le feste di paese, il cast di un recital, il servizio d’ordine per il pellegrinaggio a San Rocco...
    Ho tentato sempre di evitare la parola gruppo, e ci sono quasi riuscito, proprio per far vedere quante aggregazioni diversificate vivono i giovani e in quante di esse consumano spesso tutta la loro vita. Alcune sono coesistenti, altre sono assolutizzanti almeno per qualche stagione. Non possono proprio essere luogo di crescita anche nella fede? spazio per una vita più umana, luoghi di confronto per giungere al Signore della vita?
    L’elenco va ampliato in base alle esperienze di ciascuno. Per questo su tali temi è importante creare collaborazione, segnalare, offrire materiali, dire la propria, mettere i puntini sulle i e inventare nuovi spazi. È un forum delle esperienze e della espressività del mondo giovanile.

    - lo stile
    Non ci accontentiamo di leggere negli areopaghi alcune vaghe possibilità di intrattenimento, innocuo dal punto di vista morale, degli adolescenti o dei giovani, quasi che la catechesi sia qualcosa che esige strutture appropriate, modalità univoche e gli areopaghi siano solo strumentali all’indice di gradimento dei ragazzi verso la religione, il prete, la parrocchia o il catechista, ma vogliamo scrivere entro la vita di questi mondi vitali seriamente la bellezza di un cammino di crescita nella fede. Altrimenti abbandoniamo il lavoro e diciamo che possono fare catechesi solo le associazioni, i movimenti, e anche per loro solo per quei giovani che vengono nelle stanze della parrocchia, i figli fortunati di genitori cristiani che hanno momenti espliciti di riflessione sul vangelo e sulla fede in casa. Gli areopaghi nel caso diventano solo luoghi per accalappiare e vedere se possiamo dire il verbo "venite". La sfida da cogliere è di provare che in questi spazi Dio ha distribuito doni e possibilità di far crescere la vita fino a proclamarla nel suo Signore.

    2. Il coraggio di aprire e inventare nuovi stili di oratorio

    Tra i ponti educativi più interessanti e che fanno parte della tradizione educativa della comunità cristiana c’è l’oratorio. È il luogo per eccellenza dove può crescere quel tessuto di relazioni di cui si diceva, a metà tra la strada e la chiesa. Importante è mantenerlo in questa prospettiva e non farlo "decadere" o da una parte o dall’altra.
    Gli oratori sono sempre stati grandi spazi in cui la vita quotidiana è apprezzata, in cui si può stare tra amici a socializzare, offrirsi, sperimentare relazioni, vivere hobbies, far crescere amicizia, lasciarsi coinvolgere da progetti di generosità, tentare di impostare esperienze affettive... Un oratorio o è una piazza della vita quotidiana o non è più oratorio.
    Che cosa avviene oggi?
    Molti oratori non sono più nessun crocevia: sono per alcuni solo gli spazi di attesa per entrare nel gruppo o in associazione o per avviarsi al luogo di catechesi, mentre per altri sono i luoghi di qualche gara di calcio o per lo sviluppo del campionato. La cultura del tempo libero che oggi attrae i giovani, cfr. la cultura della notte, non vi è minimamente interpretata. La notte dei giovani, con i pomeriggi, l’after hour e il rave party, deve essere solo interpretata e consumata dalle discoteche o può trovare una possibilità di essere interpretata e espressa in termini nuovi dagli oratori? Il modello apertura ad nutum del direttore, accoglienza fatta dal colore delle pareti, deposizione delle ossa in oratorio perché non si sa dove posarle, ... è proprio tutto quello che possiamo proporre come tentativo di intersecare la vita quotidiana dei giovani? il momento magico del loro esprimersi e scatenarsi? la loro estrema mobilità e il sentirsi cittadini del territorio e non solo della parrocchia o della diocesi? Occorre chiudere un occhio sulle devianze notturne, intese come sfogo stagionale? È onesto lasciar soli i genitori in balia delle proposte obbligate per il momento dello svago dei figli? È giusto aver deciso di non proporre alternative ai giovani che proprio nella cultura della notte si fanno quelle domande di senso che investono la vita?
    Queste e altre domande occorre con chiarezza proporci.
    Come si può realizzare anche su questa fetta di vita quanto dicono i vescovi: "L’ascolto e la compagnia impegnano in una duplice direzione: da una parte chiedono di superare i confini abituali dell’azione pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni; dall’altra esigono uno sforzo di personalizzazione, che faccia uscire ogni giovane dall’anonimato delle masse e lo faccia sentire persona ascoltata e accolta per se stessa, come un valore irripetibile"? Queste e altre domande occorre con chiarezza proporci.
    L’oratorio come può essere di aiuto?

    Quali sono le proposte?

    1. Consolidare l’esistente, fare bene quello che sempre abbiamo fatto, ma non nel senso che stiamo tranquilli sulle cose di sempre per dirci che avevamo ragione. L’accento va posto sul consolidare e sul fare bene. Devo sapere che il giovane che ho davanti è colui che vive in quegli spazi come ho detto sopra, colui che vive anche la notte, colui che anche lì deve essere cristiano e missionario. Devo allora qualificare maggiormente l’educazione, l’incontro, il tratto, l’accoglienza, la libertà, la coscienza, le motivazioni, l’apertura, la creatività, la responsabilità, la conduzione in proprio di esperienze di vita e di fede, la sua vocazione, la spiritualità laicale di impegno ecclesiale e civile.
    2. Studiare con passione e distacco la cultura della notte, collegarla alla realtà del giorno. Sappiamo tutti che i giovani spesso riempiono di sballo la notte perché vivono una giornata che non li interpreta o che li frustra, che non riescono a dialogare con l’adulto per mancanza di linguaggi condivisi e ancor più di ascolto reciproco. La destrutturazione delle appartenenze, la cancellazione dei confini tra il bene e il male, l’immersione nell’anonimato, la voglia di uscire dal controllo, la sincerità delle relazioni, la predisposizione ad approfondire le ragioni della vita in un dialogo franco (quanti giovani usano la notte per la direzione spirituale!): sono tutti elementi da comporre in una lettura a vari livelli.
    3. Pensare l’oratorio per progetti, non per muri o spazi o adempimenti da routine. I progetti devono essere in grado di interessare il mondo giovanile, di mettersi sulla loro lunghezza d’onda, sulla ricerca di comunicazione, di stare assieme, di gestire la propria corporeità, i propri gusti, la propria domanda di religiosità al di fuori degli schemi già preconfezionati. È una sorta di progetto "fine settimana" con suoi metodi, con suoi animatori, con suoi programmi, con una sua capacità di creare interessi, mediazioni, relazioni, spazi di incontro, momenti espressivi qualificati. Può darsi che a questo punto non si chiami più oratorio. Ricordo però che alcuni anni fa era questo luogo di grande crocevia un qualsiasi oratorio. Si può usare un altro nome, ma deve essere sempre quello spazio tra la strada e la chiesa che riteniamo importante per la vita dei giovani, in cui sono aiutati ad amare la vita e a incontrare il suo Signore.
    4. Domandarsi seriamente chi è il soggetto interessato a questo progetto. Il prete da solo? il gruppetto degli educatori che già fanno catechesi, vita associativa, vita di gruppo? la parrocchia? una associazione? Il soggetto è sicuramente una comunità fatta di famiglie, di adulti e giovani, di responsabili della società civile, è un insieme di parrocchie, è una zona pastorale o una unità pastorale, un mettere assieme le energie e offrire esperienza di comunione, contro la frammentazione
    5. Aprirli al territorio, negli orari dei giovani, come spazi di libero accesso, che intersecano le strade di ricerca dei giovani, quando ricercano le discoteche, i pub, i teatri, le proposte musicali e culturali. Il vecchio oratorio di paese o di quartiere, a ore, proprietà strettamente privata, non è a misura di giovane. Occorre, pur mantenendo la sua identità di spazio educativo della comunità cristiana, stabilire rapporti non casuali con gli enti pubblici, con le istituzioni del territorio. Deve diventare casa abitabile dai giovani, anche di passaggio, purchè sia sempre il segno di una comunità che vuol bene ai suoi giovani e li rende protagonisti della loro crescita.
    Questo è rincorrere la moda? fare proselitismo? o è interesse a tutta la vita del giovane e creare le condizioni perché la vita si sviluppi e non sia irretita dai furbi, intercettare le domande e orientarle alla proposta vera di vita?

    * Responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile


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