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     Le risorse e

    la loro organizzazione

    Riccardo Tonelli


    cf Appunti per un corso di "PASTORALE GIOVANILE"



    Incomincio da una proposta di tipo generale. È necessaria perché siamo in una situazione in cui non solo le realizzazioni concrete sono diverse, ma soprattutto possono cambiare persino gli orientamenti di fondo. Quello del metodo è infatti un ambito dove le posizioni, teoriche e pratiche, sono differenziate e nessuna scelta può mai essere troppo sicura e perentoria.

    Di fronte alla pluralità di prospettive, la verifica e il confronto può avvenire solo se sono dichiarate le intenzioni e sono esplicitate le indicazioni di orientamento.
    In questo modo, anche chi condivide le prospettive generali suggerite, può poi procedere verso il concreto secondo le sue sensibilità e le esigenze che il vissuto gli lancia. Chi, al contrario, non le condivide, può spingere il suo senso critico fino alla radice delle scelte, motivando meglio il proprio dissenso.

    21. La vita è la grande risorsa

    La mia proposta è molto precisa: considero la vita, concreta e quotidiana, come la grande risorsa, da cui selezionare e riorganizzare tutte le altre di cui dispongono le comunità ecclesiali.
    Esistono modelli educativi e pastorali che considerano la vita quotidiana come un ostacolo da controllare; altri sono tutti impegnati nello sforzo di fuggirla o, almeno, di ridurne al minimo i condizionamenti. La mia ipotesi è molto diversa. Ho costruito l’obiettivo attorno alla vita, alla sua accoglienza nel nome del Signore della vita, fino alla scelta di immergere la propria vita nel mistero santo di Dio. Riconosco che la crescita nell’esperienza cristiana corre parallela con l’accoglienza della propria vita, come mistero impegnativo e interpellante. Riconosco, di conseguenza, che questa stessa vita offre in modo germinale i contributi più rilevanti per la sua pienezza e autenticità. La considero, in altre parole, la grande risorsa, che dà senso e prospettiva a tutte le altre risorse educative.
    Certamente, questo orientamento va precisato e sviluppato. Le necessarie precisazioni non hanno però la funzione di ridurre l’indicazione e nemmeno quella di avanzare tante di quelle riserve da vanificare, alla fine, la sua portata. Preciso per dare compimento e per assicurare una convergenza in modo maturo e critico. Le precisazioni sono perciò il modo più concreto per affermare con forza l’orientamento.

    21.1. Quale vita?
    La prima precisazione riguarda l’oggetto della proposta.
    Quale vita?
    Non posso rispondere subito in modo esaustivo: dovrei anticipare in questo momento quello che ho intenzione di proporre nell'insieme delle pagine che seguono. Chiedo al lettore la disponibilità a mettersi in cammino, fondando i suoi primi passi in una specie di grande scommessa esistenziale. Del resto, si fa così per tutte le cose che contano veramente, dal momento che è difficile dimostrare le ragioni della vita e della speranza e le logiche dell’amore, con la stessa fredda sicurezza con cui si risolvono le leggi fisiche e i problemi matematici.
    Un po’ alla volta, la scommessa assumerà spessore e quello che era stato consegnato sulla fiducia, potrà essere verificato in modo critico.
    D’altra parte, come ho già ricordato, l’ipotesi è radicata e giustificata sulle riflessioni teologiche che hanno costruito l’obiettivo.
    La meditazione di Evangelium vitae conforta molto la fiducia sulla vita. Aiuta a collocarla nell’orizzonte di comunione con Dio e con i fratelli che la Pasqua di Gesù ci ha restituito. E dà una risonanza originale e concreta.
    Forse per la prima volta in termini così espliciti, in un documento del Magistero solenne, il richiamo alla vita corre infatti verso la vita quotidiana, ai problemi che l’attraversano, alle prospettive in cui ne sogniamo una qualità rinnovata. «Presentando il nucleo centrale della sua missione redentrice, Gesù dice: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). In verità, Egli si riferisce a quella vita nuova ed eterna, che consiste nella comunione con il Padre, cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito Santificatore. Ma proprio in tale vita acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell’uomo» (EV 1). «In simile prospettiva, l’amore che ogni essere umano ha per la vita non si riduce alla semplice ricerca di uno spazio in cui esprimere se stesso ed entrare in relazione con gli altri, ma si sviluppa nella gioiosa consapevolezza di poter fare della propria esistenza il luogo della manifestazione di Dio, dell’incontro e della comunione con lui» (EV 39).
    Questa è la vita che considero come la grande risorsa del progetto metodologico: da assumere con amore disponibile, e da portare a compimento, facendo maturare quello che essa si porta dentro solo germinalmente.
    Attorno alla vita si concentra la passione e l’impegno della comunità ecclesiale.

    21.1.1. Una prospettiva educativa
    Il riconoscimento della vita come grande risorsa si realizza sempre in una esplicita e intensa preoccupazione educativa. L’accoglienza della vita, infatti, per ogni credente, è fondata nell’esperienza gioiosa della Pasqua del Crocifisso risorto.
    L’accoglienza non è accettazione della situazione di fatto in modo rassegnato, come se quello che esiste sia già tutto quello che va assicurato. Accogliere significa condividere per portare a compimento. Momento qualificante dell’accoglienza è, di conseguenza, l’impegno per trasformare continuamente quello che è stato accolto incondizionatamente.

    21.1.2. Una risorsa che chiede collaborazione
    Chi riconosce nella vita, concreta e quotidiana, la risorsa fondamentale del progetto educativo e pastorale, assume un atteggiamento di ampia collaborazione con tutti. La vita e la sua qualità sono infatti un problema davvero comune a tutti allo stesso titolo: riguarda giovani e adulti, educatori ed educandi, credenti e non credenti.
    Per questo, la comunità ecclesiale, nella sua fede e nella sua speranza, si impegna in un terreno comune e cerca la piena collaborazione con tutti coloro che amano veramente la vita e vogliono lottare contro la morte. Attorno alla vita essa sollecita la responsabilità di tutti.
    La sottolineatura è piena di conseguenze di estrema importanza. Ne ricordo una, quella centrale.
    Il servizio dell’evangelizzazione, se riguarda la vita e la speranza come problema comune, esclude naturalmente ogni tentazione di fare dei proseliti, sottraendo le persone ai compiti comuni e rinchiudendoli in uno spazio protetto e staccato. Al contrario, servendo la pienezza di vita, opera sul piano della umanizzazione, restituisce a ciascuno quella qualità di vita che rimbalza poi come dono per tutti. Facendo pastorale giovanile, la comunità ecclesiale si impegna sulla frontiera della promozione di umanità. Lo fa nel nome del suo Signore. E lo fa mettendo a disposizione di tutti il contributo specifico della sua missione evangelizzatrice.

    21.2. La vita tra «attese» e «proposte»
    La seconda precisazione riguarda il modello antropologico che la scelta della vita come risorsa intende evocare. La prima scommessa sul significato teologico della vita si concretizza in una nuova e più impegnativa scommessa sulla sua qualità.
    Ci chiediamo spesso: chi è l’uomo? Quando è vivo? A quali condizioni sta bene? Come possiamo aiutarci reciprocamente a far crescere la qualità della nostra vita?
    I differenti interrogativi esprimono, indirettamente, la stessa preoccupazione: a quali condizioni possiamo ritenere la vita quotidiana come risorsa educativa e pastorale?
    Considero l’uomo un ricercatore e produttore di senso. Cresce in umanità nella misura in cui sa interrogarsi. Ed è aiutato a crescere in umanità attraverso le risposte che, attorno a lui, scienza e sapienza continuamente gli suggeriscono.
    Due indicazioni sono evocate dall’affermazione. La prima riguarda il livello del domandare; la seconda quello del rispondere. L’una e l’altra coinvolgono, a titoli diversi, lo stesso soggetto.
    L’uomo è maturo, quando riesce a vivere la sua vita quotidiana come appello, continuo e progressivo, verso quel mistero in cui è collocata la sua esistenza. Le risposte che riesce a costruirsi nella fatica personale del confronto e dell’ascolto, e quelle che incontra mediante il contributo di coloro che condividono la sua stessa passione, saturano la sua attesa solo in modo parziale e provvisorio. La domanda si riapre, proprio nel momento in cui sta sperimentando la gioia della scoperta e dell’esperienza.

    21.2.1. Livelli diversi dell’unica domanda
    Queste domande riguardano tutte, almeno implicitamente, la vita e il suo senso, perché questo è l’unico, grande problema. Sono però collocate a diversi livelli di profondità esistenziale.
    Molte domande si riferiscono ai problemi concreti e quotidiani dell’esistenza: investono la vita nel suo spessore tecnico e pragmatico. A questo livello operano le scienze dell’uomo, nell’autonomia relativa che loro compete. Chiamo queste domande (e le esperienze che le generano) «domande di significato».
    Nel profondo di queste domande di significato emergono gli interrogativi che investono in modo tematico e riflesso le ragioni ultime dell’esistenza. Sono le «domande di senso». Anche queste domande di senso incontrano molte risposte nella sapienza dell’uomo. Molte altre restano aperte e brucianti anche dopo il confronto con tutte le risposte a disposizione dell’uomo. Queste risposte, anzi, spalancano ulteriormente la domanda. In questo caso, le domande sono «invocazione» ad un di più di senso: sono frecce lanciate verso un qualcosa di ulteriore, capace di dare saturazione a questa ricerca inquietante.

    21.2.2. Risorse comuni e condivise
    Tutte queste domande sono le risorse educative di cui possiamo disporre: tutte lo sono, da quelle più superficiali a quelle più profonde, da quelle che riguardano le ragioni pragmatiche dell’esistenza a quelle che l’investono sui suoi fondamenti ultimi. Sono ugualmente preziose risorse educative le risposte che qualcuno può offrire, al livello di scienza, di esperienza e di sapienza.
    Le considero come autentiche risorse nella misura in cui sanno stare al gioco della domanda: la saturano, restituendola al suo protagonista come ragione di vita nuova; e la rilanciano, per far crescere quella qualità di vita che si esprime in un continuo, progressivo interrogarsi.
    La vita è grande risorsa perché è il luogo esistenziale dove si intrecciano domande e risposte. Essa è risorsa comune e condivisa, perché chi fa domande aiuta sé e gli altri a crescere in umanità e chi offre risposte, si sente intensamente coinvolto nella stessa preoccupazione. Chi domanda e chi risponde sono, come in un gioco aperto, continuamente proponente e destinatario di una ricerca che investe la vita e la sua qualità.

    21.3. Quale organizzazione delle risorse?
    La scommessa antropologica che mi ha portato a riconoscere la voglia di vita e il suo consolidamento attorno al gioco tra domande e risposte, ha spinto a fare precise selezioni nel quadro delle risorse educative disponibili. Chi parte da altre preoccupazioni, preferisce selezionare differenti risorse.
    La selezione è importante; ma non è sufficiente. La seconda operazione, necessaria per un buon metodo, è l’organizzazione delle risorse selezionate. Ho già ricordato di non poter arrivare a proposte eccessivamente concrete. Traccio solo una specie di orizzonte dentro cui operare.
    Questa è la mia proposta: organizzare le molte domande e risposte che affollano l’esperienza educativa di un giovane attorno a quell’esperienza (e relativa domanda) che ho chiamato, poco sopra, «invocazione». Essa rappresenta il luogo esistenziale dove la vita si apre verso il trascendente e dove il trascendente incontra e riorganizza la vita, in un dinamismo di reciproca integrazione e crescita.
    La progressiva maturazione della capacità d’invocazione restituisce l’uomo alla pienezza della sua umanità e lo apre concretamente verso l’avventura religiosa. L’evangelizzazione, quando sa esprimersi realisticamente dentro le attese e le speranze degli uomini, può far scatenare una capacità di invocazione, proprio mentre la satura e la rilancia.

    21.3.1. Se questa è invocazione...
    Per precisare cosa è, per me, «invocazione», invito a pensare agli esercizi al trapezio, che abbiamo visto, tante volte, sulla pista dei circhi.
    In questo esercizio l’atleta si stacca dalla funicella di sicurezza e si slancia nel vuoto. Ad un certo punto, protende le sue braccia verso quelle sicure e robuste dell’amico che volteggia a ritmo con lui, pronto ad afferrarlo.
    Il trapezio assomiglia moltissimo alla nostra esistenza quotidiana. L’esperienza dell’invocazione è il momento solenne dell’attesa: dopo il «salto mortale» le due braccia si alzano verso qualcuno capace di accoglierle, restituendo alla vita. Nell’esercizio al trapezio, nulla avviene per caso. Tutto è risolto in un’esperienza di rischio calcolato e programmato. Ma la sospensione tra morte e vita resta: la vita si protende alla ricerca, carica di speranza, di un sostegno capace di far uscire dalla morte.
    Questa è l’invocazione: un gesto di vita che cerca ragioni di vita, perché chi lo pone si sente immerso nella morte. Rappresenta, nella mia ipotesi antropologica, il livello più intenso di esperienza umana, quello in cui l’uomo si protende verso l’ulteriore da sé.

    21.3.2. Invocazione è esperienza di trascendenza
    L’invocazione è una esperienza di confine. Essa è esperienza personale, legata alla gioia e alla fatica di esistere, nella libertà e nella responsabilità, alla ricerca delle buone ragioni di ogni decisione e scelta importante. Nello stesso tempo, essa è già esperienza di trascendenza, sporgenza verso il mistero dell’esistenza.
    Lo è ai primi livelli di maturazione. L’uomo invocante si mostra disposto a consegnare le ragioni più profonde della sua fame di vita e di felicità, persino i diritti sull’esercizio della propria libertà, a qualcuno fuori di sé, che ancora non ha incontrato tematicamente, ma che implicitamente riconosce capace di sostenere questa sua domanda, di fondare le esigenze per una qualità autentica di vita.
    Lo è soprattutto nella espressione più matura, quando ormai la ricerca personale si perde nell’accoglienza del mistero dell’esistenza. Ci fidiamo tanto dell’imprevedibile, da affidarci ad un amore assoluto che ci viene dal silenzio e dal futuro.
    Anche quando la persona raggiunge il livello più alto di maturazione religiosa, l’invocazione non si spegne, come se la persona avesse finalmente raggiunto la capacità di saturare tutte le sue domande esistenziali. A questo livello è riconsegna al silenzio inquietante di una presenza che sta oltre la propria solitudine, che viene dal mistero della trascendenza.
    Superiamo il limite della nostra esistenza per immergerci nell’abisso sconfinato di Dio. Fondati nella fiducia, ci affidiamo all’abbraccio di Dio.

    21.3.3. Riunificare l’esistenza attorno all’invocazione
    L’invocazione non è riducibile ad una delle tante esperienze che riempiono la vita di una persona, paragonabile per esempio alla ricerca del lavoro o a qualche hobby che impegna le energie nel tempo libero... Essa rappresenta invece, di natura sua, il tessuto connettivo di tutte le esperienze di vita: quasi una nuova radicale esperienza che interpreta e integra le esperienze quotidiane, in un qualcosa di nuovo, fatto di ulteriorità cosciente e interpellante.
    La capacità di riunificazione sta nella ricerca di un significato per la propria vita, sufficientemente armonico e capace di dare consistenza al senso e alla speranza.
    Al livello iniziale l’invocazione è soprattutto tensione verso un ulteriore, capace di dare ragioni e fondamento all’esistenza personale. Ogni frammento di vissuto ed ogni esperienza personale, infatti, lancia e satura qualcuna delle tante domande di senso e di speranza che salgono dalla nostra quotidiana esistenza. Queste diverse domande si ricollegano in una più intensa che attinge le soglie profonde dell’esistenza: a questo livello, la domanda coinvolge direttamente il domandante e, normalmente, resta domanda spalancata verso qualcosa di ulteriore, anche dopo il necessario confronto con le risposte che ci costruiamo o che accogliamo come dono che altri ci fanno.
    Al livello più alto e maturo, quando la domanda stessa si perde nell’abisso del mistero incontrato e sperimentato, l’invocazione è affidamento ad una «presenza» che è sorgente della vita dello stesso domandante. Nell’abbandono ad un tu scoperto e sperimentato, l’io ritrova la pace, l’armonia interiore, la radice della propria speranza.
    Come si nota, la riunificazione non sta nel «possesso», ma nella «ricerca»: non sono i dati sicuri quelli che possono fondare l’unità, ma la tensione, sofferta e incerta, verso un ulteriore e la riconsegna di tutta la propria esistenza a questo «evento», sperimentato e incontrato, anche se mai posseduto definitivamente.

    21.4. La proposta metodologica
    Ho suggerito un criterio per organizzare le risorse che ho selezionato in vista di una proposta di metodo.
    Considero la vita, nel suo gioco di domande e risposte, come la grande risorsa comune a tutti. Immagino la riunificazione di questa trama complessa di risorse attorno ad un modello antropologico unificante. L’unificazione delle risorse è dettata quindi dall’unità profonda di queste stesse risorse: la vita, compresa nel suo livello più alto e impegnativo di qualità, come «invocazione».
    L’invocazione rappresenta dunque, nella mia ipotesi, l’indice più alto di maturazione cui la persona può giungere, anche attraverso la guida educativa e, nello stesso tempo, il luogo in cui il Vangelo può risuonare veramente come proposta significativa e salvifica, perché capace di saturare l’invocazione e di rilanciarla verso il mistero della fede cristiana.
    Di conseguenza, nella prospettiva metodologica in cui sto lavorando, mi interrogo sul modo attraverso cui scatenare l’invocazione in chi è distratto, sostenerla in chi la vive in modo germinale, autenticarla in coloro che già la stanno sperimentando.
    Il consolidamento e lo sviluppo della capacità di invocazione sono un tipico problema educativo. Riguarda in altre parole la qualità della vita e l’influsso dell’ambiente culturale e sociale in cui essa si svolge. Abbiamo bisogno di restituire all’uomo una qualità matura di vita; e lo facciamo entrando, con decisione e competenza, nel crogiolo dei molti progetti d’uomo sui quali si sta frantumando la nostra cultura.
    Non tutto però può essere ridotto a interventi solo educativi. L’educatore credente sa che senza l’annuncio di Gesù Cristo e senza la celebrazione del suo incontro personale, l’uomo resta chiuso e intristito nella sua disperazione. Per restituirgli veramente felicità e speranza, siamo invitati ad assicurare l’incontro con il Signore Gesù, la ragione decisiva della nostra vita. Questo incontro è sempre espressione di un dialogo d’amore e di un confronto di libertà, misterioso e indecifrabile. Sfugge ad ogni tentativo di intervento dell’uomo. In esso va riconosciuta la priorità dell’iniziativa di Dio.
    Le due convinzioni non possono essere sperimentate e proposte come se fossero alternative. Purtroppo, qualcuno le vive così, producendo conseguenze che considero preoccupanti. Educare senza evangelizzare è troppo poco per un buon progetto di pastorale giovanile. Evangelizzare ignorando le logiche esigenti dell’educazione, ci porta verso forme di esperienza religiosa, rigide e reattive.
    Il confronto con il vissuto di tante comunità ecclesiali, impegnate, con la stessa passione, sulla frontiera dell’educazione e su quella dell’evangelizzazione, mi sollecita a riaffermare, anche in questo contesto, il criterio dell’educabilità indiretta della fede, su cui ho già a lungo riflettuto.
    Sono consapevole che la vita quotidiana, nel suo ritmo normale, è carica di germi di invocazione. Per questo ogni domanda e ogni esperienza si porta dentro frammenti di esperienza religiosa. Va accolta, educata e restituita in autenticità al suo protagonista.
    L’evangelizzazione, nello stesso tempo, quando risuona dentro la ricerca di senso che attraversa ogni esistenza, può scatenare questo processo di maturazione dell’invocazione; lo sa provocare in coloro che vivono ancora distratti e superficiali; lo satura in coloro che sanno ormai esprimere autenticamente la loro voglia di vita e di felicità.
    Per questo, concentro la mia ricerca su due precise preoccupazioni metodologiche:
    – quale educazione verso l’invocazione
    – e quale evangelizzazione per scatenare e saturare l’invocazione.
    Di ciascuno dei due argomenti studio le esigenze (per comprendere meglio il processo) e gli interventi (che ne possano assicurare il raggiungimento). Lo faccio con una costante attenzione ai problemi della comunicazione. Cerco infatti un modello linguistico in cui veicolare la proposta di Dio e la risposta dell’uomo in modo che il significante trascini facilmente verso la realtà significata, con un buon indice di coinvolgimento intersoggettivo.
    Aggiungo infine un ultimo rilievo per mettere in evidenza lo spirito che anima la proposta.
    La proposta è costruita pensando alla situazione complessiva dell’attuale condizione giovanile e, al suo interno, preferendo i giovani più poveri. Certamente, singoli giovani e gruppi possono trovarsi ad uno stadio più avanzato di quello previsto qui come punto di partenza. La scelta dell’accoglienza incondizionata, in questo caso, deve significare veramente un intervento pastorale relativo «alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e all’ambiente di cultura e di vita in cui si trovano» (RdC 75). Sarebbe poco corretto e, alla fine, contraddittorio elaborare un itinerario all’insegna dell’accoglienza e del riconoscimento della radicale dignità di ogni giovane, con la pretesa di farlo diventare poi obbligatorio per tutti. Esso ha un carattere particolarmente propositivo solo quando l’azione pastorale si rivolge a gruppi non omogenei: preferire i più poveri comporta infatti prima di tutto il rispetto dei loro ritmi, per presumere in modo serio di rispettare quelli di tutti.


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