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    Il significato della scelta

    «Educare il giovani

    al Vangelo della carità»

    nel piano pastorale della Chiesa in Italia

    «Evangelizzazione e testimonianza della carità»

    Dionigi Tettamanzi



    Introduzione

    La prima parola non può essere se non quella del saluto, il più vivo e il più fraterno possibile. È un saluto di riconoscenza per la passione educativa e per la responsabilità pastorale che avete per i giovani. In questo senso vorrei salutare, insieme a voi, tutti quei giovani che sono l'oggetto quotidiano di questa passione educativa e di questa responsabilità pastorale. E vorrei esprimere questa gratitudine, non solo a titolo personale, ma anche a nome di tutti i Vescovi italiani. Devo dire che tutte le volte che parlo della pastorale giovanile al Consiglio Episcopale Permanente della pastorale giovanile trovo una risonanza immediata, profonda e interessata nei diversi Vescovi per questa dimensione della pastorale della Chiesa oggi.
    In nome di questa passione educativa e responsabilità pastorale che ci accomuna tutti, vorrei sviluppare in termini molto semplici e fraterni la mia conversazione, che verte sul significato della scelta "Educare i giovani al vangelo della carità" nel piano pastorale della Chiesa in Italia "Evangelizzazione e testimonianza della carità".
    La pastorale della Chiesa per i giovani e con i giovani non è una realtà d'oggi, non è una scoperta del momento presente. Ha una sua lunga storia: si può dire che ogni secolo della vita della Chiesa è segnato in profondità da questa passione educativa verso i ragazzi, gli adolescenti, i giovani. Tutti ricordiamo le figure di educatori e di educatrici dentro la storia della Chiesa, figure particolarmente famose: qui è d'obbligo ricordare Don Bosco; ma possiamo anche risalire nel corso della storia e ritrovare, ad esempio, il grande Giovanni Gersone che ha scritto diverse opere di alta teologia e di profonda mistica, tra le altre anche una curiosa e suggestiva operetta dal titolo "De pueris adducendis ad Christum". Possiamo anche ritornare più su nella storia della Chiesa e ritrovarci con San Giovanni Crisostomo e ricordare che tra le tante sue opere c'è pure un discorso sulla educazione dei giovani.
    Non c'è dubbio che tutta questa storia della Chiesa attenta e impegnata verso i giovani ha il suo punto di partenza in Gesù Cristo e nell'amore che Gesù Cristo ha per i giovani, quell'amore che è testimoniato in particolare da alcune pagine del Vangelo.
    Penso però di poter dire che oggi, nella comunità cristiana, esiste in rapporto al passato, una maggiore consapevolezza circa l'importanza o addirittura circa la vera e propria necessità di una pastorale giovanile.
    Vorrei esprimere la coscienza attuale della Chiesa in questi termini: la pastorale giovanile oggi ha ottenuto il suo diritto di cittadinanza dentro la pastorale della Chiesa. In questo senso la pastorale giovanile non è qualche cosa di opzionale, ma di necessario, non qualche cosa di elitario da riservare ad alcuni privilegiati, ma qualche cosa che riguarda tutti e investe tutti, dunque assume la connotazione della vera e propria popolarità, a pieno titolo dentro la Chiesa, non qualche cosa di marginale, ma di essenziale al vivere e all'agire della Chiesa.
    Questo diritto di cittadinanza (ho preso a prestito l'espressione da Giovanni Paolo II che parla della dottrina sociale della Chiesa che ha avuto diritto di cittadinanza a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII) è oggi riconosciuto non più da alcuni addetti ai lavori o singole figure di educatori oppure gruppi di persone o istituzioni o centri impegnati nei riguardi dei giovani, ma è affermato e promosso secondo una linea tipicamente ecclesiale da parte delle diverse Chiese particolari. Uno dei compiti che don Domenico Sigalini ha ricevuto da parte mia, lo scorso anno, era precisamente quello di recensire i diversi interventi che a livello di Chiesa locale si vanno facendo sia in chiave di creatività da parte delle comunità cristiane, sia in chiave di interventi propriamente magisteriali o pastorali dei vescovi in tema di pastorale giovanile.
    Questo diritto di cittadinanza ormai è riconosciuto, affermato e promosso non solo dalle Chiese locali, ma anche dalla stessa Chiesa in Italia, dalla Conferenza Episcopale Italiana. Questo avviene, innanzitutto, a livello di insegnamento e di indicazione pastorale. I nn. 44-45-46 degli Orientamenti pastorali per gli anni '90 sono una sintesi ricca, densa, efficace, incisiva della pastorale giovanile oggi in Italia. Ma al di là di questo livello magisteriale e pastorale penso di poter segnalare, anche se siamo ancora agli inizi di un cammino, quest'altro livello, quello istituzionale e strutturale, quello cioè della costituzione, in seno alla Segreteria della CEI, del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Per la verità, in più di una occasione nel Consiglio Episcopale Permanente i Vescovi si sono chiesti quale figura giuridica potesse avere questo Servizio. Nonostante le diverse ipotesi, il termine Servizio forse è tra i più indovinati, perché pone questa istituzione, questa struttura della CEI immediatamente nella logica evangelica del servizio. Questa struttura in seno alla CEI vuole porsi, con tutta modestia ma anche con un vivo senso di responsabilità, come un servizio in ordine al coordinamento e allo stimolo della pastorale giovanile nelle Chiese particolari.
    È un coordinamento, non una imposizione che dall'esterno raggiunge le varie Chiese particolari e le varie strutture di pastorale giovanile. È piuttosto a partire da una esigenza interna che le diverse realtà strutturali sparse in Italia sono chiamate a coordinarsi tra di loro. Esiste oggi una mobilità del mondo giovanile ampia e continua, tale da rendere necessario un maggiore coordinamento delle strutture e delle organizzazioni di pastorale giovanile.
    In secondo luogo, è uno stimolo della pastorale giovanile nelle diverse Chiese particolari, fatto di riconoscimento sincero, cordiale, grato per quanto c'è, e di una promozione della responsabilità e della creatività che le diverse Chiese particolari, e quindi le diverse strutture di pastorale giovanile, hanno il diritto e il dovere di esprimere e di realizzare.
    La Chiesa che è in Italia, come tutte le altre Chiese nel mondo, ha subito e continua a subire il benefico e fecondo influsso che ci proviene dalla persona, prima ancora che dalla missione, di Giovanni Paolo II. Lo dimostrano le Giornate Mondiali della Gioventù con il messaggio che comportano, con l'esperienza spirituale che esigono e sollecitano; come pure alcuni testi magisteriali di grande interesse. A tal proposito c'è un testo che merita di essere riscoperto e riproposto: i paragrafi che la Christifideles laici dedica alla pastorale giovanile. Tutto questo dà ulteriore e ancora più rilevante autorevolezza all'affermazione che oggi finalmente la pastorale giovanile ha ottenuto il suo diritto di cittadinanza dentro la pastorale della Chiesa.

    I. La pastorale giovanile e gli Orientamenti pastorali per gli anni '90

    Sviluppiamo il confronto tra la pastorale giovanile e la programmazione pastorale dei Vescovi italiani secondo una duplice prospettiva:

    1. La pastorale giovanile nel contesto e nello spirito di Evangelizzazione e testimonianza della carità
    I nn. 44-46 di Evangelizzazione e testimonianza della carità non sono paragrafi a sé stanti, quindi non possono essere letti, interpretati e realizzati come un qualcosa di chiuso in se stesso. Sono parte integrante del documento. E proprio perché sono parte integrante, chiedono una lettura, una interpretazione, una realizzazione dentro il contesto e lo spirito dell'intero documento. In un certo senso, potremmo dire che dentro questi tre numeri hanno risonanza tutti gli altri numeri del documento. E dunque l'intero documento che è chiamato a illuminare, a guidare, a sostenere, a ispirare la pastorale giovanile.
    Il significato più profondo del documento Evangelizzazione e testimonianza della carità è quello di essere un duplice e inscindibile grande atto d'amore che la Chiesa italiana, sullo scorcio di questo secolo, è chiamata ancora una volta a esprimere e a vivere nei riguardi di Gesù Cristo e dell'uomo.
    Un grande atto d'amore, innanzitutto, al Signore Gesù: riprendendo una immagine biblica, liturgica, conciliare, teologica della Chiesa, cioè la Chiesa come sposa, immediatamente possiamo capire che la passione prima, fondamentale, qualificante e irrinunciabile della Chiesa è quella di essere la sposa di Gesù Cristo e quindi di amare il Signore Gesù, di essere intimamente, indissolubilmente congiunta a Lui e pertanto di condividerne la missione, una missione che si compendia nell'annuncio del Vangelo. Lui è il Vangelo vivo, concreto, personale. Marco riassume così la predicazione di Gesù: "Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino; convertitevi dunque e credete al Vangelo" (Mc. 1,15). Il prologo del 4° Vangelo, quello di Giovanni, ci presenta il Verbo eterno di Dio che si fa carne umana, si fa uno di noi, per rivelare, lui che vive in sinu Patris, il mistero di Dio e, proprio per questo, anche il mistero dell'uomo.
    Se questa è la missione di Gesù e se la Chiesa condivide tale missione dobbiamo dire che la Chiesa nella storia esiste (questa è la sua ragione d'essere) precisamente per evangelizzare. Vale la pena di ricordarlo in questo tempo, a 30 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, il cui scopo, come diceva Paolo VI nella esortazione Evangelii nuntiandi, è stato di riproporre il vangelo di Gesù Cristo come Chiesa del XX secolo al mondo del XX secolo. Ricordiamo questo, oggi, in occasione della IV Conferenza dell'Episcopato latino-americano, che a Santo Domingo riflette, decide e rilancia la nuova evangelizzazione. La vita quotidiana della Chiesa sta sotto la grazia e il comandamento del Signore Gesù, che ha fatto iniziare il cammino inarrestabile della Chiesa su tutte le strade del mondo con queste parole: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc. 16,15). L'impegno quotidiano di evangelizzazione è un atto d'amore della Chiesa come sposa a Gesù Cristo.
    Inscindibile da questo atto d'amore a Gesù sta l'atto d'amore, sempre da parte della Chiesa, all'uomo. Riprendiamo un'altra immagine biblica, liturgica, conciliare, teologica: l'immagine della Chiesa madre. La Chiesa è la sposa di Cristo, ma una sposa insieme vergine e madre feconda, nel senso che essa rivive l'amore di Gesù Cristo per l'uomo e comunica l'amore di Gesù Cristo che si unisce e si dona all'umanità e testimonia, per così dire, nella forma più intensa, il massimo di comunione, di solidarietà con l'uomo e il massimo di donazione a favore dell'uomo, mediante i due fondamentali misteri della Incarnazione e della Redenzione. È incarnandosi, cioè con la carne umana che attinge dal seno di una donna, e con la carne umana che diventa il corpo e il sangue donati per noi sulla croce, che Gesù Cristo dice nella forma più luminosa e più eloquente possibile la sua comunione e donazione all'uomo. E la Chiesa, con l'annuncio della parola, con la celebrazione dei sacramenti, con la testimonianza della carità, altro non fa che rivivere oggi e donare all'uomo d'oggi l'amore di comunione e di donazione di Gesù Cristo.
    Proprio perché ho voluto ricordare il linguaggio biblico, liturgico, conciliare, teologico che ci presenta la Chiesa come sposa e madre, vorrei dire che in questo contesto emergono in continuità e con una singolare forza la radice viva, l'alimento permanente, il sostegno continuo, la risorsa inesauribile della Chiesa come sposa e madre: lo Spirito Santo. Se la Chiesa è capace di amare Gesù Cristo e proprio per questo di amare l'uomo, lo deve non a se stessa, perché da se stessa è una sposa infedele, una sposa sterile, ma lo deve alla presenza, all'azione continua dello Spirito.

    2. La pastorale giovanile come sfida di Evangelizzazione e testimonianza della carità
    Sono convinto che il successo o l'insuccesso di questo documento dei Vescovi italiani dipende ed è misurato dal successo o dall'insuccesso di diverse dimensioni della pastorale, ma innanzitutto della pastorale giovanile.
    Non a caso i Vescovi, nella parte conclusiva del loro documento, presentano alcune vie privilegiate, secondo le quali deve incarnarsi il vangelo della carità. Ne vengono indicate tre, e la prima è la pastorale giovanile. Proprio per questo il successo o l'insuccesso dell'intero documento dipende ed è misurato dal successo o dall'insuccesso della pastorale giovanile.
    Mi pare, peraltro, di essere coerente al testo stesso di Evangelizzazione e testimonianza della carità, perché proprio il primo dei tre numeri dedicati alla pastorale giovanile, il n. 44, presenta il mondo dei giovani come una specie di specchio nel quale si riflettono le contraddizioni e le potenzialità del nostro tempo, come il test forse più significativo della situazione d'oggi per quanto attiene questo complesso di contraddizioni e di potenzialità.

    II. I giovani come oggetto e soggetto di Evangelizzazione e testimonianza della carità

    1. I giovani sono da evangelizzare perché presentano tutta una serie di difficoltà. Il n. 44 ne fa un elenco molto stringato, ma significativo se viene letto alla luce dell'intero documento. Parla, ad esempio, della indifferenza e delle difficoltà da parte dei giovani di accedere all'esperienza di Dio; e ancora di una forte soggettivizzazione della fede; di un'appartenenza ecclesiale molto condizionata; e, infine, di un non facile consenso ai principi della dottrina e della esperienza morale della Chiesa.
    Ma forse il vero motivo è che i giovani più degli altri sono alla ricerca del senso della vita. Per noi credenti non c'è dubbio che questo senso della vita ci viene rivelato e comunicato in pienezza, in modo esaustivo, anzi sovrabbondante, da Gesù Cristo, perché lui stesso si presenta come il vero senso della vita dell'uomo, lui che si è proclamato via, verità e vita. Questo è detto in un testo bellissimo di Paolo VI pronunciato all'inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II, testo che il Papa ha ripreso e riproposto all'inizio del suo discorso inaugurale a Santo Domingo ai Vescovi dell'America latina.
    I giovani, in primo luogo, devono ricevere la testimonianza della carità. La difficoltà reale della comunicazione, la debolezza e nello stesso tempo la sfida, la creatività della pastorale giovanile si raccolgono nel problema della comunicazione tra Chiesa e giovani, tra Vangelo e giovani, tra il Signore Gesù e i giovani, tra la fede e i giovani. La difficoltà reale e particolarmente forte di questa comunicazione rischia purtroppo, da parte anche di tanti sacerdoti, di essere intesa come impossibilità alla comunicazione. Esistono alcuni elementi che danno corpo e concretezza a questa difficile, e per taluni impossibile, comunicazione tra Chiesa e mondo giovanile. Spesso i giovani sono temuti da noi sacerdoti; non mancano confratelli che ritengono di essere capaci di impegnarsi pastoralmente in tante direzioni, ma di non esserlo affatto, oppure solo a carissimo prezzo, nella direzione dei giovani. I giovani vengono temuti, forse perché a volte si presentano con la loro spavalderia. E quando non sono temuti, rischiano di essere lasciati soli. Ci sono molti giovani nei nostri ambienti, ma sono indubbiamente molti di più quelli che si trovano negli altri ambienti. I giovani sono lasciati soli, emarginati dagli adulti, in un certo senso isolati anche in maniera fisica, ma soprattutto sono lasciati soli in un altro modo molto più pesante e inquietante, in modo morale, quando non sono considerati né valorizzati. Sono temuti e sono lasciati soli, mentre un semplice approccio pastorale potrebbe aiutare i giovani a scoprire il senso della vita, a saziare la fame e la sete di verità, e nello stesso tempo a saziare la fame e la sete di amore. Verità e amore si incontrano, come continuamente dice il documento Evangelizzazione e testimonianza della carità. Essere amati e amare: in definitiva è tutto qui il logos della vita di ciascuno di noi.
    Vorrei risentire insieme a voi queste parole, davvero stupende, dell'enciclica Redemptor hominis: "L'uomo non può vivere senza amore; egli rimane per se stesso un essere incomprensibile; la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente". È una citazione che è presente anche in Evangelizzazione e testimonianza della carità.

    2. I giovani oggetti, ma anche soggetti e protagonisti reali di Evangelizzazione e testimonianza della carità. La pastorale è ordinata a far sì che quanti sono destinatari della nostra azione, diventino attivi e responsabili e quindi partecipi in pienezza della vita e della missione della Chiesa. La maturazione cristiana comporta di sua natura questo continuo e incessante passaggio dalla accoglienza del vangelo della carità alla proposta dello stesso vangelo della carità agli altri.
    È l'incontro con il Signore Gesù che, mentre da una parte coinvolge il tutto della persona, dall'altra parte carica la persona di un'inarrestabile e irresistibile forza missionaria. È davvero emblematica l'esperienza spirituale di Maria di Magdala, la quale grida 'Ho visto il Signore', e in questo grido diventa la prima apostola, l'apostola degli apostoli, come dicevano alcuni autori del Medioevo. "Ho visto il Signore, per questo lo annuncio". La Chiesa, in un certo senso, è chiamata a rivivere questa esperienza spirituale della Maddalena; ciascun cristiano è chiamato a vedere il Signore (vedere nel significato profondo del termine biblico) e per questo ad annunciare il Signore. Come dice l'esortazione Pastores dabo vobis, parlando della vocazione, non solo di quella sacerdotale, ma di ogni vocazione: si tratta di riprendere e incarnare nell'oggi l'esperienza dei primi discepoli, presentataci da Giovanni nel 1° capitolo del suo vangelo. I discepoli del Battista quando incontrano Gesù gli dicono: "Maestro dove abiti?" e lui risponde: "Venite e vedete". Ci va tra l'altro Andrea, fa l'esperienza dell'incontro con il Signore, abita con lui, poi dice tutto al fratello Simone e porta Pietro dal Signore Gesù.
    I giovani, come soggetti attivi e responsabili del vangelo della carità, sono chiamati a operare questo annuncio e a dare questa testimonianza del Vangelo in uno spazio privilegiato, in uno spazio loro proprio: lo spazio dei giovani. Certo hanno tanto da dire, da fare anche nei confronti degli adulti o dei bambini, ma non c'è dubbio che il primo apostolato riguarda il simile, secondo la legge che ha enunciato Pio XI nell'enciclica sociale Quadragesimo anno, quando parlando degli operai diceva che il primo apostolato degli operai è l'apostolato con e a favore degli operai. Ma al di là di questo spazio privilegiato, c'è un altro motivo che li rende soggetti: i giovani devono essere attivi e responsabili del vangelo della carità perché hanno una loro fisionomia tipica, hanno un loro carisma. Sarebbe interessante qui tentare di delineare, attraverso la riflessione e l'esperienza, il contributo specifico, proprio, e in un certo senso anche esclusivo, che i giovani possono e devono dare per l'annuncio e per la testimonianza del vangelo della carità. Così di solito si dice, e ciò corrisponde anche a verità, che i giovani sono i testimoni di una esigenza radicale molto più forte rispetto agli adulti, che pacificamente convivono con una vita che non rifiuta affatto le mezze misure; e ancora si dice che i giovani sono portatori di una esigenza di trasparenza molto immediata e molto rilevante, e in questo senso sono uno schiaffo vivente alla vita che spesso si adagia in continui compromessi e omologazioni al sistema; e ancora, una certa utopia di cui i giovani sono portatori e che costituisce un richiamo all'ideale e alla speranza cristiana, che sempre è una speranza contro ogni speranza.

    III. Il soggetto ecclesiale della pastorale giovanile

    Questa affermazione generale dice, tra l'altro, che i contenuti, i soggetti e il metodo della pastorale giovanile sono gli stessi contenuti, soggetti, metodo della pastorale della Chiesa come tale.
    Ma prima di sostare in particolare sui soggetti, vorrei cogliere lo spirito profondo e originale dell'agire pastorale che per sua natura è un agire di Chiesa. L'atto pastorale è per se stesso un atto ecclesiale, investe e coinvolge sempre, al di là del cristiano che direttamente lo pone, la realtà più ampia, misterica della Chiesa come tale. San Beda il Venerabile, in un suo commento al libro dell'Apocalisse, testo citato da Giovanni Paolo II nell'esortazione Pastores dabo vobis, dice "Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam". L'agire pastorale è questa Chiesa che quotidianamente genera se stessa. E siccome il rischio di chi è impegnato febbrilmente nell'attività pastorale è di interpretarla e di realizzarla in modo troppo superficiale, diventa indispensabile scendere a questa profondità misterica per leggere in maniera autentica l'azione pastorale, che si pone a livello di "essere" prima ancora che a livello di "agire", o di organizzazione esteriore. Si tratta di aspetti che tra di loro sono profondamente congiunti, ma non si può dimenticare che il primato è dell'essere e comunque non c'è dubbio che ciò che importa è la partecipazione reale viva e concreta alla missione della Chiesa, all'evangelizzazione e testimonianza della carità prima ancora di tante organizzazioni, strutture, singole e puntuali iniziative, pur necessarie per la concreta realizzazione della pastorale giovanile.
    Questo non rimanere in superficie, ma scendere in profondità e leggere secondo il mysterium Ecclesiae l'agire pastorale, si riflette anche nella interpretazione adeguata dei diversi soggetti della pastorale giovanile: i preti, le suore, i religiosi, i laici, i giovani, ecc. Questi soggetti si configurano tutti e ciascuno come signum Ecclesiae, in un certo senso come sacramentum Ecclesiae. Se l'atto pastorale è ex natura sua, essenzialmente, strutturalmente un atto ecclesiale, quando anche l'ultimo dei soggetti pastorali è impegnato a favore dei giovani, è sempre implicato il mistero della santa Madre Chiesa.
    Una conseguenza morale, non moralistica, anzi spirituale è che esiste una spiritualità dell'operatore pastorale, come rileva stupendamente Paolo VI nel capitolo finale della Evangelii nuntiandi. Emergono allora la dignità e la responsabilità degli operatori pastorali: la dignità, perché hanno ricevuto una grazia, e la responsabilità, perché è stata loro affidata una precisa e impegnativa consegna: sono chiamati e impegnati ad agire, non nomine proprio, ma in nomine Ecclesiae. L'espressione "in nomine Domini" significa che, in realtà, l'agire pastorale risale alla grazia e al comando di Gesù Cristo. Ed è una grazia e un comando che sono mediati dalla grazia e dal comando della Chiesa. Ogni operatore pastorale ultimamente mette in questione il mistero della Chiesa di Gesù Cristo.
    Dire questo significa porre le premesse di una teologia o addirittura di una dottrina della Chiesa circa i reali soggetti che fanno la pastorale giovanile. È la logica del documento Evangelizzazione e testimonianza della carità che chiede di ricuperare e di rilanciare, con grande lucidità e forza, l'ecclesialità della pastorale giovanile. Nessuno ha il diritto di accaparrarsi la pastorale giovanile, anche se si è un oratorio dalle lunghissime e fecondissime tradizioni, anche se si è un centro giovanile superlativo e che può additarsi utilmente all'esempio di tanti, anche se si sono fatti in questo centro di studio tesi di laurea sulla pastorale giovanile. Il diritto, che poi diventa un dovere, è della Chiesa come tale e nella misura in cui si è parte viva di essa. In questa misura tale diritto e tale dovere ci riguardano, ci investono, diventano il nostro diritto e il nostro dovere.
    A partire da questa impostazione teologica, addirittura magisteriale, sottolineo rapidamente alcuni aspetti circa i soggetti operativi: la Chiesa come tale e la Chiesa nelle sue molteplici e unitarie articolazioni.

    1. La Chiesa come tale. In quanto comunità/comunione la Chiesa è chiamata a porre dei segni forti, che sono tali quando sono propriamente comunitari e pubblici, quando dicono l'interesse e l'amore della Chiesa in quanto tale verso il mondo giovanile e la sua precisa volontà di camminare con i giovani.
    Da parte sua il Papa questi segni forti li ha dati e continua a darli. Ma, diversamente da quanto diceva qualche teologo del Medioevo, la Chiesa non si riassume tutta e solo nel Papa.
    In Evangelizzazione e testimonianza della carità si parla di una pastorale giovanile organica, intelligente e coraggiosa. È fontale e decisivo l'aspetto dell'organicità. Infatti, nella misura in cui la pastorale è veramente organica, ossia fa riferimento al corpo della Chiesa, all'organismo della Chiesa, nella sua varietà e unità, essa potrà essere intelligente e coraggiosa.

    2. La Chiesa nelle sue articolazioni
    a) A livello più esplicitamente istituzionale, il coinvolgimento riguarda la comunità diocesana come tale e, in termini più esistenziali e vitali, le singole comunità parrocchiali. Il livello istituzionale ha pure il suo peso e chiede di essere riconosciuto e affermato. Ciò significa che nelle 226 diocesi italiane occorre che ci siano strutture al servizio della pastorale giovanile.
    Esiste ormai in più Chiese locali una struttura per la pastorale giovanile, anche se assume forme molto diverse. Sappiamo che ne esistono anche altre, quelle che riguardano la catechesi, la liturgia, le missioni, la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport e pellegrinaggi, ecc. Diventa del tutto indispensabile che queste diverse strutture si confrontino tra di loro, si coordino tra di loro, e entrino in collaborazione.
    A questo riguardo siamo ancora ai primi passi di un cammino del tutto necessario, il cammino di una pastorale organica, che chiede il confronto continuo, la coordinazione, la collaborazione reciproca tra le diverse strutture della pastorale. Questo sta avvenendo tra i vari uffici della C.E.I. e sicuramente avviene nelle realtà diocesane.
    b) Un altro livello, congiunto ovviamente al precedente, è quello che potremmo chiamare carismatico: il livello dei gruppi, movimenti, associazioni. Sono realtà che, forse prima ancora delle Chiese come tali, sono state interessate alla pastorale giovanile; ma si tratta di realtà che dovrebbero essere coordinate tra di loro e soprattutto inserite nel tessuto vitale della Chiesa come tale. Gruppi, movimenti, associazioni hanno ciascuno il loro carisma o i loro carismi, e proprio perché sono carismi esigono per loro natura la circolazione, la reciprocità, il servizio alla comunione, alla unità nella Chiesa. I principi sono chiari da enunciare, poi segue la fatica della vita vissuta, dell'esperienza quotidiana; ma è una esperienza che chiede di essere illuminata e guidata da questi principi.
    c) E ancora: secondo le diverse vocazioni e condizioni di vita. I soggetti sono la Chiesa nelle sue articolazioni non soltanto, potremmo dire, strutturali o carismatiche, ma anche in quelle vocazionali o in rapporto alle condizioni di vita, e dunque i presbiteri, i religiosi, le religiose, i laici. In particolare i laici sposati, che tra l'altro sono la maggioranza del popolo di Dio. Da questo punto di vista non può essere svilito, ma al contrario chiede di essere riconosciuto apertamente, promosso o ripromosso con decisione il dono e il compito che i genitori cristiani ricevono da Gesù Cristo stesso, dalla Chiesa stessa mediante il sacramento del matrimonio. Prima ancora che si istituisse in qualsiasi diocesi italiana la struttura della pastorale giovanile, Gesù Cristo stesso già aveva pensato a una struttura originaria, indistruttibile di pastorale giovanile costituendo e donando alla Chiesa il sacramento del matrimonio. E in continuità con quanto esisteva già nel popolo dell'Antica Alleanza, quando la trasmissione della fede avveniva nel contesto delle famiglie, della catechesi e della liturgia in famiglia, a cominciare dalla grande catechesi e liturgia della Pasqua, che era essenzialmente una festa delle singole famiglie.
    d) La comunità diocesana e parrocchiale, i gruppi, i movimenti e associazioni, le diverse vocazioni, le strutture, ecc. si ramificano dentro il tessuto vivo della comunità ecclesiale e della società civile. È in questo tessuto che vivono quotidianamente i giovani. Diventa essenziale per la pastorale giovanile, quindi anche per i soggetti che la realizzano, il discorso sugli ambienti di vita dei giovani. La Chiesa non esiste per se stessa, esiste per Cristo e per l'uomo, per l'uomo che vive nel mondo, che vive nella storia. Da questo punto di vista, allora, la pastorale giovanile è sì un grande atto d'amore a Gesù Cristo, ma nel contempo un grande atto d'amore all'uomo, a questo uomo che troviamo impegnato nella scuola, nel lavoro, nel tempo libero, ecc.

    IV. Il metodo della pastorale giovanile

    Proprio i termini usati di "pastorale organica, intelligente e coraggiosa" rimandano a un metodo pastorale che chiede di essere letto in profondità, perché esso indica, innanzitutto, uno spirito, uno stile, un humus morale e spirituale, che poi inevitabilmente si esprimerà anche nell'agire concreto. Qual è il metodo della pastorale giovanile?
    Il documento parla di educare i giovani al vangelo della carità, e ancora di un preciso progetto educativo, che deve ispirare, sostenere, comandare il realizzarsi della pastorale giovanile con tutte le attenzioni umane, psicologiche, pedagogiche, ecc.
    Mi limito a ricordare la ragione specificamente cristiana di questo metodo pastorale, che in un certo senso si risolve nel metodo educativo: sta, di nuovo, nel mysterium Ecclesiae, di quella Chiesa che si qualifica come sposa di Cristo e madre dei cristiani. E la maternità della Chiesa, come del resto ogni opera di generazione, si esprime non solo nell'atto del generare, ma in quella generazione continuata che è l'opera educativa. Emerge così un concetto fondamentale che deve presiedere al realizzarsi della pastorale giovanile ed è il concetto del cammino, dell'itinerario. È un concetto gravido di contenuti e di provocazioni. Accenno solo a tre componenti essenziali, che strutturano il processo educativo inteso come cammino, come itinerario.

    1. È impossibile camminare se non si ha davanti una meta da raggiungere. In questo senso, il cammino esiste là dove viene offerta una precisa proposta di vita, una proposta ideale, che in ultima analisi non può essere (lo dice continuamente il documento anche nei numeri dedicati alla pastorale giovanile) se non l'incontro vivo e personale della persona unica e irripetibile di ciascun giovane con la persona singolare del Signore Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Questo incontro personale, questo dialogo interpersonale è il frutto di una chiamata e di una risposta: vocazione e missione sono gli elementi strutturanti l'incontro personale, il dialogo interpersonale tra il giovane e Cristo, o meglio tra Cristo e il giovane.
    Il n. 46, anche se in maniera concisa, ha un breve brano destinato ad illustrare la costitutiva risonanza vocazionale come una delle irrinunciabili dimensioni della pastorale giovanile.

    2. Il cammino non esige soltanto una meta, esige anche un andare verso la meta con dei passi che sono misurati sulla realtà concreta, storica del giovane che cammina. Da questo punto di vista, se è essenziale la proposta ideale, è altrettanto essenziale la conoscenza della realtà del mondo giovanile. È questo giovane, che è il giovane di oggi con le sue contraddizioni ma anche con le sue potenzialità, che è da educare al vangelo della carità, che è da far incontrare in modo vivo e personale con il Signore Gesù. Fotografare la situazione e rifotografarla continuamente, dal momento che è sempre più rapida e cangiante, è elemento necessario per una intelligente e coraggiosa pastorale giovanile. In questo senso, l'educatore è insieme un grande idealista ma anche un grande realista.

    3. E infine fa parte dell'itinerario un accompagnamento fraterno e autorevole: occorre farsi compagni dei giovani. Si usa ricorrere a qualche immagine o icona biblica. L'icona di Gesù risorto con i due discepoli di Emmaus potrebbe essere ripresa e riproposta con una specifica applicazione alla pastorale giovanile. Gesù che cammina insieme ai due discepoli disperati, Gesù che incomincia in silenzio ad ascoltare i dubbi e gli interrogativi decisivi di questi due discepoli; Gesù che cerca di aiutarli a capire le Scritture, quindi a capire il disegno di Dio circa quanto è successo; Gesù che li ammette alla massima intimità con sé quando spezza il pane; Gesù che, mediante il suo Spirito li manda a Gerusalemme come apostoli e missionari ad annunciare che Cristo è risorto.
    Forse occorre sì intelligenza, ma ancor più pazienza e coraggio per vivere questo quotidiano accompagnamento fraterno e autorevole nei riguardi dei giovani.

    IV. Formare i formatori

    Un'ultima esigenza è dichiarata da Evangelizzazione e testimonianza della carità, là dove i Vescovi scrivono: "Formare i formatori per i nuovi tempi e le nuove esigenze che la Chiesa si trova a dover affrontare è una evidente necessità pastorale" (n. 45).
    Questo è il 1° Convegno nazionale di pastorale giovanile; parliamo di farne un 2°, un 3°, ecc., ma non c'è dubbio che, guardando al domani, l'avvenire della pastorale organica, intelligente e coraggiosa con i giovani, per i giovani e da parte dei giovani è affidato in massima parte ai formatori dei giovani stessi. Vedendo in maggioranza presbiteri, quindi con la necessità di ampliare il discorso ai religiosi, alle religiose e ai laici, vorrei rivolgermi in maniera particolare ai confratelli nel sacerdozio e ricordare a tutti che la figura del presbitero, che per altro è davvero decisiva, certo non unica, per la pastorale giovanile, esige da parte dei presbiteri stessi una formazione e una formazione permanente per la pastorale giovanile. Spero che i Vescovi italiani la settimana prossima, a Collevalenza, parlando della formazione permanente dei presbiteri, rilevino anche questo aspetto non certo secondario della loro formazione permanente, quella che riguarda il loro ministero verso e con i giovani.
    Questa formazione è possibile, e diventa non tanto una necessità da subire quanto un bisogno cui corrispondere con entusiasmo e con gioia, a partire dalla convinzione che è importante dentro il ministero presbiterale lo spazio che è richiesto per l'incontro, il dialogo, la condivisione di vita e di esperienza di fede con i giovani stessi. Il documento Evangelizzazione e testimonianza della carità insiste sulla preparazione: si tratta di avere sensibilità, ma questa non basta, può essere frutto di natura e di grazia; occorre una vera e propria competenza: le scienze dell'educazione possono essere un contributo valido e positivo proprio per essere attrezzati e quindi adeguatamente equipaggiati per la pastorale giovanile stessa.
    Ma ancora più importante è vivere un rapporto personale profondo con i giovani: si possono fare tante cose per i giovani e non vivere con i giovani, non realizzare un rapporto personale profondo che si situa a livello di essere, dove il giovane vale non per quello che ha e che fa ma per quello che è, dove l'altro è ricercato proprio perché è altro da me e altro che con me deve camminare verso il Signore, fare la stessa esperienza di fede, impegnarsi insieme nella vita e nella missione della Chiesa.
    Infine, ricordo come ultima componente quella di offrire ai giovani, insieme al magistero della dottrina, il magistero della vita, la testimonianza.
    Il presbitero, ce lo ricorda in continuità e in termini suggestivi la Pastores dabo vobis, è presbitero in comunione, imita e rivive l'unico grande sacerdote che è il Signore Gesù anche nel suo ministero con i giovani e per i giovani. Il sacerdote, se è sacerdote di Cristo e della Chiesa, fa tutto questo imitando e partecipando, mediante il dono dello Spirito, all'amore stesso del Signore Gesù. Nella lettera ai giovani e alle giovani del mondo, scritta nel 1985 da Giovanni Paolo II, il Papa con grande ampiezza ha riletto il testo evangelico dell'incontro di Gesù con il giovane ricco e ha proposto, a partire da questa esegesi, tutta una pastorale giovanile compendiata nei tre verbi di Marco, che parlando di Gesù dice che ha fissato il giovane (per così dire, l'ha letto dentro nell'intimo del suo cuore), ha amato questo giovane e proprio per questo gli ha detto: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". Si vive il proprio ministero presbiterale nei riguardi dei giovani in maniera cristiana, cioè secondo il dono dello Spirito, quando si partecipa a questo sguardo del Signore Gesù, al suo amore e al suo coraggio nel fare la proposta della perfezione cristiana.


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