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    Educazione / Pastorale

    Riccardo Tonelli



    IL PROBLEMA

    Chiunque si mette a fare pastorale giovanile si scontra, presto o tardi, con una serie di problemi che riguardano il rapporto tra educazione e educazione alla fede.
    L'atto pastorale e l'atto educativo si richiamano infatti e si ricoprono in una relazione anomala.
    Essi possiedono una loro specificità, formale e sostanziale. Per questo un atto non é l'altro.
    L'educazione riguarda l'ambito della produzione e della comunicazione della "cultura", attraverso l'esercizio progressivo di una razionalità critica, in vista della personale crescita in umanità. Ha come preoccupazione sostanziale e specifica la maturazione della persona nella società, attraverso la proposta di valori, il confronto con modelli e scelte di vita, la gestione equilibrata degli interessi personali e dei rapporti intersoggettivi.
    L'educazione alla fede invece ha come oggetto la proposta, esplicita e tematica, dell'evangelo del Signore, per sollecitare alla sua accoglienza, come unico e fondamentale evento di salvezza. Assolve questo compito utilizzando come struttura comunicativa tutta speciale. La testimonianza della fede vissuta e confessata é l'unico strumento linguistico adatto per esprimere il mistero di Dio. Infatti, l'annuncio di salvezza si fa parola umana per essere parola per l'uomo (DV 13); essa però non é mai in grado di obiettivare l'evento misterioso di cui é manifestazione. Per questo nella parola umana l'evento é presente ed assente nello stesso tempo, presente nella povertà del segno e assente perché la potenza dell'evento non è riducibile alla mediazione del suo segno.
    Sono diverse le strutture logiche e le procedure comunicative, ma sono innegabili i rapporti e le interferenze.
    La pastorale giovanile si interroga sul tipo d'uomo verso cui finalizzare il suo servizio e in questo si scontra con l'antropologia che offre una rassegna di progetti d'uomo, elaborati nell'ambito culturale di sua competenza. La pastorale non li assume quando gli sono utili o li rifiuta quando sente il dovere di contestarli. Progetti e modelli pervadono già lo spazio operativo della pastorale; essa agisce in una situazione e con persone già segnate e orientate dalla cultura dominante.
    Inoltre, anche nell'esercizio tipico delle sue funzioni (quando cioè celebra i sacramenti, offre l'esperienza di una comunione che è un dono prima di essere conquista e propone la testimonianza autorevole di coloro che hanno il ministero di servire la carità nell'unità), la pastorale sceglie e utilizza metodi, modelli e strumentazioni non direttamente derivabili dalla fede, ma di natura chiaramente tecnica e profana. Questi strumenti non sono però neutrali rispetto ai contenuti teologici che intendono veicolare. Si instaura così come un reciproco condizionamento: il contenuto giudica e misura lo strumento, proprio mentre lo strumento lo storicizza e relativizza.
    Come si nota, la distinzione tra atto pastorale e atto educativo non é mai totale né la soprapposizione può risultare mai completa.
    Di qui i problemi del rapporto, sul versante pratico e su quello teorico.
    Quando diciamo "educazione" alla fede prendiamo sul serio la voce "educazione", disposti a misurarci, nelle dimensioni di fondo, con i contributi delle scienze dell'educazione; oppure, nell'ambito della pastorale, l'educazione é solo un modo di dire analogico, che ha poco da spartire con il mondo concreto dell'educazione?
    Quando la pastorale è preoccupata più dell'oggetto della proposta che delle condizioni esistenziali della comunicazione e del livello di maturità dei destinatari, essa risponde negativamente, almeno in modo implicito, a questi interrogativi. Riconoscono invece un rapporto molto stretto tra educazione e educazione alla fede coloro che sono attenti alle reazioni e alle disposizioni del soggetto, ai suoi ritmi di maturazione e alle sue crisi, e coloro che desiderano aiutare i giovani a scoprire nella Parola di Dio e nella vita ecclesiale una risposta congeniale alle attese più profonde.

    UNA RASSEGNA CRITICA DEL VISSUTO

    Il rapporto tra educazione e educazione alla fede non è prima di tutto un dato di teoria pastorale. Esso è una qualità del vissuto concreto delle comunità ecclesiali. La sua definizione teologica é una interpretazione critica della prassi. Il vissuto delle nostre comunità ecclesiali si presenta oggi molto pluralista. Una sua classificazione, capace di andare oltre la semplice recensione fenomenologica dei dati di fatto, può essere tentata solo attraverso la via dei "modelli". Seguo perciò questa prospettiva.
    Ne suggerisco quattro. Nella loro formalizzazione rappresentano le linee di tendenza più rilevanti nel pluralismo dell'attuale prassi di pastorale giovanile.

    Primo modello: le forti proposte

    Il modello teologico tradizionale, che per tanto tempo ha dominato il dibattito circa il rapporto tra teologia e pedagogia, propone una prospettiva di netta dipendenza: l'atto pastorale "comanda" all'atto educativo sia nelle procedure che nelle strumentazioni. In questa prospettiva si parla molto di educazione alla fede e si insiste sugli interventi necessari per attuarla. La voce "educazione" é assunta però solo in una visione analogica rispetto a quella caratteristica delle scienze dell'educazione; il suo contenuto viene derivato, quasi deduttivamente, dal dato teologico. Viene così, in ultima analisi, svuotata ogni seria preoccupazione educativa nell'azione pastorale.
    Queste prospettive teologiche ispirano e orientano un modo concreto di fare pastorale giovanile.
    In questo modello l'azione educativa e pastorale con i giovani viene strutturata secondo uno stile di forte proposta. Le esigenze più decisive dell'esperienza cristiana sono messe in primo piano. In fondo, al modello interessano più i contenuti e gli eventi che il confronto con i destinatari. Dalla cultura dominante ci si preoccupa di prendere le debite distanze, ritrovando la carica alternativa e critica dell'esperienza cristiana.
    E' facile giungere al rifiuto dei processi educativi o alla loro strumentalizzazione per l'educazione alla fede.

    Secondo modello: la prevalenza dello "spirituale"

    Come reazione alla eccessiva pedagogizzazione della fede e della vita cristiana, sotto la spinta della "teologia dialettica", è sorto un modello che distingue drasticamente il momento educativo da quello pastorale. Alla base di questa concezione sta l'affermata irriducibilità del mondo della fede con il mondo profano e la costatazione teologica che nella Rivelazione c'é solo un discorso soteriologico, estraneo ad ogni interesse educativo.
    Dio é Dio; egli é il totalmente altro, colui che è nascosto e avvolto nel mistero. All'assoluta e somma superiorità di Dio va contrapposta l'estrema e infinita inferiorità dell'uomo.
    Tra Dio e l'uomo non esiste nessuna possibilità di passaggio. In Gesù Dio si è fatto vicino all'uomo; l'evento é però unico e irripetibile. Nulla ha modificato della struttura costitutiva.
    Questo modello è segnato da una visione pessimistica nei confronti della cultura e di ogni produzione umana.
    Esso rifiuta, di conseguenza, in termini abbastanza duri, ogni mescolamento dell'educativo nell'ambito dell'evangelizzazione. L'accesso al mistero di Dio e alla sua salvezza é un dono che irrompe nella storia dell'uomo. Bisogna solo invocarlo ed accoglierlo con piena disponibilità.
    Le cose da fare sono poche e relativamente semplici: moltiplicare i contatti tra Dio e l'uomo. Di qui l'insistenza sui momenti di preghiera, sulle celebrazioni liturgiche e sacramentali, sull'ascolto della Parola di Dio, sulle esigenze di una esistenza tutta nello Spirito.
    In questa ipotesi i giovani non hanno uno spazio speciale: il problema della salvezza non é loro, ma dell'uomo in genere. Tutto viene perciò risolto nel clima, accogliente e pervasivo, della comunità di fede e di vita ecclesiale.

    Terzo modello: la scelta educativa

    Esistono modelli pastorali che preferiscono invece misurarsi sulle modalità storiche mediante le quali Dio ha voluto realizzare la Rivelazione. Essi sottolineano così la convergenza e complementarità tra atto pastorale e atto educativo.
    La logica di fondo é quella della "sacramentalità": di quel rapporto tra "visibile" e "mistero" che caratterizza l'Incarnazione, la qualità della presenza tra noi di Dio in Gesù di Nazareth.
    La Parola di Dio, offerta della Rivelazione, assume una sua speciale visibilità umana, per farsi conoscere, per rendersi vicina e accessibile all'uomo, in vista della fede. C'é quindi un aspetto della Rivelazione, inseparabile da quello trascendente, che è alla portata delle capacità di apprendimento dell'uomo. Esiste, in altre parole, un visibile, rivelatore dell'invisibile, un contenente veicolo al contenuto, un significante che conduce al significato.
    In questa prospettiva è facile riconoscere nell'educazione un contributo irrinunciabile anche per l'educazione alla fede: il visibile è il luogo di presenza del mistero e via privilegiata per accedervi.
    Lo stile pastorale é molto realistico. Evita i discorsi e le proposte troppo elevate, giocate sulle idealità astratte del solo dover-essere. Preferisce fare proposte, rispettando il primato dell'esperienza. Si cercano occasioni per far toccare con mano ai giovani che sono accolti e considerati per quello che sono.
    Gli educatori sono alla ricerca di "domande" in cui riformulare e da cui far reagire la fede. L'attuale diffusa "domanda di senso" rappresenta un luogo privilegiato per questa operazione. Dove é già vivace, lì l'azione pastorale si trova a proprio agio, anche se riconosce l'esigenza di "educare" continuamente anche questa domanda. Dove è assente o non viene posseduta riflessamente, la presenza, amorevole e costante, dell'educatore e l'accoglienza degli interessi quotidiani dei giovani sono finalizzati a farla fiorire.
    Anche i contenuti tipici dell'esperienza cristiana sono riscritti per renderli significativi ed espressivi, all'interno del modello antropologico che è stato privilegiato. Sorge così un modo nuovo di pregare, di celebrare, di realizzare l'impegno etico, di vivere da uomini spirituali.

    Quarto modello: l'educativo prima del pastorale

    Qualche esperienza attuale preferisce affermare il primato dell'educativo, compreso in termini di totale autonomia, sul pastorale.
    Da questa ipotesi nasce un modello pastorale che mette al centro la prassi quotidiana nelle sue dimensioni più immediate e concrete.
    Tutti sanno che le cose si portano dentro un mistero più grande. Lo chiamiamo di solito con i nomi rivelati della nostra esperienza credente: presenza di Dio, peccato, salvezza, fede. Su esso la pastorale gioca le sue preoccupazioni e le sue operazioni.
    Questa dimensione profonda è immersa però in dati e fatti sperimentabili e manipolabili, in cui sono in gioco responsabilità precise e concrete. A questo livello, si pronunciano le scienze dell'educazione. Qui è indispensabile chiamare le cose con i loro nomi, accettare i ritmi e i tempi dei normali processi evolutivi, programmare con serietà e competenza gli interventi adeguati.
    Realizzata così, la pastorale giovanile possiede una intensa carica di coinvolgimento. Diventa aggressiva e inquietante. Crea una gerarchia di preoccupazioni e di esigenze, diversa da quella tradizionale. Molti problemi religiosi passano in secondo piano, per fare spazio ad altri, vissuti come più urgenti. La risonanza politica attraversa anche i gesti ritenuti abitualmente più "sacri" (eucaristia, salvezza, Parola di Dio...).
    Affiora la consapevolezza che fare bene educazione é già in ultima analisi fare educazione alla fede.

    L'EDUCABILITÀ DELLA FEDE NELLA LOGICA SACRAMENTALE

    Il confronto tra educazione e educazione alla fede pone problemi concreti. Chi fa pastorale giovanile si misura quotidianamente con essi e ne cerca, per la risonanza operativa della pastorale, soluzioni urgenti.
    In che direzione?
    Dal pluralismo non si può evadere. Possiamo solo elaborarlo, cercando motivazioni capaci di orientare la ricerca. Abbiamo spesso messo al centro del nostro progetto di pastorale giovanile il criterio teologico dell'Incarnazione. Da questa prospettiva possiamo affrontare con competenza il problema.

    Ripartiamo da una importante distinzione

    La ricomprensione della Rivelazione alla luce dell'Incarnazione porta a distinguere tra il suo contenuto (il mistero ineffabile di Dio in Gesù Cristo) e il segno storico in cui esso si incarna (le diverse "parole" umane che hanno la funzione di esprimere questo mistero: prima fra tutte l'umanità di Gesù di Nazareth e, in lui, la nostra umanità). Possiamo ancora distinguere, sul piano del processo salvifico, tra l'appello ad una decisione personale, libera e totalizzante (che investe il dialogo diretto e immediato tra Dio e ogni uomo e tocca quelle profondità dell'esistenza umana che sfuggono ad ogni processo educativo) e le modalità concrete in cui si realizza il gioco tra l'appello di Dio e la risposta dell'uomo (modalità che sono sempre di natura educativa e che, di conseguenza, sono oggetto delle scienze dell'educazione).
    Queste distinzioni sono importanti, perché dal loro esito scaturisce la risposta al problema del rapporto tra educazione e educazione alla fede.
    Nel primo dei quattro modelli studiati prevale la logica della dipendenza: dalla comprensione teologica del contenuto vengono derivate le regole della sua comunicazione e definite le strutture di mediazione. In qualche modo, il "mistero" travolge il "visibile" che lo veicola, per la fiducia incondizionata deposta nell'efficacia intrinseca dell'evento.
    Nel modello dialettico (il secondo, tra quelli studiati) prevale la distinzione: la separazione degli ambiti risolve il difficile problema dei rapporti. L'ambito educativo possiede una sua pregnanza autonoma; ma esso é considerato radicalmente inadeguato ad esprimere l'ineffabile e inadatto a far avvicinare all'inaccessibile.
    Il terzo modello introduce invece la categoria della sacramentalità, come schema cristologico di riconciliazione tra visibile e mistero. Si riconosce di poter giungere al "contenuto" solo passando attraverso il "segno": il dialogo immediato e diretto di Dio che chiama alla salvezza é normalmente servito e condizionato dalle mediazioni pastorali in cui questo dialogo si esprime. Segno e mediazioni portano al contenuto e all'immediatezza in quel loro spessore umano che .è oggetto della ricerca antropologica e degli interventi educativi.
    Se la Rivelazione assume la vita quotidiana e i suoi dinamismi come suo strumento espressivo, il rapporto tra educazione e fede risulta molto stretto. Possiamo riconoscere una profonda, rispettosa attenzione al fatto educativo, fino ad affermare la possibilità di una educazione indiretta della fede.

    Dove e come si realizza l'educazione alla fede

    Il discorso é importante e impegnativo. Va concretizzato e precisato. Lo faccio indicando, con tre affermazioni complementari, una ipotesi di rapporto tra educazione e educazione alla fede. Riprende le logiche di fondo del terzo modello, le motiva in termini accurati e le porta verso la soglia della prassi concreta.
    Nella ricerca mi sono collocato in un'ottica di pastorale giovanile. Mi chiedo cioè quale rapporto vada assicurato con l'educazione nei processi relativi all'educazione alla fede. Per questo viene spontaneo riformulare tutto il problema in un interrogativo di sintesi: possiamo parlare veramente di "educabilità" della fede?
    La domanda va veramente al cuore del rapporto tra educazione e educazione alla fede. Educabilità vuol dire possibilità di intervenire attraverso processi di educazione. In che senso e in che ambito possiamo intervenire sulla maturazione della fede?

    Non c'è educazione "diretta" della fede

    Prima di tutto é indispensabile affermare che non si dà educazione diretta e immediata della fede.
    La fede si sviluppa sul piano misterioso del dialogo tra Dio e ogni uomo. Questo spazio di vita sfugge ad ogni tentativo di intervento dell'uomo. In esso va riconosciuta la priorità dell'iniziativa di Dio.
    La risposta dell'uomo consiste nell'obbedienza accogliente: la fede è un dono, in senso totale; proviene quindi dall'udire e non dal riflettere, é accoglienza e non elaborazione.

    L'educazione alla fede è indiretta

    Questa immediatezza e radicalità viene servita, sostenuta, condizionata dagli interventi umani che hanno la funzione di attivare il dialogo salvifico e di predisporre l'accoglienza.
    Questi interventi, formalmente educativi, si pongono dalla parte del "segno". Sono orientati a rendere il segno sempre più significativo rispetto alle attese del soggetto e spingono a verificare le attese personali per sintonizzarle con l'offerta della fede e della salvezza.
    Questo è l'ambito preciso della educabilità della fede. Essa si colloca quindi sul piano delle modalità concrete e quotidiane in cui si sviluppa il dialogo salvifico. Il processo di salvezza comporta infatti un doppio movimento. Da una parte esso é l'appello di Dio ad una decisione personale, libera e responsabile. Questo appello tocca quelle profondità dell'esistenza personale che sfuggono ad ogni intervento educativo, perchè chiama in causa direttamente la libertà di Dio e la libertà dell'uomo. Dall'altra, però, questo stesso appello si esprime in modi umani: si fa parola d'uomo per risuonare come parola comprensibile ad ogni uomo, e cerca una risposta personale, espressa sempre in parole e gesti dell'esistenza concreta e storica. Le modalità educative e comunicative che incarnano l'appello sono oggetto di tutte quelle preoccupazioni antropologiche, che sono comuni ad ogni relazione umana.
    Gli interventi educativi hanno quindi una funzione molto importante nella educazione della fede. Senza di essi non si realizza, in situazione, il processo di salvezza.

    La potenza di Dio investe anche gli interventi educativi

    Per evitare pericolosi fraintendimenti, non possiamo mettere da una parte il dialogo diretto tra Dio e l'uomo e dall'altra i dinamismi antropologici in cui si svolge. Non possiamo immaginare il processo di salvezza e di crescita nella fede nella logica della "divisione del lavoro": ciascuno produce il suo pezzo e poi dall'insieme nasce il prodotto finito.
    I due momenti (quello misterioso e indecidibile in cui si esprime l'appello di Dio alla libertà dell'uomo e quello delle mediazioni educative) sono espressioni totali della stessa realtà.
    Lo stesso gesto nella salvezza può essere contemporaneamente compreso come tutto nel mistero di Dio e tutto frutto di interventi educativi.
    Certo, le due modalità non sono sullo stesso piano né possono essere considerate "alla pari".
    Bisogna riconoscere, in una fede confessante, la priorità dell'intervento divino anche nell'ambito educativo, più direttamente manipolabile dall'uomo e dalla sua cultura.
    La fede dunque riconosce la grandezza dell'educazione: il fatto cioé che liberando la capacità dell'uomo e rendono trasparenti i segni della salvezza, libera e sostiene la sua capacità di risposta responsabile e matura a Dio. Ma la fede riconosce che anche l'educazione rimane, come tutti i fatti umani, sotto il segno del peccato. La fede dunque deve esprimere un giudizio sull'educazione dell'uomo in genere e, in particolare, sul modello educativo umano che può essere utilizzato nel proporre la fede alle nuove generazioni.
    Questo, in fondo, non é attentato al dovere di rispettare l'autonomia dei fatti umani.
    Significa invece che l'approccio educativo e comunicativo é giudicato dall'evento al cui servizio si pone.
    Nel nostro caso comporta la costatazione che questo approccio, anche se é legato ad esigenze tecniche, avviene sempre nel mistero di una potenza di salvezza che tutto avvolge: la grazia salvifica possiede una sua rilevanza educativa, certa e intensa anche se non é misurabile attraverso gli approcci delle scienze dell'educazione.

    LA PASTORALE GIOVANILE ALLA SCUOLA DELL'EDUCAZIONE

    Chi ricomprende lo sviluppo della Rivelazione alla luce dell'Incarnazione, conclude sulla necessità di far dialogare educazione e educazione alla fede, almeno fino ad un certo punto. Il confine non é di quantità ma di qualità. Infatti non c'è un primo tratto di strada percorribile in compagnia con i dinamismi antropologici, e un secondo tratto dove tutto resta affidato all'imponderabile presenza dello Spirito. Potenza di Dio e competenza umana sono invece compagni di viaggio dalla partenza all'arrivo, anche se sono interlocutori diversi, a cui va riconosciuto uno spazio operativo molto differente.
    Questa è una conclusione importante. Sollecita e sostiene un preciso modello di pastorale giovanile, impegnato a dialogare con le scienze dell'educazione con rispetto e disponibilità. Sul piano operativo però molti problemi restano ancora insoluti. Misurati con la prassi concreta e quotidiana, viene spontaneo chiedersi cosa possa significare questa consapevolezza e fino a che punto possa essere trascinato il rapporto.
    La risposta non é facile. Soprattutto non può essere affermata con il tono perentorio di chi immagina la propria come l'unica prospettiva corretta.
    Qualcosa però si può aggiungere rispetto alle indicazioni di massima suggerite nelle pagine precedenti. Nella chiesa italiana operatori e comunità ecclesiali stanno impegnandosi, con rinnovata passione, in una pastorale giovanile particolarmente attenta alla insorgente "domanda di educazione", e molto rispettosa dei dinamismi e dei processi tipici dell'atto edcativo. Essi mostrano, con i fatti del loro quotidiano vissuto, i notevoli guadagni di una pastorale giovanile ripensata alla scuola dell'educazione.
    Dando voce a questo vissuto, suggerisco alcune prospettive operative. Dall'insieme nasce un modello nuovo di pastorale giovanile: coerente con le intuizioni più mature presenti nei modelli studiati sopra, e capace di collocarsi nel centro di quella "incomparabile tradizione educativa della chiesa" che ha sollecitato "sacerdoti, laici, uomini e donne, istituzioni religiose e movimenti ecclesiali" a dare "nel servizio educativo" "espressione al carisma loro proprio di prolungare l'educazione divina che ha il suo culmine in Gesù Cristo" (Juvenum patris 7).

    Educazione é il nome concreto della "promozione umana" in campo di pastorale giovanile

    Sappiamo di vivere in una situazione di crisi drammatica e complessa: l'uomo è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche, culturali che lo condizionano e spesso lo soffocano. La stessa esperienza cristiana e la vita ecclesiale sembra minacciata a differenti livelli.
    Le ragioni della crisi sono molte. E richiedono interventi molteplici e articolati.
    Possiamo però restare prigionieri della coscienza della complessità: ci fa scoprire la trama intricata delle tante cose che andrebbero fatte o ci porta a ricercare i sentieri difficili delle priorità operative, ma non ci aiuta a passare finalmente a fatti e gesti.
    E' necessario, al contrario, scegliere un campo d'azione e giocare in esso tutte le risorse.
    Nei processi di maturazione personale e collettiva e nell'ambito della stessa educazione alla fede, possiamo scommettere sull'educazione. L'educazione è uno dei tanti possibili ambiti d'intervento. Lo privilegiamo perchè scommettiamo sulla sua incidenza e sulla sua capacità di ritrovare la globalità dal frammento.
    In questa logica, la comunità ecclesiale, nel nome del suo Signore, riconosce la portata "salvifica" dell'educazione, la sua capacità di rigenerare veramente l'uomo e la società.
    Impegnata al servizio della causa di Dio nella causa dell'uomo, fa dell'educazione la sua passione, lo stile della sua presenza, lo strumento privilegiato della sua azione promozionale.
    Attorno all'educazione organizza le sue risorse. Nel nome dell'educazione chiede ai singoli uomini e alle istituzioni pubbliche un impegno di promozione dell'uomo e di trasformazione politica e culturale.
    Scegliendo di giocare la sua speranza nella educazione, sente di essere fedele al suo Signore. Con lui crede alla efficacia dei mezzi poveri per la rigenerazione personale e collettiva e crede all'uomo come principio di rigenerazione: restituito alla gioia di vivere e al coraggio di sperare, riconciliato con se stesso, con gli altri e con Dio, può costruire nel tempo il Regno della definitività.

    Restituire vita e felicità per annunciare Gesù

    Molti giovani hanno l'impressione di trovarsi trascinati in un'alternativa drammatica e mortifera: rinunciare ad essere giovani di questo tempo per consolidare la loro esperienza religiosa o rinunciare alla dimensione religiosa dell'esistenza, per restare gente di questo tempo.
    Ci chiediamo: cosa fare per restituire all'uomo vita e responsabilità, speranza e capacità di guardare verso il futuro? Come possiamo riconsegnare all'evangelo la sua imprevedibilità salvifica e la sua risonanza ecclesiale, caricandolo ancora della sua forza di seduzione anche per i giovani d'oggi?
    Chi crede all'educazione sa che solo all'uomo restituito alla coscienza della sua dignità e alla passione per la sua vita, possiamo annunciare il Signore Gesù, come la risorsa risolutiva del suo desiderio di felicità e di vita, da invocare e incontrare nella verità e nella profondità della sua esistenza umana.
    L'uomo, spossessato della sua responsabilità, piegato sotto il peso della disperazione o distrutto nell'oppressione, non può trovare nel Signore Gesù un principio di rassegnazione. Chi lo fa, tradisce la profezia dell'evangelo e pone il Dio della vita come concorrente spietato e geloso alla fame di vita.
    Nel nome della vita e nella prospettiva dell'educazione la pastorale giovanile può decidere così di giocare tutte le sue risorse nell'impegno, urgente e affascinante, di restituire ad ogni giovane la gioia di vivere, la capacità di sperare e la libertà di riconoscersi protagonista della propria storia, ricomprendendo, in termini rinnovati, il suo compito costitutivo di costruire vita e assicurare salvezza, nella potenza del Dio di Gesù Cristo.
    La fede é una risposta personale, libera e responsabile, pronunciata all'interno di un progetto dotato di una sua consistenza normativa e segnato da una precisa dimensione comunitaria. Per educare a questa decisione si richiede nello stesso tempo l'educazione alla libertà e responsabilità e la disponibilità alla solidarietà ecclesiale e alla accoglienza di progetti già dati. La libertà riconquista alla verità personale il dono in cui siamo collocati, che giudica e misura questa stessa libertà.
    La decisione di fede diventa perciò tanto più libera, responsabile, matura e autentica, quanto più la persona attua in sé un processo di libertà, responsabilità, solidarietà, crescita in umanità.

    L'educativo anche nei momenti dell'esperienza cristiana

    Sappiamo che la funzione della pastorale non può essere ristretta ai processi di educazione. Senza l'annuncio di Gesù Cristo e senza la celebrazione del suo incontro personale, l'uomo resta chiuso e intristito nella sua disperazione. Per restituirgli veramente felicità e speranza, siamo invitati ad assicurare l'incontro con il Signore Gesù, la ragione decisiva della nostra vita.
    Al centro quindi delle nostre attenzioni poniamo, di conseguenza, l'evangelizzazione e il suo primato.
    L'evangelo è sempre una proposta. Non possiamo immaginare che la decisione per Gesù Cristo sia la conclusione di un buon processo di educazione. Gesù va annunciato coraggiosamente. La vita nuova del cristiano va celebrata nei sacramenti. Le scelte concrete dell'esistenza vanno elaborate, ascoltando la parola normativa della fede. Ma anche da quest'ottica ritorna con prepotenza l'esigenza dell'educativo e l'assunzione rispettosa del suo spessore. L'evangelo viene annunciato in tutta la sua radicalità e forza interpellante, perchè offrirlo per la vita non significa di certo deprivarlo della sua verità. L'annuncio mette però l'uomo al centro, lo vuole protagonista anche quando gli sollecita l'obbedienza accogliente di un dono. Le esigenze della gradualità, della progressività, il rispetto della soggettività anche nella sua elaborazione, rappresentano i criteri obbligati su cui misurare il servizio pastorale.

    Educatori della fede, consapevoli del "mistero"

    Parlare dell'educazione alla fede comporta il tentativo di dire qualcosa di sensato su un oggetto che non può essere compreso e manipolato in modo esauriente attraverso il solo approccio della scienza e della sapienza dell'uomo.
    Ci troviamo di fronte ad un mistero santo: qualcosa che sta oltre la nostra capacità di decifrazione (= é "mistero") e che richiede di conseguenza l'atteggiamento del rispetto disponibile, dell'accoglienza incondizionata, del riconoscimento di una alterità radicale (= è mistero "santo").
    Questo mistero santo é Dio e l'uomo: l'uomo nel progetto di Dio.
    Per parlarne sensatamente dobbiamo accedere, con passo incerto, all'insondabile mistero di Dio e dell'uomo. Collochiamo quindi, davanti alla nostra ricerca, un oggetto i cui contorni definitivi ci sfuggono sempre. Sappiamo di avere il diritto e il dovere inalienabile di pronunciare parole su questo mistero santo. Sappiamo però che le nostre parole lo sfiorano appena.
    Riconosciamo il nostro limite, confine invalicabile della scienza e sapienza dell'uomo, dimensione qualificante di ogni nostra ricerca.
    Riconosciamo però di doverci esprimere: scegliere, decidere, progettare. Di fronte al mistero santo di Dio e dell'uomo non possiamo cercare la rassicurazione e il conforto del silenzio. E' un mistero da accogliere e da servire, rischiando con coraggio e fierezza.
    L'educazione é la parola, timida e sofferta, di chi sa di non potersi rifugira e nell'oasi tersa della neutralità.
    Pensare al mistero santo di Dio e dell'uomo comporta inoltre un modo originale di cercare. Spinge a sedere a mensa con tutti, nel comune confronto e nella condivisione piena e totale.
    La ricerca avviene però dentro una esperienza, offerta per dono, che illumina tutto, come un taglio improvviso di luce abbagliante. I cristiani chiamano questa esperienza con una parola di gergo: la fede. Nella fede, chi cerca da credente lo fa all'interno di orientamenti che guidano la sua fatica, la rassicurano e la sostengono.
    Per questo, siede a mensa con tutti nella comune ricerca, con una responsabilità maggiore, per servire e sostenere la fatica di tutti verso la verità.

    (Voce in: Dizionario di pastorale giovanile, Elledici 1989)


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