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    Educare i giovani

    alla fede, oggi

    Domenico Sigalini

     


    L’orizzonte culturale dei giovani ci provoca come di fronte al “roveto ardente”

    L’icona ardita dei giovani come roveto ardente è di Mons. Ablondi, che, con la sua amabilità, arguzia e grande apertura di cuore nei confronti dei giovani, li ha definiti così: ”Per dire quanto sia delicato e rispettoso questo incontro (tra giovani e vescovi), vorrei ricordare l’esempio del giovane Mosè. Questi nell’avvicinarsi al Roveto ardente, attraverso cui lo raggiungeva la voce di Dio, per rispetto del mistero è invitato a scalzarsi. Come per Mosè, mi pare che il giovane sia un roveto ardente attraverso il quale spesso è Dio che ci parla. Dobbiamo rispettare questo mistero intenso non come un buco nero, ma come un punto abbagliante che nella sua luce ci avvolge senza perciò permetterci di coglierne tutti i profondi lineamenti.””[1] 

    Quali sono gli elementi di questo “mistero”, le novità che ci annunciano, le nuove risorse che immettono nella nostra vita umana e di credenti? Sono le loro ambivalenze. I loro modi di vivere che hanno sempre due esiti possibili, ambedue verificabili, ma non ambedue giusti. Proviamo a passarne in rassegna alcune.

    • I giovani vivono una nuova concentrazione su di sé come soggetto

    Per chi non ha fiducia nei giovani questo porta a un egoismo neoborghese alieno da qualsiasi interesse sociale, come tanti sondaggi dicono e paventano, per un educatore invece questa soggettività apre la giovinezza alla tanto agognata costruzione della propria singolarità personale di fronte a Dio, a Cristo e ai fratelli, e alla ricerca dello spazio della coscienza in un mondo che ti preferisce fatto in serie.

    • I giovani danno spazio più ampio ai sentimenti

    L’esito per molti osservatori impietosi del mondo giovanile è disgregazione della volontà operativa, rammollimento del carattere e incapacità di dare rigore logico alle  proprie scelte, è prevalere di personalità deboli, estinzione del coraggio come scelta di vita giovanile, invece può dare origine a una felice convergenza tra intelligenza della fede e coinvolgimento dei sentimenti per un figura equilibrata  di credente, che aiuta a superare intellettualismi o magie, fuochi di paglia o elucubrazioni sotto cui si nasconde una incapacità di vivere la fede come esistenza vera.

    • I giovani vivono e assolutizzano il presente

    L’esaltazione dell’attimo che fugge, la voglia di avere tutto e subito, la necessità di vivere tutti i momenti in diretta può portare a ripiegarsi sull'istante, che diventa oggetto di un goloso godimento oppure può sfociare in un sano superamento dell'incanto per le utopie e dell'idolatria del passato, può aiutare i giovani a tenere i piedi per terra pur sognando alla grande un futuro migliore.

    • I giovani hanno un innato istinto di stare assieme

    Certo, cercare continuamente un gruppo o il gruppo del quartiere può portare a omologazione, a derive assurde, demenziali e può provocare inettitudine a una iniziativa propria, ma non ci rendiamo conto di quanto può significare poter stare per ore assieme, godendo quel minimo di socializzazione che è negato a molti giovani, che aiuta a uscire dalla solitudine, fa assumere spirito comunitario, relativizza le proprie fantasie.

    • I giovani voglio essere felici subito e far festa

    Molti adulti guardano con sospetto la voglia di divertirsi come vacua euforia festaiola che consuma la sostanza del vivere quotidiano, che non aiuta ad affrontare la fatica, ad accettare l'ineluttabilità dell'elemento sacrificio nella vita di tutti. Ma voler essere felici con accanimento come i giovani lo vogliono essere subito, fa nascere e  sviluppa una visione della vita non  impostata solo sul dovere, sul precetto, sul lavoro, ma aperta a godere di Dio, della compagnia delle persone e delle cose.

    • I giovani sono refrattari alla politica

    E’ disimpegno perché prevale il particolare, ci si lascia ammaliare dai localismi, ci si riduce a rivendicazioni di proprietà o è necessaria spinta a una politica che sta morendo, incapace di rispondere in modo adeguato alle grandi sfide di oggi: troppo totalizzante e insieme inerme e passiva di fronte a evidenti contraddizioni e ingiustizie, più simile alla somma di tante solitudini che costruzione di comunità?

    • I giovani hanno più domande religiose degli adulti

    Sono domande che portano a un vago spiritualismo costruito su misura, come moda di fine secolo, come esasperazione della debolezza razionale delle nuove generazioni il cui punto finale è un nuovo paganesimo o è richiamo a una concezione della vita in cui la spiritualità, il trascendente, la collocazione corretta dell’uomo nel mondo è di fronte a un creatore non anonimo, in un rapporto personale e sconvolgente?

    • I giovani vivono sempre più in rete, ma sempre più soli in spazi che sono “non luoghi”

    Il rischio di restare senza identità, senza vere relazioni, senza appartenenza a una storia, su una piazza senza privacy, dove il pudore dei sentimenti è vietato è solo un versante della medaglia che offre dall’altra la possibilità di applicarsi a una umanizzazione dello spazio, a ricostruire comunità, perché la solitudine può diventare voglia e possibilità di prendersi in mano la vita, se gli adulti sapranno investire sui giovani come sul futuro dell’umanità. 

    E' propensione all'oscillazione, alla sospensione, alla volontà di tenersi aperte molte porte, a rendere cangiante il colore delle proprie posizioni, dato anche da un continuo rimando dell'assunzione di responsabilità per la propria vita.

    La fedeltà della Chiesa alla loro vita implica l'assunzione di questo fondo di ambiguità come spazio in cui prende carne il vangelo. Dire questo non significa dire acquiescenza o ancor meno, oggi più facile e comodo, non decidere o giocare anche come educatori nella stessa ambiguità, cogliere la sfida educativa, la possibilità grande di risolvere l’ambivalenza nell’esito positivo che  porta con sé.

    Dove vivono i giovani questa ambivalenza? Dove si scavano le loro piccole o grandi decisioni della vita?

    Gli spazi dell’ambivalenza

    Lo spazio dell’ambivalenza in prima battuta è definito non dalle istituzioni (famiglia, chiesa, scuola, società...), ma dagli intrecci della vita quotidiana di cui il giovane è soggetto. E’ uno spazio che si ritaglia contro tutto e contro tutti, lo spazio della notte, lo spazio del tempo libero, dello stare, delle cuffie, delle amicizie, della solitudine, dell’attesa indefinita, del silenzio, della ricerca, del girovagare, del rispondere alle convocazioni. In questi spazi si formulano domande, si insinuano sogni, si accendono vocazioni, si cerca il senso e lo si elabora. A partire da tutto questo il giovane in seguito tende l’orecchio e la vita anche nei luoghi istituzionali, se riescono a interpretarne le domande, se si collocano sulla stessa lunghezza d’onda, se sanno parlare il linguaggio della loro vita; soprattutto se sanno dare un nome all’indefinito che si è accumulato, alle paure o frustrazioni, agli slanci ideali e ai sogni. Questi spazi creano al giovane una sorta di piattaforma da cui è necessario partire per qualsiasi viaggio nella vita, per qualsiasi ricerca di risposte o aiuti o prospettive.

    Avviene allora che per la scelta del tipo di lavoro da cercare e del come affrontare tale nuova esperienza serve di più il gruppo degli amici che qualsiasi orientamento; per l’impostazione della propria vita affettiva si decide più in base al proprio giro di esperienze e di conoscenze  che a tutti gli interventi della famiglia;  la domanda religiosa nasce e vuol trovare risposte nei meandri della vita quotidiana più che nelle celebrazioni o attività parrocchiali; lo sport stesso per molti non è esercitato in maniera formale nella squadra con tanto di magliette e di mister, ma in campetti fuori mano, ai crocicchi delle strade. Non sono poche le automobili dei giovani che si portano nel baule un pallone per tirare quattro calci in qualche prato di periferia o su una curva di qualche strada fuori mano. Lo stare di molti adolescenti sul muretto è come andare a scuola. Il gruppetto degli scooter insegna o distrugge il codice stradale più di tanti corsi di educazione civica fatti a scuola. E’ il solito discorso della scuola della strada e della vita, che però oggi è molto più decisivo sia per la debolezza dei luoghi istituzionali che dovrebbero educare il mondo giovanile, sia per le nuove esigenze soggettivizzate dei giovani, sia per la sfiducia nei confronti degli adulti. Dice D. Coupland: “ Dai ai genitori la minima confidenza e vedrai che la useranno come cric per aprirti a forza e riaggiustarti la vita senza la minima prospettiva”.

    E’ in atto una forte destrutturazione dei luoghi di vita dei giovani, ma soprattutto questi luoghi vengono caricati di domande che, per noi adulti, debbono essere fatte altrove. La stessa università, il rapporto con i docenti è caricato di domanda di relazione ancora prima che di competenza scientifica. La stessa famiglia, secondo alcune recenti ricerche, non può più essere la prima responsabile del modo di crescere dei figli (cfr. Harris).

    Questi luoghi non sono necessariamente fisici o geografici, possono essere anche metaforici, come i fumetti e mass media. E sono gli stessi luoghi metaforici che spesso creano i luoghi fisici: la musica crea la discoteca e il concerto; il fumetto crea la compagnia; il giornale crea il circolo culturale e viceversa, Internet crea news group che si danno appuntamento via Internet in luoghi fisici per vedersi e uscire dalle proprie solitudini, la radio crea riconoscimento tra gli amici. 

    Dagli spazi informali alle istituzioni

    • La prima conseguenza è che i luoghi di ritrovo dei giovani sono sfidati a diventare i nuovi spazi educativi. Si costruiscono i loro ideali, maturano le loro scelte, rispondono alle loro domande anche profonde (cfr. l’esperienza religiosa) non più solo e soprattutto nei luoghi appositamente inventati dalla società per la loro educazione e formazione, ma negli spazi che essi si procurano con spontaneità, possibilmente lontani dagli occhi degli adulti e di qualsiasi organizzazione
    • Riesce a dialogare col giovane solo chi sa condividere gratuitamente questo suo mondo, chi non perde la sua identità per accalappiare, ma chi la sa riscrivere sulla sua onda, entro le loro espressività e ricerche.
    • Sembra che oggi le istituzioni riescano meglio ad offrire ciò che necessariamente deve essere messo a disposizione dei giovani se sanno collegarsi agli spazi dell’ambivalenza. In questa affermazione ci sta sia la necessità di un intervento educativo non formale, sia la consapevolezza che ogni discorso che si fa per intercettare i giovani sulle strade della vita quotidiana non può fare a meno di una struttura istituzionale alle spalle che da una parte prepara e sostiene l’azione nuova educativa, e dall’altra offre ai giovani percorsi di qualificazione vocazionale.

    Entro questi spazi occorre oggi che la comunità cristiana lanci un ponte educativo.

    Dire ponte educativo significa veramente fare mediazione, offrire un tessuto di relazioni che è immerso negli spazi dell’ambivalenza che spesso la risolvono solo nell’esito negativo, e nello stesso tempo essendo nutrito di mete alte sa orientare verso una esperienza di fede esplicita.

    E’ la classica mediazione tra la strada e la chiesa, che non perpetua la povertà della strada, ma nello stesso tempo non è un prolungamento della sacrestia.

    Molte nostre iniziative non si liberano da questi due estremi: 

    La povertà della strada:

    • E’ la incapacità ad offrire acqua pura per la sete che i giovani esprimono, adattarsi, imitare, chiedere e spendere per avere audience, senza proporre vita, perdere di mira l’obiettivo, farsi irretire dalle preoccupazioni organizzative... Rispondere anziché scommettere
    • E’ non rinnovarsi di vangelo, nascondersi dietro un dito, essere fotocopia anziché risonanza originale, esasperare l’analisi del vissuto, senza avere il coraggio di proporre.
    • E’ fare comunità cristiana con i criteri della organizzazione, dell’assolutizzazione, dell’isolamento, della mancanza di ispirazione, della tecnica e non della educazione
    • E’ contrapporsi, separare la fede dalla vita, preparare leaders senza ispirazione, dimenticare l’obiettivo e perdersi sempre nelle introduzioni o nelle analisi del vissuto

    Il prolungamento della sacrestia

    • E’ non tener conto della vita quotidiana e lasciarla fuori,
    • assumere il criterio dei pochi ma buoni, perché si è deciso che la santità è solo per qualcuno,
    • offrire come unico spazio di interesse per i giovani l’aula dell’assemblea liturgica o del catechismo o del gruppo.
    • Ritenere l’interessamento per i giovani solo strumentale alla nostra organizzazione o ecclesiale o alla nostra associazione o movimento,
    • pensare che l’educazione sia solo strumentale e non  parte integrante del cammino di fede (“concepire l’educazione come dimensione interagente nella nascita e sviluppo della fede, vuol dire valorizzare al massimo le mediazioni educative, non soltanto come facilitazioni metodologiche esterne, ma come elementi integranti l’esperienza della fede stessa: il rapporto educativo, la comunità, i processi di crescita, la qualità della proposta pedagogica...” dice J. Vecchi)
    • E’ chiudersi nei nostri che vediamo sempre, ridurre la pastorale giovanile a preparare animatori, fare vita di gruppo, a proporre modelli idraulici di educazione

    Il compito di una comunità cristiana è di

    1. Riformulare con intensità e originalità il suo radicamento e la sua scelta del Signore Gesù.

    Ogni giovane è spesso vittima di incantesimi e sottili adescamenti di modelli e idoli. E’ necessario che si stagli netta, precisa, affascinante, provocatoria una figura potente che vi sconvolge, vi prende, vi sorprende per la sua assoluta novità e meraviglia, per il suo non essere dato per scontato, per la novità assoluta che presenta e che è. Un incontro così preciso e coinvolgente non può non offrire unità all’esistenza, compagnia alla solitudine, radicalità e qualità alla vita. Chi se non Gesù Cristo potrebbe occupare questo campo nella vita del giovane? Non confondiamo questo radicamento con le raccomandazioni di comportamento corretto che sa più di galateo che di scelta radicale di vita. Forse anche noi ci lasciamo incantare da qualche meraviglia miracolistica della serie “Misteri o X files o da qualche una visione ideologica stretta e sicura.

    Se ti metti di fronte a Cristo in maniera coinvolgente riesci a chiarire a te stesso quella serie di domande indefinite che ti aiutano a dare senso alla vita e che ti tengono spesso in uno stato di incertezza e di indecisione. Da qui il giovane sentirà l’esigenza di ricostruire una gerarchia di valori che parte dalla vita stessa di Gesù e dal volto nuovo di Dio che egli esprime.

    Il compito di una comunità cristiana allora non è di supplire con norme alla mancanza di cultura condivisa o di valori condivisi, ma di pensarsi e proporsi come comunità che facendo la scelta di Gesù, eccede la società e le sue norme. I giovani devono poter contare su qualcuno che fa capire la differenza tra una scelta di vita basata sulla fede e un semplice insieme di norme di condotta finalizzate allo star bene.

    All’interno della coscienza di ciascuno ci vuole una continua mistica dell’incontro con Gesù e all’interno del movimento ci vuole allora sempre un laboratorio che con creatività sa riesprimere per la cultura e la vita dei giovani d’oggi la bellezza della figura di Gesù.

    Non facciamo un buon servizio ai giovani se non sappiamo farli incontrare con il centro della nostra vita

    2. Aprirsi sui nuovi areopaghi del mondo giovanile

    il fatto

    Spesso la comunità cristiana ha relegato il vangelo a recinti sacri, a luoghi sicuri, a condizioni talora impossibili. Senza accorgerci lo abbiamo fatto diventare un premio per i buoni piuttosto che una speranza per tutti, una offerta a chi lo merita piuttosto che un dono gratuito, una consolazione per chi ne sa parlare, piuttosto che una luce per chi cerca senza saperlo. Abbiamo così scambiato l'obiettivo per criterio, abbiamo cioè offerto il vangelo solo a chi ci avrebbe offerto la garanzia di venire dalla nostra parte, entro i nostri schemi e non tra le braccia di un Padre.  A un gruppo di ragazzi del muretto, a giovani di una squadra di calcio, a ragazzi che vanno in discoteca, ad adolescenti che si cimentano in avventure impossibili, a giovani che fanno le ore piccole a mettere assieme una band musicale sembra uno spreco offrire il vangelo. Abbiamo già deciso noi che per loro il vangelo ha niente da dire, perché non riusciamo a immaginarne la forza dirompente, perché non viene collocato entro i nostri modelli culturali o comportamentali. Invece non è una ideologia, né una parola che si consuma, ma una vita che sconvolge.

    la necessità

    La teoria dell’animazione culturale, come abbiamo visto dal recente convegno tenuto a Roma all’inizio di dicembre, è ancora capace di interpretare il vissuto e i percorsi di crescita dei giovani; il gruppo invece, pur restando condizione necessaria per educare i giovani alla fede, non è più sufficiente. Il gruppo si è fatto eccessivamente selettivo per poter essere l’unico strumento formativo, si sono frantumate le pressioni di conformità, ha perso la sua pretesa di essere l’appartenenza assoluta e onnicomprensiva del giovane. Occorre allora tentare nuove strade. Il rischio è di buttare il bambino con l’acqua sporca, cioè di perdere la tensione formativa che si era acquisita e sostenuta con il gruppo e optare per l’improvvisazione o la massa, o l’occasione o la cultura anziché la fede, la socializzazione religiosa anziché l’educazione alla fede, l’informazione al posto della formazione, il presenzialismo invece della continuità. Si fa presto a scrollarsi di dosso un cammino serio, settimanale, ben compaginato in un itinerario, per una serie di incontri improvvisati sulla piazza o in discoteca che forse colpiscono, ma che sicuramente non sono capaci di sostenere una conversione. Comunque non è in causa massa o gruppo, ma conservazione o missione. Molti adolescenti e giovani infatti non riescono a passare dai nostri gruppi formativi e questo non perché non hanno domande religiose o voglia di rispondere generosamente, ma perché provengono da altre impostazioni di vita, hanno un altro modo di sentire, di vivere, di riflettere.

    Andare oltre il gruppo è anche un modo nuovo di fare cultura.

    La stessa società in cui viviamo tollera abbastanza bene che i giovani o i cristiani tout court si facciano le loro belle riunioni in gruppo, si diano le motivazioni spirituali che credono più opportune. Purché tutto resti nel modello bonsai: piccolo, carino, apprezzato, ma mai in grado di diventare una foresta, esperienza di popolo, di mondo giovanile, di comunità. Non ti è permesso di creare cultura diversa; in questo campo vige la legge del branco promossa spesso dai massmedia, dalla cultura dominante del sondaggio, dalle mode introdotte ad arte per orientare se fosse possibile anche le speranze degli uomini.

    Il discorso è complesso e difficile né si può addossare tutto al dilemma “gruppo sì o gruppo no”. Noi però vogliamo dimostrare che è possibile contribuire alla formazione delle giovani generazioni con nuovi strumenti, che il vangelo non può mai essere imbrigliato in nessun mezzo, che abbiamo tantissime energie nel nostro mondo giovanile che aspettano solo di essere stimolate a esplodere.

    gli spazi

    Deve essere spazio di nuova presenza educativa: il bar, la sala giochi, la festa, la gita-pellegrinaggio, la gita nella natura, il club degli scalatori, la compagnia delle varie feste della lumaca, della vongola, della birra, delle salsicce..., la squadra sportiva (calcio, arti marziali, pallavolo, body building...), la “golf” degli spostamenti in cerca di.... il coro giovanile, la compagnia teatrale, le cooperative di animazione, l’associazione che si dedica alla strada, la banda di adolescenti che si mobilita per il Grest, la compagnia che regge una radio o Tv locale, il pool di persone che tengono attiva una pagina Internet, la stanza di quelli che si trovano ad ascoltare musica, i duri e decisi delle comunità di recupero, il quartetto di registi che si interessano di riprese e di videocassette, gli obiettori in partenza, in servizio e in congedo, la band musicale rock e hard, la curva dello stadio, la redazione di un giornalino, la banda che fa attività da guiness dei primati (scalate, sfaticate a piedi, attraversate di stretti), il comitato di quartiere per le feste patronali, la confraternita, i filatelici, il terzetto di comici che gira per le feste di paese, il cast di un recital, il servizio d’ordine per il pellegrinaggio a San Rocco...

    Ho tentato sempre di evitare la parola gruppo, e ci sono quasi riuscito, proprio per far vedere quante aggregazioni diversificate vivono i giovani e in quante di esse consumano spesso tutta la loro vita. Alcune sono coesistenti, altre sono assolutizzanti almeno per qualche stagione. Non possono proprio essere luogo di crescita anche nella fede? spazio per una vita più umana, luoghi di confronto per giungere al Signore della vita?

    L’elenco va ampliato in base alle esperienze di ciascuno. Per questo su tali temi è importante creare collaborazione, segnalare, offrire materiali, dire la propria, mettere i puntini sulle i e inventare nuovi spazi. E’ un forum delle esperienze e della espressività del mondo giovanile.

    lo stile

    Non ci accontentiamo di leggere negli areopaghi alcune vaghe possibilità di intrattenimento, innocuo dal punto di vista morale, degli adolescenti o dei giovani, quasi che la catechesi sia qualcosa che esige strutture appropriate, modalità univoche e gli areopaghi siano solo strumentali all’indice di gradimento dei ragazzi verso la religione, il prete, la parrocchia o il catechista, ma vogliamo scrivere entro la vita di questi mondi vitali seriamente la bellezza di un cammino di crescita nella fede. Altrimenti abbandoniamo il lavoro e diciamo che possono fare catechesi solo le associazioni, i movimenti, e anche per loro solo per quei giovani che vengono nelle stanze della parrocchia, i figli fortunati di genitori cristiani che hanno momenti espliciti di riflessione sul vangelo e sulla fede in casa. Gli areopaghi nel caso diventano solo luoghi per accalappiare e vedere se possiamo dire il verbo “venite”. La sfida da cogliere è di provare che in questi spazi Dio ha distribuito doni e possibilità di far crescere la vita fino a proclamarla nel suo Signore.

    3. Il coraggio di aprire e inventare nuovi stili di oratorio

    Tra i ponti educativi più interessanti e che fanno parte della tradizione educativa della comunità cristiana, anche ad Ancona, c’è l’oratorio. E’ il luogo per eccellenza dove può crescere quel tessuto di relazioni di cui si diceva, a metà tra la strada e la chiesa. Importante è mantenerlo in questa prospettiva e non farlo “decadere” o da una parte o dall’altra.

    Gli oratori sono sempre stati grandi spazi in cui la vita quotidiana è apprezzata, in cui si può stare tra  amici a socializzare, offrirsi, sperimentare relazioni, vivere hobbies, far crescere amicizia, lasciarsi coinvolgere da progetti di generosità, tentare di impostare esperienze affettive... Un oratorio o è una piazza della vita quotidiana o non è più oratorio.

    Che cosa avviene oggi?

    Molti oratori non sono più nessun crocevia: sono per alcuni solo gli spazi di attesa per entrare nel gruppo o in associazione o per avviarsi al luogo di catechesi, mentre per altri sono i luoghi di qualche gara di calcio o per lo sviluppo del campionato. La cultura del tempo libero che oggi attrae i giovani, cfr la cultura della notte, non vi è minimamente interpretata. La notte dei giovani, con i pomeriggi, l’after hour e il rave party, deve essere solo interpretata e consumata dalle discoteche o può trovare una possibilità di essere interpretata e espressa in termini nuovi dagli oratori? Il modello apertura ad nutum del direttore, accoglienza fatta dal colore delle pareti, deposizione delle ossa in oratorio perché non si sa dove posarle, ... è proprio tutto quello che possiamo proporre come tentativo di intersecare la vita quotidiana dei giovani? il momento magico del loro esprimersi e scatenarsi? la loro estrema mobilità e il sentirsi cittadini del territorio e non solo della parrocchia o della diocesi? Occorre chiudere un occhio sulle devianze notturne, intese come sfogo stagionale? E’ onesto lasciar soli i genitori in balia delle proposte obbligate per il momento dello svago dei figli? E’ giusto aver deciso di non proporre alternative ai giovani che proprio nella cultura della notte si fanno quelle domande di senso che investono la vita?

    Queste e altre domande occorre con chiarezza proporci.

    L’oratorio come può essere di aiuto?

    Con due elementi fondamentali:

    1. Aprirli al territorio, negli orari dei giovani, come spazi di libero accesso, che intersecano le strade di ricerca dei giovani, quando ricercano le discoteche, i pub, i teatri, le proposte musicali e culturali. Il vecchio oratorio di paese o di quartiere, a ore, lascia molti preti, animatori, strumenti, spazi, qualità e energie inutilizzate per il fine settimana. Chi potrebbe pensare di passare il fine settimana in oratorio, se le uniche proposte sono quelle di un bar che assomiglia più a una piazza che a un ambiente accogliente in cui far crescere relazioni e amicizie?

    2. Pensare l’oratorio per progetti, non per muri o spazi o adempimenti da routine. I progetti devono essere in grado di interessare il mondo giovanile, di mettersi sulla loro lunghezza d’onda, sulla ricerca di comunicazione, di stare assieme, di gestire la propria corporeità, i propri gusti, la propria domanda di religiosità al di fuori degli schemi già preconfezionati. E’ una sorta di progetto “fine settimana” con suoi metodi, con suoi animatori, con suoi programmi, con una sua capacità di creare interessi, mediazioni, relazioni, spazi di incontro, momenti espressivi qualificati. E’ basato su ampie collaborazioni anche con le realtà pubbliche, è sicuramente interparrocchiale e interdiocesano. 

    Può darsi che a questo punto non si chiami più oratorio. Ricordo però che alcuni anni fa era questo luogo di grande crocevia un qualsiasi oratorio. Si può usare un altro nome, ma deve essere sempre quello spazio tra la strada e la chiesa che riteniamo importante per la vita dei giovani.

    Questo è rincorrere la moda? fare proselitismo? o è interesse a tutta la vita del giovane e creare le condizioni perché la vita si sviluppi e non sia irretita dai furbi, intercettare le domande e orientarle alla proposta vera di vita?

    4. Essere a tutti gli effetti cittadini del mondo

    La comunità cristiana deve trovare la forza e la determinazione di mettersi al servizio della cultura della vita per tutti i giovani, e non solo per chi frequenta, in termini gratuiti, senza condizioni. L’orizzonte non è solo l’Europa, ma il mondo intero. Il diritto all'educazione, a sentirsi proporre con passione ragioni di vita, è un diritto sacrosanto come il diritto alla vita, all'istruzione, al lavoro. Il movimento si spende per i giovani perché per tutti ci siano spazi di crescita in dignità e responsabilità. Per questo la comunità cristiana si deve aprire a tutte le possibili collaborazioni col territorio, a tutte le stimolazioni e i richiami necessari per rendere la società propositiva di valori per il mondo giovanile, fino a dare vita a una sorta di costituente educativa, per stabilire le basi di  una educazione diffusa.

    La costituente si presenta come luogo di autodefinizione di ruoli e come luogo permanente di elaborazione di attenzioni, di progettazione di proposte, di coinvolgimento di persone, di sensibilizzazione e preparazione di figure educative. E' diversa dalla parrocchia, ma anche dall'amministrazione civica. Non è un coordinamento di agenzie educative, ma far prevalere nella vita sociale la dimensione educativa, far esprimere quelle condizioni irrinunciabili che si devono realizzare ovunque nei confronti delle giovani generazioni. Si possono individuare diversi interattori che in base a una ridefinizione del loro ruolo siano in grado di assumersi responsabilità, siano aiutati e qualificati. Si può stabilire una base comune di principi cui tutti si tende da punti diversi e da competenze diverse. Non è quindi una semplice raccomandazione a ciascuno di essere testimone nel suo mondo, ma una progettualità basata sulla collaborazione e sulla coscienza di non essere autosufficienti nell’educare i giovani. Al di fuori di questo lavoro a rete è impossibile offrire alla maggioranza dei giovani esperienze educative vere.

    5. Da qui si snoda il passo necessario verso la pluralità di figure educative.

    Occorre superare l’idea che i giovani possano essere educati solo dalle persone che la società loro dedica entro le strutture educative. Superare una sorta di affitto che si è stabilito tra società e educatori professionali è il minimo che si possa pensare per una educazione diffusa. Questo significa almeno alcune cose:

    • cogliere che ogni luogo o spazio ha un suo leader, può contare su una persona che fa da perno; può essere il barista, il giornalaio, l’insegnante, l’allenatore, il regista, l’assessore alle politiche giovanili, il disc jockey, il proprietario della discoteca, l’assistente sociale. Ciascuno di questi svolge una funzione evidente di raccordo, si impone per il suo ruolo, ha possibilità di spendere la sua immagine in termini non forzati, naturali, addirittura attesi e richiesti
    • trovare per ciascuno una sorta di cammino preparatorio alla funzione educativa. E’ un cammino sicuramente non formale, anche se collocato entro spazi formali. Per esempio una serie di dialoghi con adulti, entro una scuola formativa per genitori; approfondimento di una visione positiva della vita entro discorsi di preparazione tecnica e specialistica; valorizzazione del ruolo allargandone lo spazio di azione. Così per esempio si possono aiutare dei genitori a esprimere attitudine educativa nel loro lavoro che ha a che fare con altri giovani, che non sono i loro figli, per i quali però si sentono sempre esonerati dall’offrire dialogo educativo; oppure si possono preparare allenatori ad essere globalmente educatori, mentre approfondiscono la conoscenza della tecnica dello sport in cui si specializzano e così via.
    • costruire un progetto educativo unitario, condiviso da tutti coloro che hanno a cuore la crescita dei giovani. L’educazione ha delle mete che non sono chiare per tutti; ha delle esigenze di unità che sono assolutamente necessarie per offrire la possibilità di una crescita armonica.
    • aiutare queste figure educative, anche se si può cominciare solo prendendoli a uno a uno, separatamente, a percepire il progetto unitario che ispira tutte le varie tipologie di presenza educativa. Meglio ancora sarebbe se ci si può incontrare a formulare assieme il progetto, facendo tesoro dei vari ambienti in cui vivono le varie figure educative. La consapevolezza di lavorare per la stessa causa con altri è molto stimolante per tutti, sia per una visione educativa di insieme, sia per  l’assunzione della propria responsabilità.
    • accompagnarli con una sorta di tutor della comunità che li aiuta a lavorare entro questo progetto unitario. E’ spesso il compito dell’animatore di una scuola o di un oratorio o di una associazione, che è abituato a dialogare con il territorio per l’accompagnamento personale dei ragazzi.

    6. Il legame e la comunione con la comunità cristiana.

    Il luogo della maturazione della missione è l'esperienza ecclesiale di comunione. La comunità cristiana è il soggetto della proposta cristiana e ne diventa anche lo spazio in cui si può esperimentare la salvezza, celebrarla, accoglierla e offrirla. La vita sacramentale resta sempre una esperienza decisiva per l'incontro con Cristo. La pastorale missionaria non ha bisogno di outsider. Ha bisogno di operatori che sicuramente "portano" i giovani alla Chiesa, ma nello stesso tempo aiutano la Chiesa intera ad andare ai giovani. Non deve capitare che una volta che si è scaldato il cuore ai giovani facendo incontrare la figura di Gesù, succeda che il luogo in cui è necessario che vi faccia esperienza perché Gesù si da a vedere nella comunità cristiana, sia inabitabile, non accogliente, anzi lo allontani. Sarebbe stato meglio che ne potesse sempre mantenere la nostalgia piuttosto che constatarne la negatività. Questo significa che la missione e quindi tutta l'attività, che noi definiamo per comodità, di accostamento di nuovi areopaghi, deve essere un progetto di tutta la comunità cristiana e che il giovane operatore viva una piena comunione con la comunità cristiana. Ogni comunità cristiana deve offrire la possibilità di una aggregazione giovanile formativa di base, legata al territorio, come una sorta di minimo indispensabile e segno che la Chiesa si cura dei giovani, ha volontà di spendersi, ne diventa casa abitabile. Le associazioni e movimenti però devono perdere i loro atteggiamenti di autosufficienza, anche se  possono sembrare meglio attrezzati. Anni di magra ce ne sono per tutti, aiutarsi oltre che esprimere comunione offre continuità e ci mette nel piano di Dio.

    7. La comunità cristiana  non dà risposte, ma sa scommettere

    I giovani hanno bisogno di gente che scommette anziché di gente che dà risposte. Ogni domanda apre una porta nella vita del giovane, le risposte trattano la porta aperta come se fosse un tombino e ci mettono la botola, spegnendo i desideri e tarpando le ali ai sogni. Scommettere significa che se tu mi domandi libertà, io non rispondo con il lucchetto, ma ti do libertà, solo che il modo con cui ti aiuto a conquistarla, quindi ad averla, sarà tale che quando tu la possederai otterrai qualcosa di più grande, che neanche immaginavi di poter ottenere, quando sei venuto a chiedermela. 

    Una semplice tabella di marcia per ridare alla comunità cristiana coraggio di educare i giovani alla fede.

    *  Portare a conoscenza e mettere a disposizione di tutti i giovani gli strumenti classici della educazione cristiana: gruppi, associazioni, luoghi di catechesi, case di spiritualità, organizzazioni di volontariato, luoghi di incontro, spazi per il gioco tenuti vivi da animatori e veri educatori, investimenti per la formazione di responsabili. Creare spazi in cui si torna ad ascoltare i giovani, a offrire loro la possibilità di essere attivi nella vita della comunità.

    * Qualificare sempre meglio proposte formative per ogni categoria di giovane, osando andare oltre le strutture della parrocchia, tentando esperienze forti di annuncio e di coinvolgimento, di servizio gratuito al mondo giovanile e di proposta impegnativa. Gli itinerari diversificati sono ormai una necessità che obbliga alla collaborazione tra parrocchie diverse.

    * Fare un censimento di tutte le figure educative appartenenti alla comunità cristiana, delle aggregazioni o associazioni nuove e di antica costituzione sorte per spendersi per i giovani, degli spazi disponibili e in genere lasciati al degrado socio-ambientale, delle possibilità che ogni comunità possiede sia in persone che in sostanze per stimolare tutti a investire per i giovani, come impegno per lo sviluppo sociale. I giovani sono una risorsa non un problema. Non è più possibile ridurre gli interventi educativi alle riunioni di gruppo e quindi avere come educatori dei giovani solo gli animatori di gruppo. Occorre fare la proposta a molte più persone e aiutarle a offrire la loro passione educativa nelle forme più varie.

    * Inventare "tavoli" attorno a cui far convergere e sperimentare collaborazioni con tutti coloro che si vogliono impegnare per il futuro dei giovani, abilitando le famiglie a fare la loro parte e sostenendole nel compito del dialogo educativo.

    * Offrire un sistema formativo e quindi concretizzarlo in alcuni corsi di formazione capaci di preparare e sostenere le varie figure educative, nuove e tradizionali.

    * Tentare esperienze nuove di aggregazione e di comunicazione o rinnovare quelle che hanno un rilancio: la musica (cfr.  la rassegna nazionale in occasione del pellegrinaggio dei giovani a Loreto), il gruppo informale, la confraternita, il pellegrinaggio, la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù , l'animazione della strada....

    * La missionarietà ad gentes è il segno di una Chiesa giovanile viva. Favorire la visita a paesi del terzo mondo studiando collegamenti con i missionari o con i preti fidei donum o con organizzazioni di volontariato...

    * Attrezzarsi in maniera che in parrocchia o nella zona pastorale ci siano settimane di attenzione ai preadolescenti o adolescenti nei mesi estivi (cfr. Grest, oratorio feriale, settimane di campo mobile, oratorio estivo...), per riportare al centro dell'attenzione la scelta educativa della comunità cristiana

    * Costituire  un gruppo di giovani adulti o di genitori che diventino il primo nucleo di una corresponsabilità col presbitero per la pastorale giovanile.

    * Mettere a disposizione dei giovani un minimo di biblioteca di materiali (testi, video, enciclopedie, CD Rom...) per l'educazione alla fede, l'attività didattica, l'attività ludica, la formazione alla mondialità, ma soprattutto per far conoscere la figura di Gesù.

     

    Bibliografia

    Due ricerche a confronto:

    * Giancarlo Milanesi, Oggi credono così. Indagine multidisciplinare sulla domanda religiosa dei giovani italiani, LDC, Torino 1981

    * Midali, Tonelli, Pollo L’esperienza religiosa dei giovani 1. L’ipotesi, 2/1 I dati, adolescenti; 2/2 I dati, giovani; 2/3 Approfondimenti; 3 Proposte per la progettazione pastorale, LDC Torino 1995

    Andreoli V., Giovani, Rizzoli, Milano 1995.

    Molari C., La vita del credente, LDC Torino, 1996

    Michele Rostan, I giovani e la religione in Quarto rapporto IARD sulla condizione giovanile italiana, Milano 1996

    Donati- Colozzi, Giovani e generazioni, il Mulino, Bologna 1997

    Douglas Coupland, Generazione X, Oscar Mondadori, Milano 1996

    D. Coupland, La vita dopo Dio, Marco Tropea Editore, Milano 1996

    Douglas Coupland, Generazione shampoo, ed. Corbaccio, Milano 1994

    Calvisi A., Intervista a Dylan Dog, Theoria, Roma 1996

    Brizzi E., Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Baldini e Castoldi, Milano 1995

    Steve Mizrach, Manifesto X, Theoria, Roma, 1996

    Nicola X, Infatti purtroppo, Ed. Theoria, Roma- Napoli, 1995

    Giuliano da Empoli, Un grande futuro dietro di noi, I grilli Marsilio,  Venezia 1996

    Stefano Pistolini, Gli sprecati, Feltrinelli, Milano, 1995

    Antonelli- De Luca, Discoinferno, Ed. Theoria, Roma-Napoli 1995

    Donadio- Giannotti,  Teddy boys rockettari e ciberpunk, Editori Riuniti, Roma 1996

    Bovone-Mora, La moda delle metropoli, Franco Angeli, Milano 1997                                               

    G. Culicchia, Tutti giù per terra, Garzanti, Milano1995                                                           



    [1] Tutti i testi delle relazioni della giornata sono a disposizione, pur nella loro provvisorietà, nel sito Internet del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile in www. chiesacattolica.it


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