Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     Proposta di

    vita «in abbondanza»

    Terza parte

    Giovanni Battista Bosco, Crescere come animatori della fede. Una spiritualità per educatori di ragazzi e adolescenti, Elledici 1994

     

    PARTE TERZA
    PROPOSTA DI VITA «IN ABBONDANZA»

    «Vita» è una parola magica, densa di significati. Vi sono termini diversi nelle varie lingue per esprimere quali siano le nostre attese, speranze e desideri. Non esiste però nessuna parola che riesca a dire in modo così pregnante ciò che viene agognato da ciascuno di noi come «vita», la somma dei beni sognati.
    Lo delinea a meraviglia una sequenza di Madre Teresa: «La vita è bellezza da ammirare, la vita è un sogno da realizzare, la vita è un gioco da giocare, la vita è un'avventura da sfidare..., la vita è vita, da salvare».
    Davvero stimolante è al riguardo l'annuncio di Gesù: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
    Al centro dell'esistenza umana come del messaggio evangelico si colloca allora la vita nella pienezza della sua verità.
    È quanto cercheremo di scandagliare insieme, alla ricerca di una spiritualità del quotidiano per il giovane credente d'oggi.
    Avviamo dunque la nostra riflessione sulla vita quotidiana, cercando di far emergere che essa è la reale trama della nostra esistenza, in cui consumiamo le energie migliori. Quindi ci addentreremo nel leggere la vita di ogni giorno, nella quale è data la possibilità di fare esperienza di Dio: è in essa che sperimentiamo il Dio vivente che si interessa di noi. Così giungiamo infine a riconoscere che il quotidiano è il luogo dell'incontro con Dio, il terreno in cui si attua la convergenza quotidiana fra l'iniziativa di Dio e la risposta dell'uomo per costruire il Regno del Signore.
    La spiritualità di don Bosco si inserisce nel tessuto quotidiano della vita, è spiritualità del quotidiano. Vediamo di approfondirne insieme il senso.

    1. IL QUOTIDIANO COME TRAMA ESSENZIALE DELLA VITA

    Nelle poche parentesi silenziose della vita odierna capita di domandarsi a bruciapelo se non sia ormai perduto l'uomo quotidiano.
    Il colore dell'indifferenza sembra fare da sottofondo al susseguirsi degli eventi anche più drammatici. Certe volte ci si sente spiazzati o delusi di fronte alle sorti dell'uomo d'oggi.
    La vita viene trascinata nella grande onda dei più, quasi fosse un fiume in piena, e la resistenza alle banalità ricorrenti e all'effervescenza delle forti emozioni pare scemare sempre di più. E il cuore subisce continui sussulti affaticanti.
    Il senso della gratuità sfuma imperterrito ad ogni angolo; una forma di oblio o sonnolenza pervade le vie della mente; la noncuranza consuma la vitalità della coscienza.
    Ogni cosa appare così perduta, se non si ricorre all'eroico o allo straordinario. Eppure questa non è la sola via di uscita.
    La vita quotidiana non è assimilabile al cimitero delle cose umane. Solo c'è bisogno di volerla affrontare e non subire. È indubbiamente una scelta che richiede coraggio, non necessariamente gesti eroici. La ricerca sommessa e modesta di una vita differente segna il primo passo del cammino, ma è determinante. Le potenzialità si sprigionano lungo la strada, verso la mèta che attende.

    1. La vita quotidiana è il luogo delle scelte

    Non è mai stato semplice crescere come uomini e donne. Da sempre si vivono le sofferenze delle tensioni interiori e delle difficoltà sociali per maturare in umanità. Con la gioia della crescita si mescolano le fatiche degli impulsi da controllare e dei condizionamenti da superare.
    La vita procede sempre, ma in quale direzione?
    Il cosiddetto quotidiano è il terreno della lotta: vittorie o sconfitte che siano, rimane un campo di battaglia. Ed è sul tessuto delle cose di tutti i giorni che si disegna la propria vita con le vicende tristi e i lieti accadimenti.
    Oggi si corrono rischi grossi nel vivere il quotidiano: le attrattive ci possono allucinare, la frenesia ci lascia nevrotici, le frustrazioni sociali ci soffocano, le inibizioni esistenziali ci mortificano, l'edonismo ci alletta...
    Al di dentro di una società che cresce, si avvertono assai più i messaggi trasgressivi per uscire dalla consuetudine quotidiana, o i valori proclamati che suonano come parole vuote e invitano alla delusione o allo sconforto.
    Eppure sappiamo che anche la vita quotidiana non può scorrere così: la speranza non è un termine insano, non tutti gli interrogativi esistenziali sono scansabili, il desiderio di qualità della vita si fa intenso, la convivenza umana vuol tendere alla convivialità, le aspirazioni oneste non sono futili sogni. Di tutto questo sono impastati i gesti di ogni giorno, i pensieri e i sentimenti, il quotidiano susseguirsi dei fatti ed eventi.
    Non ci è permesso di fuggire dalla quotidianità, quasi fosse un fine-settimana o una parentesi abbordabile. La nostra esistenza non è altrove o al di là, bensì al di dentro delle passioni quotidiane, dove ferve la vita.
    Del resto è esperienza comune che solo nel quotidiano si apprende a vivere sul serio. Le esperienze collettive esaltanti come i personali silenzi che gratificano servono solo a far spalancare gli occhi su una realtà che altrimenti ci sfugge: se non fosse così sarebbero solamente evasioni sterili.
    Nella esistenza quotidiana si costruiscono progressivamente le grandi scelte della vita e il luogo praticabile delle scelte concrete di ogni giorno è appunto il quotidiano. Il gusto del concreto non abbandona mai la profondità del mistero, e questo non è allucinazione se porta con sé la vitalità della concretezza.
    La vita quotidiana assurge allora a luogo di crescita, perché ti mette con le spalle al muro. In essa non si può barare, altrimenti ti respinge. È possibile mistificare o demonizzare, illudersi o mitizzare, ma il terreno spoglio e prosaico della quotidianità è il luogo del crescere autentico: solo nei suoi solchi il seme può crescere e dare frutto. Le manie di grandezza e di onnipotenza sfumano come neve al sole di fronte alla concretezza della vita quotidiana, vissuta nella sua verità. Sono i gesti quotidiani che edificano anche i grattacieli. Non è l'intuizione di un momento che fa grande la vita, bensì la fatica di ogni giorno costruisce la vera speranza che ognuno porta in cuore.

    2. La gratuità: una scelta possibile anche oggi

    L'abitudine è la nostra salvezza, ma anche la dannazione. Senza gesti consueti e ambienti abituali non riusciremmo a sopravvivere: lo sforzo umano ci sopraffarrebbe. E tuttavia nella ripetizione di tante cose sta la nostra morte. I giorni sempre uguali, le azioni reiterate, il rivedere usualmente le stesse persone, gli incontri che si replicano a fotocopia, i riti sociali che si rifanno inconsciamente sono segnali della degenerazione della vita, se non si trova in essi un'anima che li rinnovi nel loro significato. Si può vegetare in un attico da superlusso, come vivere intensamente in una modesta casa di campagna. Il tutto sta nel ricercare il senso di quanto facciamo. Le ragioni della vita sono lampi nel buio, risvegli dal sonno, aria fresca del mattino. I perché della vita ci incalzano e, non c'è da illudersi, ci rincorrono sino a che non tentiamo una pur timida risposta.
    Gli interrogativi non sono da cercare, è la stessa vita, nella molteplicità dei suoi eventi o episodi, che ce li pone: solo si tratta di ascoltarli e di saperli interpretare.
    Un'amicizia che si rompe, l'insuccesso inatteso, una banalità che ci rode, la gioia di una nascita, un evento che parla al cuore, il perdurare di una difficoltà insormontabile, l'intuizione che ci squarcia il vero, ... dicono a ciascuno di noi che si sta spesso al bivio: o si procede con noncuranza, oppure ci si lascia interpellare con apertura di mente e di cuore.
    La più grande nostra sciagura potrebbe appunto consistere nel rinchiuderci a riccio o nel nascondere la testa come lo struzzo. Le questioni rimangono intatte, ma si finge la loro soluzione.
    La mia sensazione è però che in questo modo si crea solo del vuoto dentro, lo chiamano il «vuoto esistenziale». Sì, certo si può vivere anche alla grande o accettare la vita come viene. Del resto, perché crucciarsi tanto. Ma sembra, così asseriscono studiosi di vari orientamenti, che le nevrosi di oggi non siano frutto di malattia dei nervi, bensì rappresentino il fallimento della coscienza.
    Peraltro esistenze semplici testimoniano che fare scelte non dipende da nessun altro che da te personalmente. Non sono gli altri che te lo possano impedire: solo basta che tu ti metta in ricerca con la voglia di compiere le scelte quotidiane e adempiere quei gesti che forgiano uno stile di vita personale. In questa maniera le cose consuete potranno acquistare valore, proprio perché sono colte nel loro significato. Senza dubbio nessuno di noi si stancherebbe di avvertire la bontà materna, anche se questa ci accompagnasse lungo tutti i momenti della vita. Nessuno si allontana da una amicizia autentica e sentita solo perché questa continua nel tempo; al contrario, proprio per questo si rafforza.
    In sostanza si tratta allora di dire dei sì alla vita nella sua gratuità e dei no alla cultura di morte.
    Questo è possibile anche oggi, come in tutti i tempi.

    3. Amare la vita è una scelta decisiva

    La gratuità è come l'aria che respiriamo, senza di essa si corre verso l'atrofia dell'esistenza. Anche se rappresenta l'apice dell'impegno, essa ci svela che la vita è anzitutto dono.
    Il primo passo sta nel gusto di vivere che si manifesta in uno slancio vitale verso la voglia di vivere. Ma senza cercarne le ragioni la voglia si disperde, viene meno la direzione significativa di tale energia. Accogliere la vita invece indica che ci si fa carico di tutto ciò che porta con sé. Anzi, non solo: si assume una coscienza di progetto. La passione per la vita accetta la realtà e la sviluppa con responsabilità. Gli ostacoli non sono un impedimento, al contrario vengono guardati come sfide che alimentano la voglia di vivere. Il dono della vita che viene accolto si coniuga così con l'impegno per la vita. Da ciò scaturisce l'amore per l'esistenza, frutto di un consenso libero. Amare la vita, a differenza di tutto il resto, porta a riconoscerla come dono per eccellenza che merita tutto il nostro impegno per promuoverla in ciascuno e nella storia. Anche nelle situazioni più precarie o difficili, oltre che disperate, l'amore alla vita è sorretta dalla speranza. Nessuna barriera può impedire che la disperazione si trasformi in sicura speranza: la vita ti appare dunque buona a dispetto di ogni possibile denigrazione. È la fiducia radicale in un dono che proviene dall'alto e che ti libera da qualsiasi tentazione di sentirtene padrone. L'amore alla vita ti fa andare oltre qualsiasi ostacolo o sofferenza, perché essa ha un respiro universale che coinvolge tutta l'umanità.
    Evidentemente non si tratta di un semplice sentimento, bensì di una scelta consapevole che si traduce in passi progressivi per una autentica cultura della vita. È un sì che si fonda sulla sicurezza della vittoria della vita sulla morte, sulla certezza che la vita di tutti è un valore inviolabile; è un sì che si apre alla gratuità del convivere, che sollecita a costruirti dentro il tuo essere; è un sì che giunge a dare senso anche alla morte terrena perché apre a una nuova vita. Per tutto questo si tratta di un sì che incontra il Dio vivente, che cammina con il Signore della vita, che viene animato dallo Spirito della vita. È un sì che dice crescere sino alla pienezza.

    4. Vivere è scegliere la «fatica» di crescere

    Il termine «fatica», tra virgolette, è evidentemente intenzionale: segnala una ambiguità. Oggi è assai facile che questa parola venga fraintesa, poiché evoca retaggi del passato sgraditi.
    In una società in cui si ricerca a tutto campo il massimo risultato con il minimo sforzo e la riduzione di qualsiasi fatica a facilitazione del lavoro, si rischia perlomeno di passare per obsoleti usando certi termini e ancor più avallandone il senso.
    Oggi non è certo spontaneo pensare alla fatica come liberazione. La parola è piuttosto sinonimo di sforzo gravoso da cui emanciparsi, perché indice di una costrizione umiliante. Il lavoro asservito al profitto logora sia dal punto di vista fisico che psicologico: è un fardello gravoso da portare ineluttabilmente.
    La fatica rimanda peraltro a una certa visione dell'educazione. Se maturare è solo lasciare spazio allo spontaneo sviluppo delle proprie energie senza alcun discernimento, allora il termine dice coartazione della libertà, imposizione di limiti frustranti. Ma allorché educare assume il senso della promozione responsabile verso valori etici ed esistenziali, la fatica del crescere assume il suo volto umano.
    Alla versione corrente del vivere facile per star bene, messaggio suadente dei mezzi di comunicazione sociale, non corrisponde una accezione di ascetismo o moralismo che deve guidare l'esistenza, bensì il rigore etico di cui oggi si sente quanto mai la necessità, la funzione liberante della fatica che fa superare il dilemma del massimo o del minimo per giungere alla proposta di esperienza umana in pienezza.
    L'impegno etico dello sforzo non è centrato su di sé o alienante dalla vita nei suoi vari aspetti. Il compito educativo della fatica non si conforma attorno al rigorismo o al permissivismo. Al contrario rappresenta un'istanza di crescita per quanto di meglio siamo e intendiamo essere: la fatica è un mezzo, una potenzialità in più per far crescere l'umano in noi, liberandolo dalle scorie e incongruenze.
    In questo senso lo sforzo ha un suo effetto dirompente nell'esperienza umana, poiché mette a nudo ipocrisie e velleità, vitalità e impegno. Il tutto e subito del risultato subisce la verifica del cammino paziente e perseverante di chi si impegna seriamente nella maturazione di tutte le sue potenzialità.
    Senza dubbio, in simile visione, il no alla fatica suona come un rifiuto di crescere, il diniego di vivere a pieno. Non per nulla la mediocrità accomodante sfibra l'animo giovanile, mentre la gioia di vivere in pienezza entusiasma e affascina.
    Lo sforzo di maturare è certamente faticoso, ma porta alla gioia, poiché pesante è solo il faticare senza scopo e senza senso.

    II. LA VITA QUOTIDIANA COME ESPERIENZA DI DIO

    Quando si parla di vita quotidiana, bisogna pensare a quell'insieme di esperienze e di accadimenti che fanno parte del vissuto di ogni giorno: impegni di studio o di lavoro, rapporti di amicizia, incontro con persone, vita di famiglia, attività di tempo libero... Rappresenta l'immediato e il presente che ogni giovane vive in quel momento e a quell'età.
    Ma sarebbe evidentemente assai monco il discorso, se non si mettesse in rilievo che, specie per la forza singolare che attraversa l'animo adolescenziale, il quotidiano è soprattutto quel cumulo di interrogativi, riflessioni e ricerche, di incertezze, dubbi e sicurezze che si agitano nel cuore, come anche quell'insieme di aspirazioni e progetti, di frustrazioni e desideri che emergono nel vissuto dell'esperienza.
    Intuiamo che nel quotidiano non ci si ferma semplicemente a osservare le sequenze della vita come in un film. Urge lo sforzo di interpretare gli eventi al di là delle apparenze, nella ricerca, spesso spasmodica, di ancoraggi sicuri e di un centro di unità cui ricondurre la molteplicità delle diverse esperienze.
    Ci chiediamo allora come possiamo fare i conti con un simile quotidiano, che si rivela pure intervallato da imprevisti e sorprese? Come ci impegniamo a viverlo nel migliore dei modi?1. Iter per educarsi a maturare nel quotidiano
    Lo sappiamo: non riusciremo mai a chiudere i conti con la vita quotidiana. Ci sarà sempre qualcosa che ci provoca e richiede la nostra decisione. Nel quotidiano ci è data l'opportunità di crescere. Ne sono garanzia dei riferimenti che indichiamo come un iter da percorrere.
    Anzitutto nella vita quotidiana è indispensabile trovare momenti in cui uno si trova «a casa sua», si percepisce interiormente, sta bene con se stesso. Oggi sembra che il tempo non ci appartenga più: c'è sempre qualcosa da fare. Eppure avvertiamo quanto sia necessario appartenersi nel tempo, prendersi delle pause per sentire il battito del cuore, per godere dell'aria che si respira. Si tratta di dimorare in noi, per assaporare la propria vita. Appartiene inoltre alla vita quotidiana il sole: l'uomo non è un nottambulo. Però se ci si espone troppo al sole, si può prendere un'insolazione; e se il sole non c'è, si sente freddo. Al di là della metafora sta l'amicizia come riferimento. Noi tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci sia di consiglio, ci rivolga una buona parola, ci guardi in volto con un sorriso. È una grave deprivazione vivere senza affetto, senza un'amicizia sincera.
    Così poi non può essere che pretendiamo di conquistare la vita una volta per tutte. La vita è come salire una scala: non la si può salire in un solo balzo. Occorre la pazienza del gradino dopo gradino, passo dopo passo. Solo in questo modo non si giunge in cima ansimanti e affaticati. A far tutto in una sola volta e a capofitto, si perde la soddisfazione di guardarsi attorno e soprattutto di temere di non farcela a giungere sino in alto.
    Vivere intensamente il momento presente è la cosa più saggia, e viverlo nell'amore è il gesto più ricco. Del resto, a che serve presupporre realtà inesistenti o prefigurarsi situazioni immaginarie? Solo a fuggire dalla propria libertà e responsabilità. Come ipotizzare poi che tutto possa filare liscio nella vita, senza intoppi? È solamente voglia di evitare la fatica del crescere o la frustrazione della mancanza. Del resto chi conosce solo lo splendore del sole, non potrà gustare la variazione delle stagioni nella bellezza della loro diversità.
    In questa prospettiva è senz'altro vero che la parola chiave di fronte alla vita è «gratitudine». Infatti «la cultura del cuore inizia con la gratitudine» (C. Meves). Chi non sa ringraziare, assume tutto come ovvio; e chi dà ogni cosa per scontata, diviene con il tempo superficiale. D'altro canto, invece, chi sa esprimere gratitudine riconosce il dono dell'altro e compie un gesto squisitamente umano.
    Un ulteriore passo di educazione al quotidiano sta nell'evangelico «portare frutto». Ciò significa che nella vita ci dobbiamo proporre qualcosa da raggiungere. La pianta è tutta organizzata, dalle radici sino alle foglie della punta, a produrre frutti. Così dovrebbe avvenire anche per l'uomo: tutto il suo essere, agire e fare, deve essere orientato al frutto, che è l'amore. Davanti a Dio infatti non contano le vittorie o i successi, bensì l'osservanza del massimo comandamento; non gli interessa il bilancio delle prestazioni, ma quello dell'esistenza. Non per nulla l'evangelo non parla di avere successo, bensì di portare frutto, come il tralcio unito alla vite dà frutto.
    Viene a proposito la metafora del chicco di grano. Il vangelo è assai limpido nel raccontarne la storia essenziale: il chicco che non muore, non porta frutto. È la legge fondamentale che accompagna tutta la vita. Chi non sa nascondersi nella dedizione verso gli altri non farà crescere il grano maturo della gratuità, non produrrà il pane della convivialità, non potrà spezzarlo per condividerlo con gli altri. La gioia della vita cela sempre la fatica nascosta del crescere e maturare.
    È davvero bella l'immagine delle «mani vuote» davanti a Dio. Ci fa comprendere una verità illuminante: noi siamo lì e Lui è presente; ci viene donata la vita e noi gliela consegniamo perché sia riempita in abbondanza. Corrisponde al vero il detto: «Non mai iniziare per giammai terminare, e nulla terminare per riprendere sempre di nuovo! Il portare a compimento è cosa di Dio».

    2. Il valore della persona alla base della vita quotidiana

    Rifarsi all'esperienza di ogni giorno è un richiamare la pluriforme sfaccettatura della vita, la molteplicità degli eventi, la complessità variegata dei vissuti. Quotidiano significa in definitiva quanto viene vissuto nell'ambiente e lungo la storia.
    E tuttavia un punto focale esiste: è la persona. Al centro del vissuto quotidiano sta un protagonista attorno a cui ogni cosa si muove e prende forma. Non è uno qualunque o uno qualsiasi, bensì una persona costituita in dignità, che ha valore massimo.
    Alla base del quotidiano c'è dunque l'essere umano che merita tutta la nostra attenzione.
    La questione centrale per un uomo e una donna nell'esistenza quotidiana è il «riconoscimento» del proprio valore come persone, della loro dignità radicale. Nessuno può vivere umanamente senza questo sentimento acquisito. Ma a nulla vale tale considerazione se rimane una questione di principio; essa deve prendere corpo nelle diverse modalità dell'esistenza. Le fondamenta dell'edificio da costruire si riconoscono in una frase eloquente: «È davvero bello che tu esista». È la manifestazione sostanziale dell'apprezzamento della tua esistenza e la dichiarazione inequivoca della bontà del fatto.
    Sta nella storia di ciascuno di noi che una simile consapevolezza è cresciuta attraverso le mille parole o gli espressivi silenzi che comunicavano consensi e apprezzamenti, stima e plausi. Le parole dell'encomio sono la chiave che conducono al cuore, è stato detto. Ed è davvero così, soprattutto se pensiamo a quanta gioia si produce nella vita di una persona se gli si mostra che ci rallegriamo di lui, che è bello che lui esista, che sia lì, che sia così com'è. Con simili gesti diamo la conferma e la coscienza che egli vale e merita attenzione.
    È un riconoscimento che si avvicina a quello di Dio per ogni uomo che chiama alla vita per nome, lo crea a sua immagine e somiglianza, lo rende partecipe della sua eredità di figlio.
    «Uomo, ti guardo con simpatia: dillo a tutti con le parole o senza! Dillo con il tuo sorriso, con un gesto di riconciliazione, con una stretta di mano, con una parola di apprezzamento, con un abbraccio o un bacio, con una stella nei tuoi occhi! Dillo a tutti con cento piccole attenzioni, ogni giorno in modo nuovo: io ti considero con tanta simpatia» (P. Bosmans).
    All'opposto di simile sentire si erge l'indifferenza, la noncuranza. Non c'è peggior affronto al mondo che non essere considerati, anche se la nostra esistenza è cosparsa di disavventure o vituperi. Ciascuno, anche il più derelitto, reagisce con piacere di fronte a una sincera attenzione alla sua persona. Con ragione afferma il drammaturgo Shaw: «Il male più grave che possiamo arrecare ai nostri simili, non è l'odiarli, bensì essere indifferenti nei loro confronti. Questa è l'assoluta inumanità».
    Possiamo immaginare quanto sia determinante sul piano educativo questa constatazione. Le giovani generazioni necessitano di simili conferme sul valore della loro persona, sulla loro dignità, in modo inequivoco ed esplicito. La quotidianità della loro vita deve essere impastata da tale lievito che fa fermentare la pasta perché possa giungere ad essere buon pane. Nella comunicazione costruiamo ponti per incontrarci vicendevolmente, nell'apprezzamento mettiamo le basi perché l'edificio sia fondato sulla roccia, nel riconoscimento della dignità di ogni persona si spalanca la porta della casa della solidarietà.

    3. Sulla via dell'esperienza di Dio

    Quando si esamina la vita religiosa dell'uomo d'oggi, si accumulano infiniti interrogativi personali e molteplici spiegazioni sociali. Eppure pare che la questione sia assai più profonda, e cioè stia nella grave mancanza di «esperienza» di fede. Le numerose ragioni esplicative tengono certamente, ma il motivo ultimo consiste nelle difficoltà ad accompagnare i contemporanei a fare esperienza di Dio. Lo aveva intuito a pieno K. Rahner quando affermava che «l'uomo religioso di domani sarà un mistico, uno che ha fatto esperienza religiosa; oppure egli non sarà niente più».
    L'esperienza di Dio non può dunque essere un lusso per pochi, bensì una questione di vita per l'uomo d'oggi.
    Ma come procedere in simile situazione?
    Anzitutto è indispensabile essere consapevoli che la vera fede passa dalla mente per penetrare nel cuore, va dalla superficie alla profondità dell'essere. Così non si conosce solo una verità, ma si è toccati da quella verità su Dio. La fede autentica agisce come un accompagnatore silenzioso che fa osservare il mondo con occhi diversi. Di più, la fede in Dio trasforma la vita in novità di gesti e di giudizi, di impegno e di visioni.
    Eppure c'è sempre la consapevolezza che l'esperienza di Dio si consuma nel mistero, sempre al di là del vissuto.
    Una parabola di Taizé descrive molto bene come Dio accompagna sempre l'uomo, anche quando sembra assente.
    Un uomo ebbe un sogno: stava camminando lungo la spiaggia con Cristo. In cielo apparvero scene della sua vita. In ogni scena notò sulla sabbia le orme sue e del Signore. Quando scomparve l'ultima scena, egli guardò indietro e si accorse che spesso c'era solo un paio di orme sulla sabbia. Constatò pure che ciò era avvenuto quando gli era andato peggio nella vita.
    Naturalmente si meravigliò e chiese subito al Signore il perché. Gli fu risposto: «Caro amico, io ti voglio tanto bene che non ti lascio mai. Nei periodi in cui tu stavi peggio, io ti ho portato sulle spalle. Per questo ci sono solo le mie impronte».
    Il più grande impedimento per fare esperienza di Dio si rivela oggi come incapacità di guardare e ascoltare. Si vede e si sente, ma quanto a saper guardare, ossia penetrare nel profondo, o a saper ascoltare, ossia a far proprio, non ci siamo. Mancano condizioni essenziali per poter sperimentare il Dio che si rivela nella vita e nella storia.
    E allora diventa necessario raccogliersi sulla propria vita e riflettervi sopra perché riveli la presenza misteriosa di Dio.
    Nella lettura degli eventi quotidiani emerge anzitutto che Dio non ci considera dei numeri. Il suo amore è rivolto alla singola persona in concreto, non è una benevolenza verso l'umanità in astratto. Egli prova interesse per me, così come sono e come mi trovo, anche nelle pieghe tristi della mia realtà.
    Gli avvenimenti della vita portano tutti con sé una forza simbolica. Sono un segnale di realtà che coinvolge l'agire misterioso di Dio. Il linguaggio suo è principalmente un linguaggio di simboli e di segni che inducono a una realtà invisibile.
    Si tratta allora di passare in rassegna quanto è avvenuto nella giornata, identificare gesti emergenti o constatare lo svolgersi normale della vita. In tutto ciò rivelo che io vivo grazie a Qualcuno. Forse, anzi senz'altro, a un attento esame, mi accorgo che qualcosa mi ha provocato: un appello, una richiesta, una promessa, un'attesa, una perdita, un cambiamento, un incontro... Mi interrogo su come mi pongo di fronte a queste percezioni: accetto, mi umilio, protesto, mi affido, reagisco in qualche modo.
    La risposta viene spontanea, magari evocando frasi evangeliche o percependo sussulti nella coscienza. È la luce che Dio ci invia per illuminare la nostra esistenza, densa di richieste. Ne scaturisce una preghiera: la consapevolezza che Dio sta presso di me e mi accompagna tra le vie intricate della città terrena.
    Gli uomini stessi, i miei simili, possono essere una finestra attraverso cui Dio si mostra. Credenti e agnostici, uomini di Dio e della strada suscitano spesso in ciascuno di noi appelli e sfide: sono testimonianze o trasparenze che mettono a nudo la coscienza o interpellano il cuore. È la voce di Dio che si fa sentire in essi, impercettibile per i distratti o nitida per gli accoglienti. Ancora una volta Dio si manifesta attraverso la sofferenza di una madre, la vitalità di un giovane, la morte di un amico, la dedizione di un santo, la spiritualità di un uomo di Dio, la prostrazione di un pentito, la condanna di un vinto.
    Ciò di cui necessitiamo sono gli illuminati occhi del cuore o lo sguardo della fede (Paolo VI): dove c'è amore, lì c'è Dio!
    L'esperienza del deserto ci avvicina a Dio: nell'essenzialità della vita si diventa saggi e non solo sapienti. Si impara la legge del povero, capace di distinguere ciò che è indispensabile da quanto appare superfluo, il primario dall'accessorio. Si sperimenta soprattutto che il deserto è un luogo del contatto vivo con Dio che accompagna lungo la storia per giungere alla terra promessa, che invita all'alleanza nella fedeltà.

    III. IL QUOTIDIANO COME LUOGO DELL'INCONTRO CON DIO

    La sollecitudine per il quotidiano proviene da una motivazione attuale collegata alla mentalità giovanile. L'adolescente vive nel presente e nel quotidiano la sua avventura; è lontano dalla sua sensibilità il proiettarsi nell'ideale, che perde peso sulla sua bilancia. Senza dubbio avanza in questo una duplice ambiguità: spesso il quotidiano dice solo ricerca dell'immediato e del superficiale, o anche fuga dall'impegno progettuale. Non è sempre facile sciogliere i nodi dell'esistenza, per cui si ricorre all'evasione o alla negazione, al distacco o alla distorsione. D'altra parte però l'attenzione al quotidiano segnala una grossa sensibilità nei confronti della persona, come protagonista della sua vita. Si tratta di non lasciarsi vivere dagli altri, bensì di assumere le piccole e grandi scelte che costruiscono una esistenza.
    È in questo caso che la vita viene assunta con responsabilità e si predispone a emergere come luogo significativo d'incontro.
    Sono molteplici i modi per esprimere la piattaforma della spiritualità per il giovane credente d'oggi: spiritualità del quotidiano, incontrare Dio nel quotidiano, la vita come luogo dell'incontro con Dio, in cui fare esperienza di Dio, assumere la vita sul serio. A queste espressioni sono sostanzialmente sottesi tre elementi: il valore della vita nella sua percezione comune, la ricerca di un suo senso ulteriore, la valenza della vita quotidiana per avvicinare a Dio.

    1. L'accoglienza di Dio nella vita

    L'esistenza cristiana è radicata nella consapevolezza di essere immersi nell'amore che Dio ha verso di noi: la chiamiamo solitamente «la presenza di Dio nella vita».
    Alla scuola delle intuizioni di don Bosco, consideriamo l'incarnazione del Signore un criterio rinnovatore della vita spirituale del giovane. Del resto Dio si è rivelato all'uomo in modo umano. Il suo ineffabile mistero e la sua volontà salvifica sono diventati comprensibili nelle mediazioni umane. L'umanità di Gesù è quanto Dio stesso ha scelto per incontrare e salvare l'uomo.
    L'evento dell'incarnazione ci aiuta a superare la separazione tra mondo di Dio e mondo dell'uomo. In Gesù infatti Dio e l'uomo sono ormai diventati radicalmente vicini, tanto da essere in Lui una realtà unica e irripetibile.
    Quando si parla di incarnazione, i credenti pensano spontaneamente all'evento storico: Gesù nato da Maria, il figlio di Dio. Per salvare l'uomo Dio ha deciso di farsi uno di noi, di assumere la nostra stessa umanità. Gesù rende così trasparente il volto di Dio Padre, capovolgendo ogni esperienza religiosa in cui era l'uomo a ricercare Dio, per riconoscerla nell'iniziativa gratuita del Dio vivo che si interessa dell'uomo.
    Ma al contempo questo evento storico trasforma tutto il genere umano e la storia: in Gesù l'umanità riceve nuova forza e inedito vigore, è la mediazione del Dio fatto uomo.
    Nella sua quotidianità la nostra vita rappresenta la mediazione che ci immerge in quella del Signore. La vita, dove Dio si fa presente a ogni uomo, è il luogo dell'incontro e della sua azione. È uomo spirituale chi sa riconoscere e accogliere con prontezza simile presenza di Dio.
    Il cristiano contempla le meraviglie che Dio ha compiute e si domanda quale possa essere la sua risposta a tanta attenzione.
    Al di là di tutti i possibili responsi, uno li comprende tutti: la fede. Ossia accogliere l'amore di Dio come fondamento della propria esistenza e seguire con radicalità la ragione di questo amore per la edificazione del Regno. Vivere nella fede e nella vita non è dunque accettare qualcosa, bensì Qualcuno. Si instaura così un'alleanza che vede Dio interlocutore dell'uomo.
    Ma la scelta di mettere la vita al centro come segno rivelatore del mistero comporta di assumere la vita di ogni giorno nella sua verità, di comprenderla nel disegno misterioso di Dio che opera nell'uomo e sentirsela riconsegnare quale vita nuova, da dispensare a tutti in modo abbondante.
    Vivere di fede nella quotidianità è vivere la propria vita per il Regno; amare la vita progettata come vocazione significa ricevere l'appello di impegnarsi a costruirla nella cultura dell'amore e della solidarietà. La spiritualità del quotidiano cerca dunque sempre una progressiva riconciliazione interiore appunto attorno ai problemi della vita quotidiana e all'impegno apostolico per sanarli nel nome del Signore. Questo impegno apostolico, espresso nella sequela di Gesù, richiede la passione di chi lavora per una causa grande, il Regno di Dio.

    2. La vita teologale nel quotidiano

    La sfida fondamentale per una comunità cristiana come per un credente sta nel trasformare l'esperienza di vita, in forza della fede, speranza e carità, in esperienza evangelica.
    Peraltro proclamarsi cristiani senza i fatti è estremamente semplice. Difficile appare invece vivere da cristiani, affrontando le questioni nodali dell'esistenza e operando nella pratica secondo le beatitudini evangeliche. La voglia di vivere di un adolescente e la sua armonia interiore richiedono la «grazia di unità». Una profonda convinzione, assai cara a don Bosco, sta appunto in questo: non è necessario prendere le distanze dalla vita di tutti i giorni per cercare e seguire il Signore.
    La ragione che giustifica questa valutazione positiva della vita quotidiana non scaturisce da una semplice considerazione sociale o antropologica, bensì dalla costante scoperta dell'evento dell'incarnazione. Il Gesù, che ha preso carne come noi assumendo la condizione umana, rivela che Dio è presente nella vita e nella storia. Egli è il sacramento del Padre e la definitiva mediazione del Dio vicino all'uomo, e per questo la realtà umana diviene il luogo per incontrare Dio, come uno scrigno che racchiude orizzonti inediti e significati ulteriori.
    La fatica e la gioia di accettare l'ordinario della propria esistenza, di accogliere le sfide e le tensioni della crescita, di ricomporre i frammenti del quotidiano in unità, di superare le ambiguità e fermentare con l'amore ogni scelta, manifestano in modo inequivoco la strada da percorrere perché si viva il quotidiano come una realtà nuova in cui Dio è presente e opera quale Padre. All'origine della nostra vita, in tutta la sua più variegata realtà, sta la chiamata a vivere.
    È l'accoglienza incondizionata e l'amorevolezza fatta bontà dell'educatore che provocano il giovane a riconoscere i segni del Dio che ama e previene, che accoglie e accompagna.
    Per questa convinzione profonda fluivano nell'oratorio di Valdocco gioia, ottimismo e speranza. La gioia di vivere era manifestazione trasparente di una realtà teologale vissuta nel quotidiano. I ragazzi di don Bosco l'avevano talmente ben compreso che esprimevano tutto ciò in una significativa frase: «La santità consiste nello stare molto allegri».
    Ai giovani comuni o abbandonati del suo tempo, don Bosco fa brillare la reale possibilità di fare esperienza della vita come festa e la fede come gioia di vivere. A tale scopo serve la pedagogia del cortile e della festa, ritenuta di primaria importanza nell'educazione. Sono vissuti che sprigionano numerose energie di bene, che orientano verso l'impegno del servizio e della gratuità. Non rappresentano compensazioni di vuoti interiori o occasioni per distogliere dalla realtà spesso esigente. Il cortile è invece opportunità di costruire amicizia e di sviluppare le migliori risorse umane e spirituali del giovane. E la fonte della gioia è nella vita di amicizia con il Signore, che impegna ciascuno in un progressivo allenamento di crescita nella bontà.
    L'allegria vitale del cortile viene sempre associata al costante senso del dovere quotidiano di studio o di lavoro. Non c'è dicotomia nella proposta: con il medesimo impegno si vivono sia l'una che l'altro nel mistero della passione e risurrezione del Signore.
    Nelle beatitudini evangeliche vengono riconosciuti il grande amore di Dio per noi e insieme il nostro impegno di credenti per edificare il Regno di Dio.
    Vivere in unità la gioia e il dovere ci insegna ad assumere la sequela di Cristo, nella sua passione e morte come nella sua risurrezione.
    Al di fuori di un cammino di serio impegno di vita, la crescita umana e cristiana non può che divenire spesso difficile. Non è evitabile di porre il giovane credente di fronte al bivio: o accettare il Signore e la sua proposta di vita, oppure percorrere la strada che lo porta al di fuori della prospettiva pasquale.
    Questo rappresenterà sempre un momento cruciale, ma è seminato di speranza nella forza della risurrezione di Gesù.
    Mossi dalla carità di Dio si cerca una risposta concreta all'amore del Signore: si chiama servizio. L'amicizia con Gesù non lascia inerti nella beatitudine dell'incontro, al contrario spinge alla presa di posizione riguardo ai più differenti problemi della vita umana. L'impegno nella carità apostolica, vivificata dallo Spirito, prende le forme più inusuali e coraggiose di un cuore nuovo che si spende per gli altri. Se non si raggiunge questo centro che muove la vita umana, non si può aspirare a provocare una conversione che viene dall'intimo e dalla forza silenziosa dello Spirito. L'amicizia con il Signore Gesù conduce sui passi della vita nello Spirito, che forma uomini nuovi secondo il cuore di Dio a servizio del suo Regno di amore e di pace.

    3. Verso l'incontro con Dio nel giovane

    Educare i giovani alla fede, accompagnarli nella vita spirituale, impegna l'educatore all'azione e alla preghiera. Ciò scaturisce dalla consapevolezza che operare per la salvezza della gioventù è fare esperienza della paternità di Dio, che «previene ogni creatura con la sua provvidenza, l'accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita» (C 12).
    Don Bosco ci insegna a riconoscere la presenza di Dio e la sua azione tra noi nel nostro concreto impegno educativo, sperimentandole come energia di vita e di amore.
    A tale proposito possiamo certo riportare qui un testo assai efficace ed eloquente: è chiamato il credo dell'educatore.
    «Noi crediamo che Dio ama i giovani. Questa è la fede che sta all'origine della nostra vocazione, e che motiva la nostra vita e tutte le nostre attività.
    Noi crediamo che Gesù vuole condividere la sua vita con i giovani: essi sono la speranza di un futuro nuovo e portano con sé, nascosti nelle loro attese, i semi del Regno.
    Noi crediamo che lo Spirito si fa presente nei giovani e che per mezzo loro vuole edificare una più autentica comunità umana e cristiana. Egli è all'opera nei singoli e nei gruppi. Ha affidato loro un compito profetico da svolgere nel mondo che è anche il mondo di tutti noi.
    Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell'incontro con lui e per disporci a servizio in loro, ricostruendone la dignità ed educandoli alla pienezza della vita. Il momento educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui.
    Noi crediamo che in forza di questa grazia nessun giovane può essere escluso dalla nostra speranza e dalla nostra azione, soprattutto se soffre l'esperienza della povertà, della sconfitta e del peccato. Siamo certi che in ciascuno di essi Dio ha posto il germe della sua vita nuova.
    Questo ci spinge a renderli coscienti di tale dono e a faticare con loro, perché sviluppino la vita in pienezza. Quando la dedizione sembra non raggiungere il suo scopo, noi continuiamo a credere che Dio precede la nostra sofferenza come il Dio della speranza e della salvezza» (CG 23 95-96).
    In tutto ciò l'educatore si rifà all'esempio del Signore, seguendo il metodo della sua carità di buon Pastore sulla via di Emmaus: prende l'iniziativa dell'incontro e si mette accanto ai giovani, con loro percorre la strada ascoltando e condividendo le loro ansie, a loro spiega con pazienza il messaggio esigente del vangelo, con loro si ferma per ripetere il gesto dello spezzare il pane e suscitare in essi l'ardore della fede che li trasforma in testimoni e annunciatori credibili.
    Per attuare il suo compito, allora, l'educatore accetta volentieri di andare verso i giovani, eliminando le distanze, facendosi prossimo, accostandosi a loro. Don Bosco si metteva alla ricerca dei giovani: usciva per le strade e sulle piazze, entrava nei cantieri e nei posti di lavoro, li incontrava singolarmente e li invitava nella sua casa. Tale stile non era solo parte di un metodo pedagogico, assai più si trattava di un'originale espressione della sua bontà educativa e carità pastorale.
    L'educatore inoltre si impegna a valorizzare il patrimonio che ogni giovane porta in sé. Con intelligenza e sensibilità si mette a scoprire quali sono le loro esigenze e aspirazioni, quali i pericoli e le difficoltà. Studiando di farsi amare, andrà alla scoperta anche del desiderio di Dio che alberga nel cuore dell'uomo. Tale atteggiamento di accoglienza genera apprezzamento e suscita amicizia reciproca a tal punto che diventa naturale riconoscere il valore della propria persona: e ciò mette in moto le energie migliori di ciascuno dei giovani e degli educatori.
    Questo metodo di incontro dei giovani acquista più efficacia quando attorno a loro si crea tutto un ambiente carico di valori e ricco di proposte. Il clima d'ambiente deve essere ritenuto importante dall'educatore. I rapporti vengono perciò improntati a confidenza e spirito di famiglia, festa e servizio si accompagnano unitariamente, impegno nel dovere e espressioni del tempo libero si integrano a vicenda. La presenza dell'educatore viene proposta come farsi compagni di viaggio nel cammino di crescita umana e cristiana, per cui i valori evangelici non sono marginali o emarginati, ma consentono di promuovere la vita in pienezza.
    L'educatore sa che intende evangelizzare «secondo un progetto di promozione integrale dell'uomo, orientato a Cristo, l'uomo perfetto» (C 31). Traccia perciò il cammino, tenendo ben presenti due riferimenti: la fatica dei giovani nel formare la loro personalità e la precisa proposta di Cristo che rivela il segreto della vita. I processi educativi rimangono gli spazi privilegiati in cui la fede viene proposta ai giovani, ma al contempo riconoscono pienamente che i suoi dinamismi vanno anche oltre, nel mistero del cuore dell'uomo e dell'iniziativa mirabile di Dio.
    È un cammino che prende i giovani al livello in cui si trovano nella loro libertà per condurli progressivamente alla piena maturità in Cristo, perché possano essere testimoni della bontà di Dio e apostoli per la causa del Regno.

    IV. COSTRUIRE NEL QUOTIDIANO L'AMICIZIA CON IL SIGNORE GESÙ

    L'esistenza cristiana è consapevolezza di essere immersi nelle meraviglie dell'amore di Dio.
    Dio ci ha voluti singolarmente e ama ciascuno di noi.
    Il suo amore nutre la vita di ogni giorno e intesse la nostra storia: ne è la radice e insieme l'esito finale.
    Riconoscere simile intimità con noi significa vivere alla sua presenza, e coglierne l'appello è aprirsi alla sua azione negli eventi quotidiani dell'esistenza.
    Dio è più intimo a noi di noi stessi: accoglierlo vuol dire attingere alla fonte inesauribile della sua vita, dissetarsi alla sorgente d'acqua limpida dell'esistenza.
    In Gesù di Nazaret il Dio inaccessibile si rende visibile nella carne, si manifesta come il Dio dell'amore e della vita.
    Assume un volto e ha un cuore umano: piange l'amico scomparso, ha compassione della gente affaticata nel seguirlo, ci chiama amici e non più servi, parla con autorevolezza della vita, si impegna per la causa del Regno...
    All'uomo, al giovane è dato di potersi incontrare con Lui: nella memoria storica trasmessa dall'evangelo, nella testimonianza dei credenti, nelle mediazioni umane degli eventi di vita, ma ancor più nella gioia dell'amicizia e comunione con Lui.

    1. Che significa incontrare Gesù nell'amicizia

    La vita trova il suo compimento in Gesù e la sua pienezza diviene totalmente comprensibile solo con la fede in Lui. Unicamente in Gesù l'uomo può vivere in profondità la sua esistenza e sperare in un Regno di amore, di giustizia e di pace per l'umanità intera. Attorno a Gesù, il Signore della vita, si gioca la salvezza dell'uomo.
    Incontrarsi con Gesù, diventare suoi familiari, seguirlo come suoi discepoli significa incontrare «la via, la verità e la vita», diventare «suoi amici, non più servi», seguirlo nella via delle «beatitudini evangeliche», ossia della felicità che proviene da Dio.
    Vivere l'amicizia con Lui è lasciarsi accompagnare da Lui, cioè accogliere la sua persona come manifestazione di Dio, il volto del Padre, e conformarsi progressivamente a Lui, l'uomo perfetto, il volto dell'uomo.
    In Gesù, inviato dal Padre, troviamo «la chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana» (GS 10): Egli si rivela a noi come il mistero di Dio per l'uomo.
    A Gesù guardiamo come a maestro di vita per «vedere la storia come Lui, giudicare la vita come Lui, scegliere e amare come Lui, sperare come insegna Lui, vivere in Lui la comunione con Dio» (RdC 38).
    In definitiva si tratta di vivere di Lui: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

    1.1. Incontrarsi con Gesù

    L'autentica esperienza umana porta ad aprirsi oltre il visibile: l'orizzonte di senso che accompagna l'uomo va al di là o al di dentro degli eventi umani per coglierli nella loro profondità invisibile.
    Un tale atteggiamento predispone a riconoscere l'evento rivelato, un evento che ci è dato totalmente in dono e accertabile solo nella fede.
    Gesù il Cristo è un simile evento: si propone a noi come riferimento determinante per la nostra esistenza quotidiana e come provocazione che attende da noi una risposta.
    È qui che avviene il nostro incontro con Lui.
    Si incontra Gesù di Nazaret nella mediazione della testimonianza. La famiglia, il gruppo, la comunità giovanile in cui ci si riconosce, giocano un ruolo importante: in essi il giovane avvicina i segni concreti di coloro che impegnano la propria vita scommettendo su Gesù. Ne sente raccontare l'esperienza e avverte la presenza misteriosa, ne ascolta la narrazione dell'e-vangelo e vede rischiare la vita per la causa del Regno.
    Sono contatti e percezioni che si trasformano in appelli a prendere posizione o diventano sollecitazioni ad approfondire il cammino intrapreso.
    Nella mediazione l'incontro con Gesù assume una sua fisionomia come preziosa opportunità o valore determinante. Non è uno degli incontri che scandiscono una qualsiasi nostra giornata: incontrarsi con Gesù è imboccare la strada della qualità della vita, è toccare la radice della propria esistenza.
    Si incontra Gesù nella confessione della fede.
    Gesù è il grande mediatore tra Dio e l'uomo: in Lui Dio si fa vicino a ogni uomo e l'uomo accede alla vita di Dio. In Gesù Dio si fa parola e volto per ogni uomo, e nell'umanità di Gesù l'uomo diviene il luogo della presenza di Dio.
    Incontrare Gesù è così incontrare Dio, il Dio di Gesù Cristo.
    È un incontro del tutto singolare che non si ferma a Gesù, ma in Gesù si accede alla salvezza di Dio.
    La professione della nostra fede in Gesù, uomo e Dio, apre al mistero
    ineffabile di Dio che si interessa dell'uomo e lo ama con tutta la sua energia. Incontrare Gesù è dunque decidersi per Lui, riconoscerlo come determinante per la nostra esistenza, confessarlo come il Signore della vita e della storia. Si incontra Gesù nella libertà e nella gioia.
    L'incontro con Gesù è un incontro speciale, perché si svolge in un gioco impegnativo di libertà. Egli si propone nella libertà, e la nostra decisione di seguirlo è un dono.
    L'accoglienza di Dio nella vita rimane misteriosa: essa impegna tutta la nostra libertà e al contempo richiede l'azione gratuita di Dio. Siamo di fronte a un meraviglioso evento di libertà e d'amore. Per questo avviene nella gioia. Del resto Gesù ci dà la possibilità di invocare Dio come Padre, ci rende Dio fondamento dell'esistenza e compagno di strada, ci offre la stessa energia di Dio per vivere in pienezza la nostra felicità.
    Il sogno dell'uomo si fa realtà e progetto in Gesù.
    Si incontra Gesù condividendo la sua passione per il Regno.
    Quando il cristiano si immerge nell'amore di Dio, vive la fede e si affida alla speranza. Comprende il suo compito: fermentare di senso le vicende della storia umana, per renderla dimora accogliente per tutti gli uomini.
    Intuisce la ragione del suo impegno: testimoniare la novità radicale dell'evangelo, il comandamento dell'amore.
    Comprende a fondo il programma della sua vita: costruire il Regno di Dio tra gli uomini.
    Gesù è l'apostolo del Regno, inviato dal Padre per proclamare l'evangelo del Regno di Dio.
    Il discorso della montagna, il manifesto di Gesù, ne rappresenta il progetto innovatore, il programma di impegno. La vera felicità per l'uomo è quella che proviene da Dio: è la beatitudine del Regno.

    1.2. Conformarci a Cristo

    Non esiste vita cristiana senza la centralità determinante del mistero di Cristo: Egli è l'uomo dello Spirito, modello di ogni vita spirituale.
    Configurarsi a Lui è crescere nello Spirito e maturare come uomini.
    Egli è la matrice di ogni conformazione: uguali quando ci incamminiamo verso di Lui e diversi quando Lui cresce in noi.
    La sua persona è inesauribile e il suo mistero di uomo perfetto riluce in modo singolare in ciascuno di noi.
    Conformarsi a Gesù, il Cristo, è in definitiva ritrovare il più profondo di noi stessi, la nostra tipica peculiarità.
    Costruire la propria identità cristiana nell'oggi esige il riferimento a Cristo come a modello.
    In un mondo in cui si mescolano e si confrontano molteplici e differenti concezioni di uomo, Gesù si propone come il «tipo» secondo cui costruirsi e crescere come uomini nuovi.
    Il cristiano, nella manifestazione della sua fede, non può sottrarsi al confronto sui valori emergenti o sulle evidenze etiche attuali. Il rischio di assumere l'ambiguo o di appiattirsi sulla cultura del tempo non è irreale: occorre un costante raffronto con il Gesù dell'evangelo per non rovinare il progetto di uomo che è in noi.
    Del resto il cristiano deve fare i conti anche con la storia, con le sue contraddizioni e ambiguità, con le sue aspirazioni e speranze. Il mistero del Cristo risorto ne fermenta lo sviluppo, ispira la prassi, orienta il cammino.
    Tutto lo sforzo spirituale deve condurre a Cristo: le insondabili ricchezze del suo mistero non sono semplicemente un fine da conoscere, bensì pure un cammino quotidiano da compiere sino a giungere all'inserimento vitale nel suo dinamismo pasquale. Gesti e parole, segni e sacramenti conducono a quest'incontro, intessuto di configurazione e conformazione. La crescita è progressiva: va dalla percezione all'assunzione, dalla condivisione alla comunione.
    Raccontare la storia di Cristo e narrare il suo mistero introducono nella sua vita, perché cresca la condivisione dei suoi progetti e progredisca la comunione con Lui.
    La vita in Gesù Cristo dice gioia e impegno: conformarsi a Lui è un cammino di felicità e di responsabilità.
    La fede cristiana è annuncio di felicità radicale: Dio ci ama e ce lo dice in Cristo.
    Il Vangelo è permeato di gioia e di felicità che esprime nelle beatitudini. Ma il messaggio evangelico richiede anche il nostro impegno, fa appello alla nostra responsabilità nei confronti della vita di tutti.
    Le beatitudini infatti sono la manifestazione dell'amore di Dio per noi, la rivelazione del suo cuore di Padre che vuole la felicità dei suoi figli. Rappresentano allo stesso tempo un impegno, un compito per l'uomo, perché indicano le predilezioni di Dio secondo cui si deve impegnare l'uomo.
    Sono le proposte di una prassi di condotta in cui si svela il vero volto di Dio.

    1.3. In amicizia con Gesù

    Solo l'amore di Cristo può colmare la nostra vita.
    In Lui si fonda tutta la nostra speranza di felicità, a Lui ci affidiamo per vivere la gioia del nostro impegno quotidiano, in Lui è riposto il segreto della riuscita nella vita.
    L'incontro con Gesù cambia la nostra esistenza: ne potenzia i traguardi, apre a orizzonti inediti, introduce nella novità di vita.
    Configurandoci a Cristo, scopriamo il nostro vero volto di uomini, penetriamo il senso della vera gioia, ci addentriamo nella comunione con Dio, viviamo nella dinamica pasquale, fatta di croce e passione, come di risurrezione e vita nuova.
    Immergersi in tutto ciò significa vivere «in amicizia» con il Signore. La simpatia vissuta nei suoi confronti conduce alla sintonia, la condivisione ricercata in Lui porta a legami di comunione.
    Del resto il costante rapporto con un amico suscita ben presto lo stesso stile di pensare, valutare e agire.
    Gesù però non è un amico qualsiasi, è l'Amico per eccellenza, la figura dell'amicizia autentica.
    Accostandoci a Lui, ponendoci in stretta unione con Lui, impariamo a condividerne i sentimenti, ad assumerne gli orizzonti e i progetti, a vivere della sua stessa vita.
    In amicizia con Lui viviamo la pienezza dell'amicizia.
    Viviamo Gesù, specie nella sperimentata confidenza con i sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia. Preparati dal vissuto di una sacramentalità diffusa, ossia dal vivere nella quotidianità i gesti del perdono e dell'amicizia, questi segni efficaci dell'amore di Dio che si riversa su di noi ci fanno fare esperienza di Cristo aderendo a Lui con tutto il cuore, maturare la nostra amicizia con il Signore.
    Le meraviglie della misericordia e dell'amore di Dio ci sono offerte in piena intensità nel Perdono e nell'Eucaristia.
    Queste risorse di inestimabile valore ci aiutano a vivere e a crescere nella grazia, nella benevolenza e tenerezza di Dio. Sono segni mediante cui progredisce l'amicizia con Gesù.
    L'amicizia con il Risorto rinnova il cuore del giovane. Solo raggiungendo il centro della vita, la profondità del proprio essere, si può sperare in un cuore nuovo. Nella forza dello Spirito del Signore il cristiano si costruisce come nuova creatura, come uomo nuovo.
    È appunto a contatto con il Signore vivente che si rinnova il proprio amore all'esistenza, che ci si converte nel profondo del proprio essere, che ci si apre alla novità della vita in Cristo.
    Dire amicizia con Gesù è proclamare la novità di vita, è forgiare in noi un cuore nuovo, è crescere quali creature nuove in spirito e verità.

    2. Al confronto con una peculiare spiritualità

    «Il cuore di Cristo» è il modello e la sorgente dell'esperienza spirituale ed educativa di don Bosco. Il suo spirito colloca al centro della vita quotidiana il Signore Gesù e il suo vangelo.
    Non può essere pensato il suo progetto educativo, il sistema preventivo, senza la religione, ossia senza l'esperienza di amicizia con il Signore.
    Don Bosco parla spesso ai suoi ragazzi della confessione e della comunione, e ad essi propone con vigore un vivo rapporto personale con Gesù.
    «I miei amici saranno Gesù e Maria»: esclama Domenico Savio, vivace interprete della spiritualità del suo maestro.
    Quanto alla maturazione spirituale dei suoi giovani, Gesù viene presentato come «amico, maestro e salvatore».
    «I giovani sono la delizia di Gesù», «voi siete l'amore di Dio»: ripete don Bosco ai suoi ragazzi per avvicinare loro Gesù come amico. E un ragazzo di don Bosco coglie in pieno tale sollecitudine, quando afferma: «Gesù è mio amico e compagno».
    Il Signore Gesù viene presentato anche come maestro di vita. In un'età in cui l'esigenza di identificazione e di guida è sentita, anche se spesso celata, don Bosco intuisce la valenza pedagogica e spirituale della figura di Gesù. Lui è il maestro, la luce, la guida. Chi lo segue non cammina nelle tenebre del peccato. «Nessun uomo ha mai parlato come Lui» (Gv 7,46), indicando la via della salvezza.
    Si guarda a Cristo come a maestro e a modello che ogni cristiano deve «copiare», per potersi realizzare veramente.
    Gesù viene inoltre presentato quale Salvatore, che impegna tutta la sua esistenza, sino alla morte, per la salvezza dell'uomo, e cioè perché ciascuno di noi possa avere la vita e possederla in abbondanza, in modo da «essere poi felici abitatori del cielo».
    Questo tratto della figura del Signore è eminente: ispira l'impegno apostolico, si fa amore che salva, è il cuore del buon pastore...
    La sollecitudine costante di educare alla fede spinge don Bosco a camminare con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché possano crescere come uomini nuovi.
    La carità viene riconosciuta come la sorgente della vita in Cristo, e momenti privilegiati di crescita sono per don Bosco la confessione e la comunione. Queste sono le colonne che devono reggere l'edificio educativo. Asserisce don Bosco: «Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e comunione» (OE XV, 100).
    Il giovane non si forma cristianamente «col solo apparato esterno, intellettuale o funzionale»: egli deve vivere nella grazia di Dio. Per questo un criterio fondamentale della sua azione educativa «si impernia sull'efficacia dei sacramenti» (A. Caviglia).
    Entrambi sono base sicura per una crescita cristiana, capaci di immettere, nella profondità della persona, dinamismi autonomi di vita spirituale e di iniziativa apostolica.
    Don Bosco, nella sua azione educativa, fa appello rigoroso alle risorse umane, ma scommette ancor più sulla grazia di Dio: Gesù allora diviene veramente l'amico, il maestro, il salvatore.

    V. IL SEGRETO DI CANA NELLA VITA DI OGNI GIORNO

    Conosciamo tutti l'episodio evangelico delle nozze di Cana: è un gesto delicato di Maria e un simpatico segno di Gesù.
    Non poteva non essere che così sotto il profilo umano ed evangelico. La gioia di tutti esplode come rievocazione storica di fronte a una meraviglia compiuta dal Signore.
    Ma il racconto possiede anche la sua forza di evento simbolico. Ed è su questo che intendo soffermarmi brevemente a conclusione delle riflessioni precedenti.
    La lettura dell'episodio storico può avvenire anche in termini di metafora: è un'icona per la vita quotidiana.
    Riempite di acqua le giare è il comando, e nel segno e sulla parola di Gesù quell'acqua viene restituita in vino, e del migliore. Le assonanze con quanto siamo venuti esponendo sono intuibili. Il Signore richiede l'acqua della nostra vita: le giare non possono essere vuote. L'impegno sta nel raccogliere le sequenze dell'esistenza, nel riempire di acqua le giare con la nostra disponibilità. Ma la cosa meravigliosa sta nel trovarsi restituita la nostra semplice acqua in vino buono. Il Signore Gesù compie il miracolo: ci riconsegna l'acqua della nostra vita completamente trasformata. È la vita nuova, come dono del Risorto, che diventa riconoscibile solo in Lui e nella sua amicizia.




    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu