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     Con la Chiesa d'oggi per

    una nuova evangelizzazione

    Quarta parte

     

    Giovanni Battista Bosco, Crescere come animatori della fede. Una spiritualità per educatori di ragazzi e adolescenti, Elledici 1994

     

    PARTE QUARTA
    CON LA CHIESA D'OGGI PER UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

    Non è pensabile una spiritualità cristiana al di fuori del cammino di Chiesa. Una spiritualità giovanile esige ancor più la coscienza di crescere nella Chiesa di Cristo: in essa si incontra il Signore della vita e si matura una propria vocazione e missione. La spiritualità di don Bosco del resto si caratterizza per il suo peculiare legame con la vita e il cammino ecclesiali. La nuova evangelizzazione a cui siamo chiamati come apostoli richiede oggi una particolare apertura al senso di Chiesa e alla vita della comunità degli uomini. Ad essi siamo inviati.
    Nell'odierna società cogliamo tutti un diffuso senso di disagio, se non addirittura di disorientamento e di confusione. Le contraddizioni palesi e le ambiguità sconcertanti ci feriscono e ci provocano intimamente, al di là delle apparenti autosufficienze.
    Rileviamo sulla nostra pelle che la vita è avvolta da un senso di precarietà e di debolezza che ci corrodono interiormente. Nel nostro vivere pare prevalere una cultura rinunciataria e frammentata. Si tende anche con una certa facilità a rifiutare ogni norma diversa o non sostenuta dalla propria esperienza.
    In verità non tutto è problematico. Non mancano infatti interrogativi non banali e sintomi di malessere che esprimono le nostalgie dell'uomo di sempre. Anzi, proprio nel nostro tempo si avvertono potenzialità inedite e tendenze crescenti che aprono alla speranza. Sono forse solo esigenze o aspirazioni, ma dicono il travaglio dell'uomo verso sbocchi che rispondano al suo bisogno di vita autentica e di felicità (ETC 4).

    I. UN UOMO IN FERMENTO VERSO UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA

    Un fenomeno oggi assiomatico è l'attenzione estrema alla propria persona: la sollecitudine alla crescita personale è indubbia.
    Le forme e i modi intrapresi per giungere a tale traguardo sono i più diversi, ma tanti esprimono la ricerca di colmare un vuoto o di potenziare il proprio sviluppo. I rischi esistono: si chiamano narcisismo o ripiegamento, affermazione di sé o arrivismo. E tuttavia questo movimento della realizzazione personale risveglia tante energie assopite e rafforza il senso del proprio essere.
    È la volontà di sentirsi meglio, al riparo delle ricorrenti situazioni di frustrazione o svalutazione. Oppure è anche l'accresciuta consapevolezza delle profonde esigenze umane e spirituali cui dare risposta. Certo è che tale ricerca di «supersalute» non rappresenta il desiderio di evasione edonistica dalle dure realtà o dalle tensioni della vita. Assai più segnala una sincera ricerca di migliorare la condizione umana, riconoscendo e poi ricreando le disposizioni, i sentimenti e le situazioni che ne influenzano lo sviluppo positivo e arricchente.
    In definitiva, a un'attenta lettura, appare più veritiera l'interpretazione costruttiva del fenomeno rilevato. Immergersi in questa coscienza dello sviluppo vitale conduce immancabilmente ad esperienze cariche di conseguenze e dunque di responsabilità.
    A una prima considerazione si potrebbe ipotizzare che il soffermarsi troppo sulla centralità della propria soggettività sia un indulgere a un approccio egocentrico alla realtà umana. In verità, però, il promuovere l'espansione della singola umanità apre a una responsabilità che possiamo definire planetaria. Del resto è appunto operando sulla propria interiorità che ci si pone nella migliore posizione per «cambiare», per migliorare cioè i flussi sociali e culturali, per introdurre con responsabilità istanze nuove. Le azioni e interazioni personali risultano estensioni e proiezioni di ciò che si è, che si sente e che si crede: il meglio che si può fare per l'umanità sta nell'essere se stessi nel modo più aperto e ricco possibile. L'ambiente sociale e culturale rappresenta il tessuto connettivo dei rapporti personali. Per modificare dunque le nostre proiezioni occorre anzitutto mettere a fuoco il proiettore, ossia produrre cambiamenti in noi stessi.
    Questa nuova consapevolezza porta a riconoscere talune esigenze che si fanno evidenze forti in questo nostro tempo.

    1. Domanda di riferimenti morali

    Nonostante si viva oggi spesso per interesse o di opportunismi, ci si avvede che non tutto può essere trasformato in compromesso. Anzi, sempre più accade di constatare il danno della degenerazione egoistica del vivere sociale. Le ricerche sociologiche ci rappresentano a tappe il volto della gioventù: negli anni '70 gli adolescenti erano «spensierati», negli anni '80 si rivelano «consumisti», per il futuro si prospettano «imboscati», ossia si rifugiano nei dolci ricordi. Sono semplificazioni della realtà dell'universo giovanile, queste classificazioni. Rilevano però delle condizioni che fanno riflettere. Di fronte al crollo delle ideologie, il giovane va alla ricerca di modelli. I miti non bastano più e gli inganni perpetrati sono ritenuti un insulto. Non per nulla la richiesta insistente di qualità della vita non dice solo ricerca di benessere, ma anche di «essere bene», di star bene con sé e con la propria coscienza. Non per nulla le scelte professionali vanno ormai nella direzione di un assetto che assicuri più la realizzazione personale e la gratificazione del desiderio, che la soddisfazione di bisogni materiali.
    Il disagio diffuso della mancanza di riferimenti etici sicuri e l'individualismo che si concentra su se stesso in modo radicale stanno sempre più reclamando perentoriamente il ricupero delle radici umane della convivenza. Si fanno strada, pur nell'ambivalenza o anche nella contradditorietà, i valori quali la pace, la solidarietà, la legalità, l'autenticità..., trasformati in vera e propria cultura del vivere sociale. Sono riferimenti morali attesi, perché si possa fondare su sicuri pilastri il mutare delle cose umane in continua accelerazione. Mai come oggi si discute di etica professionale, di rifondazioni sulla base di principi morali che assicurino una praticabile convivenza. L'incoraggiante fenomeno dell'associazionismo e volontariato, che coinvolge milioni di persone, rivela, come la prova più lampante, il bisogno di vivere in autenticità i valori più urgenti: sono valori postmaterialistici. Sussiste davvero una domanda di riferimenti etici ed esistenziali.

    2. Esigenza di significati e di senso

    Il «grigiore quotidiano» attraversa spesso la vita dei giovani, affermano di quando in quando i giornali. Sembra che il «vuoto esistenziale» non trovi appagamento negli idoli propagandati o nelle proposte che vanno per la maggiore. Senza enfatizzare, sta però di fatto che, nel vagare degli avvenimenti, si fa viva una «volontà di significato» (V. Franld), che prorompe nelle espressioni sociali e culturali più differenti.
    Ne danno prova la diffusione di centri di «analisi esistenziale», che si prefiggono di far ricuperare alla gente comune i significati più semplici delle azioni e dei gesti quotidiani; il propagarsi di movimenti religiosi (New Age e sètte) e di manifestazioni misteriche che coinvolgono migliaia di persone in attesa di un magico evento risolutivo dei problemi umani; il moltiplicarsi di aggregazioni alla ricerca di una spiritualità genuina, che venga incontro all'esigenza del trascendente.
    Un forte richiamo al bisogno di senso suonano oggi le sempre più frequenti testimonianze di giovani, che non possono che far riflettere. «Anche con la luce accesa, mi sento al buio»: confessa una giovane ragazza di fronte a centinaia di persone, presenti a un convegno sulla «melanconia». E Alessandro di 21 anni, dopo una nottata in discoteca, dichiara a un giornalista: «Non ho una ragione per togliermi la vita, ma neppure un motivo valido per vivere». Così A. Mole scrive nel suo diario: «Che avvenire hanno i giovani d'oggi? Quali canzoni possono cantare? Non ci sono più montagne da scalare.
    Non ci sono più posti di lavoro... Ci danno palliativi e assistenza. Quel che vogliamo sono sogni e speranza». Il principio del piacere e la voglia di potenza possono certo sostenere il perpetuarsi di una vita, ma non risultano sufficienti a fornirgliene il significato. Solo nella ricerca del senso si attenuano le ansie dell'esistenza.

    3. Coraggio di porsi la questione educativa

    La supposta neutralità pedagogica di un tempo sta fortunatamente lasciando il posto alla convinzione della funzione educativa delle varie agenzie formative e al diritto dei differenti soggetti sociali a farsi mediatori dei loro valori. È un cammino arduo e in salita, ma se ne sta prendendo coscienza. Significativo è al riguardo il titolo di un quotidiano laico: «La scuola: l'educazione non abita più qui!», che dichiara senza remore la sua nostalgia o meglio denuncia una disfatta in attesa di riscatto. Prevenire, animare, orientare sono termini usati oggi con frequenza, anche nel mondo laico, per dire tutta la rivendicazione di educazione e formazione. Non c'è che da rallegrarsi di simile ricupero. Del resto un'accusa ormai avanza verso la scuola: essa non sarebbe altro che «il supermarket dell'indifferenza». Nella loro pur grande varietà di biografie, i giovani certo rincorrono modelli effimeri o falsi profeti, se non trovano proposte significative nella società. Ormai all'eccezionalità prediligono la normalità, e soprattutto ai miti preferiscono i maestri di vita.
    Questo è un duro appello agli educatori. Si rischia infatti di preoccuparsi delle mille cose da offrire o dei mille strumenti da procurare, dimenticando che il nucleo centrale della domanda sta nel «supplemento d'anima». Per superare la monotonia del consueto occorre qualcosa dentro. Che è uno stadio vuoto, se non una costruzione di pietra? Ma se nello stadio si gioca una partita, allora tutto si vivifica, le passioni prendono corpo, si esprime la vita di un evento. In questi termini si pone la questione educativa. A nulla vale usare le parole con le mutande per mascherare la realtà: non si può chiamare bene il male e male il bene. Le cose vanno identificate con il loro nome. A nulla serve dichiarare certe parole malate o proibite nella vita: il dolore, la morte, la fatica sono verità. Non ci si può nascondere dietro uno spillo, poiché tutti si accorgono che bari.
    La società nostra deve porsi con forza la questione educativa: ce ne avvediamo poiché essa non è secondaria, anzi si tratta del futuro delle generazioni e in definitiva della stessa civiltà.

    II. NOVITÀ DEI TEMPI RICHIEDE NOVITÀ DI PROSPETTIVE

    Di fronte alla novità del tempo presente il Papa chiama a «nuova evangelizzazione». È un appello che può trasformarsi in slogan ripetuto più che in una reale volontà di rinnovarsi.
    Le nostre Chiese in Italia da tempo si sono poste in «stato di missione». Memori che «il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione fondamentale della Chiesa» (EN 14), hanno compiuto la scelta dell'evangelizzazione attraverso i piani pastorali di questi ultimi decenni.
    Ora Giovanni Paolo II sollecita a una nuova evangelizzazione: la Chiesa deve operare «un grande passo in avanti» nel suo modo di evangelizzare, deve «entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario» (ChL 35). Stiamo di fronte a un vero progetto di Chiesa: «rifare il tessuto cristiano della società umana» e per questo occorre che «si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali». «L'ora è venuta per intraprendere una nuova evangelizzazione» (ChL 34).

    1. Nelle pieghe della nuova evangelizzazione

    Il Concilio, è ormai noto, ha avuto un taglio tipicamente pastorale: si trattava di progettare l'azione della Chiesa verso una nuova tappa apostolica per la salvezza del mondo.
    Il suo modo di considerare la «pastorale» non è restrittivo: non pensa solo a catechesi o liturgia. Anzi, essa coinvolge tutta l'opera educativa e promozionale dell'uomo. Ma se queste realtà conservano una loro autonomia crea-turale, tuttavia devono essere convogliate verso una sintesi vitale che le inserisca nell'azione evangelizzatrice della Chiesa per ricapitolare tutto nel mistero di Cristo. Ciò significa che la fede è criterio che orienta, è finalizzazione che coordina in una visione evangelica e infonde a tutto un significato cristiano.
    Il Vangelo non cambia: la fede rimane sempre adesione a Cristo. Ma che cos'è allora che porta a novità la nostra azione evangelizzatrice?
    Anzitutto c'è da rilevare il divenire umano di oggi con i complessi problemi del mutamento sociale e della cultura emergente.
    L'uomo ha bisogno, oggi come ieri, del Vangelo, ma come risposta di Dio alle interpellanze nuove che sta vivendo. Sono nuove frontiere di valori da illuminare con la parola di Dio per superare il dramma del dissidio tra fede e cultura. Del resto la strada della Chiesa è l'uomo, la sua condizione e la sua storia (RH). Il pericolo del secolarismo può intaccare la nostra azione, ma non si può dimenticare che i credenti sono pellegrini nel mondo d'oggi e sono chiamati a vivere negli impegni dell'indole secolare.
    L'uomo odierno poi si sente inserito in un cammino storico che guarda al futuro: ad esso si rivolge la lettura dei segni dei tempi. Più che memoria, si considera la storia progetto da realizzare, luogo in cui essere protagonisti del proprio avvenire, stimolo a un continuo rinnovamento e alla concretezza dell'impegno. Simile novità di prospettiva spinge a riconsiderare con serietà il senso dell'esistenza per ritrovare le molle nel Vangelo e le sue peculiari prospettive di futuro. Da una rinnovata considerazione della storia scaturisce la progettazione di nuovi modelli di sviluppo della società, fondata su aspirazioni rinnovate e inediti orizzonti di valori e di ideali.
    Ma pure in questo contesto permane la suprema novità del vangelo nella storia: Cristo, il volto di Dio. La nuova evangelizzazione poggia sull'evento della Pasqua. Non ci sarà mai novità più grande di questa: è la massima meraviglia del Dio vivente che si immerge nella storia umana; è la nuova creazione che viene anticipata nel nostro vecchio mondo; è metro di confronto per ogni altra novità. Se il progresso umano ha compiuto conquiste inattese, rimane vero che solo Cristo rivela in pienezza l'uomo all'uomo.
    L'azione evangelizzatrice è chiamata dunque a rinnovarsi alla luce di questi tre orizzonti nuovi, ma essa presuppone o richiede altre novità, che fanno nuova l'evangelizzazione.
    Si tratta in primo luogo di novità di metodo. Le scienze dell'educazione hanno compiuto grossi passi in avanti: non è possibile ignorarle. Anzi, con sensibilità educativa si valorizzano criteri e contributi pedagogici per pervenire a quella singolarità dell'educazione alla fede che richiedono i tempi.
    Allo stesso modo dobbiamo affrontare la novità dei linguaggi e del linguaggio che tanto sta modificando lo stile di vita dei nostri contemporanei. La diversità dei linguaggi rappresenta una vera ricchezza anche per la comunicazione della fede, specie per la gioventù odierna, tanto affascinata dai nuovi strumenti. Ma al contempo si pone la questione del linguaggio, espressione del nostro stile di relazione. Comunicare è partecipare qualcosa di noi, dar voce ai nostri messaggi, trasmettere la nostra esperienza. Lo possiamo compiere in modo narrativo, simbolico, analogico o anche argomentativo, logico, deduttivo. Tutto sta a trovare la via più consona per comunicare la fede al giovane d'oggi: se le categorie mentali sono in dissonanza, difficilmente si potranno capire i messaggi trasmessi, anche i più sublimi.
    A tale scopo è indispensabile una novità di attenzione ai soggetti dell'evangelizzazione. Essa si esprime in una loro nuova considerazione: più che destinatari, sono autentici «protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale» (ChL 46). E ancora, come asseriva Paolo VI, sono da formare più testimoni che maestri (EN 21). Si tratta perciò di curare la mente e il cuore. Di fronte alla sfida della nuova evangelizzazione necessitano uomini spirituali che fanno della loro interiorità apostolica una sorgente di vita personale e una fonte di motivazioni all'azione.

    2. La sfida di una nuova educazione

    La centralità dell'uomo nel mondo e nella storia che va crescendo sempre più, conferma la massiccia svolta antropologica cui assistiamo con simpatia: è uno dei segni dei tempi più vigorosi. Tale consapevolezza sta influenzando ogni campo d'azione umana e cristiana. Una rinnovata attenzione all'uomo richiede necessariamente una nuova educazione che è per noi creativa e insieme fedele.
    Quando le persone vengono condizionate da una cultura emergente, ciò comporta di necessità l'esigenza di ripensare l'educazione: essa è infatti il compito primario e fondamentale di ogni cultura.
    La formazione dei giovani alla fede presenta oggi numerosi aspetti singolari da esigere una nuova educazione. La novità dei valori emergenti nella società e al contempo il rischio di prescindere dall'evangelo nel viverli, incidono decisamente sul fatto educativo e necessariamente ci interpellano.
    La gioventù si sente sfidata dalla vita, matrice e sintesi di ogni provocazione odierna: essa pone l'urgenza di ricomprendersi nelle fondamenta del proprio essere e agire.
    La nuova educazione si sbilancia quindi nel mirare alla crescita e maturazione del giovane nei suoi criteri di giudizio, nel senso etico dell'esistenza, nell'orizzonte della trascendenza, nello stile di vita. Senza abusare della parola, si tende a crescere un uomo nuovo. Ma in quale orizzonte? L'apertura al trascendente della persona chiama in causa Cristo, unico vero «uomo nuovo». La fede ci svela che l'uomo concreto, storico, viene coinvolto come creatura nel progetto di Dio ed è chiamato a diventare creatura nuova in Cristo. Del resto noi crediamo nell'uomo, non perché lo conosciamo nella sua cronaca e nel suo itinerario quotidiano, bensì perché è creatura di Dio. Questo fonda la nostra fiducia. «E la irrimediabilità di essere creatura di Dio la devo valorizzare sul piano educativo», perché è collegata all'identità storica di ciascuno (A. Ballestrero).
    Educare ed evangelizzare si coniugano allora strettamente: il dinamismo ispiratore della carità pastorale spinge e anima continuamente verso il traguardo, e l'intelligenza pedagogica guida nella progettazione educativa, che si esprime nella bontà delle relazioni, nella capacità di lettura della realtà umana e della relativa cultura, nella prospettiva di un sistema di valori che sa trascendersi nel senso ultimo dell'esistenza.
    Significativo diviene allora lo slogan: «Evangelizzare educando ed educare evangelizzando». È una formula carica di espressività che compone i termini in sintesi pur nella distinzione.
    Ciò non sottrae l'educazione al compito della sua tipica qualità. La prima e fondamentale qualità è andare ai giovani, farsi prossimi, realizzando una convivenza che è espressione di condivisione. Il giovane è soggetto attivo e deve sentirsi coinvolto da protagonista nella sua educazione. Ci guida in questo la convinzione del primato della persona del giovane, del valore essenziale della sua libertà, dell'importanza di orientare verso la propria responsabilità. Si tratta di un vero patto educativo condiviso, che si trasforma in sereno ambiente di famiglia, in laboratorio formativo alla vita, in tessuto di relazioni d'amicizia, in luogo di crescita umana e di proposta cristiana.
    Lo stile educativo di qualità inoltre si concentra in una parola: «preventività». Essa dice arte di educare in positivo, anticipando esperienze problematiche e proponendone di significative, capaci di incidere in profondità. Dice ancora capacità di far crescere dal di dentro, di fornire le motivazioni interiori che sostengono la vita, di dare un'anima a quanto viene vissuto quotidianamente. E inoltre dice abilità di conquistare il cuore del giovane per aprirlo al bene, per fargli assaporare la gioia della generosità, per accompagnarlo nella scelta di un progetto di vita e di un impegno professionale, che lo renda cittadino consapevole e cristiano impegnato. Si tratta quindi dell'arte di saper sviluppare una personalità capace di decisioni autonome e di discernimento responsabile, perché possa emergerne la dignità in pienezza.
    Qualità significa poi formare alla vita quotidiana con saggezza e sapienza. A tale scopo si devono assumere gli interessi del giovane. Il tempo libero offre spazio alla creatività e all'iniziativa, dà l'opportunità di esercitarsi nel protagonismo, favorisce l'esperienza della vita aggregata. Il gruppo, elemento fondamentale per l'educazione di adolescenti, facilita l'acquisizione dei valori e introduce in esperienze comunitarie più vaste.
    Il tempo occupato invece svolge la funzione importante di educare al realismo della vita. La spontaneità delle espressioni si deve coniugare con la fatica di un impegno oneroso. Il dovere quotidiano, vissuto con responsabilità, forma alla vita sociale e professionale, e diviene luogo per dare il contributo di servizio per il progresso e lo sviluppo del proprio paese e del mondo.

    3. Evangelizzare la cultura e le culture dell'uomo

    Già Paolo VI sollevava esplicitamente questa urgenza con le parole ormai citatissime. Bisogna impegnarsi a vincere la frattura tra vangelo e cultura attraverso un'opera di inculturazione della fede, capace «di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità... Occorre evangelizzare non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici, la cultura e le culture dell'uomo» (EN 18-19).
    Il Papa attuale riprende quest'ansia pastorale e la rilancia come un tipico compito dei laici: «La Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, ... perché si giunga ... al riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione mediante le originali ricchezze del vangelo e della fede cristiana» (ChL 44).
    Si tratta in definitiva di un servizio da compiere verso la persona e la società umana, poiché la cultura, in senso conciliare, deve ritenersi come il bene comune di ciascun popolo, l'espressione della sua dignità, libertà, creatività; la testimonianza del suo cammino storico. Lievitare la cultura allora è un compito eminentemente evangelico: solo al di' dentro e tramite la cultura infatti la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia (ChL 44). Peraltro la sintesi tra cultura e fede non è solo un'esigenza della cultura, ma della stessa fede.
    Occorre allora scoprire una nuova mediazione culturale e una nuova presenza attiva nella società, in cui impegnarsi.
    La cultura del resto nasce con l'uomo, è opera sua. Non la si può considerare un assoluto: è per sua definizione da costruire. E l'educatore si deve rendere partecipe in quest'opera con la sua mediazione per riconoscere i valori del bene comune e comprendere le differenze per passare dalla cultura dell'indifferenza a quella della differenza, o meglio alla convivialità delle differenze, fondata su valori duraturi.
    Il vangelo in questo non solo illumina, ma fermenta. Cristo infatti, facendosi uomo, entra nella cultura del tempo con un duplice apporto: portare la vita a pienezza e insieme purificarla.
    Così gli educatori cristiani hanno il compito di permeare la cultura attraverso la presenza e l'azione loro e delle comunità dei credenti. Per essi promuovere la cultura nella società significa prioritariamente educare l'uomo, il giovane, a vivere la propria realtà culturale alla luce dell'evangelo, incarnato nella storia del Dio vivente che accompagna il suo popolo nuovo lungo le vicende del tempo e realizza in questo il suo disegno di comunione con l'umanità intera.
    Il vangelo non è una dottrina, porta con sé il vigore di una nuova creazione da immettere nella storia concreta della comunità degli uomini. La nuova evangelizzazione si realizza proprio attraverso l'inculturazione della fede. Ciò richiede chiarezza di discernimento per riconoscere i «semina Verbi», per promuovere i valori cristiani, per far breccia nella cultura delle istanze radicali dell'evangelo.

    4. Sviluppare una nuova comunicazione

    Per mettere in relazione con la fonte viva della cultura migliore è necessaria la trasparenza. Ma in un ambiente ricco di messaggi e di proposte come il nostro si rischia la babele delle lingue, la pratica difficoltà di sintonizzarsi. Come ricevere allora i messaggi? In che modo ci si può mettere in sintonia?
    Nell'educazione come nell'evangelizzazione ha assunto rilevanza massima nei tempi recenti la comunicazione: si tratta di comunicarsi e comunicare in forma decodificabile e intelligibile tra soggetti diversi.
    Ma la questione non è di facile soluzione: i sistemi si sono trasformati da semplici in complessi. Oggi gli interlocutori sono numerosi, le comunicazioni non definite, innumerevoli le tematiche, molteplici i canali... Un'immagine che illustra la situazione è quella dell'agente di borsa, che compie nello stesso tempo molteplici gesti comunicativi.
    Conversare con un qualsiasi gruppo giovanile è oggi relativamente facile: tutto viene sottoposto a commento, ma ogni cosa è anche solo sfiorata. Nulla si può sottrarre a un'opinione o una critica, come niente obbliga ad adesioni di sistemi di pensiero. Ognuno sembra posto nella libertà di informarsi e di esprimersi.
    La questione della comunicazione si pone allora in termini nuovi. Coscienti che l'èra elettronica crea resistenza ai concetti astratti e predilige l'immagine, e che fa rimanere indifferenti di fronte alle argomentazioni per cogliere le narrazioni simboliche, ci si apre a nuova consapevolezza della situazione.
    Oggi la capacità di entrare in sintonia con persone o eventi forgia interiormente la persona e il suo sviluppo. La comunicazione appare ormai ergersi a istanza determinante di sopravvivenza, poiché lambisce ogni dimensione della vita e tocca qualsiasi campo del vivere sociale. Essa non fornisce solo informazioni, ma anche idee, produce consensi e propone stili di vita.
    In questo contesto il giovane è aperto a recepire ogni messaggio, a la- sciarsi interpellare dalle varie proposte; anzi egli stesso diviene artefice di questo nuovo modo di interagire.
    Impara perciò a informarsi adeguatamente, a selezionare i dati, a valuta- re i messaggi. E così non si accontenta della comunicazione verbale, ma si immerge in quella simbolica, gestuale, musicale, correndo il rischio della massificazione o implosione.
    Di fronte a ciò l'educatore sensibile riconosce la sfida e cerca di rispondervi in diverse direzioni.
    La prima scelta rimane quella dell'incontro personale: il rapporto a di- stanza, il legame d'autorità non costruiscono relazione educativa. Il dialogo a tutto campo e la relazione di trasparenza sono supporti inevitabili oggi per comunicare coi giovani.
    L'immagine che rende la situazione è il supermarket: si ha tutto in visione, si possono controllare i prezzi, orientarsi nei gusti e quindi scegliere, almeno apparentemente. Il giovane cresce nella sua identità, componendo il proprio mosaico. Allora diviene importante la testimonianza di vita, che sola troverà facilmente udienza nel marasma delle parole. Un educatore dovrà saper orientare verso scelte di valori tra la molteplicità dei messaggi più vari e spesso contrapposti con la forza della sua trasparenza.
    La seconda scelta va nella direzione del patto educativo che si viene stabilendo. La libertà va guadagnando terreno, anche in senso permissivo. Cionondimeno rimane al centro del patto con l'educatore. Le proposte vengono interiorizzate e fatte proprie in consapevolezza della propria soggettività dentro il rapporto educativo. Se il giovane non si sente coinvolto nell'esperienza di una proposta o di un valore, sarà ben difficile che questa diventi patrimonio vitale per la sua esistenza o propulsore efficace nella crescita.
    E infine la terza scelta riguarda la creatività. Le istituzioni educative sembrano aver perso la forza vitale che avevano nel passato. Programmi e funzioni, norme e strutture influiscono senza dubbio nel tessuto dell'inconscio. E tuttavia sono in particolare i «mondi vitali» a forgiare le personalità. L'opportunità dell'apertura spontanea, della libera condivisione, del clima di amicizia elettiva, dell'adesione vicendevole a progetti, del linguaggio prevalentemente immediato, rende questi luoghi ideali per la sensibilità giovanile e per la proposta educativa.
    Oltre al contesto descritto, l'impegno per la cultura richiama il problema della comunicazione sociale come fenomeno di massa. Essa resta la via attualmente privilegiata nella trasmissione ed elaborazione della cultura. La prospettiva di sviluppo sta nella società della comunicazione che avanza a grandi passi. Del resto la comunicazione sociale non è più questione solo di mezzi, ma diventa sempre meglio una presenza plasmatrice di mentalità e creatrice di cultura. Per suo tramite vengono diffuse evidenze collettive che rafforzano o promuovono modelli di vita e criteri di giudizio. Nelle forme più sofisticate del linguaggio delle immagini, esercita un ruolo decisivo nel costume.
    Nell'uso urge da una parte l'opera educativa alla comprensione del linguaggio e al senso critico. Dall'altra necessita un'azione di promozione della verità, di rispetto della dignità personale, di impegno di elevazione culturale della gente. E al contempo suppone un rifiuto deciso della manipolazione e di ogni forma di distorsione che cada nel relativismo e violi il rispetto delle persone nella loro integrità. L'educatore quindi, oltre a formare il senso critico, ha davanti l'arduo compito di intervento positivo per influire sulla visione della realtà.

    III. NOVITÀ DI TEMPI RICHIEDE NOVITÀ DI IMPEGNO

    A simili sfide si risponde generosamente con «novità d'impegno». Il mandato di educare i giovani alla fede si inserisce come «una delle grandi istanze della nuova evangelizzazione», afferma il Papa. E i Vescovi asseriscono che esso rappresenta anche «una via privilegiata per annunciare e testimoniare il vangelo della carità» (ETC 43) per gli anni 90.
    Nel cammino di educazione dei giovani alla fede cui siamo chiamati, novità di impegno significa in sostanza che l'evangelizzazione deve essere, come ripete il Papa, «nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione». È un cammino da compiere che esige conversione della mente e del cuore, creatività pastorale ed educativa, inventiva nelle espressioni vitali.

    1. Cammino nuovo nel suo ardore

    La novità di ardore nella nuova evangelizzazione si traduce concretamente in un rinnovato slancio missionario e in una profonda interiorità apostolica.

    1.1. Con uno slancio missionario rinnovato

    Il cammino di fede con i giovani deve essere tutto ispirato e impregnato di impegno missionario e apostolico.
    L'educatore si apre al mondo giovanile, specie se povero e abbandonato. Accoglie ciascuno dei giovani nella situazione e ai livelli in cui si trovano nella loro crescita, e li accompagna verso la pienezza di umanità e di vita cristiana senza preclusione alcuna, anzi guardando con predilezione a quanti faticano maggiormente lungo la strada.
    Tale compito missionario spinge il singolo e la comunità a ripensarsi e rinnovarsi alla luce del vangelo, sicuri che gli stessi giovani ci impediscono di ripiegarci sul passato e ci spingono a scoprire risposte nuove e coraggiose.
    Lo slancio apostolico non ci permette di tentennare sulla mèta. Essa è ben chiara ed esplicita: ossia servire il giovane rivelandogli l'amore del Padre, che ha preso volto in Cristo. È un aiutare a costruire la propria personalità avendo Cristo come riferimento, è un promuovere integralmente orientando a Cristo, l'uomo perfetto.
    In quest'azione l'educatore sa che il suo messaggio è in sintonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano, che solo nel mistero di Cristo trova vera luce il mistero dell'uomo, poiché egli svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (GS 21-22). Egli crede profondamente, nella sua passione apostolica, di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana (GS 10).

    1.2. Con interiorità apostolica profonda

    Per il compiersi della missione di salvezza c'è un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile: la sorgente segreta e la misura infallibile dell'operosità apostolica e dello slancio missionario è la santità (ChL 17). Essa richiede un cammino di autentica e matura interiorità (ETC 46).
    Il nuovo dell'evangelizzazione sta, specie in questo, nel dinamismo spirituale che scaturisce dalla carità pastorale e che comporta insieme la conversione spirituale e il rinnovamento pastorale. Sentendosi chiamati ad essere in prima istanza testimoni di Cristo, gli educatori si rinnovano nel loro impegno di educare alla fede. Sanno che la testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma di evangelizzazione e che la nuova evangelizzazione richiede la conversione del cuore e dell'agire.
    L'interiorità apostolica esprime tutta questa ricerca spirituale: essa diviene così fonte del cammino di fede, ispirazione di tutta la propria azione, traguardo del percorso di crescita tracciato. Il nuovo ardore riguarda dunque il cuore, la mente e l'azione di chi evangelizza, dell'apostolo. E la forza dell'evangelizzazione risiede al contempo sia nel vigore peculiare dell'evangelo che viene annunciato, come nella convinzione dei testimoni che vivono la proposta evangelica. A tale scopo gli araldi dell'evangelo sono oggi i testimoni fedeli della Parola che salva, chiamati ad annunciarla con la santità della vita.
    L'educatore alla fede con la sua interiorità apostolica diventa davvero il protagonista strategico della nuova evangelizzazione. Occorre che egli abbia fatta sua vitalmente la verità rivelata e che consideri con serietà le novità culturali del tempo, ma assai più deve considerare indispensabile il rinnovamento del cuore, che è l'anima dell'evangelizzazione. Senza una cura particolare dell'interiorità apostolica non si avrà l'auspicato rinnovamento.
    La nuova evangelizzazione sarà frutto di interiorità: di qui sgorga la possibilità di nuove forme apostoliche.
    In don Bosco l'arte pedagogica della sua sintesi vitale prorompe nell'ardore apostolico del cuore.

    2. Cammino nuovo nei suoi metodi

    Sotto il profilo del metodo la novità conduce in mare aperto. Si tratterebbe di ripensare l'intera metodologia educativa e pastorale. Evidentemente questo non può essere qui il nostro intento. Solo ad esemplificazione presentiamo due categorie, fulcri di rinnovamento della nostra azione apostolica: sono l'incontro e il vissuto.

    2.1. La metafora dell'incontro

    Nel cammino di educazione alla fede si riscopre sempre più, soprattutto oggi, la necessità del contatto personale. Nell'anonimato attuale, sentirsi chiamare per nome spalanca il cuore. Pur in una società definita della comunicazione, rimane veritiero il fatto che si soffre oggi di tanta incomunicabilità nelle variabili più differenti e molteplici.
    Diviene centrale nell'educazione e nell'azione pastorale trovare il modo di mettersi in sintonia per poter comunicare. I disturbi comunicativi rendono difficoltoso l'esito, ma non vi sono altre vie d'uscita. La metafora dell'incontro centra assai bene la questione. L'evangelo è ricco di incontri emblematici. La nostra vita quotidiana è immersa in un intreccio di incontri, ma ciò che vale è l'incontro significativo, un accostarsi senza pregiudizi e con animo aperto per riconoscersi in dignità. La consapevolezza di essere due libertà che si comunicano nella libertà ci aiuta a costruire una relazione autentica di base. Non si edifica nella prevaricazione, seduzione, manipolazione. Creare libertà di spirito è la piattaforma migliore per un incontro vero. Del resto solo in un simile tessuto si può riconoscere la presenza misteriosa di Dio e intessere con Lui un'alleanza viva e duratura. È in questo impegno di educazione trasparente che si riconosce il luogo privilegiato dello stesso nostro incontro con Dio come educatori.
    L'incontro esige di mettersi in gioco in prima persona.

    2.2. La realtà del vissuto

    Parlare di vissuto può significare cose molteplici. In particolare può voler dire interessarci all'estensione del vissuto dell'evangelizzazione, che necessariamente, secondo quanto siamo andati dicendo, sarà «tutta l'esperienza giovanile» (ETC 45). Ancora potrebbe indicare la sollecitudine verso il terreno su cui collocare il messaggio evangelico, che per noi sono i solchi dei processi educativi in vista della maturazione della personalità cristiana (EN 41). Oltre ci sarebbe anche l'attenzione da porgere ai soggetti dell'evangelizzazione nel loro vissuto di protagonisti della propria educazione e formazione (ETC 46).
    E infine consiste nella voglia di tentare una lettura profonda del vissuto di fede, evangelizzato «in maniera vitale» (EN 20).
    Oggi ci si interroga solitamente su un ventaglio di questioni che riguardano sensibilità nuove, rinnovate modalità, forme inedite. Ma centrale rimane la questione della visione di fede che abbiamo. Occorre trovare il coraggio di ripensarla in novità.
    La fede è certamente quella di sempre (dimensione veritativa), ma è una realtà viva che vivifica: la fede è evento, è alleanza, è salvezza, è pienezza di vita. Si tratta allora di rivisitare la fede nell'oggi, di «rendere ragione», di significare, di riattualizzare. Occorre rifondare l'affidabilità o attendibilità dalla fede, poiché in tempo di irrilevanza e indifferenza risulti ancora piena di senso per l'uomo della strada, come una ragione di vita per il proprio quotidiano.
    Oggi poi sembra che fede e vita scorrano su binari paralleli. Eppure un vissuto non è tale se non si incarna nel tessuto della vita quotidiana. Del resto l'obiettivo sta nel giungere a «vedere la storia come lui, giudicare la vita come lui, scegliere e amare come lui, sperare come insegna lui, vivere in lui la comunione con Dio» (RdC 38). Nulla deve rimanere estraneo alla fede: ciò che è dell'uomo e della sua storia riguarda la fede. Per questo viene affermato che «il vangelo è il più potente e radicale agente di trasforma- zione e di liberazione della storia» (ETC 38).
    Ma ridire la fede nel cuore della vita significa anche ripercorrere la vita di fede in compagnia. La fede non è un vestito più o meno bello, bensì uno stile di vita in cui ci si può riconoscere e ritrovare: si diviene compagni di viaggio in un cammino di crescita comune nella Chiesa, costruendoci in Cristo come uomini nuovi. Per questo siamo provocati a testimoniare vicendevolmente la vita teologale come anche un chiaro impegno etico; siamo sollecitati a comunicare la fede non con parole vuote, ma nello Spirito del Dio vivente; siamo chiamati a educarci insieme accompagnandoci nel cammino per condividere in comunione.

    3. Cammino nuovo nelle sue espressioni

    In quest'ottica la nuova evangelizzazione impegna a scoprire nuove forme di espressione dell'esperienza di fede. Manifestazioni del passato non corrispondono più al sentire del giovane d'oggi.
    Spesso certe forme diventano un vero gravame per la fede. Bisogna saper aprirsi allo Spirito che apre a novità di espressioni. Si tratta in particolare di ricercare i nuovi valori giovanili e di aprirsi a nuove frontiere di impegno.

    3.1. Ricercare nuovi valori giovanili

    Il cammino di fede orienta nella ricerca e scelta dei nuovi valori. Diffuso tra i giovani c'è un senso di disagio: il vecchio non va più, ma si fatica a intravvedere il nuovo. Le contraddizioni sociali rendono difficile la ricerca, eppure emergono con evidenza nuove potenzialità. Interpellano gli educatori «la domanda di un significato della vita, la ricerca di valori e di esperienze spirituali» (ETC 4-6) dei giovani.
    Bisogna allora far appello alle ricche risorse dell'intelligenza e del cuore, e fari spazio al desiderio di Dio che ciascuno porta in sé. Le risposte le troviamo nell'accogliere la vita, nell'interrogarci sulle proprie aspirazioni profonde, nel lanciarci coraggiosamente più in là del visibile e dell'esistente.
    La sfida viene raccolta quando si dà volto concreto al rispetto della libertà e all'unicità della persona, quando si va incontro alla sete di autenticità e si costruisce un nuovo stile di reciprocità, quando il riconoscimento dei valori della pace e della solidarietà ci trasforma dal di dentro, quando la passione per un mondo più giusto ci porta a prendere decisioni conseguenti. Sono questi i semi che lo Spirito porta a compimento nella novità.

    3.2. Aprirsi a nuove frontiere

    Il Vangelo si vive «servendo la persona e la società» sui nuovi fronti che stanno emergendo nella società. Il pericolo della cecità rimane per timore o sospetto: è la paura di guardare oltre i propri confini ed è il dubbio di chi resiste al nuovo.
    La ChL offre un quadro complessivo di nuove frontiere (36-44), che precludono ogni ignavia e superano le resistenze.
    Nuova frontiera è promuovere la «dignità dell'uomo», centro e vertice di quanto esiste sulla terra, soggetto e protagonista della sua esistenza: ciò implica il riconoscimento dei diritti della persona, tra cui il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa.
    Nuova frontiera è stimolare «l'impegno nella società», attuando la solidarietà sia nel sociale (volontariato) che nel politico (bene comune), e ponendo l'uomo al centro della convivenza sociale, nell'organizzazione del lavoro, come nella questione ecologica e nella ricerca di etica professionale.
    Nuova frontiera è evangelizzare «la cultura e le culture dell'uomo»: suo compito fondamentale ed essenziale sta nel formare l'uomo «pienamente educato» e «spiritualmente maturo».




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