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    Volontari e servizi d’ordine



    Oltre la pastorale del bonsai /5

    Domenico Sigalini

    (NPG 1998-09-53)


    Siamo alle porte del 2000. Roma si prepara ad accogliere i pellegrini dell’Anno Santo. Molti giovani da tempo telefonano da tutto il mondo per offrirsi come volontari o per la Giornata Mondiale della Gioventù o per i programmi giovanili del giubileo o per qualsiasi altra iniziativa concreta, organizzata, in cui ci siano grandi spazi comunicativi e possibilità di offrire la propria voglia di essere utili. Per il pellegrinaggio Macerata-Loreto che si svolge da più di vent’anni, promosso e sostenuto da Comunione e Liberazione, ci sono almeno mille volontari che preparano l’evento con precisione, creatività organizzativa e preveggenza. La convention del Rinnovamento dello Spirito che si tiene annualmente a Rimini può contare su volontari, adulti e giovani, che in pochi giorni sanno organizzare 50.000 persone, con una dedizione senza remore e grande professionalità. La route nazionale o internazionale degli Scout non ha problemi di servizio d’ordine: fa parte della stessa struttura associativa. I grandi Confronti che ogni due anni, da dieci a questa parte, il Movimento Giovanile Salesiano celebra, conta su una struttura organizzativa di volontari molto creativa, capace di favorire tradizione e innovazione. Non sono da meno il gruppo di suore e laici della rivista Primavera nel loro raduno annuale o l’Azione Cattolica Giovani e dei Ragazzi che l’anno scorso hanno radunato a Roma in due occasioni abbastanza vicine circa 100.000 partecipanti. Alle spalle un gruppo professionale sostenuto da moltissimi giovani volontari. Non si contano quegli incontri che ormai fanno parte di quella che io chiamo pastorale della convocazione, che interessa zone pastorali, diocesi, regioni, parrocchie. In questi grandi raduni la parte organizzativa è sempre sorretta da giovani volontari.
    Del resto chi non ricorda i famosi volontaires o bénévoles di Parigi, con tanto di T-shirt verde, che a noi lombardi richiamavano tanto le guardie della Padania? Qualche ragazzo al ritorno da Parigi se li è sognati per notti intere, in benedizione per l’acqua e i preziosi servizi che ci hanno fatto, in maledizione per gli atteggiamenti eccessivamente teutonici della divisione per sei al pranzo o della definizione degli alloggi. A Bologna nel massimo della confusione dei saccopelisti, chi non ricorda il gruppo di Giuseppe, telefonino sempre in attività, cipiglio da bodyguard, tenuta da vigile del fuoco, che ha organizzato in una serata la possibilità di dormire per 70.000 persone, quando ne erano previste solo 5.000?
    Sono insomma grandi riunioni, pellegrinaggi diocesani, feste, marce, raduni associativi, incontri di tutti i giovani di alcune province religiose, confronto di movimenti, convention nazionali periodiche, che si avvalgono di una quantità di giovani per far funzionare bene le cose, per organizzare accoglienza e celebrazione, spettacoli e partecipazione, pranzi e bivacchi. In Italia ogni anno sono sicuramente nell’ordine delle migliaia.

    Il volontariato per le sagre di paese o le feste stagionali

    Un altro fatto simile a questi è la aggregazione spontanea che nel quartiere, nel paese o nella parrocchia, si fa in vista della festa patronale o della festa di fine estate, di inizio primavera... Si deve allestire un palco, soprattutto una mensa.
    Qui giovani e adulti assieme si organizzano con una generosità che diresti degna di miglior causa. Per loro però la parrocchia, se riesce anche a tirarsi su quattro soldi per finanziare le attività educative estive, qualche pellegrinaggio, qualche pezzo di muro da mettere a disposizione dei ragazzi persegue un fine molto nobile, concreto ed è autentica dimostrazione di fede. Può essere della serie: « mi faccia lavorare, ma non mi faccia prediche»; rappresenta però una dedizione e volontà di mettersi a servizio, che, se viene seguita con atteggiamenti educativi e rispettosi delle persone e dei loro ideali, e non invece orientata subito all’efficienza, può diventare formativa, può aiutare dei giovani a tirarsi fuori dall’inedia e far brillare loro la bellezza di una vita donata.
    Si potrebbe continuare ad elencare tenendo conto di chi fa il volontario in maniera stabile, come gli aderenti all’Unitalsi, i barellieri dei malati, i giovani che prontamente rispondono alle esigenze improvvise dovute alle calamità naturali, i giovani che partecipano a campi di lavoro. Il discorso si farebbe più complesso e, per certi versi, non omogeneo. Mi interessa in questa sede non tanto parlare del volontariato in senso stretto, ma di questa semplice fetta di giovani che fa servizio d’ordine ad attività formative o eventi ecclesiali.

    Guardiamo dentro il mondo dei servizi d’ordine

    Questi giovani talvolta nascono dal nulla. Avevi disperato di trovare qualcuno che ancora potesse applicarsi a qualcosa di più del sedersi sui gradini della chiesa, invece eccoteli lì, con tanta voglia di fare. Talvolta sono ragazzi aggregati, che circolano attorno alla comunità cristiana, ma sanno raccogliere attorno a sé la banda dei motorini che aspettano di poter fare qualcosa, di non essere parcheggiati in qualche gruppo a parlare o a riflettere, anche se ne hanno una estrema necessità. Si telefonano, si danno appuntamento a scuola; hanno un loro tam tam che si diffonde senza troppe difficoltà. Il giorno giusto tu li vedi pronti per l’azione. Ci sono dei capi storici, ci sono quelli che l’altra volta non hanno potuto perché avevano l’esame o iniziavano le ferie con la ragazza, ci sono le reclute. Si fanno alcuni incontri preparatori per definire le cose da fare, ci si distribuiscono gli incarichi e le responsabilità e poi si parte: sacco a pelo, scarpe buone, Autan, tappi per le orecchie, deodoranti, carte telefoniche per i pivelli, telefonino per i capi: non si sa mai dove si finisce e sotto quale ponte ci faranno dormire. È voglia di avventura, è generosità a fior di pelle, è fascino di una divisa, di un bracciale che ti distingue, è voglia di avere un capo cui obbedire... è soprattutto generosità di servire, anche se va molto purificata dall’ingenuità di trovarvi la soluzione ai problemi che si vogliono spesso dimenticare nell’iniziare.

    Il servizio e il senso

    Molte volte purtroppo la loro generosità è utilizzata senza prevedere momenti di crescita e di maturazione. Tutto è lasciato al caso, alla bella esperienza, alla situazione magica che qualche volta si realizza. Spesso però vivono momenti di grande solitudine soprattutto spirituale. Spesso sono giovani che fai fatica a mettere assieme in un gruppo, sono i drop out delle nostre associazioni o iniziative formative. Hanno cominciato a settembre, ma prima di Natale ne erano già fuori. Sono i famosi che hanno fatto la fuga dopo la Cresima, che si sono messi ad arrotolare le lenzuola e a segare le sbarre di una formazione talvolta ricattatoria fin dai primi anni delle scuole dell’obbligo, sognando la Cresima come il momento dell’affrancamento e della libertà, quella dello Spirito, s’intende. Oggi invece sono lì, pronti a mettere una qualsiasi divisa, un foulard, un bracciale. «Basta che non mi facciate tante prediche e mi lasciate con i miei amici».
    Pensare al servizio d’ordine come areopago di fede significa far diventare questa esperienza un cammino di crescita nella vita cristiana. Quali sono gli ingredienti cui pensare?
    * Una attenzione alle motivazioni con cui i giovani hanno deciso di mettersi a disposizione. Le motivazioni sono tante, molte non sono eccessivamente nobili o di generosità, sono comunque energie di cui si può disporre per agire. Siccome sono scattate improvvisamente, sono spesso non coscienti, nemmeno tutte ben orientate né meditate. Rispondono di più al fascino di una idea, al racconto entusiasmante di una bella esperienza fatta dall’amico che a una scelta meditata. Del resto quando qualcuno ti chiede di dargli una mano decide più l’impulso e il clima, la voglia di cambiare che la progettualità della vita. Questa va scomodata per altre cose più serie. Le motivazioni però sono sempre la prima chiave di ingresso per dare un nome all’esperienza e per farla diventare momento formativo. Vanno tutte rispettate e lentamente, in un clima di grande comunicazione, aiutate a purificarsi. Capiteranno momenti insostenibili, deludenti, non corrispondenti alle attese: non sono disgrazie, ma momenti di crescita se le motivazioni hanno fatto un salto di qualità.
    * Un clima di grande comunicazione. C’è una comunicazione personale, tra amici, tra gruppi di servizio omogeneo, tra giovani dello stesso turno di servizio, ma ci deve essere anche una comunicazione corale che fa sentire il bello di essere una comunità. Se a un servizio d’ordine togli la possibilità di ampliare il campo personale delle conoscenze, dei dialoghi informali, delle lunghe chiacchierate nei tempi morti, lo privi della stessa tenuta organizzativa. I ragazzi fanno anche le ore piccole, sgobbano senza sosta per turni impossibili, ma hanno bisogno di potersi dire e potersi ascoltare. Comunicare è presentare la propria anima all’altro e sentirsene affidata la sua. È uscire dalla solitudine per cercare luoghi e esperienze in cui ti senti rappresentato, in cui vedi che qualcun altro vive le tue stesse paure, ansie, ricerche e conquiste. Ed è più facile parlare con qualcuno quando hai lavorato con lui una giornata o quando la fatica ha ridotto tutte le difese, che in un gruppo attorno a un tavolo, dove non riesci a sentirti a tuo agio, dove ti senti giudicato, o necessitato a dire cose belle, mentre dentro vorresti mandare tutti al diavolo.
    * Una progettualità cosciente e interiorizzata non solo sulle cose concrete da fare, ma soprattutto sull’obiettivo del servizio che si svolge, sul significato che riveste l’iniziativa o il raduno o il pellegrinaggio. Spesso purtroppo si utilizza il servizio d’ordine come una forza lavoro, della serie: «voi non pensate, eseguite solo». L’efficienza è sicuramente un obiettivo primario, perché non si fa servizio d’ordine per fare catechesi o educazione alla fede, ma per servire una causa oggettiva. È pur vero però, come in un qualsiasi lavoro, che se le persone che lo eseguono sono motivate, capiscono le intenzioni di chi lo propone, entrano nella mens che lo governa, ne avvantaggerà molto anche la stessa esecuzione. Se le iniziative sono di evangelizzazione o di carità, a maggior ragione offrire tutta la gamma delle motivazioni e degli obiettivi fa fare un salto di qualità alla stessa vita di questi volontari. Diventano utili alla sua realizzazione globale, ma soprattutto i giovani sono disposti a crescere con la tensione evangelizzatrice che l’iniziativa si pone. I giovani che hanno fatto servizio d’ordine alla Giornata Mondiale o a Bologna, sapevano di servire l’incontro dei giovani con Cristo, la celebrazione della vita come eucaristia o dovevano solo controllare i pass e distribuire i pasti?
    * Una esperienza di spiritualità organizzata apposta per loro per provare nella interiorità e nel silenzio della propria anima ciò che servirà per tutti gli altri. Ricordo al riguardo il pellegrinaggio alla Santa Casa che, la mattina del venerdì precedente al pellegrinaggio dei giovani a Loreto, il servizio d’ordine ha fatto. Si sono alzati alle cinque del mattino, hanno camminato nel silenzio e nel canto, hanno celebrato e visitato la Santa Casa, si sono caricati di speranza e di gioia per offrirla a tutti quelli che il giorno dopo sarebbero arrivati. Senza questa esperienza semplice, ma vissuta personalmente, le preoccupazioni del servizio non avrebbero potuto far gustare la gioia della intimità della casa di Nazareth. Avrebbero potuto sempre dire «io c’ero», ma senza una interiorizzazione l’esserci non è una festa, ma un’estraneazione. Questo è il momento dell’annuncio, del chiamare col nome l’esperienza di fede, del collocarla in un progetto di vita più ampio del servizio momentaneo che si sta vivendo.
    * Una preparazione remota più motivata nei mesi precedenti all’iniziativa, fatta di cammino biblico, discernimento, preghiera e dialogo con gli animatori, avendo sempre come centro l’evento di cui saranno protagonisti. È un intervento non sempre facile, ma dal punto di vista educativo abbiamo dalla nostra parte che sono i giovani che chiedono di fare questo servizio di volontariato e sulla loro domanda si può inscrivere una scommessa, la possibilità cioè di offrire con l’esperienza vissuta più di quanto uno si propone di ottenere.
    Dal punto di vista organizzativo si fanno tanti incontri, tante simulazioni di quanto capiterà. Si fanno prove e controprove. All’interno di questa preoccupazione perché non potrebbe starci la proposta esplicita di una crescita spirituale? È il classico spazio offerto su un piatto d’oro di poter vivere una esperienza di vita, smontarla, guardarla al rallentatore e rimontarla, e su questa scrivere una crescita personale. Proprio quello che spesso si cerca di fare nella vita di gruppo arrampicandosi sui vetri, perché le esperienze o non ci sono o occorre simularle.
    * Offrire spazi comunitari per il servizio. È l’occasione per alcuni giovani di fare vita comunitaria con altri, senza per questo essere in una comunità di ricupero, in qualche caserma o in qualche convento. Se all’interno di questi spazi ci fosse un animatore, un presbitero (sto pensando al mare di volontari per il Giubileo, che possono rischiare di non celebrarlo interiormente se non ci fossero delle attenzioni particolari), che non si preoccupa delle cose da organizzare, ma delle persone che organizzano, il semplice servizio d’ordine potrebbe diventare un tirocinio di crescita, una possibilità di direzione spirituale, una accoglienza senza riserve dei doni che Dio non fa mai mancare.
    * Distribuire capillarmente degli animatori. Spesso sono i veterani dell’organizzazione, sono coloro che hanno esperienza, sale in zucca, concretezza, vista e buon senso, motivazioni e capacità di decentramento da sé. La loro presenza aiuta a mantenere il servizio nel clima della generosità e non del controllo burocratico, sostiene i ragazzi nelle difficoltà e nelle motivazioni, li riorienta al fine, se qualche fallimento o mania di potere ne distoglie. È un’altra attenzione necessaria. Nessuno così si sentirà usato, nessuno sarà abbandonato a se stesso, nessuno penserà di essere ingannato. L’esperienza diventa il motore di una crescita di fede.
    * Fare una seria revisione successiva, all’insegna della festa, dell’amarcord, ma soprattutto del ringraziamento e del riconoscimento dei doni di Dio. Non è difficile, anzi è molto richiesta la possibilità di ritrovarsi a celebrare nella calma, dopo aver smaltito con giornate di sonno la fatica, l’impresa compiuta.
    Le situazioni di disagio e le disavventure, raccontate, si sdrammatizzano, le incomprensioni si ricompongono, le avventure diventano storiche. Il filo dell’esperienza spirituale viene riannodato, e a qualcuno, guardare indietro e vedere la generosità espressa, può servire per riprendere fiducia in se stesso, nelle sue capacità, messe in dubbio dall’anno scolastico, da un conflitto permanente coi genitori, da carognate compiute e di cui ancora si vergogna.
    Può darsi che poi tutti ritornino ai loro mondi; talvolta nasce una nuova aggregazione, purché non viva solo di ricordi. Resta però una esperienza fatta bene, un tassello anche nella vita spirituale che può fare da riferimento, primo passo, per la costruzione di una vita generosa. Del resto avevamo pensato a un servizio d’ordine per essere funzionali all’organizzazione di un evento. Ne abbiamo invece ricavato uno spazio educativo alla vita e alla fede.

    La comunità cristiana non gioca mai al ribasso

    L’idea che muove queste riflessioni è sempre una sola: una comunità cristiana in qualsiasi cosa si esprime, qualsiasi cosa organizza, soprattutto col mondo giovanile, non può mai dimenticare che è sale e luce posta sul candelabro. Non può mai giocare al ribasso, dimenticare che i giovani che l’accostano devono poter incontrare quel Gesù per cui la chiesa è stata «inventata». Solo che molto spesso siamo presi dai fatti concreti, crediamo di dover competere con le agenzie di animazione, ci assale un principio di realtà e non leggiamo i fatti alla luce della fede e della nostra missione, che si inserisce pienamente nei fatti della vita, non vi si appiccica come una colla, ma ne interpreta l’anima profonda.
    Non vogliamo mettere l’acqua santa dappertutto, ma cogliere che la santità vi è già deposta da Dio, e alla comunità cristiana tocca servirla e farla esplodere nella vita di tutti. Siamo cittadini del mondo, ma abbiamo ottenuto da Dio il dono di saper perforare il quotidiano e vederci sotto il crescere lento e continuo verso il Regno.
    Il seme è stato gettato, sia che tu dormi, sia che tu vegli; la forza di Dio lo fa crescere e noi ci mettiamo al servizio cosciente, intelligente e operoso di questa crescita.


    T e r z a
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