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    Riparare le colpe


     

    Orizzonte giovani /1

    Domenico Cravero

    (NPG 2013-01-03)


    Nei momenti di crisi economica e sociale, l’immagine di una vita facile senza fatica, l’aspettativa di un godimento garantito senza limiti, la fiducia in un progresso indefinito senza regole, vanno in frantumi. Ci troviamo così davanti all’inconsistenza delle ingannevoli sicurezze costruite fuori dai legami e dalla solidarietà, delle false promesse formulate senza considerazione per i valori del¬l’onestà e della giustizia.
    In questi momenti occorre riconoscere la menzogna e cercare la verità.
    Senza il sincero riconoscimento della colpa, però, non può scaturire l’assunzione della responsabilità e quindi non può avvenire alcun reale cambiamento.
    La psicanalisi ha studiato a lungo la nascita dei sensi di colpa e i meccanismi della riparazione. Nella relazione madre-bambino, archetipo e metafora di ogni relazione interpersonale riuscita, vero amore può darsi solo in presenza di atti mentali di riparazione.
    «Quando l’infante sente di rivolgere impulsi e fantasie distruttivi alla persona dell’intero oggetto amato, prova gran senso di colpa, accompagnato da intenso bisogno di ripararlo, preservarlo e ridargli vita» (M. Klein). I processi riparativi aiutano a tollerare il dolore e ad accettare la propria responsabilità, riconoscendo e rielaborando l’ambivalenza di odio e amore.
    Anche secondo R. Winnicott il senso di colpa è una forma particolare di angoscia che domanda riparazione in alternativa ai meccanismi dannosi della negazione e della rimozione. Questo percorso può essere descritto come graduale passaggio dall’esperienza pulsionale all’accet¬tazione della responsabilità mediante la creazione di gesti riparativi.
    Il lento cammino della rielaborazione permette di approdare alla parte più profonda e intima della persona: la coscienza. Essa è il cardine della vita autentica e matura: è il fondamento della responsabilità.
    La coscienza non è una voce interiore che comanda (e perseguita), è piuttosto una voce che interroga. Condizione essenziale di questo percorso – insegna ancora la psicanalisi – è l’esistenza di un ambiente affettivo «sufficientemente buono».
    Ci vuole una »madre-ambiente» che resista alla distruzione e accetti i tentativi di riparazione, sviluppando nel bambino la capacità di preoccuparsi e di attivarsi.
    Le regole dello sviluppo intrapsichico sono anche le tracce (e non solo le metafore) del percorso dell’evoluzione della cultura e della civiltà umana.
    Sembra indicarlo in modo convincente lo scenario politico ed economico del nostro tempo.
    Ai drammi e alle catastrofi del Novecento, la società occidentale non ha rielaborato infatti alcuna forma di riparazione simbolica, come dimostra il bel volume di Francesco Stoppa (La restituzione). Si è sforzata di cancellarne la memoria puntando tutto sulla rinascita economica. Il culto consumistico delle merci ha alimentato l’illusione che il godimento dei beni disponibili avrebbe pacificato gli egoismi ed eliminato i conflitti. Si è immaginata una democrazia planetaria (globalizzazione) affidata alla potenza della tecnica. Ai sistemi totalitari si è così sostituita l’idolatria del mercato (il neoliberismo) e il culto delle sue merci (il consumismo). Il crollo che ha originato l’attuale crisi economica nasce esattamente a motivo di questa perversa idolatria.
    Il rimedio richiede dunque di rovesciare la prospettiva, riparandone l’errore.
    Se la colpa è l’ingordigia che porta al disprezzo degli altri, fino alla loro negazione, la riparazione consiste nell’esperienza del dono, nella riscoperta del valore inestimabile dei legami umani e nella messa in discussione dell’atteggiamento nei confronti delle risorse della terra.
    Sono tre le tappe del cammino di liberazione dai sensi di colpa: l’ammissione della responsabilità, l’intimo e sincero rincrescimento (rammarico, dispiacere, dolore…) per quanto avvenuto e la disponibilità e volontà a riparare (per quanto e come possibile) direttamente (chiedere scusa… restituire…) o indirettamente (rivolgere ad altri il proprio dono).
    Le colpe vanno sempre riparate, altrimenti le loro conseguenze nefaste perdurano anche sotto mutata forma.
    I giovani sono vittime di errori compiuti da altri, da chi li ha preceduti, ma il loro contributo è determinante per rimediare la colpa: senza assunzione di responsabilità si diventa complici. Il »senso di colpa» potrebbe infatti limitarsi alla demotivazione, alla depressione, alla paura, alla vergogna.
    Nei tempi drammatici della crisi, la pastorale giovanile riscopre il Sacramento della misericordia, come perdono del peccato e come riparazione della colpa.
    Nella fede il senso di colpa è vissuto, infatti, come confessione del peccato.
    Rimangono le tre condizioni: ammissione della responsabilità, rincrescimento, volontà di riparare. Nella confessione del peccato quello che conta, però, è la Grazia del perdono, contemplata e accolta nel Crocifisso. La riparazione di Cristo è stato un dono a caro prezzo. La restituzione del credente è modellata su quel dono.
    L’ambiente affettivo «sufficientemente buono» è elevato alla statura della misericordia di Dio. Ci vuole però anche una «madre-ambiente» (la chiesa misericordia) accogliente fino all’estremo.
    Il contributo più importante della pastorale è la sinergia che può creare tra l’accoglienza del dono e l’impegno della vita. L’oratorio la realizza nel suo essere aperto a tutti e nelle proposte coraggiose alle quali osa invitare.


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