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    Ricreare un clima di famiglia


    Pastorale giovanile e famiglia /2


    Gustavo Cavagnari

    (NPG 2020-02-69)


    Un diffuso senso di orfanità

    Senza la pretesa di offrire un quadro esauriente degli usi e costumi che caratterizzano la vita delle nostre società, né un’analisi accurata delle loro cause, è possibile affermare che tra i tratti della cultura odierna che più colpiscono i giovani si trova la lacerazione del loro rapporto con gli adulti, ai quali tradizionalmente era affidato il ruolo di rassicurazione e di rilancio.[1] È questa una fessura intergenerazionale provocatasi non per «un vero e proprio conflitto», come forse era capitato in passato, ma per «una reciproca estraneità». In termini generali, infatti, molti giovani oggi «pensano che gli adulti siano un passato che non conta più, che è già superato»,[2] e molti adulti, più che amare e prendersi cura dei giovani, «vogliono rubare la gioventù per sé stessi» (ChV 79), assumendo «stili giovanilistici, [e] rovesciando il rapporto tra le generazioni» (ChV 80).
    Uno degli effetti più drammatici di questa situazione è che tanti giovani si sono immersi in una trama dei meri rapporti simmetrici,[3] la quale, a sua volta, ha provocato una diffusa orfanità sul senso e sull’orientamento. Nell’udienza del 28 gennaio 2015 sulla famiglia, il Papa aveva mostrato di aver avvertito la serietà di questo fenomeno contemporaneo: «È più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani. Sono orfani in famiglia», giacché i genitori sono spesso assenti, anche quando sono presenti, e sono orfani «anche nella comunità civile». Soli, sradicati, privi «di prospettiva… di strade sicure da percorrere… di maestri di cui fidarsi… d’ideali che riscaldino il cuore… di valori e speranze che li sostengano». Francesco ripeterà la espressione nella sua Esortazione sull’amore nella famiglia: «Il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di quanto pensiamo»;[4] e anche nella sua ultima Esortazione: «Molti giovani che arrivano [ai nostri ambienti] si trovano in una profonda situazione di orfanezza» (ChV 216).[5]

    Fare famiglia

    In risposta a questo stato di orfanità «in termini di discontinuità, sradicamento e caduta delle certezze che danno forma alla vita» (AL 193), nella udienza citata il Papa proponeva alla famiglia, alla società civile e, possiamo dire, anche alla Chiesa, di «riascoltare la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18)». Una idea che, in modo più concreto, il Pontefice avrebbe recuperato nella sua lettera ai giovani: «In tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale… L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di profonda orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso» (ChV 216). Con altre parole, «fare famiglia»! (ChV 217). Fare famiglia è «imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici o funzionali»; fare famiglia è «permettere che la profezia [della fraternità] prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi»; fare famiglia è «creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere»; fare famiglia è «imparare ad aver pazienza, imparare a perdonarci, imparare ogni giorno a ricominciare»; e fare famiglia, creando relazioni forti che esigono quella «fiducia che si alimenta ogni giorno di pazienza e di perdono», è «fare “casa”»!
    Questo essere con, per e al servizio degli altri in comunità è fortemente legato alla «formazione di una nuova famiglia» (ChV 258). Una buona esperienza di comunità, infatti, in cui si trovano «figure di riferimento» maschili e femminili (ChV 99), in cui ci si nutre dalla «testimonianza delle stesse famiglie» (AL 206), e in cui amando e perdonando si sperimenta e si impara che cosa sia essere famiglia, può tanto consolidare le esperienze positive fatte nella propria casa, quanto risignificare quelle altre negative sofferte in ambito domestico (ChV 262, AL 272). È chiaro che la comunità non potrà mai sostituire la famiglia. «Probabilmente quelli che arrivano meglio preparati a sposarsi [e a formare famiglia] sono coloro che hanno imparato dai propri genitori che cos’è un matrimonio cristiano» (AL 208). La comunità, tuttavia, potrà «stimolare il bene possibile» specialmente nei «giovani che non sono cresciuti in famiglie cristiane» (ChV 232) o che «nella famiglia di origine», cristiana o meno, hanno sperimentato delle difficoltà o delle incoerenze (ChV 263).

    Il ruolo degli adulti autorevoli e generativi

    In una famiglia c’è bisogno di un padre e di una madre. Essere tali, però, è qualcosa in più di essere meri genitori biologici. Papa Francesco, per esempio, si riferiva agli «orfani di genitori vivi» (AL 50). Un padre e una madre sono genitori capaci di prendersi cura di chi è stato generato. Questa precisazione mette l’accento sul fatto che ci sono due forme di generatività che, di per sé, non si escludono a vicenda: quella biologica, legata alla procreazione, e quella simbolica, che si esprime con il prendersi carico della crescita e del benessere dei soggetti generati.[6] Quando il Papa ci invita a non lasciare orfani i giovani e a dare loro una famiglia, ci chiede allora di dare loro una comunità in cui ci siano presenti adulti autorevoli capaci di farli crescere con «una vera forza generativa».[7] In altre parole, adulti in grado non solo di accogliere i giovani (ChV 247) e di stabilire con loro dei rapporti che rischino comunque «di rimanere sul piano affettivo», ma adulti in grado di «trasmettere i valori fondanti dell’esistenza» (ChV 80); adulti che, con il linguaggio della psicologia, siano capaci di accogliere una vita che non gli appartiene, di prendersene cura, e di lasciarla andare al momento opportuno.[8] In sintesi, adulti che, secondo le figure tipiche di riferimento, possano essere “padri” e “madri”.
    Punto di partenza sarebbe allora farsi prossimo a ciascun giovane e accoglierlo con i suoi dubbi, traumi, problemi, errori, storie, esperienze e ricerche (ChV 234). Dare alle nostre comunità un clima più accogliente è compito di tutti![9] Stare, andare e venire in mezzo ai giovani come Gesù (ChV 29) suppone, però, risignificare la qualità della nostra presenza a partire dalla logica della donazione della propria vita a loro favore.[10] In altre parole, accompagnare il movimento di una vita giovane che ci precede, attraversa e supera, acquisisce fecondità solo quando si accoglie e in qualche modo si riproduce il «donarsi [di Gesù] sulla croce» (ChV 121), cercando il bene del giovane «fino a dare la vita» (ChV 163).
    Prendersi cura inoltre è farsi carico dell’altro, spendersi per l’altro. Il prendersi cura supporrà, in certi casi, una relazione da persona a persona, giacché ogni persona deve essere accompagnata nella sua unicità. Questo tipo di vincolo non può essere, però, assolutizzato. A livello pastorale, il rapporto interpersonale si apre al plurale. Ciò non significa escludere la relazione diadica, ma inserirla nella cornice della comunità e nel dinamismo della missione pastorale affidata.
    A un certo punto, lasciar andare è un requisito per continuare a vivere. Chi è accompagnato e chi accompagna. Dar vita è sempre e nello stesso tempo lasciar partire ciò che è stato generato, ma è proprio nei distacchi reciproci che si cresce e si entra negli spazi della vita. Se qualcosa di nuovo è stato generato, nel momento stesso in cui il generato ha preso forma, esso inizia a vivere una vita propria, con una propria identità e un proprio significato. Anche nella pastorale il lasciar andare ha il valore di ricordarci di essere utili ma non necessari, insostituibili ma non indispensabili. Esso, inoltre, ha il pregio di favorire un modo speciale di stare accanto ai giovani: la modalità di chi, come testimone, si fa prossimo, ma consapevole che il dinamismo della vita conduce non a afferrare. Così, si è segni di una Chiesa con «la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste» (ChV 37).

    Vivere da figli adottivi all’interno della famiglia della Chiesa

    Come afferma il Papa, gli adulti hanno il rischio di credere «di sapere sempre come dovrebbero comportarsi i giovani» (ChV 201) e di spadroneggiare su di loro «in modo dispotico» (ChV 14). Per evitare una deriva tale, il pensatore americano Chap Clark ricorda che l’autorevolezza adulta, lontana da intendersi in senso oppressivo o autoritario, e neppure bonario o evanescente (DF 33), si costruisce dunque sulla consapevolezza della comune figliolanza. Solo quelli che in una comunità hanno già «ricevuto uno spirito da figli adottivi» (Rm 8,15), dirà quest’autore, potranno generare delle condizioni perché anche gli altri che ancora sono orfani (Gv 14,18) possano vivere la stessa condizione filiale.
    Questo tipo di pastorale, chiamata in senso teologico “d’adozione”, propone di creare comunità in grado di «accogliere ogni ragazzo, ogni giovane, e ogni adulto, perché tutti loro sappiano di avere una casa… un luogo in cui possono scoprire chi sono e in che modo sono in grado di offrire il proprio contributo».[11] In altri termini, una famiglia; una comunità in cui si respira un ethos di mutualità familiare, si impara «la prossimità, il prendersi cura, il saluto», e si riconosce che viviamo con altri «che sono degni della nostra attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto» (AL 276).
    Questa, direbbe Clark, è la essenza della familiarità,[12] un clima di affetti condivisi tra giovani e adulti, un ambiente di mutua fiducia in cui tutti sono accolti e responsabilizzati, uno spazio d’interazione e corresponsabilità intergenerazionale, uno «uno stile di vita» che avvolge tutto l’essere e l’operare concreto e quotidiano di tutta una comunità, «una dimensione trasversale» che la contraddistingue e non è affatto riservata solo ad alcuni o a tempi specifici.[13]

    NOTE

    [1] Cf. R. Tonelli, «Dove va la pastorale giovanile (e dove dovrebbe andare)?», in Note di pastorale giovanile 35 (2001) 4, 7-25.
    [2] Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit ai giovani e a tutto il popolo di Dio (25 marzo 2019), n. 201. D’ora in poi: ChV.
    [3] Cf. M. Mead, Culture and Commitment: A Study of the Generation Gap, Garden City: Doubleday 1970, 45.
    [4] Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia sull’amore nella famiglia (19 marzo 2016), n. 173. D’ora in poi: AL.
    [5] Orfani i giovani, dunque, e orfani forse anche gli stessi adulti (ChV 216). Infatti, anche loro, e in modo particolare quelli di loro che avvertono la responsabilità di essere educatori, provano la assenza di figure di riferimento e di percorsi di amore gratuito, promozione, affermazione e crescita.
    [6] Per questo tema seguo a grandi tratti i pensieri di M. Semeraro, Il ministero generativo. Per una pastorale delle relazioni, Bologna, EDB 2016.
    [7] XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Documento finale (27 ottobre 2018), n. 71. D’ora in poi: DF.
    [8] Cf. M. Lanz – E. Marta, «La transizione all’età adulta e le relazioni intergenerazionali», in D. Bramanti (Ed.), La famiglia tra le generazioni. Atti del XVI Convegno del Centro studi e ricerche sulla famiglia, Milano, 13-14 ottobre 2000, Milano, Vita e pensiero 2001, 197-212.
    [9] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013), n. 63. D’ora in poi: EG
    [10] Cf. R. Sala, «Incarnazione e donazione. Un binomio vincente per dare presenza e qualità alla nostra pastorale giovanile», in Note di Pastorale Giovanile 49 (2015) 3, 50-56.
    [11] C. Clark, «The adoption view of youth ministry», in C. Clark (Ed.), Youth ministry in the 21st century. Five views, Grand Rapids, Baker Academic 2015, 73-90, qui 85.
    [12] Cf. C. Clark (Ed.), Adoptive youth ministry. Integrating emerging generations into the family of faith, Grand Rapids, Baker Academic 2016.
    [13] R. Sala, «La famiglia nella proposta pastorale salesiana: una lettura educativa ed evangelizzatrice», in Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana (Ed.), Pastorale giovanile e famiglia. Atti del Congresso Internazionale, Madrid, 27 novembre - 01 dicembre 2017, Roma, Editrice SDB 2018, 125-157, qui 128-129.


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