Orizzonte giovani /4
Domenico Cravero
(NPG 2013-04-03)
I gufi e le civette stupiscono per i loro occhi. Occhi enormi, capaci di avvistare la preda nel cuore della notte e di seguire ogni più piccola traccia di luce. Questi grandi occhi hanno sempre affascinato i saggi e i mistici. Sono anche la più incoraggiante metafora di come uscire da questi nostri tempi notturni. Ci insegnano a tenere lo sguardo aperto per scorgere all’orizzonte ogni segno luminoso per inseguirlo e lasciarsi alle spalle la sciagurata miopia del consumismo di massa e di ciò che lo ha alimentato: il culto dell’immagine e il mito individualistico del profitto e della competizione.
Stiamo attraversando tempi di cecità, dove le istituzioni educative sono investite da un’impensata crisi di affidabilità, dove le politiche sociali sono gradualmente smantellate, dove le famiglie disorientate si sentono sole e bistrattate, dove la caduta della speranza non trasforma il malessere in protesta e riscossa, ma produce sintomi e devianze di sofferenza diffusa. Lo spazio stesso dell’azione educativa appare ridursi e la sua forza, in molti casi, sembra perduta.
La condizione di cecità, che impedisce il ritorno alla speranza, consiste nel continuare a vedere l’educazione come nemica del desiderio e quindi della vita, quando invece è la sua unica possibilità generativa.
Sicuramente l’educazione pronuncia dei “no” e chiede il sacrificio dell’obbedienza. Il narcisismo, che non vede che il proprio io (e dunque è cieco), non può accettare quella morte. La sua unica legge è l’imperativo del godere.
L’educazione, però, non è la negazione del piacere ma l’accompagnamento della pulsione (il suo sacrificio, non la rinuncia) per conquistare mete inedite, non ancora considerate né sperimentate.
L’educazione è un argine alla pulsione di morte perché trasforma il percorso autodistruttivo della ricerca individualistica di sé. Dal vuoto e dalla mancanza, generati dal superamento del principio della gratificazione istantanea, scaturisce la possibilità di trovare forme di soddisfazione che diano senso, significato, valore alla vita (il piacere di vivere).
Da ciò che l’io ritiene inaccettabile e impossibile (il sacrificio) si genera la possibilità creativa del desiderio e del piacere.
Nessuno sbocco può essere dato all’attuale crisi educativa se genitori e educatori non sono disposti a una sincera rimessa in discussione della loro pratica educativa, ora che le nuove generazioni, che hanno avuto “tutto”, si sono ritrovate con nulla.
Gli adulti devono assumersi la responsabilità degli errori compiuti quando hanno colluso, consapevoli o meno, con una concezione del desiderio come pulsione (la vita materialista, l’avere “tutto”) o come volontà di potenza (il primato dell’immagine, l’accaparramento delle risorse, il degrado della natura).
Amare i figli (ma anche i ragazzi del gruppo, gli allievi in classe…) non vuol dire risparmiarli da ogni sofferenza e fatica; piuttosto significa rispettarli: non chiedere loro un impegno sproporzionato alle capacità, comunicare l’orgoglio della vittoria contro le difficoltà, riconoscere la fatica profusa, offrire loro la possibilità di sperimentarsi anche con obiettivi difficili e impegnativi.
Senza il Padre (e la Legge che egli rappresenta) si rimane avvinghiati alla madre, incapaci non solo di autonomia ma anche di scoperta, creatività, voglia di sperimentarsi. I ragazzi oggi hanno bisogno di passione, d’ideali e di speranza per non arrendersi. Le nuove generazioni oggi vivono il vuoto di adulti responsabili e capaci di speranza, disposti ad assumersi il rischio del cambiamento.
Gli “occhi di gufo” servono per scrutare l’orizzonte e intravedere i segni di un possibile ritorno del Padre. Non il Padre della direzione autoritaria ma della parola autorevole. Non il Padre garante del benessere e testimone dei valori.
Per sottrarsi alle braccia morbide ma mortifere della madre, per rialzarsi dalla caduta e avventurarsi nel nuovo mondo, occorre ritrovare la strada dei doveri e dei diritti umani. Essi oggi possono aggiungere “al sistema preventivo nuove frontiere e opportunità di impatto sociale e culturale come risposta efficace al dramma dell’umanità moderna, della frattura tra educazione e società, del divario tra scuola e cittadinanza. (Don Pascual Chávez, Strenna 2013). I giovani hanno bisogno di una parrocchia, di un oratorio, di una pastorale giovanile che sappiano sognare e osare. Che non propongano la vita facile, i gruppi chiusi, la fuga dalle responsabilità ma diventino spazio di risonanza per il loro desiderio, alveo creativo del loro immaginario.
Occhi di gufo! Chi vuole avere un’immagine più nitida di che cosa essi siano, provi a entrare in una chiesa, il sabato santo. Quel mistero di silenzio e di domande estreme tocca l’anima nel suo abisso e vi depone un’irresistibile attesa di vita e d’amore. Sono gli occhi che trapassano la notte e vi fanno intravedere i colori di un’alba promessa, com’è accaduto in quello splendido mattino di Pasqua. Nel risorto la speranza è rimessa in moto.
Il Dio accessibile ai giovani deve potersi sentire, toccare, sperimentare. Deve essere un Dio quotidiano: non percepito solo in forma astratta e simbolica ma una presenza reale e liberatrice, come il fuoco apparso a Mosè.