Carmine Di Sante
(NPG 1996-06-5)
Nella preghiera del Padre nostro, dopo aver proclamato Dio come padre, averne santificato il nome, riconosciuto la regalità e accettato di compierne la volontà, l'orante, trasferendo lo sguardo da Dio all'uomo, essere di bisogno, chiede ed invoca: «dacci il nostro pane quotidiano».
Che senso può avere chiedere a Dio il «pane quotidiano», se questo, come ci insegna l'esperienza, mai è caduto direttamente dall'alto e l'uomo, per procurarselo, da sempre, ha dovuto guadagnarselo con il «sudore della fronte» e il dolore? E non è la storia umana, come ci ha ricordato con forza Sartre, «una lotta accanita contro la penuria», segnata endemicamente dall'insufficienza delle risorse e dalla violenza per possederle e dominarle?
L'utopia del pane condiviso
Eppure, per la bibbia, la richiesta a Dio del «pane quotidiano» non è un'espressione mitica, poetica o ingenua, ma la rivelazione stessa del segreto del mondo riuscito o dell'utopia: la gratuità personale.
Chiedere, infatti, a Dio «il pane quotidiano» non è aspettarselo da lui, magicamente o irresponsabilmente, né ridire, in linguaggio teologico, la legge fondamentale dell'antropologico, secondo l'interpretazione alla Feuerbach, ma coglierlo in una dimensione che non è né la casualità né la necessità ma la gratuità personale di Dio che lo dona per amore.
Quando nel capitolo 16 dell'Esodo - al quale la richiesta del pane inserita nella preghiera del «Padre» sembra rimandare - si parla della manna caduta dal cielo con la quale Dio nutre il suo popolo nel deserto, giorno dopo giorno, vietandone l'accumulo, il significato teologico nel brano non è di rimandare ad un pane diverso da quello ordinario ma dischiudere il significato del «pane quotidiano» come «pane donato».
Il significato della richiesta del pane si doppia, però, di un significato ancora più radicale, che consiste nell'assunzione della gratuità divina da oggetto a principio. Chiedere a Dio il pane quotidiano vuol dire, allora, non soltanto riconoscere che esso proviene da una fonte personale, ma disporsi a ridonarlo con la stessa logica. Secondo il bel gioco di parole reso possibile dal tedesco, qui più che altrove vale il detto di S. R. Hirsch che ogni Gabe (dono) è Aufgabe (dovere).
Pregando «dà a noi oggi il nostro pane quotidiano», l'«a noi», oltre che di destinazione - l'uomo il termine della gratuità divina - ha, quindi, valore soprattutto di mediazione: l'uomo come «canale» attraverso il quale la gratuità divina entra nella storia; non l'uomo in quanto «natura» e neppure in quanto «ragione», ma in quanto responsabilità donante, secondo la logica dell'alleanza.
È qui, per la bibbia, lo svelamento dell'unico principio capace di istituire il mondo buono e di realizzare veramente l'utopia. Questa non è la sovrabbondanza dei beni in quanto tali e neppure la potenza tecnologica capace di prolungare all'infinito le possibilità umane, ma la reciprocità della bontà che misura sia l'una che l'altra secondo verità. Non senza significato alcuni esegeti amano notare che «quotidiano» potrebbe anche essere tradotto con «necessario»: quel tanto che è giusto e che risponde, né più né meno, al bisogno di tutti. Per la bibbia la sola possibile utopia in grado di farsi topia, è l'utopia del necessario, oltre l'eccedenza e oltre la carenza; in una parola: l'utopia del pane condiviso, capace di sconfiggere la duplice ingiustizia sia della penuria che della sovrabbondanza.
Il «miracolo» della moltiplicazione dei pani
Una delle pagine più alte del Nuovo Testamento è il racconto della «moltiplicazione dei pani»: «Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: 'il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare'. Ma Gesù rispose: 'non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare'. Gli risposero: 'non abbiamo che cinque pani e due pesci!'. Ed egli disse: portatemeli qua'. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt 14, 14-21).
Il senso di questo racconto potente è nel disvelamento della logica creatrice e ricreatrice sottesa al «pane condiviso»: la logica del dono accolto e acconsentito. Questa non solo non lascia incolmati i bisogni dell'io, ma colma pienamente anche quelli di ogni altro; in essa e, grazie ad essa, il poco (i «cinque pani» e i «due pesci») si moltiplica a beneficio di tutti («tutti mangiarono e furono saziati»), fino a farsi sovrabbondanza ed eccedenza («e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati»).
Per i discepoli Gesù è messia proprio perché ridischiude, nella storia, questa «logica della condivisione come potenza creatrice installata nel cuore della realtà ma bloccata dalla libertà umana che le si nega» (A. Rizzi, in Utopia e distopia, a cura di A. Colombo, Angeli, Milano 1987, p. 256) e la moltiplicazione dei pani, lungi dall'essere una figura retorica, è lo svelamento dell'essere ontologico del mondo secondo l'intenzionalità creatrice della gratuità accolta e ridonata.
L'utopia biblica si realizza ogni qualvolta questa intenzionalità, riscoperta ed assunta, torna ad essere il principio quotidiano dell'agire.
Pregando «dacci oggi il nostro pane quotidiano» è a questa intenzionalità che l'orante si consegna, riattivando nel mondo, attraverso l'evento della sua libertà e della sua responsabilità, il miracolo della creazione.