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    La liturgia della Chiesa. Un tema generativo per la pastorale giovanile


     

    Editoriale

    Rossano Sala

    (NPG 2019-02-2)


    Il Sinodo ci ha riservato delle sorprese. D’altra parte avere a che fare con i giovani è sempre una novità. C’è sempre qualcosa che capita e che non si può preventivare. Come a un campo scuola: avevi fatto la lista, avevi cercato di prevedere quello che poteva accadere, ti eri dotato di tutto il necessario, ti sembrava di aver pensato ad ogni evenienza. Avevi preparato con accuratezza i passaggi, le proposte, i tempi e gli spazi. E poi ti accorgi che qualcosa di imprevedibile è successo, perché i giovani sono vivi, ti modificano la tabella di marcia, ti cambiano le carte in tavola. E quindi ti devi rimettere in gioco senza paura.

    «Ritorna spesso il tema della liturgia»

    Nel cammino di preparazione al Sinodo, almeno nella sua fase iniziale, che aveva portato alla stesura del Documento preparatorio, quasi nessuno aveva pensato alla liturgia. Sembrava più che sufficiente un accenno alla creazione di condizioni spirituali per il discernimento vocazionale, perché
    «non c’è discernimento senza coltivare la familiarità con il Signore e il dialogo con la sua Parola. In particolare la Lectio Divina è un metodo prezioso che la tradizione della Chiesa ci consegna. In una società sempre più rumorosa, che offre una sovrabbondanza di stimoli, un obiettivo fondamentale della pastorale giovanile vocazionale è offrire occasioni per assaporare il valore del silenzio e della contemplazione e formare alla rilettura delle proprie esperienze e all’ascolto della coscienza» (Documento preparatorio, III,4).
    D’altra parte, uno potrebbe domandarsi: “Che c’entra la liturgia con i giovani?”. Osservando con attenzione il succedersi delle annate della nostra Rivista, dall’inizio fino ad ora, effettivamente lo spazio dedicato alla liturgia è esiguo. Non che manchi, ma sembra un tema marginale, poco importante e poco interessante per i giovani e per chi si occupa di pastorale giovanile.
    Eppure già la raccolta delle risposte al Questionario destinato alle Conferenze Episcopali fino ad arrivare alla Riunione presinodale ci ha stupito: l’interesse per la liturgia e le richieste in questo ambito sono venute. Soprattutto dai giovani. Anche il Questionario on line destinato ai giovani ha avuto parole importanti sul tema.
    Per questo nell’Instrumentum laboris, che raccoglieva in sintesi il lungo e articolato percorso di ascolto, ci sono stati vari accenni alla questione liturgica. E per essere precisi, non sempre simpatici e accomodanti. Il n. 69 così recitava:
    «I giovani più partecipi della vita della Chiesa hanno espresso varie richieste specifiche. Ritorna spesso il tema della liturgia, che vorrebbero viva e vicina, mentre spesso non consente di fare un’esperienza di «alcun senso di comunità o di famiglia in quanto Corpo di Cristo» (Riunione presinodale, n. 7), e delle omelie, che molti ritengono inadeguate per accompagnarli nel discernimento della loro situazione alla luce del Vangelo. «I giovani sono attratti dalla gioia, che dovrebbe essere un segno distintivo della nostra fede» (Riunione presinodale, 7), ma che spesso le comunità cristiane non sembrano in grado di trasmettere».
    «Ritorna spesso il tema della liturgia»: mi ha molto colpito questa espressione. Attesta che i giovani che vivono all’interno della comunità cristiana sono convinti che la liturgia non è un ambito secondario della vita di fede. A volte anche coloro che non partecipano alla vita ordinaria della comunità in un modo o nell’altro la avvicinano solamente attraverso la presenza a qualche celebrazione liturgica: pensiamo a coloro che si fanno vedere a Natale o Pasqua, oppure in occasione di battesimi, prime comunioni, cresime o matrimoni. Oppure anche a funerali, magari di giovani.
    Oltre ad altri numeri dell’Instrumentum laboris in cui si accenna alla liturgia (72, 178, 184, 192), emergono i numeri dedicati appositamente al tema (nn. 187-189). Qui sono dette cose importanti.
    Il numero 187 è più concreto e fa il punto della situazione. Si dice che che i giovani «non vengono in Chiesa per trovare qualcosa che potrebbero trovare altrove» e che «i giovani sono sensibili alla qualità della liturgia», ma soprattutto si denuncia, attraverso la parola diretta dei giovani nella Riunione presinodale, che «i cristiani professano un Dio vivente, ma nonostante questo, troviamo celebrazioni e comunità che appaiono morte». Ritorna spesso la critica alle omelie, che i giovani trovano molte volte incapaci di intercettare la loro esistenza concreta. Un tema, quello delle omelie, che nel cammino di preparazione al Sinodo ha avuto parecchie sottolineature, perché l’omelia è proprio come un pulpito, ovvero un momento importante di visibilità e di credibilità della Chiesa nel suo insieme, che attraverso l’omelia esprime la sua visione del mondo. È vero, ed è anche giusto, che da essa
    «in realtà ci si aspetta molto. E quando capita che la parola prenda per un attimo il volo, le teste si alzano, gli occhi si fissano, le posture si orientano, e si percepisce quel silenzio che non è semplicemente l’assenza del rumore, ma una sorta di densa sospensione in cui tutti sono portati a convergere. Quando succede, ci si accorge subito. Non c’è un fruscio, un colpo di tosse, un movimento. La parola ha toccato i cuori» (G. ZANCHI, Rimessi in viaggio. Immagini da una Chiesa che verrà, Vita e Pensiero, Milano 2018, 72).
    L’omelia è una cartina al tornasole della qualità spirituale di un sacerdote. Ne mette a nudo la qualità biblica, l’immersione culturale, la capacità dialogica e comunicativa, la profondità spirituale e la sapienza pastorale. Siamo tutti consapevoli così che
    «predicare non è per niente facile. Richiede oggi la capacità di tenere insieme, in un’unica prestazione oratoria, un’adeguata ermeneutica delle Scritture, un’accettabile padronanza teologica, una competente comprensione del tempo, una chiara lettura della realtà, una intensa sensibilità antropologica, una penetrante conoscenza dell’uditorio, una capacità di sintesi retorica, da sviluppare in una comunicazione breve, coerente, incisiva. Non dimenticando di stare in un registro liturgico» (ivi, 73).
    Torniamo all’Instrumentum laboris. Il numero 188 è più teologico e offre spunti più profondi. Dall’ascolto infatti è emerso che la liturgia è davvero una fonte da cui scaturiscono una varietà di possibilità: dalla riscoperta della struttura sacramentale della fede, a percorsi di riscoperta della centralità dell’eucaristia, alla rinnovata e qualificata presenza di giovani dove l’ars celebrandi è ben curata. Fino ad arrivare, come hanno suggerito varie Conferenze Episcopali, a pensare la celebrazione come «occasione per un rinnovato primo annuncio ai giovani», facendo gustare loro l’autentico spirito della liturgia e tenendo conto che «nella sensibilità giovanile a parlare non sono tanto i concetti quanto le esperienze, non le nozioni quanto le relazioni».
    Il numero 189, che viene soprattutto da sensibilità continentali diverse da quella europea, chiedeva di valorizzare la pietà popolare. Pur non essendo molto sensibili a livello teorico e pratico su questo tema, dobbiamo riconoscere che in tante parti del mondo la pietà popolare gioca ancora un ruolo di primo piano nell’accesso alla fede, anche in alcuni contesti europei e italiani. Non per nulla papa Francesco parla spesso della pietà popolare come del “sistema immunitario dell Chiesa”.

    «La liturgia parla ai giovani»

    Che cosa è successo poi durante l’assemblea sinodale su questo tema? Da quello che ho potuto ascoltare, sono stati circa una quarantina gli interventi che hanno fatto riferimento più o meno diretto alla liturgia, alla celebrazione, al rinnovamento dell’approccio comunicativo e alla significatività delle proposte. Alcuni sono stati magistrali, come quello del priore di Taizé, fratel Alois (presente al Sinodo in qualità di “delegato speciale”), che con “nobile semplicità” ci ha fatto assaporare la bellezza e l’efficacia di una proposta di spiritualità giovanile che ha nel silenzio, nella contemplazione e nella preghiera i suoi cardini fondamentali.
    Anche nei circoli minori in genere c’è stato un confronto sul tema della liturgia. In verità non moltissimi modi specifici erano destinati ad essa e nemmeno molte riflessioni dei circoli minori. Ecco per esempio come ne ha trattato il circolo Anglicus D, riflettendo sulla III parte dell’Instrumentum laboris:
    «Nel nostro gruppo ha trovato grande risonanza la questione della liturgia. Da un lato riconosciamo che molti giovani, in diverse parti del mondo, possono vedere la liturgia come noiosa e lontana dalla vita. In alcuni contesti culturali ciò ha portato i giovani ad abbandonare la Chiesa cattolica per abbracciare il culto più vivace offerto nelle Chiese pentecostali. D’altro lato, molti dei cattolici più giovani danno testimonianza dello straordinario potere della liturgia di trascinarli dentro un senso del trascendente. Ribadiamo con forza i paragrafi dell’Instrumentum laboris che fanno riferimento alla preghiera di Taizé, alle pratiche devozionali e alla musica sia classica sia contemporanea che avvicina le persone a Dio e le evangelizza. Alcuni del nostro gruppo hanno insistito sul fatto che dobbiamo migliorare la nostra catechesi relativa alla liturgia, insegnando ai giovani che cosa è la messa e come esattamente parteciparvi. Altri hanno affermato che forse abbiamo posto troppo l’accento sulla dimensione orizzontale della liturgia a scapito di quella verticale. Il risultato è che molti giovani apprezzano la messa come una sorta di festa a tema religioso e non come un incontro con il Dio vivente».
    Sono comunque emerse alcune sensibilità specifiche sul tema liturgico, varie preoccupazioni su alcuni punti e anche proposte di rinnovamento. In genere, seguendo la parola di un Padre sinodale, l’assemblea ha preso una certa coscienza che «la liturgia parla ai giovani». Ecco solo alcune brevi suggestioni.
    Hanno molto colpito alcuni interventi di Padri sinodali provenienti dal Medio Oriente, una terra perseguitata dove i cristiani sono vittime di discriminazione e violenza. Lì la liturgia, secondo loro, ha salvaguardato e tenuto insieme il popolo cristiano. Tolto tutto, è l’unica cosa che è rimasta. La liturgia ci fa popolo di Dio. Da queste parole è emerso un commovente e radicato legame tra fede del popolo e liturgia della Chiesa.
    L’Africa e anche l’America Latina sono alle prese con chiese pentecostali, che hanno nell’emotività, nello spirito comunitario, nel calore relazionale e nell’accoglienza familiare i cardini del loro successo. Perché tanti cattolici vanno da loro? Per alcuni Padri sinodali per la qualità della liturgia: trovano in essa musica che risveglia i sensi, partecipazione emotiva, coinvolgimento della corporeità e un grande anelito alla trascendenza.
    L’enorme continente asiatico – dove tante comunità cattoliche sono minoritarie – hanno riflettuto molto sull’interculturalità e sulla necessità di vivere in un mondo interreligioso. Hanno sottolineato che la pietà popolare non è fanatismo, ma è espressione della fede dei semplici e dei piccoli, dice il desiderio di toccare Dio e di essere da Lui salvati. Chiedono di riscoprire la fede nella sua forma originariamente sacramentale.
    L’Europa non ha riservato grandi interventi al tema liturgico. In genere si è insistito sul recupero della centralità dell’eucaristia e sul fatto che si perso il significato spirituale della liturgia. Bisogna rianimare e ritrovare lo spirito della liturgia: in una società molto pragmatica e utilitaristica è difficile far risplendere la bellezza della liturgia, che effettivamente, per dirla con R. Guardini, è quel “sublime non aver scopo” che pone l’esistenza dentro la logica del fine ultimo, offrendo così le coordinate del senso dell’esistenza umana.
    Anche l’ambiente anglosassone è sulla linea europea: in diversi interventi è emerso un grande bisogno di rinnovare la catechesi in ottica liturgica e catecumenale, riscoprendo la verticalità della celebrazione. È infatti ancora denunciata un’iniziazione cristiana di stampo nozionistico e intellettualistico, piuttosto che pratico ed esperienziale.

    «L’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana»

    Il Documento finale del Sinodo, raccogliendo le parole e le sensibilità dei Padri sinodali, ha dedicato uno spazio adeguato al tema della liturgia, offrendo certamente elementi che ci aiutano a fare il punto della situazione.
    A partire dal “contesto musicale” in cui i giovani vivono, c’è consapevolezza che «il linguaggio musicale rappresenta anche una risorsa pastorale, che interpella in particolare la liturgia e il suo rinnovamento. L’omologazione dei gusti in chiave commerciale rischia talvolta di compromettere il legame con le forme tradizionali di espressione musicale e anche liturgica» (n. 47).
    Il n. 51 – intitolato Il desiderio di una liturgia viva – è dedicato interamente al tema liturgico e conviene risentirne il tono e l’insieme delle riflessioni che ci offre:
    «In diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, in una liturgia fresca, autentica e gioiosa. In tante parti del mondo l’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana e conosce una partecipazione ampia e convinta. I giovani vi riconoscono un momento privilegiato di esperienza di Dio e della comunità ecclesiale, e un punto di partenza per la missione. Altrove invece si assiste a un certo allontanamento dai sacramenti e dall’Eucaristia domenicale, percepita più come precetto morale che come felice incontro con il Signore Risorto e con la comunità. In generale si constata che anche dove si offre la catechesi sui sacramenti, è debole l’accompagnamento educativo a vivere la celebrazione in profondità, a entrare nella ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti».
    Tra le ragioni della presa di distanza dei giovani dalla Chiesa è denunciata «la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio» (n. 53). Nel n. 92, nel momento in cui si afferma che «l’origine del termine “accompagnare” rinvia al pane spezzato e condiviso (cum pane), con tutta la ricchezza simbolica umana e sacramentale di questo rimando», si arriva logicamente a radicare l’accompagnamento nella celebrazione, perché
    «l’Eucaristia è memoria viva dell’evento pasquale, luogo privilegiato dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede in vista della missione. Nell’assemblea raccolta nella celebrazione eucaristica, l’esperienza di essere personalmente toccati, istruiti e guariti da Gesù accompagna ciascuno nel suo percorso di crescita personale».
    Anche nel Documento finale, così come nell’Instrumentum laboris, vi sono tre numeri dedicati direttamente e appositamente alla liturgia (nn. 134-136). Essi sono inseriti nel contesto della vita della comunità, presentata nella sua triplice dinamica di kerygma, liturgia e diakonia. Rileggiamo il n. 134 per intero, vista la sua importanza:
    «La celebrazione eucaristica è generativa della vita della comunità e della sinodalità della Chiesa. Essa è luogo di trasmissione della fede e di formazione alla missione, in cui si rende evidente che la comunità vive di grazia e non dell’opera delle proprie mani. Con le parole della tradizione orientale possiamo affermare che la liturgia è incontro con il Divino Servitore che fascia le nostre ferite e prepara per noi il banchetto pasquale, inviandoci a fare lo stesso con i nostri fratelli e sorelle. Va dunque riaffermato con chiarezza che l’impegno a celebrare con nobile semplicità e con il coinvolgimento dei diversi ministeri laicali, costituisce un momento essenziale della conversione missionaria della Chiesa. I giovani hanno mostrato di saper apprezzare e vivere con intensità celebrazioni autentiche in cui la bellezza dei segni, la cura della predicazione e il coinvolgimento comunitario parlano realmente di Dio. Bisogna dunque favorire la loro partecipazione attiva, ma tenendo vivo lo stupore per il Mistero; venire incontro alla loro sensibilità musicale e artistica, ma aiutarli a comprendere che la liturgia non è puramente espressione di sé, ma azione di Cristo e della Chiesa. Ugualmente importante è accompagnare i giovani a scoprire il valore dell’adorazione eucaristica come prolungamento della celebrazione, in cui vivere la contemplazione e la preghiera silenziosa».
    Il n. 135 è dedicato al sacramento della Riconciliazione e il n. 136 al valore della pietà popolare per l’accesso alla fede e alla pratica pastorale del pellegrinaggio.
    Insomma, molte sarebbero le suggestioni, le indicazioni e gli approfondimenti. Che non si possono riprendere in un Editoriale, ma si possono sviluppare attraverso un Dossier.

    «La liturgia è un problema per la pastorale giovanile?»

    Da tempo abbiamo “commissionato” un Dossier sulla liturgia e finalmente in questo numero di febbraio 2019 vede la luce! Bello che venga proprio al termine del cammino sinodale che, come ho cercato di mostrare, ha pian piano preso coscienza della centralità della liturgia. Anche se di passi ce ne sono ancora da fare, è già un buon inizio per riaprire il cantiere con convinzione.
    Ringrazio Manuel Belli e Marco Gallo che – sotto la saggia e illuminata guida di suor Elena Massimi – ci fanno dono delle loro competenze nel campo della liturgia e della loro passione per i giovani. Marco Gallo, all’inizio della terza parte del Dossier, si chiede:
    «La liturgia è un problema per la pastorale giovanile? O i giovani sono un problema per la pastorale liturgica? Chi deve occuparsi dunque delle azioni pratiche celebrative che coinvolgono giovani cristiani? O, ancora, quali attenzioni devono essere messe in conto perché i riti cristiani riescano a far celebrare anche i giovani?».
    Effettivamente, dobbiamo ammetterlo, non sempre siamo consapevoli e convinti che la liturgia sia un dono, una risorsa e una grazia per la pastorale giovanile. Il Dossier ci aiuta a ricuperare questa buona coscienza.
    Saremo chiamati ad entrare prima di tutto in una presa di coscienza della situazione. In una riflessione pastorale c’è sempre una necessaria fase “empirica”, che ci deve far stare con i piedi per terra. Si tratta di vedere come stanno le cose. E Manuel Belli ci aiuta a parlare dei temi che ci stanno a cuore riconoscendo lo “status quaestionis” della liturgia della Chiesa in relazione alle giovani generazioni.
    Ma il riconoscere non basta. I dati positivi non sono sufficienti. Ci vuole un approfondimento sistematico, ci vogliono criteri che vengono da una visione di fede. Elena Massimi ci aiuta così a “riscoprire il fondamento della partecipazione attiva”, attraverso una riflessione per noi importante, che ci aiuterà a valorizzare in pienezza tutta la nostra umanità in vista della comunione con Dio.
    Infine la fase “progettuale” e “pratica” non può mancare. Marco Gallo, attraverso alcune utili provocazioni e alcune presentazioni intelligenti di buone prassi, ci aiuterà a fare nostri alcuni “elementi utili per le liturgie con i giovani”. Non partiamo mai da zero, ma ci sono esperienze da cui prendere spunto per riscoprire con i giovani il senso e la portata della liturgia della Chiesa.
    Attraverso questi tre passaggi – che tra l’altro ci ricordano da vicino la metodologia sinodale del discernimento in tre tappe: riconoscere, interpretare, scegliere – possiamo davvero rifarci un “palato liturgico” adeguato per essere sempre più e sempre meglio al servizio dei giovani. Loro stessi ce lo hanno chiesto in modo graffiante e provocatorio nel documento finale della Riunione presinodale:
    «Purtroppo, in alcune parti del mondo, i giovani stanno lasciando la Chiesa in grande numero. Capire i motivi di questo fenomeno è cruciale per poter andare avanti. I giovani che non hanno legami con la Chiesa, o che si sono allontanati da essa, lo fanno perché hanno sperimentato indifferenza, giudizio e rifiuto. È possibile partecipare ad una messa e andar via senza aver sperimentato alcun senso di comunità o di famiglia in quanto Corpo di Cristo. I cristiani professano un Dio vivente, ma nonostante questo, troviamo celebrazioni e comunità che appaiono morte. I giovani sono attirati dalla gioia, che dovrebbe essere un segno distintivo della nostra fede. Desiderano vedere una Chiesa che sia testimone vivente di ciò che insegna, e mostri l’autenticità della strada verso la santità, comprendendo l’ammissione degli errori commessi e avendo l’umiltà di chiedere perdono. I giovani si aspettano che le guide della Chiesa – consacrati, religiosi e laici – ne siano un forte esempio. Sapere che i modelli di fede sono sia autentici che vulnerabili fa sentire anche i giovani liberi di esserlo. Non si vuole qui negare la sacralità del loro ministero, ma fare in modo che i giovani possano essere ispirati da loro in questo cammino verso la santità» (n. 7).
    Dunque accettiamo la sfida e mettiamoci in gioco! Partendo, perché no, dalla liturgia!


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