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     Il Vangelo,

    una bella notizia

    per la vita

    Riccardo Tonelli

    INDICE

    1. Una bella avventura, raccontata di bocca in bocca
    2. Perché il Vangelo si chiama... vangelo?
    3. Il Vangelo è davvero una 'bella notizia'?
    4. Il Vangelo, una storia scritta in amorese
    5. Ci possiamo fidare?

     


    1. Una bella avventura, raccontata di bocca in bocca

    La storia incomincia duemila anni fa

    Duemila anni fa, in un angolo sperduto del mondo, in quella terra di Palestina che i conquistatori romani disprezzavano fino al punto di mandare lì quelli che volevano castigare, è scoppiata un'avventura che ha segnato la storia di tutti in un modo originale.
    Un certo Gesù ha cominciato a girare per valli e colline, facendo gesti e dicendo parole che lasciavano un sapore di gioia nel cuore dei poveri e facevano arrabbiare non poco i capi del popolo, i responsabili dell'istituzione religiosa e quelli che avevano studiato e ci tenevano al loro prestigio.
    Un sabato, per esempio, quel bel tipo di Gesù stava parlando nella sinagoga, come faceva volentieri quando il responsabile gli dava la parola. Parlava di Dio in modo affascinante. Tutti s'accorgevano che aveva esperienze bellissime e originali cui fare riferimento. Quasi quasi, veniva spontaneo pensare che l'avesse visto e conoscesse qualche segreto speciale di lui.
    Però, non lo faceva pesare. Soprattutto non gli passava neppure per la testa la tentazione di usare queste informazioni di prima mano per darsi delle arie o per mettersi un gradino sopra i suoi ascoltatori.
    Sul più bello, la porta di fondo della sinagoga scricchiola come se qualcuno tentasse di sbirciare dentro. Pochi ci hanno fatto caso: un colpo improvviso di vento o qualche curioso che, arrivato tardi, cerca di non farsi notare.
    Gesù si ferma. Chiama Pietro, uno dei suoi discepoli della prima ora, un fidato per le scelte più importanti. Qualcuno dei pochi che avevano notato il piccolo trambusto, pensa: «Lo manda a sgridare quel seccatore, che ha disturbato una riunione tanto seria. Ci voleva proprio. Almeno nelle riunioni del sabato, sarebbe bene imparare ad essere puntuali».
    Gesù ha progetti molto diversi: «Senti, Pietro, di' a quella povera donna che sta fuori dalla porta... di non aver paura. Dille che si faccia avanti. Voglio farle un regalo che neppure si sogna».
    «Chissà come avrà fatto ad accorgersene? Quel Gesù ha mille occhi e non gli sfugge niente?». Non aveva ancora scoperto il povero Pietro che l'amore ha uno sguardo capace di forare anche le pareti.
    La povera donna avanza. Si mette in mezzo alla sala, piena di vergogna. Tutti gli sguardi sono su di lei. È ammalata seriamente. Una forma grave di artrosi l'ha quasi piegata in due. Cammina ricurva, con lo sguardo che corre solo verso terra.
    Aspetta lei. Aspettano tutti. Aspettano anche quelle tre persone, piantate in fondo alla sala con l'atteggiamento indagatore di chi non gli interessa nulla di quello che viene detto, ma controlla tutto per riferire poi a chi di dovere.
    Gesù rivolge alla povera donna ammalata di artrosi uno sguardo che dice più di mille parole. I suoi occhi brillano dalla voglia di guarirla. Le cose che aveva detto prima su Dio stanno per arrivare finalmente al dunque.
    Pietro è preoccupato. Ha delle responsabilità su Gesù e sul gruppo dei discepoli. Interviene prima che Gesù si metta nei guai: «Gesù, non guarirla... oggi è sabato. Se lo fai, ci accuseranno di trasgredire una legge santissima come è quella del sabato. Già i sommi sacerdoti e i farisei non ci possono vedere per le cose che stai dicendo su Dio. Se poi ti metti anche a trasgredire le leggi... sono guai neri. Per favore, Gesù, un po' di prudenza non guasta davvero».
    Gesù non ascolta. La logica di Pietro non gli va giù. Pensa a quella povera donna ammalata; pensa a quello che stava dicendo su Dio. Sembra concludere: basta parole... ci vogliono fatti... altrimenti continuano a tirare Dio dalla loro parte. Non si può andare avanti così. Dio fa della vita dell'uomo la sua grande felicità e quelli lo riducono ad un poliziotto che controlla tutto, pronto a dare multe e castighi. C'è persino il rischio che qualcuno pensi che Dio sia felice delle sofferenze della gente.
    Vuole essere chiaro. Non gli piacciono le affermazioni che dicono e non dicono. Si butta nella mischia.
    Gesù ha notato la presenza di qualcuno del gruppo dei 'maestri della legge'. Erano persone sapienti, che avevano l'incarico di insegnare e di interpretare la Bibbia. Si rivolge direttamente a loro: «Voi sapete tutto su Dio, vero? Lo spiegate con sicurezza agli altri. Sembra quasi che Dio vi abbia affidato i suoi segreti. Allora, ditemi, per favore: se io, per caso, guarissi questa povera donna, proprio oggi che è sabato... Dio sarebbe contento? Da che parte sta, secondo voi? Qual è in concreto la sua volontà? Secondo voi che sapete tutto di lui, è più felice della guarigione di una persona ammalata o dell'osservanza del sabato?».
    Gesù non è gentile. Chiede una risposta precisa a gente abituata a dividere un capello in quattro. L'alternativa è dura: da che parte sta Dio in questa situazione concreta. Guarigione o legge?
    Per noi è facile trovare una risposta: la legge è quella che ci siamo dati noi, frutto di accordi e di qualche compromesso, che basta un poco di furbizia per evadere. Chi ascoltava Gesù, sulla legge la pensava in modo molto diverso. Ogni buon ebreo considerava la legge una cosa sacra, la sorgente della sua identità religiosa, la carta costituzionale del suo essere parte di un popolo di amici di Dio.
    La risposta non si fa attendere: «Gesù, osserva la legge e non permetterti di fare cose proibite. La legge è legge. La guarisci domani... Ha aspettato diciotto anni. Può aspettare ancora un giorno)'.
    Di fronte a questi ragionamenti, che tradiscono un'idea meschina di Dio, Gesù perde la pazienza. Si rivolge ancora ai tre sapientoni, al capo della sinagoga che la pensava come loro, e a tutti quelli che credevano di intendersela con Dio. «Voi dite di essere i figli del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Voi dite che quando i vostri nemici, in Egitto, vi costringevano a camminare a testa curva, sotto il peso dei macigni' che vi caricavano sulle spalle, Dio è intervenuto direttamente, vi ha liberati dalla schiavitù. Ha fatto di voi un popolo che cammina a testa dritta... Fate bene a dirlo: è proprio vero. C'è solo un problema. Voi volete che nel nome di questo Dio che fa camminare a testa dritta... io lasci ancora per un giorno questa povera donna piegata in due? Voi siete matti da legare. Non avete capito proprio niente di Dio. Dio è felice quando l'uomo cammina a testa dritta».
    Si rivolge alla povera donna ammalata: «Drizza il tuo capo. Sei guarita. Sei viva. Puoi guardare tutti in faccia, finalmente». Poi alla folla, meravigliata e felice, dichiara: «Avete capito chi è Dio e da che parte sta? Ve l'avevo detto prima con delle parole... ora però ve l'ho detto con i fatti... e sono più contento. I fatti valgono più di mille parole».
    Questo gesto non poteva di sicuro lasciare indifferenti quelli che si sentivano responsabili dell'ordine pubblico e andavano insegnando, con tutti i mezzi, che Dio voleva ordine e disciplina, voleva il rispetto del sabato e voleva che ciascuno stesse al proprio posto, senza farsi montare grilli sulla testa, voleva... L'elenco delle cose che dicevano che Dio voleva non finiva mai. Anzi, ogni giorno se ne aggiungeva un pezzo e non era mai chiaro del tutto se le richieste se le fossero sognate loro di notte o c'entrassero davvero con il progetto di Dio sul suo popolo.
    La storia della donna guarita di sabato era poi l'ultimo episodio – per il momento – di una lunga catena. I difensori della legge non ne potevano proprio più: devono difendere la legge per difendere la loro identità personale e sociale.
    Ce l'hanno messa tutta per farlo fuori. Alla fine, hanno vinto loro. Sono riusciti ad arrestarlo. L'hanno processato, condannato e ucciso come un malfattore. Persino dopo averlo sepolto, hanno preso tutte le precauzioni: un picchetto di guardie armate è stato incaricato di fare da custodi. Erano sicuri che lui non sarebbe scappato... temevano invece gli imbrogli degli amici di un tempo.
    I nemici non lo sopportavano. Ma molte persone, buone e generose, che aspettavano con ansia qualcosa di nuovo per continuare a sperare in Dio, l'hanno preso sul serio. Gli hanno affidato tutti i loro sogni. Qualcuno ha persino salutato gli amici e abbandonato la casa e il mestiere, per stare con lui. Pietro era uno di quelli. Vicino a lui si è costituito un bel giro di discepoli. I vicinissimi erano una dozzina. Poi c'era il cerchio allargato: forse un centinaio di persone tra uomini e donne.
    Ci vuol poco ad immaginare la delusione che la sua morte violenta ha scatenato in queste brave persone. Tutto sembrava finito e sparite nel nulla le molte speranze che le parole e i gesti di Gesù avevano suscitato. E, invece, tutto è cambiato all'improvviso, come quando un raggio potente di luce squarcia le tenebre e restituisce vita e gioia.
    La morte violenta di Gesù è diventata l'inizio di una vita nuova. Gesù ne aveva parlato con un po' di anticipo. Ma neppure gli amici più fidati l'avevano preso troppo sul serio. Ora, per fortuna, i fatti gli danno ragione. Gesù si riprende la vita, grazie alla potenza di Dio cui si era affidato prima di essere ucciso. Esce dalla tomba come un vincitore, spaventando il picchetto armato che era stato messo a fargli la guardia. Si fa vedere in giro, vivo e glorioso: dalle donne più vicine al giro dei suoi amici, dai suoi discepoli, da gruppi sempre più numerosi.
    Ormai la certezza che Gesù è risorto, è diffusa e consolidata. L'impresa, suscitata dalla sua grande passione per la vita di tutti nel nome di Dio, continua. Il risorto convoca i suoi amici di prima e li manda in giro per il mondo a raccontare l'esperienza fatta con lui, per coinvolgere altri nella stessa avventura.

    In giro per il mondo ad annunciare la storia di Gesù

    I suoi amici più fidati l'hanno preso sul serio. Hanno invaso prima di tutto la terra in cui Gesù era vissuto. Poi hanno sfondato i confini della Palestina e hanno raggiunto gli angoli più lontani del mondo conosciuto.
    Quando si sono messi in viaggio, non avevano documenti da far analizzare né testi del loro maestro da far studiare. Avevano un mucchio di ricordi, una gioia che scoppiava dentro il cuore e la voglia di coinvolgere altri nella stessa avventura.
    Certo, la cosa suona un poco strana. Ogni buon maestro, infatti, annota le cose che gli stanno a cuore (o di persona o attraverso qualche segretario diligente) e chi va in giro a parlare di lui, fa riferimento continuo a questi documenti. Sono essi la carta di presentazione e di riferimento.
    Per Gesù non è capitato davvero così. A nessuno dei suoi discepoli è passata per la testa la voglia di mettersi a scrivere quello che Gesù faceva e diceva. Il messaggio di Gesù l'avevano dentro: Gesù aveva consegnato ad essi il suo Spirito. E questo era più che sufficiente. Di ricordi vivissimi avevano la testa e il cuore strapieni.
    Peccato che a quei tempi non avessero ancora inventato i registratori e strumentazioni simili. Avremmo la possibilità di riascoltare dalla viva voce dei primi discepoli l'affascinante avventura di Gesù. Ma... ci capiterebbe una sorpresa che può far storcere il naso a gente come noi.
    Tutti parlavano di Gesù. Ci tenevano a dichiarare che le cose dette le avevano sperimentate in prima persona. I loro occhi le avevano contemplate, superando, qualche volta, il velo di lacrime che nasceva dalla commozione. Le loro mani avevano toccato mille volte quelle di Gesù. Avevano ancora le orecchie piene del grido di dolore cui Gesù era sensibilissimo e degli applausi che la sua presenza scatenava.
    Eppure, spesso, non dicevano le stesse cose. Chi tentava di fare paragoni, s'accorgeva che i fatti c'erano tutti, con la loro forza provocatoria, e non c'era proprio nulla di inventato. Eppure mille particolari rendevano i commenti diversi, sempre nuovi.
    Nel racconto, ci mettevano ogni tanto un pezzo della loro stessa vita. Erano poi bravissimi a coinvolgere coloro che li ascoltavano. Sembrava che le parole pronunciate da Gesù e raccontate oggi dai suoi amici, fossero state dette proprio per ciascuno degli ascoltatori.
    I tipi più attenti – quelli cui non sfugge nulla e quelli che avevano preso l'abitudine di ascoltare con frequenza i racconti della storia di Gesù tutte le volte che ne capitava l'occasione – s'accorgevano che lo stesso racconto cambiava di tono e di particolari perché il narratore era preoccupato di renderlo attuale per coloro che lo ascoltavano. Ogni tanto, qualcuno diceva: «Ma ieri, a questo proposito, avete parlato in un altro tono...». I più informati aggiungevano: «Io ho sentito lo stesso racconto da un vostro collega... Una cosa è certa: non vi siete di sicuro messi d'accordo sulle cose da dire. Parlate degli stessi avvenimenti con particolari diversissimi...».
    I discepoli di Gesù avevano la risposta pronta: «Gesù di cose ne ha compiute tantissime. Se dovessimo raccontarvele tutte, ci vorrebbero degli anni... Stando con lui, abbiamo imparato a fare come quell'uomo saggio che sa tante cose e dal tesoro della sua sapienza ne tira fuori oggi una e domani un'altra». Subito però ci tenevano a sottolineare che la scelta non avveniva a caso. Essa era dettata da una esigenza specialissima, imparata a memoria stando con Gesù. «Le parole devono risuonare come bella notizia per chi ascolta. Vanno misurate con le sue attese e le sue esperienze. La stessa parola, incarnata nella vitaconcreta, diventa una parola sempre nuova e sempre bella. Gesù ha fatto così... così dobbiamo fare anche noi».
    Gli anni passavano e i primi discepoli se li sentivano ormai tutti sulle spalle. Poi erano davvero pochi in rapporto ai compiti da svolgere. Correvano senza sosta da un posto all'altro. Come era capitato per Gesù, non avevano più un momento di pace.
    Ogni tanto qualcuno lanciava l'idea impegnativa: «Dài... scrivete queste cose. Non le possiamo perdere. Vanno consegnate a chi verrà dopo di noi». Aggiungeva un altro: «Scriverle è importante... Quando non ci sarete più... Ci dispiace ma presto o tardi capiterà: cambi città o la morte ti ghermirà... Chi parlerà di Gesù? D'accordo... noi ci impegniamo a farlo e dopo di noi ce ne saranno degli altri... ma le parole tramandate solo a viva voce si perdono facilmente o si deteriorano. Dài... scrivete quello di cui parlate».

    Finalmente un testo scritto, anzi quattro

    Finalmente qualcuno dei discepoli si convince e incomincia a scrivere: qualche pagina della vita di Gesù, il ricordo di qualche suo discorso particolarmente importante, una tradizione cui teneva tanto... I materiali girano di città in città. Qualcuno li confronta. Alcuni sono riusciti meglio... altri peggio. I primi restano; gli altri sono gettati via.
    Ad un certo punto, venti o trent'anni dopo la morte di Gesù, tre discepoli della primissima ora raccolgono questi appunti e incominciano a scrivere la storia di Gesù con ordine.
    Di questi scrittori conosciamo i nomi e un po' della loro storia. Si chiamano Matteo, Marco, Luca. I materiali di riferimento sono abbastanza comuni. Essi danno origine a redazioni simili. Qualcuno, proprio per questa ragione, li chiama i 'Sinottici', una parola, di origine greca, che serve a dire che i tre racconti sono tanto simili, da poter essere letti quasi su colonne parallele, con un solo colpo d'occhi.
    I Sinottici sono simili... ma di certo non uguali. Non sono una fotocopia l'uno dell'altro. I criteri con cui i discepoli raccontavano a viva voce la storia di Gesù decidono anche la redazione dei Vangeli.
    Il risultato della loro fatica si chiama 'Vangelo'. Noi conosciamo il Vangelo 'secondo' Matteo, 'secondo' Marco e 'secondo' Luca.
    Cinquant'anni dopo spunta un quarto Vangelo. Lo scrive Giovanni, l'apostolo prediletto di Gesù.
    Scommetto che ti sei chiesto anche tu, come tantissimi hanno fatto in questi duemila anni che ci separano dalla morte di Gesù: perché Giovanni scrive il suo Vangelo?
    La risposta è facile: basta leggerlo.
    Tutto il documento trabocca della freschezza di ricordi di prima mano, che i lunghi anni trascorsi dagli avvenimenti raccontati non hanno davvero spento. Giovanni propone Gesù con la stessa forza con cui lui l'ha incontrato. Le sue pagine sono una specie di cammino di gente che sta dalla parte di Gesù o lo rifiuta decisamente. Ad ogni battuta chiede ai suoi lettori di scegliere, di credere in lui, di affidarsi a lui con Io stesso coraggio con cui lui l'ha scelto. Questa preoccupazione orienta la scelta dei temi e determina il tono e il ritmo del racconto.
    Giovanni scrive il suo Vangelo per sottolineare temi e fatti che secondo lui erano più decisivi di altri. Cinquant'anni di vita della Chiesa permettevano ormai di fare ordine nell'esperienza di Gesù e di mettere a punto le cose più importanti.
    Chi legge il Vangelo secondo Giovanni e lo paragona agli altri tre, s'accorge, per esempio, che Giovanni tralascia qualcuno dei fatti raccontati dagli altri testi del Vangelo... forse perché ormai erano tanto comuni, consolidati e ripetuti che non era il caso di insisterci troppo. Fa invece un'altra operazione, tutta sua e originale: interpreta i fatti e cerca di farci capire cosa c'era sotto. Ci si accorge subito che non si accontenta di dare delle informazioni, ma sollecita verso decisioni di vita.
    Questa è la storia dei quattro Vangeli che noi conosciamo e che la Chiesa ci mette continuamente tra le mani.

    Una pagina da leggere
    Dal Vangelo secondo Luca (13,10-17)

    Una volta Gesù stava insegnando in una sinagoga ed era sabato.
    C'era anche una donna malata: da diciotto anni uno spirito maligno la teneva ricurva e non poteva in nessun modo stare dritta. Quando Gesù la vide, la chiamò e le disse: «Donna, ormai sei guarita dalla tua malattia».
    Posò le sue mani su di lei ed essa subito si raddrizzò e si mise a lodare Dio.
    Ma il capo della sinagoga era indignato perché Gesù aveva fatto quella guarigione di sabato. Perciò si rivolse alla folla e disse: «In una settimana ci sono sei giorni per lavorare: venite dunque a farvi guarire in un giorno di lavoro e non di sabato!».
    Ma il Signore gli rispose: «Siete ipocriti! Anche di sabato voi slegate il bue o l'asino dalla mangiatoia per portarli a bere, non è così? Ebbene, questa donna è discendente di Abramo; Satana la teneva legata da diciotto anni: non doveva dunque essere liberata dalla sua malattia, anche se oggi è sabato?».
    Mentre Gesù diceva queste cose, tutti i suoi avversari erano pieni di vergogna. La gente invece si rallegrava per tutte le cose meravigliose che Gesù faceva.


    2. Perché il Vangelo si chiama... vangelo?

    Il Vangelo si chiama vangelo... perché pretende di essere veramente un vangelo.
    Non sto giocando con le parole, anche se, a prima vista, puoi avere l'impressione che sia proprio così. Sto invece cercando di condividere con te una constatazione che a me sembra importante per prendere il Vangelo tra le mani, in modo corretto, e aiutare gli altri a farlo.

    Il significato facile di una parola difficile

    Vangelo è un adattamento prima latino e poi italiano della parola greca euanghélion. Questa parola è composta di due parti: un prefisso (eu) e un sostantivo (anghélion). Il prefisso dice la qualità del sostantivo. Facciamo anche oggi così, soprattutto con le parole tecniche: `iper'-tensione indica 'pressione alta', `ipo'-tensione indica invece 'pressione bassa': `iper' e `ipo' sono due prefissi che qualificano il sostantivo che segue.
    Per capire il significato di eu-anghélion, dobbiamo, di conseguenza, incominciare ad intenderci sul sostantivo. Anghélion significa notizia, informazione, comunicazione. Hai già certamente sentito parlare degli angeli, quei personaggi misteriosi, di cui ogni tanto si parla anche nella letteratura religiosa. Anche gli angeli hanno un nome. Non si chiamano Carlo, Pasquale, Caterina... Si chiamano Raffaele, Gabriele, Michele. Il loro nome proprio viene dall'ebraico. Ha un significato che richiama il compito che loro è stato affidato, come si usava, di solito, tra i popoli antichi. Il loro nome comune è 'angeli' (ritorna, come noti, la stessa radice di `anghélion'), perché sono quelli che portano le notizie. Sono una specie di ambasciatori di Dio.
    Il Vangelo è una notizia, un messaggio, le notizie che Gesù ha portato su Dio. Non si intitola però anghélion, ma eu-anghélion. Il prefisso `eu', che precede il sostantivo, è fondamentale. Dice la qualità della notizia.
    Anche eu viene dalla lingua greca. Significa: bello, felice, gioioso. L'eu-anghélion è una bella notizia, un messaggio che suscita gioia.
    Ecco allora la questione: perché il Vangelo si chiama 'vangelo', e cioè 'bella notizia'?
    Il Vangelo è l'unico libro che usa come titolo non qualcosa che faccia riferimento al suo contenuto ma l'effetto che dovrebbe produrre la sua lettura.
    Pensa come sarebbe strano se tentassimo di riprodurre la stessa logica anche per gli altri libri che prendiamo tra le mani nelle nostre giornate... Dovremmo intitolare un testo di matematica, 'Uffa... che pizza'; quel romanzo che ci ha affascinato, `Bestiale'; il manuale di letteratura, che controvoglia ci tocca di studiare, 'Speriamo che finisca presto'.

    Il Vangelo: una bella notizia

    Il Vangelo si chiama vangelo perché coloro che hanno meditato le sue pagine, sono sempre arrivati alla conclusione felice: «Finalmente, una gran bella notizia (e cioè: un vangelo)».
    È un'idea che viene da lontano.
    In qualche biblioteca specializzata sono conservati, con una cura raffinatissima, dei manoscritti (dei libri, come dice il nome, scritti a mano su pergamene). Questi libri, in gergo, si chiamano 'codici'. Essi contengono i testi (integrali o parziali) dei Vangeli. Alcuni sono antichissimi. Si conserva un piccolo frammento di Vangelo (nella sua redazione originale greca) che risale all'anno 100. Alcuni, conservati molto bene, che contengono il testo integrale, risalgono a 300 o 400 anni dopo la morte di Gesù. Nella cattedrale di Rossano Calabro ho ammirato, commosso e stupito, il `codex purpureus', un codice del secolo VIII, scritto su fogli di pergamena, trattati con porpora (che dà uno sfondo rosso a tutto il documento). Esso riporta due Vangeli al completo e lascia intendere che nell'originale erano presenti anche gli altri due, con illustrazioni in miniatura incantevoli: una specie di Vangelo... multimediale.
    Tutti questi codici intitolano i testi che riproducono, con la formula classica: Vangelo, punto e basta. Si inserisce il nome dell'autore, per specificare a quale testo si vuole fare riferimento: Vangelo secondo Matteo, secondo Marco, secondo Luca e secondo Giovanni.
    I codici usano questo titolo perché fanno eco a quello che era capitato già ai tempi di Gesù.
    Gesù ha parlato tantissime volte alla gente. Ogni occasione era buona per dire le cose che gli stavano a cuore su Dio, sugli altri, sugli avvenimenti della vita quotidiana. Lo ascoltavano tutti con attenzione e meraviglia crescente. Si dimenticavano persino del tempo che scorreva inesorabile e della fame che incominciava a far brontolare lo stomaco. Le sue parole erano buone, restituivano gioia di vivere e libertà di sperare. I fatti poi parlavano da soli, con una forza provocante che lasciava a bocca spalancata tutti.
    Anche per Gesù, però, capitava quello che capita di solito quando ci mettiamo ad ascoltare persone affascinanti. Abbiamo l'impressione di aver capito tutto. Poi, appena cerchiamo di fare un po' di ordine, costruendo uno schema logico di quello che abbiamo udito, le idee si accavalla-no, ritornano certe frasi ma scopriamo che ci è sfuggito il contesto in cui sono state pronunciate, ci ricordiamo di un particolare favoloso ma non riusciamo più a realizzare la ragione per cui era stato proposto.
    Con un pizzico di fantasia, mi piace immaginare cosa capitava a coloro che erano partiti dal loro paese per correre ad incontrare Gesù nel paese vicino. È successo tante volte anche a te e ai tuoi amici, dopo una esperienza favolosa.
    Tornavano a casa con una faccia trasformata. La gioia che riempiva il loro cuore brillava negli occhi. Quelli che purtroppo non si erano potuti muovere, li assalivano. «Allora, come è andata? Cosa è capitato?». «Bellissimo... peccato davvero che non siate venuti anche voi... la prossima occasione si va tutti». Chi era rimasto a casa, insisteva: «D'accordo... ma cosa ha detto Gesù? Di che cosa ha parlato? Su quali punti ha insistito». Le domande sono precise e chiedono una risposta precisa. Scattano tutti. «Gesù ha detto...»: pausa. «Dillo tu... lo sai meglio di me. Tu hai studiato. Io preferisco muovere le mani piuttosto che la lingua». «Allora... Gesù ha detto...»: altra pausa. Le parole non escono. È difficile riassumere le cose bellissime che Gesù ha detto. Gli aggettivi si sprecano... ma la sostanza fa fatica ad uscire.
    Di solito, questi incontri finivano con la stessa battuta. «Sentite... non ci ricordiamo più bene tutto quello che Gesù ha detto, anche perché ne ha dette tante. La prossima volta, se volete saperne di più, veniteci anche voi. Una cosa però è sicura: ascoltare Gesù fa bene al cuore. Gesù dice e fa delle cose bellissime. Le sue parole sono davvero una bella notizia. Quando andiamo al Tempio per ascoltare i nostri capi, torniamo annoiati e arrabbiati dentro. Ci fanno una testa così... (e il gesto delle mani si sostituiva alle parole). Sembra che ci trovino un gusto matto a non farsi capire e quando si fanno capire, sono solo rimproveri. Con Gesù è un'altra cosa. Sprizza autorevolezza da tutto il suo volto. Le sue parole sono piene di pace. Appena apre bocca, hai l'impressione che ti butti le braccia al collo, in un abbraccio caldo e accogliente».
    Questa è la mia convinzione: a forza di concludere che le parole e i fatti di Gesù erano una bella notizia (un vangelo), si è arrivati a riassumere tutto l'insegnamento di Gesù nella espressione 'il vangelo'. Gesù propone un vangelo, che riempie il cuore di vita e di speranza.
    Dopo la morte e la risurrezione di Gesù, i suoi discepoli hanno accolto il suo invito e si sono sparsi per il mondo per parlare di Gesù e del suo messaggio. Poi, un poco alla volta, hanno messo per iscritto le cose che prima dicevano solo a voce. Sono nati dei testi scritti. Dovevano trovarci un titolo adeguato.
    Non ci hanno messo molto a scegliere il titolo più felice. E così, fin dall'inizio di questa affascinante avventura, per riassumere il contenuto dell'insegnamento di Gesù, i suoi discepoli hanno utilizzato la formula che meglio di tutte offriva la sintesi: il vangelo. Non si sono preoccupati dei 'contenuti', ma dell'effetto che essi suscitavano in chi li incontrava.
    L'apostolo Paolo, nelle lettere che scrive alle diverse comunità cristiane, costruite nel mondo conosciuto dalla sua passione evangelizzatrice, chiama 'il mio Vangelo' quello che ha insegnato. Non si mette in concorrenza con i quattro Vangeli: forse, non erano ancora stati scritti nella forma attuale e il materiale che era stato già scritto, non aveva di certo l'ufficialità che hanno oggi i quattro Vangeli. Parla anche lui di Vangelo perché vuole raccontarci, anche lui, la stessa esperienza di Gesù. E ci tiene tanto che aggiunge subito, con la foga che lo caratterizzava: «Se qualcuno venisse a proporvi un vangelo diverso da quello che vi ho raccontato io, non dategli retta e allontanatelo dalle vostre comunità. È un pericoloso imbroglione».
    Il Vangelo si chiama vangelo perché pretende di risuonare come una 'bella notizia', che riempie il cuore di gioia e spalanca la vita alla speranza.

    Il Vangelo è davvero una 'bella notizia'?

    Nelle pagine precedenti ho condiviso con te un'esperienza, ripetuta tutte le volte che ho dedicato un po' di tempo a leggere e a meditare il Vangelo: il Vangelo si chiama vangelo perché pretende di essere una 'bella notizia'.
    Ora ti propongo di fare un passo in avanti. Si tratta di un passaggio obbligato per persone serie come sei tu, io... e pochi altri.
    Te lo dico in modo un poco provocatorio: è vero che il Vangelo è una bella notizia o si tratta solo di una delle tante battute pubblicitarie? Ormai ci siamo abituati: persino per smerciare le cose più inutili la promessa è sempre la stessa... felicità, gioia, avventure a lieto fine su spiagge da favola.
    Se hai questo dubbio, è un buon segno: sulle belle notizie, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Non possiamo dire: è una bella notizia perché l'hanno detto gli altri. Sono belle notizie solo quelle che risuonano nella mia vita come vere belle notizie.

    Qualche difficoltà c'è davvero

    C'è un solo modo per verificarlo: provare a leggerlo. Prova a leggere alcune pagine del Vangelo, magari a caso... e lasciati prendere dalla voglia di andare avanti.
    Forse ci hai già provato e hai chiuso il libro in un cassetto, con una bella croce sopra. Forse ti bastano le pagine che sei costretto ad ascoltare - magari lette male e commentate peggio - alla domenica, durante la celebrazione dell'Eucaristia.
    Purtroppo non hai tutti i torti. Non poche volte il Vangelo lo trattano male proprio coloro che invece dovrebbero testimoniarlo agli altri, con gioia e con forza. Comunque... le persone serie non si lasciano scoraggiare per così poco.
    Ti invito ad insistere.
    Alcune avvertenze previe vanno però ricordate.
    Il Vangelo non si legge di certo come un romanzo o come il resoconto di una partita di pallone. È scritto per persone intelligenti, cui sta a cuore la vita e la speranza e sono un po' deluse delle mille risposte che circolano ogni nell'aria.
    È stato scritto quasi duemila anni fa, in una lingua e in un mondo e dentro una cultura molto diversa dalla nostra.
    In genere, poi, non lo possiamo leggere nella lingua originale in cui è stato scritto (il greco popolare). Abbiamo bisogno di qualche traduzione.
    Qualche volta ci capitano tra le mani delle traduzioni che sembrano fatte apposta per non farci capire quasi nulla di quello che il testo originale tenta di dirci. Ce ne sono però anche di fatte molto bene, studiate apposta da specialisti per trasportare nella nostra lingua non solo le parole ma anche il modello linguistico e la forma comunicativa.
    Come vedi, le difficoltà non mancano. Ma si possono superare abbastanza in fretta. L'ultima parola spetta a te.
    Non ti voglio convincere a suon di parole. Servono davvero a poco.
    Ti racconto l'esperienza che ho fatto io, leggendo e meditando il Vangelo. Ti invito a confrontarti con essa e ad inventare la tua.

    In compagnia di uno che aveva voglia di capirci

    Mi ha impressionato tantissimo la storia di Nicodemo. La considero una pagina importantissima del Vangelo, una di quelle che scopre tutte le carte e ti costringe a scegliere.
    Te la racconto, così come l'ho incontrata nella mia riflessione.
    Incominciamo dal personaggio. Nicodemo era un uomo colto e onesto. Non ne poteva più di quello che stava capitando e aspettava con ansia qualcuno che portasse un po' di pace, di tranquillità, di fiducia. Aveva sentito parlare molto bene di Gesù. Chissà che non sia proprio lui il profeta tanto atteso?-A dir la verità, ci sperava anche un pochino: di Gesù gli avevano riferito gesti e parole che aprivano il cuore alla speranza.
    Nicodemo, però, preferiva muoversi sul sicuro. Era navigato e sapeva troppe cose per lasciarsi sedurre da qualche battuta ad effetto.
    Un giorno, prende il coraggio a quattro mani e decide il confronto. Cerca Gesù. Lo raggiunge. Lo prende da solo, con tutta la calma necessaria. E gli butta lì la domanda che, da giorni, gli bruciava dentro: «Maestro, tu fai delle cose meravigliose. La gente ti segue e si fida di te. Dimmi la verità: chi sei tu? Che cosa cerchi? Cosa sei venuto a fare?».
    Le sue domande erano sincere. Le parole uscivano tremanti dalle labbra, come quelle che sgorgano direttamente dal cuore. «Nessuno può fare le cose meravigliose che fai tu, se non è mandato da Dio. Sei tu il profeta promesso da Dio per la salvezza d'Israele? È così... o mi sbaglio?».
    Gesù si accorge subito della sincerità di Nico(temo. Lo sente già dalla sua parte. Gli manca solo l'ultima spinta, quella decisiva, prima di rischiare tutto. Nicodemo la cercava con la trepidazione e la sofferenza interiore che ogni scelta di vita comporta.
    Se Gesù gli avesse detto un bel sì, tondo tondo, Nicodemo sarebbe partito sparato alla sua sequela.
    Gesù vuole scavare ancora. Ha trovato qualcuno, finalmente, con cui parlare dei segreti della sua esistenza. Non risponde direttamente: troppo comodo, anche per un tipo come Nicodemo. Lo provoca, invece, verso orizzonti più grandi.
    Non gli dice né chi è né tanto meno cosa è venuto a fare. Dichiara, brusco, che per capirlo bene bisogna «nascere di nuovo».
    Il povero Nicodemo va in crisi. «Nascere di nuovo... Gesù, stai scherzando. Sono vecchio ormai... spiegami come posso pretendere di entrare di nuovo in mia madre...».
    Realista com'era, Nicodemo sperava nella correzione di rotta. «Dài, Nicodemo, si fa per dire... Non prendermi sul serio. Qualche battuta all'inizio del discorso serve a rompere il ghiaccio e a diventare amici... Adesso parliamo sul serio: cosa vuoi sapere di me?». Se Gesù gli avesse detto cose simili, Nicodemo era pronto a sorridere: «D'accordo... sei un bel tipo. Dimmi, allora, chi sei davvero?».
    Invece, Gesù non ritira nulla. Anzi, insiste e approfondisce la sua posizione. Rilancia l'invito provocante a 'rinascere'. Ma spiega che la faccenda non è di tipo fisico; riguarda la mentalità. Va cambiata la testa e il cuore. Solo chi è disposto a cambiare modo di pensare, può comprendere il progetto di Dio, che Gesù ha intenzione di svelare a Nicodemo. Le cose che sta per dire sono di quelle che lasciano il segno; non si può lesinare sulle condizioni.
    A Gesù va simpatico Nicodemo. Ha capito di che razza è questo bravo israelita, amante di Dio, fedele osservante della legge di Mosè, capace di rischiare sulle cose che contano veramente.
    Non cerca neppure di verificare se sia disponibile a cambiare testa e cuore. Ne è sicuro. Nicodemo è venuto per questo. Non ha incontrato Gesù per curiosità intellettuale. Non gli ha fatto la domanda subdola, per metterlo alla prova, come avevano l'abitudine di fare i suoi colleghi. Nicodemo cerca Gesù per un'intensa domanda di vita.
    Gesù non risponde come fa di solito chi vuole assicurarsi dei fans. Per dire chi è lui e cosa è venuto a fare, rivela chi è Dio e qual è il suo progetto su di noi.
    Prima ragiona con lui sul terreno comune: quello della legge di Mosè, in cui Nicodemo era versatissimo.
    Poi, all'improvviso, come una folata di vento che butta all'aria tutto quello che avevamo organizzato in bell'ordine sul nostro tavolo di lavoro, Gesù va al centro della questione. «Vuoi sapere chi sono io? Che cosa sono venuto a fare? Ti accontento subito. L'ho constatato: hai un cuore nuovo e mi puoi capire».
    Ecco la riposta di Gesù, riportata alla lettera dal Vangelo di Giovanni: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17).
    Aveva ragione di chiedere a Nicodemo un cambio deciso di prospettiva. Con il cuore vecchio, quello radicato nei pregiudizi e pieno di paure, non possiamo capire assolutamente la presentazione che fa di sé.
    Il mondo che Dio ama siamo noi e sono tutti gli uomini.
    Dio ama la nostra vita, ce la vuole restituire piena e abbondante (Gv 10,10). Per realizzare questo progetto, si è messo lui stesso in cerca dell'uomo. Si è fatto dei nostri, solidale con noi pienamente e totalmente. Questa è la grande, insperata :bella notizia' che Gesù rivela a Nicodemo e, attraverso lui, a tutti noi.

    Accidenti... che pretesa!

    Quello della testa e del cuore nuovo... è una specie di ritornello. Ritma tutte le pagine del Vangelo.
    Gesù lo raccomanda ai suoi amici: «Il vino nuovo non si mette in otri vecchi, altrimenti gli otri scoppiano, il vino si rovescia e gli otri sono rovinati. Invece, il vino nuovo si mette in otri nuovi, così si conservano sia l'uno che gli altri» (Mt 9,17).
    Su questa pretesa si butta in polemiche infuocate con i suoi nemici. Non tenta di convincerli i. neppure accetta di discutere con loro. Dice loto, con i fatti e con le parole: «Non possiamo capirci, perché parliamo due lingue diverse. Anche voi, come faccio io, siete preoccupati di parlare bene di Dio. Volete che le persone lo accolgano nella propria vita. In fondo, voi e io cerchiamo la stessa cosa: la vita e la felicità nel nome di Dio. Ma avete un modo di cercare diversissimo dal mio. Voi ragionate con il cuore e la testa vecchia. Non si tratta di una cosa da poco... è proprio il motivo che ci divide e ci colloca tanto lontano da non trovare nessun punto di accordo».
    Gesù è andato al cuore del problema. I nemici di Gesù ragionavano con schemi vecchi. Gesù non andava d'accordo con loro perché proponeva un modo di pensare a Dio e di cercare la vita nel suo nome di stile totalmente nuovo.
    Il Vangelo è una bella notizia perché è tutto pieno di un modo di parlare di Dio che riempie il cuore di gioia e fonda la speranza su basi solide, come una roccia che non fa una piega nonostante l'infuriare della tempesta.
    Ti cito qualcuna delle tante pagine in cui si parla di Dio. Te le ricordo come piace a me: continuando nella nostra vita il racconto offerto dai testi del Vangelo. Riporto però anche i testi originali, per invitarti a leggerli con calma.

    L'amore cambia la vita

    La gente dal cuore e dalla testa vecchia aveva preso l'abitudine di dividere gli altri in buoni e cattivi. I buoni erano buoni perché facevano un mestiere socialmente approvato, osservavano tutte le leggi, erano di una perfezione esterna da lasciare a bocca aperta. E siccome erano buoni, potevano fare poi quello che volevano: parlar male degli altri, elencare i tipi pericolosi, quelli da evitare come la peste, indicare le cose da fare e quelle da evitare.
    I cattivi, poveretti, erano cattivi senza possibilità di riscatto. L'etichetta gli era arrivata addosso in un modo abbastanza strano. Pensa... c'erano dei mestieri cha facevano diventare buoni quelli che li praticavano... e ce n'erano degli altri che invece condannavano chi li praticava ad essere inesorabilmente cattivi. Che poi... questi mestieri fossero socialmente necessari... poco importava. Tu li pratichi... dunque sei un cattivone da sfuggire. Tu lo pratichi e io ne ricavo i vantaggi.
    Gesù aveva un modo diversissimo di vedere le cose. Lo diceva forte, senza cercare le parole meno pungenti. E lo metteva in pratica continuamente.
    Diceva: il criterio di valutazione non è esterno, sul mestiere, sull'etichetta, sulla linea parentale. I buoni sono quelli che hanno il cuore buono, i cattivi sono quelli che hanno il cuore cattivo. Dal cuore buono escono le benedizioni, i gesti di amore e di servizio. Dal cuore cattivo escono i soprusi, le ingiustizie, le aggressioni. Persino gli adulteri e gli assassini sono prima nel cuore e poi nei gesti.
    Ogni tanto, i suoi nemici, quelli che avevano testa e cuore vecchio, lo accusavano: «Tu sei amico dei cattivi. Vai a pranzo da loro. Ti contamini con la loro compagnia malvagia». Pensavano persino di organizzarsi per farlo fuori, come persona socialmente pericolosa.
    Gesù non rispondeva nella loro logica. Era vecchia: faceva coincidere peccato e peccatore. Così dividevano in buoni e cattivi con un piglio inesorabile. Spingeva invece a cambiare prospettiva, distinguendo proprio tra peccato e peccatore. «Io non sono amico dei peccatori e delle prostitute. Di sicuro non tengo loro il sacco. Io sono amico di Maddalena, che per mangiare fa la prostituta. Sono amicissimo di Zaccheo e di Levi che fanno di mestiere gli esattori delle tasse... e per questo voi li chiamate peccatori. Sono amico di quel poveretto che soffre di lebbra... una malattia tanto brutta che voi l'avete condannato ormai senza pietà». Poi aggiungeva subito, con un sorriso disarmante: «Facciamo una scommessa... Se diventiamo davvero amici di Maddalena, di Levi e di Zaccheo... volete vedere che cambiano? Essi cambiano vita proprio perché sono accolti in un abbraccio che smette di giudicarli impietosamente».
    Il Vangelo è la storia di questo modo di fare di Gesù. A me riempie il cuore di gioia. Per questo è una grande bella notizia.

    La vita prima di tutto

    Ti avevo promesso due 'prove'. Questa, appena ricordata, è la prima. La seconda è ancora più bella.
    Un giorno è arrivato da Gesù un gruppo di `maestri della legge', quei tipi che la sapevano lunga su tutto e sdottoreggiavano continuamente in nome di Dio. Si tiravano dietro per i capelli una povera donna, spaurita e discinta. «L'abbiamo colta in adulterio flagrante. Non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza. Uccidiamola, a colpi di pietra. Lo prescrive la nostra legge, quella che Mosè ci ha consegnato a nome di Dio. Tu lo sai molto bene». Gesù li guarda stupito.
    «Incomincia tu. Ecco una pietra: lanciala per primo. Hai sempre parlato bene della legge. Coraggio... osserviamola assieme».
    Quel gruppetto di 'maestri della legge' pensava di averlo messo con le spalle al muro. Gesù aveva sempre parlato bene della legge. Aveva in-vitato ad un'osservanza precisa e puntuale. «Non dovete permettervi di cambiare il testo scritto: neppure una virgola o un accento va preso alla leggera». Adesso deve scegliere: osservare la legge e mettersi a gettare pietre sulla povera donna peccatrice, o sconfessare tutte le sue dichiarazioni di principio e togliersi finalmente la maschera.
    Gesù tace. Continua a pensare e a pregare come se nulla fosse capitato. Non gli piace la gente che decide solo perché altri hanno deciso per loro. Vogliono uccidere nel nome della legge di Dio? Se la vedano loro, con la loro coscienza e non cerchino sostegni esterni.
    Il clima si fa teso, pesante. Qualcuno insiste: «Gesù... allora?». Ma Gesù aspetta in silenzio.
    La legge per lui è importante. Ma è per la vita. Non può diventare principio di morte. Questa non è la legge che il Padre suo ha offerto agli uomini. Fanno così i potenti di questa terra, cui interessa davvero poco la vita degli altri.
    Gesù li stana dalla loro falsa sicurezza. «Volete uccidere chi ha trasgredito la legge... Allora incominci a gettare le pietre chi si sente a posto... lei l'ha osservata sempre, dia l'esempio». Quei bravi giudei che volevano il rispetto della legge a tutti i costi, si scoprono immersi nella morte. La invocavano sul peccato della povera donna. E ne erano pieni essi stessi: di peccato e di morte.
    Sono messi con le spalle al muro. Buttano le pietre che avevano ormai nelle mani e fuggono.
    Qualcuno scappa vergognoso. Qualche altro si allontana salvato: riscopre la legge, lui che pensava di conoscerla alla perfezione e la voleva applicata alla lettera.
    Tutti erano arrivati lì pieni di morte. Se ne tornano a casa loro, restituiti alla vita.
    Gesù, finalmente, è solo. La povera donna è ancora per terra, incapace di sollevare lo sguardo dalla polvere in cui era stata gettata.
    Gesù si china. La afferra per una mano. La alza in piedi: a testa dritta, come piace a lui. La guarda negli occhi, con uno sguardo dolcissimo.
    «Sei viva. La legge della vita ti ha salvata. Vedi come sono strane queste cose... Pensavi di essere viva perché facevi quello che volevi in barba alla legge di Mosè. Ed eri morta, prima ancora di essere condannata. Ora sei viva: restituita alla vita. Beh... adesso... ce la fai a vivere da persona viva?».
    «Sì, Gesù. Grazie. Posso stare con te?».
    Quella gente credeva alla legge. Lo faceva con il cuore vecchio. Gesù discute con loro non sulla opportunità o meno di osservare la legge. Il Vangelo è preciso e perentorio: la legge va osservata, senza troppi indugi. Discute con loro sul modo di intenderla: sul cuore. La legge è per la vita. Viene osservata quando nel suo nome si promuove la vita. Il volto di Dio che Gesù propone è quello di un padre che vuole la vita di tutti ed è felice quando la vita cresce, sulla forza o nonostante la legge.

    Allora... è davvero una bella notizia?

    Ti ho citato qualche pagina. Mi puoi dire: nei Vangeli di cose ce ne sono scritte molte altre. Come fai ad affermare qualcosa, citando due pagine su cinquecento?
    Hai ragione se si tratta di percentuali e di rapporti.
    Non credo che le cose debbano essere prese da questo verso.
    Pensa a quello che capita alla mia e alla tua esistenza. Di esperienze ne facciamo tantissime e più gli anni passano, più l'elenco si allunga. Alcune però sono speciali... tanto speciali che per comprendere il senso di tutta una vita, bisogna rifarsi a queste. Sono esperienze che funzionano come chiave di comprensione delle altre.
    Pensaci: anche se sei giovane, non farai fatica a scoprire quali sono quelle decisive nella tua vita.
    Le persone fortunate ne hanno di bellissime (la raccontare. Tutta la loro vita è segnata da queste esperienze. Sono persone che è una gioia incontrare. Il loro ricordo resta, anche a mesi di distanza e a chilometri di lontananza. Altre persone sono una calamità. Ci basta averle incontrate una volta e le mettiamo nell'elenco di quelle da sfuggire in modo risoluto.
    Del Vangelo ti ho raccontato un piccolo frammento. Mi sembra la chiave per comprendere tutto il resto, quell'esperienza decisiva che spalanca in modo complessivo sull'insieme della storia di Gesù e dei suoi discepoli.
    A me sembra una gran bella notizia, perché restituisce a Dio e a ciascuno di noi un volto affascinante. Una cosa ci resta da fare: prendere in mano il Vangelo e rileggerlo a partire da questa chiave di comprensione.
    Non lasciarlo nelle mani di altri, che magari te lo rovinano un po', togliendogli il sapore di bella notizia. Scoprilo tu. Leggilo, meditalo, pregalo tu.
    Provare per credere.

    Una pagina da leggere
    Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10)

    Poi Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando.
    Qui viveva un certo Zaccheo. Era un capo degli agenti delle tasse ed era molto ricco.
    Desiderava però vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva: c'era troppa gente attorno a Gesù e lui era troppo piccolo. Allora corse un po' avanti e si arrampicò sopra un albero in un punto dove Gesù doveva passare: sperava così di poterlo vedere.
    Quando arrivò in quel punto, Gesù guardò in alto e disse a Zaccheo: «Scendi in fretta, perché oggi devo fermarmi a casa tua!».
    Zaccheo scese subito dall'albero e con grande gioia accolse Gesù in casa sua.
    I presenti vedendo queste cose si misero a mormorare contro Gesù. Dicevano: «È andato ad alloggiare da uno strozzino».
    laccheo invece, stando davanti al Signore, gli disse «Signore, la metà dei miei beni la do ai poveri i. se ho rubato a qualcuno gli rendo quel che gli ho preso quattro volte tanto».
    Allora Gesù disse a Zaccheo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Anche tu sei un discendente di Abramo. Ora il Figlio dell'uomo è venuto proprio a cercare e a salvare quelli che erano perduti».

    Dal Vangelo secondo Giovanni (8,3-11)

    I maestri della legge e i farisei portarono davanti a Gesù una donna sorpresa in adulterio
    e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa mentre tradiva suo marito. Nella sua legge Mosè ci ha ordinato di uccidere queste donne infedeli a colpi di pietra. Tu, che cosa ne dici?».
    Parlavano così per metterlo alla prova: volevano avere pretesti per accusarlo. Ma Gesù guardava in terra, e scriveva col dito nella polvere.
    Quelli però insistevano con le domande. Allora Gesù alzò la testa e disse: «Chi tra voi è senza peccati, scagli per primo una pietra contro di lei». Poi si curvò di nuovo a scrivere in terra.
    Udite queste parole, quelli se ne andarono uno dopo l'altro, cominciando dai più anziani. Rimase soltanto Gesù, e la donna che era là in mezzo. Gesù si alzò e le disse: «Dove sono andati? Nessuno ti ha condannata?».
    La donna rispose: «Nessuno, Signore».
    Gesù disse: «Neppure io ti condanno. Va', ma d'ora in poi non peccare più!».


    4. Il Vangelo, una storia scritta in amorese

    Non ti è mai venuta la voglia di scrivere una poesia?
    Presto o tardi, capita a tutti.
    Troppe volte siamo costretti a scrivere sotto ordinazione. Tu poi ne hai una esperienza diretta: basta pensare ai compiti di italiano da fare per avere un buon voto. L'argomento. da illustrare ce lo fissano gli altri. Si tratta, spesso, di un tema che ci lascia indifferenti, un titolo che sembra fatto apposta per complicare le cose facili. Alla fine, fa da incubo la previsione di essere giudicati e valutati da qualcuno che non c'entra davvero molto con le cose che, alla fine, riusciamo a scrivere.
    In questi casi, il foglio bianco da riempire prima che si faccia notte, ci incombe, feroce e impietoso. La biro serve a tutto eccetto che a vergare quelle frasi che dobbiamo sbattere giù, alla meno peggio.
    Scrivere una poesia è un'altra cosa, un'avventura deliziosa che ci affascina e ci diverte. Ci abbiamo pensato, immaginando i versi, provando a ripeterceli nel silenzio, quasi per assaporarli. Prima ancora di metterci a scrivere, le parole vengono giù, lisce e filate come un fiume in piena.
    Poi, un bel giorno, la decisione: un foglio bianco speciale, una penna, carica di mille ricordi, quel disco in sottofondo che riserviamo per i momenti più felici... e via nell'impresa. Le incertezze, che ci fanno tornare ogni tanto indietro, non riguardano le cose da scrivere, ma la forma migliore per dircele. Il risultato finisce in un angolo protetto del nostro cassetto, dove nessuno ha il diritto di metterci le mani. Abbiamo scritto un pezzo della nostra vita. Ci appartiene. È riservato agli amici più intimi, quando lo decidiamo noi.

    La questione: trattato, poesia o altro?

    Ti ho proposto due modelli di scrittura, per aiutarti a scoprire in quale stile sono scritti i Vangeli. I testi dei quattro Vangeli sono una specie di lunga poesia, scritta da autori innamorati del personaggio di cui parlano e preoccupati di suscitare la stessa esperienza in coloro che avranno la gioia di leggere i documenti prodotti oppure rappresentano il resoconto, puntuale e puntiglioso, di avvenimenti che, sprofondati in anni lontani, rivivono per noi nelle pagine di un libro di storia?
    Forse, di fronte a questo interrogativo, la tua risposta è un bel 'boh', solenne e rumoroso...
    una risposta che ne sottende un'altra: «A dir la verità... non me ne importa molto. Ho altri problemi per la testa».
    A me invece sembra importante conoscere lo stile con cui sono scritti i Vangeli. Per questo ti chiedo di fare un po' di strada con me, se non ti dispiace troppo. La ragione è semplice: l'intenzione dell'autore e il suo modo di esprimersi hanno un peso determinante nell'atteggiamento con cui noi prendiamo in considerazione le sue proposte. Se, per esempio, io so che in un documento non c'è nessuna delle preoccupazioni tipiche degli studiosi di storia contemporanea, quando l'autore mi dice che c'erano diecimila bocche da sfamare e solo un sacchetto striminzito di pagnotte a disposizione, ci faccio una tara abbondante e non mi preoccupo affatto di fare dei conti. Conta più l'effetto dei fatti. Se invece chi scrive pretende di dare dei resoconti ufficiali, documentabili e verificabili, cerco delle prove e, quando le ho trovate, mi fido e ci scommetto anch'io. Se invece le prove sicure non ci sono, non ci faccio una piega o tratto il documento come se fosse un romanzo di fantascienza.

    A confronto con l'intenzione degli autori

    Quella dello stile con cui sono stati scritti i Vangeli, sembra una questione facile. Eppure gli addetti ai lavori ci hanno dedicato moltissimo tempo e le conclusioni non sono pacifiche per tutti.
    Secondo tutta la tradizione, l'apostolo Giovanni è l'autore del quarto Vangelo. Oltre al Vangelo ha scritto tre lettere ai cristiani del suo tempo. Nella prima, la più lunga e la più bella, dichiara le sue intenzioni. Hanno tutto il sapore del testamento e della rivisitazione delle cose condivise nell'arco della sua esistenza. Scrive: «La Parola che dà la vita esisteva fin da principio: noi l'abbiamo udita, l'abbiamo vista con i nostri occhi, l'abbiamo contemplata, l'abbiamo toccata con le nostre mani. [...] Siamo i suoi testimoni e perciò ve ne parliamo. [...] Vi scriviamo tutto questo perché la vostra gioia sia perfetta».
    Un'altra dichiarazione di intenti è contenuta nell'apertura del Vangelo secondo Luca.
    Luca era uno che aveva studiato. La sua formazione dipendeva da scuole e modelli culturali di respiro greco. Ci tiene a dire che le cose scritte sono autentiche, documentate e possono tranquillamente stare a confronto con gli altri testi prodotti dalla letteratura contemporanea. Aprendo il suo Vangelo fa una introduzione diversa da quella di Giovanni. Scrive: «Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».
    A noi che siamo gente, cui piace dividere e distinguere, viene spontaneo chiederci: ha ragione Giovanni o Luca? I Vangeli sono scritti con la preoccupazione poetica e esistenziale di Giovanni o con la ricerca, accurata e un po' fredda dello storico, stile Luca?
    Vuoi la mia reazione? Su questa questione non possiamo discutere... perché è sbagliata la domanda ... e quando la domanda è sbagliata, le risposte hanno poco interesse.
    Chi si chiede se vale di più la preoccupazione di Giovanni o quella di Luca, ragiona con la testa che ci siamo costruiti oggi. Il metodo va bene per analizzare molte delle cose prodotte oggi. Ma funziona poco per analizzare i Vangeli, testi prodotti duemila anni fa, da autori che avevano preoccupazioni assai diverse dalle nostre, molto simili tra loro anche se le premesse sembrano diverse.
    Mi spiego con un paragone. Insisto su questo aspetto perché sono convinto della sua importanza e ti chiedo il favore di darmi un po' di fiducia ancora per qualche riga.
    Prova a pensare ad una partita di calcio di quelle che contano, una finale al cardiopalma o il derby tra due squadre della stessa città.
    All'ultimo minuto, quando i giochi sembravano fatti, spunta un rigore. Cambia il risultato della partita. Lo so che il giudizio dell'arbitro è insindacabile... ma, accidenti, quel rigore è un fatto grosso. Ha cambiato di peso un risultato che sembrava ormai pronto per finire in archivio.
    Un tipo era allo stadio e ha assistito di persona a tutta la partita. Torna a casa e si infila nel bar dove lo aspettano gli amici. Essi la partita l'hanno vista solo in TV o, magari, l'hanno ascoltata, con il fiato in gola, solo in radiocronaca. Hanno visto tutto: con gli occhi ingannati dalle telecamere o, peggio, costretti ad immaginare quello che il commentatore ti raccontava. Sulle cose che contano, non basta il parere degli estranei. Ci vuole una testimonianza diretta.
    Appena entra, lo assalgono: «Tu eri allo stadio... Dicci: quel rigore... c'era o non c'era?». Siccome era allo stadio e ha visto (nel filtro del tifo della 'curva' in cui era piazzato), lui può parlare. Solo lui può risolvere la questione che sta facendo discutere fino all'impazzimento.
    Certo, non può imbrogliare. I fatti li deve raccontare come sono andati davvero. Anche il tifo, infatti, ha le sue regole di oggettività.
    Il racconto del tipo che era allo stadio fila veloce, senza nessuna incertezza. Se il rigore era a favore della squadra per cui fanno tifo lui e gli amici del bar, nessun dubbio sul rigore. L'intervento dell'arbitro era sacrosanto... e guai a chi lo contesta. Ma se il rigore era contro la squadra del cuore... il povero arbitro non si salva più.
    I fatti sono chiari e lampanti. Stanno sotto gli occhi di tutti. Ma gli occhi hanno una capacità di penetrazione specialissima. Leggono fatti e particolari con la passione dell'amore e del coinvolgimento.
    La TV ci offre un'altra opportunità. Penso a quella specie di 'processo' che viene fatto nel dopopartita. Si radunano un gruppo di esperti. Riguardano l'azione contestata... quel rigore che ha scosso il cuore dei tifosi delle due squadre: Riproducono il filmato dieci volte. Poi incominciano a dire la loro. Ogni tanto, qualcuno si appella ai fatti e... via di nuovo lo spezzone del filmato. Si arriva persino a volerlo revisionare al rallentatore per non perdere nessun particolare. Con gli strumenti raffinati di cui è in possesso la TV, si riesce persino a tracciare una perpendicolare tra il pallone, la mano dell'attaccante e l'erba del campo... per vedere se l'azione era dentro o fuori la linea del rigore. Le discussioni si sprecano. Ci si prende quasi per i capelli. Viene rispolverato un fatto simile, capitato quindici campionati fa.
    Risultato? Tutto come prima. Chi è entrato convinto della necessità del rigore, ne esce straconvinto, come è straconvinto del contrario chi era entrato con questo parere.
    Il racconto appassionato approfondisce l'esperienza e allarga la fiducia. Quello, arricchito delle elucubrazioni degli esperti e degli artifizi della tecnica, non sposta di un millimetro la fede.
    Mi sono chiesto perché le cose vadano così. Ti dico la risposta che mi sono dato... così, in qualche modo, ritorno alla stesura dei Vangeli e allo stile con cui i loro autori li hanno scritti.
    Se voglio conoscere come funziona un computer o mi interessa approfondire il teorema di Pitagora, ogni particolare è benvenuto. L'entusiasmo e la commozione non servono proprio a nulla. Contano i particolari, la loro verità e la loro corretta organizzazione.
    Quando c'è di mezzo l'amore, il significato della vita, le proposte che giustificano il diritto alla speranza, corretta organizzazione e particolari autentici sono importanti... ma non sufficienti. Non dico ad una persona «Ti voglio bene», perché ne ho le prove scientifiche e ho potuto analizzare l'indice di adrenalina che la sua presenza scatena in me. Dico «Ti voglio bene», perché mi butto, rischio, 'lo sento' dentro.
    Lo stile con cui sono scritti i Vangeli assomiglia molto di più al racconto appassionato del tifoso che al resoconto del 'processo' in TV. Anche Luca, che fa quasi finta di percorrere un'altra strada, non ha nessuna preoccupazione del tipo 'processo'. Anche lui, anche Giovanni, come tutti gli altri discepoli, hanno scelto Gesù come il Signore della loro vita e raccontano quel frammento di esistenza, condivisa con lui, con la preoccupazione di coinvolgere altri nella stessa esperienza.
    Sono un pezzo di storia, vera e autentica, scritta però più in `amorese' (la lingua in cui diciamo agli altri il nostro amore) che in 'matematichese' (la lingua in cui siamo costretti a riferire al prof. di matematica quello che abbiamo studiato).

    Una specie di prova del nove

    Finora te l'ho detto con le mie parole. Ti invito a cercare una verifica sfogliando qualche pagina dei Vangeli stessi. Scoprirai delle cose bellissime.
    Questo è il dato: i Vangeli e le testimonianze apostoliche non sono mai il resoconto materiale degli avvenimenti della vita di Gesù di Nazareth, di cui i discepoli sono stati testimoni. Essi sono invece un documento di fede e di amore. I Vangeli sono l'espressione, autentica e verificabile, di avvenimenti, scritti in una stagione in cui moltissimi testimoni diretti erano ancora vivi.
    Per i Vangeli capita esattamente quello di cui ti ho appena riferito nel paragone del rigore raccontato agli amici del bar. C'è un fatto certo e documentabile: la persona di Gesù, i gesti da lui compiuti e le parole che ha detto. C'è però la fede appassionata del discepolo e della prima comunità cristiana, nata nell'entusiasmo di questi avvenimenti meravigliosi. E ci sono persino i destinatari concreti di questi testi scritti: persone vive, piene della voglia di vita e affamate di speranza, che l'autore di ogni Vangelo coinvolge direttamente nel suo racconto.
    I Vangeli sono, in ultima analisi, un documento tessuto di fede e di storia, pieno di avvenimenti documentabili e traboccante della vita concreta di chi scrive e di chi legge. Questo modello speciale di scrittura rende i Vangeli capaci di suscitare altre esperienze di fede, come è capitato all'inizio e continua a capitare nell'esistenza di tante persone.
    Ti faccio un esempio concreto. Lo scelgo tra le pagine più importanti del Vangelo.
    I Vangeli raccontano quello che è capitato nell'ultima cena che Gesù ha consumato con i suoi discepoli, prima di essere arrestato e ucciso. Il fatto lo conosci: se ne parla spesso perché in quella circostanza Gesù ha celebrato la prima eucaristia e ha chiesto ai suoi discepoli di continuare a fare la stessa cosa come suo ricordo.
    L'avvenimento è di estrema importanza. Può essere considerato l'inizio ufficiale della Chiesa. Eppure... cosa stranissima, i racconti dei Vangeli sono abbastanza diversi.
    Nel Nuovo Testamento esistono quattro redazioni della cena. Ne parlano Matteo, Marco e Luca. Un altro racconto è contenuto nella Lettera che Paolo ha scritto agli abitanti di Corinto.
    Matteo, Marco e Luca si limitano a raccontare il fatto, senza particolari commenti. Paolo, inve( e, cambia registro. Racconta a cenni rapidi l'avvenimento, tutto preoccupato di sottolinearne le conseguenze sul piano dello stile di vita. Raccomanda la condivisione del pane terreno a coloro che partecipano dello stesso gesto eucaristico. Minaccia di morte quelli che invece conservano nel cuore e nei fatti la divisione e il sopruso.
    Nel suo vangelo Giovanni non racconta esplicitamente la cena. Sembra quasi ignorare questo momento solenne della vita cristiana. Contiene però un racconto che ha il medesimo ritmo narrativo: la lavanda dei piedi, quel gesto di grande impegno con cui Gesù si piega a servire i suoi discepoli, lavando i loro piedi come facevano gli schiavi ai loro padroni.
    Giovanni dà per scontato il fatto e si preoccupa di sottolinearne il significato: invita, con forza provocatoria, a ripetere quello che Gesù ha fatto in tutta la sua vita, mettendosi al servizio serio degli altri. In qualche modo sembra dire: «Attenzione, cristiani. Prendere seriamente l'invito di Gesù non significa, prima di tutto, condividere il pane eucaristico. La prima condivisione è quella della vita. Dobbiamo metterci al servizio gli uni degli altri... e così la nostra celebrazione eucaristica assomiglierà di più a quella di Gesù».
    Ecco, allora, la questione: perché un avvenimento tanto importante è descritto attraverso racconti così diversi?
    La risposta è facile, dopo il commento appena fatto. I testi dei Vangeli non sono il resoconto stenografico di un avvenimento, ma la sua espressione nella fede e nella passione di un testimone. L'autore non vuole descrivere dei fatti.
    ripropone come avvenimento salvifico. Li ricorda e li fa rivivere, perché sono la fonte, unica e definitiva, della salvezza. Ma li esprime, allargandoli con le parole della sua fede e con i bisogni concreti dei suoi destinatari.
    Giovanni vuole riportare la comunità ecclesiale allo spessore autentico dell'Eucaristia: Gesù dà la sua vita perché tutti abbiano la vita e chiede ai suoi discepoli di continuare lo stesso gesto. Sembra sostituire il simbolo del pane a quello più provocante della lavanda dei piedi, proprio per sollecitare all'evento che dà sostanza all'Eucaristia: la croce.
    Paolo grida la sua minaccia, nel nome del pane della vita, perché si rivolge a cristiani intorpiditi, consegnati al loro egoismo mentre celebrano il sacramento dell'amore e della condivisione.
    L'evento ricordato, la fede del testimone, la vita dei destinatari sono dimensioni dell'unico racconto. Questo è lo stile con cui sono scritti i Vangeli: davvero... più in `amorese', che in 'matematichese'.


    5. Ci possiamo fidare?

    Ho condiviso con te le impressioni e le esperienze che ha suscitato in me l'incontro con il Vangelo. Una preoccupazione scorreva tra le righe mentre raccontavo queste cose: contagiarti della stessa grande passione per Gesù di Nazareth e per la sua storia. Spero che te ne sia accorto. Non è possibile fare altrimenti. Quello che ha afferrato la propria vita non può essere comunicato con toni freddi e distaccati.
    Riconosco che la pretesa non è piccola e sono convinto che non può essere risolta a fil di logica. La passione per Gesù è come l'amore. Il cuore s'infiamma e gli occhi brillano di una espressione nuova... quando 'viene'. Non può essere né previsto né programmato.
    Una passione come questa, che prende tutta la vita, non la possiamo di sicuro affidare al primo venuto e non sono sufficienti i più solenni `per me è così' per chiudere il discorso. È importante rilanciare, ogni tanto, la domanda messa a titolo: Ci possiamo fidare? Possiamo fondare il senso della nostra vita e la speranza sulla sua consistenza su pagine come quelle dei Vangeli?
    Rispondo prima di tutto con una pagina del Vangelo che a me ha dato spesso da pensare.
    Poi tento di aggiungere qualche mia riflessione.

    Una storia vicina alla nostra

    La storia che ti racconto è quella di Giovanni, il Battezzatore (da non confondere con l'altro Giovanni, di cui abbiamo già parlato, autore del quarto Vangelo). I suoi problemi assomigliano abbastanza ai miei e, penso, anche ai tuoi... anche se Giovanni si trovava davanti ad una alternativa drammatica, che per fortuna noi non abbiamo mai dovuto affrontare.
    Come racconta il Vangelo, Giovanni era finito in carcere. L'aveva previsto. Aveva avuto il coraggio di denunciare il re Erode, un duro, presuntuoso e sfrontato, per la sua condotta malvagia. L'aveva fatto con parole di fuoco: «Non basta comandare per presumere di poter fare quello che ti piace. Non puoi tenerti la moglie di tuo fratello. Rimandala a casa e cambia vita. Se non Io fai, sei finito». Certo, conosceva il rischio del suo gesto: dire al potente di turno, senza mezzi termini, quello che si meritava... conduceva inesorabilmente verso il carcere e la morte.
    Erode aveva paura di Giovanni. Lo considerava uno dei pochissimi che non si inchinavano ad ogni suo cenno. Non poteva però permettersi un'offesa così bruciante. Aveva una dignità da far rispettare. E così l'aveva fatto rinchiudere in un carcere di massima sicurezza. Sono convinto – anche se i Vangeli non lo dicono mai esplicitamente – che Giovanni immaginava una via di uscita alla sua situazione tragica: chiedere scusa pubblicamente e passare dalla parte dei più, rispettosi della dignità del re Erode e della sua responsabilità. La logica era semplice e molti gliel'avevano raccomandata: fare gli affari propri e non impicciarsi di quelli degli altri... non guasta mai.
    Giovanni, in carcere, meditava sul senso della propria vita. Sapeva di essere condannato a morte. Forse Erode non sarebbe giunto subito alla decisione. Ma Erodiade, quella poco di buono che aveva sedotto Erode, soffiava nel fuoco, convinta che far fuori Giovanni era l'unica soluzione e più presto si realizzava meglio era.
    Di chiedere scusa ad Erode, impegnandosi a fare il cantore delle sue virtù per amore del regno, non se ne parlava neppure. Giovanni lo sapeva molto bene: poteva scampare la pelle e magari assicurarsi un posticino di prestigio alla corte, ma la morte se la sarebbe portata dentro, triste compagna di un tradimento solenne.
    Sapeva di essere condannato a morte.
    Un giorno, i suoi discepoli lo vanno a trovare in carcere. Gli parlano di Gesù. «Sai, Giovanni, c'è in giro un tipo che dice di conoscerti e parla spesso molto bene di te. L'abbiamo ascoltato qualche volta. Dice delle cose bellissime... persino con un tono più dolce e risoluto del tuo. La gente l'ascolta e lo segue. Beh... sai... questo tipo un giorno ha dichiarato: Se qualcuno si fida di me, non morirà più... io ho vinto la morte... chi ascolta la mia parola, ha la vita. Pensa, Giovanni, se fosse vero...».
    Giovanni conosceva Gesù. Gli era persino un poco parente. Soprattutto sapeva di avere un compito preciso nei suoi riguardi. Questa, però, della vita assicurata nel suo nome, gli riusciva abbastanza nuova. E se fosse vero? «Secondo voi, insiste Giovanni, ci si può fidare? Posso morire nel suo nome ed essere sicuro di avere la vita?». Rispondono incerti i suoi discepoli: «Non lo sappiamo. Se vuoi, lo cerchiamo, gli parliamo di te, dei tuoi problemi e dei tuoi dubbi. Gli chiediamo. conferme . Vuoi?».
    Partono di corsa, dopo un rapido saluto che è un arrivederci... con la risposta.
    Cercano Gesù. Lo trovano e lo affrontano di petto.
    «Gesù, Giovanni sta languendo nel carcere duro di Erode. Ha bisogno di una parola di speranza. Tu sei la vita... dici che chi si affida a te ha la vita... È vero o sono solo parole? Quale vita offri al tuo amico Giovanni?». Insistono: «Dicci chi sei e corriamo a riferirlo a Giovanni. Sta aspettando con ansia, tra le onde grevi della morte».
    Gesù risponde subito. L'occasione è una di quelle da non lasciarsi scappare. Giovanni poi merita questo e altro.
    «Volete sapere chi sono io e se ci si può fidare delle mie parole? Io non ho solo pronunciato parole. Le mie parole sono i fatti. Guardatevi d'attorno: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi si ritrovano la pelle fresca di una fanciulla, i morti risorgono, i poveri, quei poveretti che nessuno fila, sono invece quelli che ricevono per primi le notizie più belle». Gesù parla di sé producendo la litania delle sue opere. Ogni tanto, qualcuno dalla folla alza la voce: «È vero... Le mie gambe erano ormai morte ed era morta la mia speranza. Stavo ai bordi della piscina da anni. Nessuno mi aiutava ad entrare quando l'angelo increspava l'acqua. È arrivato Gesù. Ha risolto il problema con uno sguardo. Vedi: sto benissimo. Altro che acqua della piscina_ Mi ha guarito lui». Altri gli fanno eco: «Anch'io ero cieco... qualcuno mi ha avvisato che stava passando Gesù... gli ho gridato dietro con tutto il fiato che avevo in gola. Adesso ci vedo benissimo. Sono tornato vivo».
    I discepoli di Giovanni restano di stucco. Un'occhiata d'intesa e via di corsa dal loro maestro. La risposta l'hanno pronta: «Giovanni, puoi fidarti di Gesù. Prima di dire quello che dice, lo compie. Dove c'è lui, davvero la vita vince sulla morte».
    Gesù li blocca al volo. «Fermi: aspettate. Non ho finito di dirvi quello che dovete riferire a Giovanni. Vale per lui, ma vale per tutti. Ascoltate con attenzione». Si fermano, stupiti e un po' curiosi.
    Gesù aggiunge, a voce forte, perché tutti lo possano sentire.
    «Riferite a Giovanni l'elenco dei fatti di vita. Ma non dimenticate di aggiungere: beati quelli che sanno leggere dentro questi fatti e ritrovano le ragioni della speranza nel profondo dei fatti». I discepoli di Giovanni vanno in crisi. Restano di sasso. «Che significa questa aggiunta? Cosa riferiamo al maestro?». Gesù li consola: «Non preoccupatevi: riferite e basta. Giovanni capirà. Salutatemelo e fategli coraggio. Giovanni è un uomo grande e coraggioso. Nessuno è più grande di lui. Capirà... non preoccupatevi».
    Gesù aveva ragione. Giovanni ha capito bene. Ed è morto, ucciso dalla violenza del tiranno, nel nome di Gesù. Ora è vivo. Lo ricordiamo come un vivente.
    Si è fidato di Gesù e ha affidato a lui tutta la sua voglia di vita e la sua speranza. Così ha vinto anche la morte.

    Ritorniamo ai Vangeli

    La domanda era: Possiamo fidarci del Vangelo? La storia di Giovanni serve ad affrontare la questione?
    Sono convinto di sì... altrimenti non te l'avrei raccontata.
    Giovanni chiede a Gesù le prove per fidarsi di lui. Gesù risponde in modo strano. Prima fornisce delle prove convincenti al massimo: una serie di fatti che lasciano a bocca spalancata. Poi, sul più bello, invece di godersi il successo, ributta in questione tutto con l'invito a 'leggere dentro'.
    Hai capito dove voglio arrivare...
    Per scoprire se possiamo fidarci dei Vangeli... non basta dimostrare che sono documenti autentici, che possiamo fare un'analisi linguistica convincente, che possiamo produrre informazioni di personaggi contemporanei di Gesù che danno ragione ai Vangeli... Può essere utile. Ma non basta davvero tutto questo. Per affidare la propria vita al Gesù, raccontato dai Vangeli, ci vuole un salto di qualità. Esso scaturisce 'dentro': è sostenuto dai fatti, ma nasce sulla fede e sull'amore. Ha bisogno del conforto e dell'incoraggiamento di coloro che vivono già nella fede.
    I cristiani oggi dicono tutto questo con una espressione simpatica: leggiamo i Vangeli e affidiamo ad essi la nostra vita e la nostra speranza nel grembo materno della Chiesa. La Chiesa è come il grembo di una mamma che nutre, sostiene, porta alla vita il bimbo che sta nascendo.
    Lo so che è un modo strano di riflettere, questo che ti propongo. Se pensi alle tue esperienze di amore, scoprirai che sono molto simili a queste. E... non dirmi che non sono le avventure più belle della tua vita... perché tanto non ci crederei.
    Mi spinge a pensare in questo modo il fatto, di cui in parte ti ho già parlato, che i Vangeli non sono un libro di storia ma un documento di fede.

    I Vangeli: una storia speciale

    I Vangeli raccontano la storia di Gesù, seguendo, passo dopo passo, lo sviluppo della sua esistenza. In questa specie di cronaca c'è un buco di quasi vent'anni. Si va dalla sua nascita e dai primi anni della sua vita, raccontata con particolari più o meno ampi (a seconda degli autori o interpretata nel suo significato teologico da Giovanni), al momento in cui Gesù lascia casa sua e si mette in giro per la Palestina a parlare di Dio e a compiere i gesti che lo manifestano e gli danno un volto.
    Già questo è un fatto strano. In genere, chi racconta la vita di qualche personaggio, cerca di informarsi su tutto e non trascura nulla se non proprio a malincuore. Agli autori dei quattro Vangeli, invece, sembra che interessi davvero poco quello che Gesù ha fatto nei trent'anni in cui è rimasto, buono e tranquillo, al suo paese con i suoi genitori.
    Anche del periodo in cui i racconti seguono la vita di Gesù, mancano tantissimi particolari che ci interesserebbero, curiosi come siamo noi, alla caccia continua di notizie di prima mano sui personaggi famosi. Di Gesù nessun testo riferisce il colore degli occhi o quello dei suoi capelli. Non dice come andava vestito, con quali ritmi si metteva a tavola, quali erano i cibi che gli piacevano e quali invece quelli che sfuggiva. Chi tenta di fare una mappa dei viaggi di Gesù, utilizzando come fonti i racconti dei Vangeli, impazzisce: sembra che Gesù si spostasse con una rapidità impossibile ai suoi tempi.
    Invece i Vangeli ripetono, come una specie di ritornello, che Gesù aveva una passione sconfinata per la vita e la felicità delle persone. Diceva in tutti i toni che in questa operazione c'era di mezzo Dio. Secondo il racconto dei Vangeli, questa grande passione per il 'regno di Dio' (così i Vangeli chiamano la cosa che stava a cuore a Gesù più di ogni altra) era come una perla preziosa per un collezionista, disposto a tutto pur di conquistarla.
    Parlano poco dei suoi parenti. Anche di sua mamma si dice poco, dopo i racconti in cui lei è la protagonista perché si riferiscono ai primi anni della vita di Gesù. Le rare volte in cui compare, sembra quasi che Gesù ci tenga a dire che la sua passione per il regno di Dio (la vita e la felicità di tutti nel nome di Dio) per lui conta persino di più dei suoi parenti e dei suoi genitori.
    I Vangeli dedicano invece tantissime pagine ai racconti della sua morte violenta: le ultime cosiddette e fatte, la congiura, il processo, la crocifissione. Anche in questo caso però sono avari di particolari che ci piacerebbe conoscere. Sembrano più preoccupati di dirci il senso degli avvenimenti, piuttosto che descriverceli.
    Le pagine conclusive dei Vangeli sono dedicate a documentare, con abbondanza puntigliosa di particolari, il fatto della sua risurrezione. L'aveva, in qualche modo previsto. «Lo so che state organizzandovi per uccidermi», aveva detto ai suoi nemici, «non mi fate paura per nulla. È tutto previsto. La mia morte è il segno dell'amore che Dio porta a tutti gli uomini e del coraggio con cui ve lo voglio mostrare. Una cosa però deve essere chiara: non siete voi i vincitori, quando mi ucciderete. Io consegno la mia vita alla morte, come gesto d'amore. Io sono il vincitore. Vedrete... la morte non mi ghermirà a lungo. Dopo tre giorni mi riprenderò la vita, da trionfatore. La mia risurrezione è la conferma che Dio sta dalla mia parte e le parole che dico vengono da lui».
    All'inizio, i discepoli ci avevano creduto poco. Avevano persino tentato di fargli cambiare idea. Poi, un po' alla volta, si erano rassegnati alla prospettiva. Ma non ci speravano davvero più di tanto sulla sua risurrezione.
    Gesù risorge. Incontra i suoi discepoli. Si fa riconoscere da loro. Li conforta e li incoraggia. Ora non hanno più dubbi: Gesù è risorto... dunque le cose che diceva su Dio erano tutte vere. Vanno gridate al mondo intero.
    In loro capita quello che investe anche la nostra vita quando facciamo una esperienza forte, sconvolgente: ripensiamo a tutta la nostra vita da questa nuova esperienza; scopriamo quello che prima sembrava misterioso; comprendiamo il significato di frammenti che prima erano muti.
    I Vangeli sono la storia di Gesù scritta dopo la sua risurrezione, sotto la forza ispiratrice che questa esperienza sconvolgente ha suscitato. I fatti di cui i discepoli sono stati protagonisti assumono un sapore tutto nuovo, perché è cambiata radicalmente la prospettiva da cui guardarli. Per questa ragione i Vangeli si comprendono solo dopo la risurrezione di Gesù e solo se sono letti in questa logica. Altrimenti perdono tutto... si riducono ad un bel libro, pieno di buoni consigli, che racconta la storia di una specie di piccolo rivoluzionario dai capelli biondi e dal sorriso incantevole... che può meritare, al massimo, un capitoletto veloce nei libri di storia antica.
    Chi ha scritto i Vangeli lo sapeva: li ha scritti apposta, dopo averne parlato a lungo, proprio per mettere le cose a posto. La risurrezione di Gesù svela il volto più autentico di Gesù e soprattutto rivela chi è Gesù per noi.

    La presenza dello Spirito Santo

    Non ti ho ancora parlato di un personaggio strano... ma non posso concludere questo capitolo senza chiederti un po' di attenzione su di Lui. I cristiani, alla scuola dei Vangeli, lo chiamano con nomi diversi. Quello più frequente è 'Spirito Santo'. Esso è il grande protagonista dei Vangeli, in un certo modo il suo autore principale.
    Ci fidiamo dei Vangeli perché c'è di mezzo lo Spirito Santo.
    Non è facile dire, in poche parole, chi è lo Spirito Santo. I pittori, ogni tanto, gli danno la forma di una colomba, facendo eco ad una pagina del Vangelo in cui si dice che una colomba volteggiava su Gesù, mentre si udiva una voce solenne provenire dal mistero del silenzio di Dio. Ma è un modo molto semplice di descrivere le cose. Dice poco e fa sorridere molto. In altre pagine, si parla dello Spirito come 'fuoco', rilanciando l'esperienza avuta dai discepoli di Gesù nel giorno della Pentecoste. Anche questo però è un modo abbastanza riduttivo.
    Nei documenti dell'Antico e del Nuovo Testamento c'è qualcosa di più concreto ed espressivo. Lo Spirito è il segno della potenza di Dio, impegnato a far nascere la vita dove c'è la morte. Lo dice con forza, per esempio, Paolo, l'apostolo innamorato di Gesù. Di fronte alla paura della morte, grida con angoscia: «Chi mi libererà da questa situazione?». E risponde, con l'entusiasmo della scoperta: «Se lo Spirito di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, lo stesso Dio che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche a voi, sebbene dobbiate ancora morire, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Lettera ai Romani 8,10).
    Preferisco percorrere questa strada per scoprire chi è lo Spirito Santo e cosa c'entra con la stesura dei Vangeli.
    Durante gli anni in cui Gesù aveva lavorato, gomito a gomito, con i suoi discepoli, aveva cercato di educarli a dovere. Non c'era riuscito sempre: le cose che proponeva spesso erano un gradino più alte dell'esperienza di coloro che si era scelto. Stando con loro, riaggiustava il tiro, se ce n'era bisogno; oppure ripeteva tre o quattro volte le stesse cose. Adesso i discepoli sono destinati a restare da soli, con una responsabilità sulle spalle da mozzare il fiato. Si mostra un poco preoccupato.
    Trova la soluzione più felice. Resta con loro in modo nuovo: attraverso il suo Spirito. Glielo regala in un gesto di grande imprevisto amore. Lo Spirito è la sua stessa vita, la sua presenza, la sua passione. Non lascia dei ricordi. Resta lui, nel dono dello Spirito.
    Raccomanda un po' di attenzione e un po' di calma. Dice: «Per ora restate tranquilli. Poi arriverà lo Spirito. Vi insegnerà lui tutto quello che dovete dire e fare. Vi darà quel coraggio che ora vi manca. Pieni dello Spirito, spalancate le porte e lanciatevi per il mondo intero, annunciando a tutti la bella notizia che abbiamo sperimentato assieme».
    Il libro degli Atti degli Apostoli, una specie di continuazione dei quattro Vangeli, racconta la cosa con particolari interessanti. «Un giorno, Gesù, mentre erano a tavola, fece questa raccomandazione: Non allontanatevi da Gerusalemme, ma aspettate il dono che il Padre ha promesso e del quale vi ho parlato». E fa riferimento esplicito allo Spirito Santo. Poi, finalmente, prima di salire al cielo, incomincia a realizzare la promessa: «Ricevete su di voi la forza dello Spirito Santo che sta per scendere. Allora diventerete miei testimoni in tutta Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e in tutto il mondo». Qualche giorno dopo, i discepoli, chiusi a chiave in uno stesso luogo, per paura, videro qualcosa di simile a lingue di fuoco scendere su ciascuno... e «tutti furono riempiti di Spirito Santo».
    Lo Spirito Santo li accompagna in giro per il mondo. Li incoraggia, li sostiene, suggerisce quello che devono dire e fare. Lo Spirito Santo è presente quando gli apostoli parlano di Gesù. Ed è presente in modo specialissimo quando alcuni di essi mettono per iscritto le cose che andavano dicendo a viva voce.
    In qualche modo, lo Spirito Santo assiste gli evangelisti nell'impresa di scrivere i Vangeli. Non detta loro le parole da mettere sulla carta. Le ispira, come dice la fede della Chiesa: sollecita e sostiene, verifica e controlla. Ci assicura che questo documento di fede (come ho già cercato di spiegarti) può sostenere anche la nostra fede. I discepoli parlano, agiscono e scrivono in una grande 'esperienza dello Spirito'.
    L'esperienza dello Spirito non è un influsso di Dio dall'esterno dell'uomo, né comporta il confronto con una proposta, esperimentata in modo riflesso nella propria coscienza. Essa invece consiste nel fatto che Dio si è comunicato tanto intensamente e profondamente all'uomo da essere quella forza misteriosa che ci costituisce persone segnate dalla trascendenza, aperte verso la vita stessa di Dio. L'esperienza dello Spirito è quindi la vita di Dio comunicata all'uomo, attraverso cui si realizza quasi una collaborazione operativa con Dio in ogni gesto della nostra vita.
    Quando siamo chiamati a scegliere, come capita di fatto in ogni frammento della nostra esistenza, noi scegliamo nella libertà e responsabilità personale: le nostre sono sempre scelte autonome. Lo Spirito Santo sostiene la conoscenza e la libertà dell'uomo fino ad orientare le nostre decisioni verso scelte alla luce di Dio.
    Forse (e senza forse...) non sono stato molto chiaro. Non è facile dire tutto questo con le nostre parole comuni. Ci mancano le esperienze e, di conseguenza, le parole.
    Provo a riesprimere il tutto con un'immagine che ci è più familiare: l'amore.
    Due persone che si vogliono bene sono presenti l'uno all'altra anche quando non lo sono fisicamente. Nelle scelte più impegnative, come in quelle che punteggiano il ritmo del quotidiano, la persona amata è presente: ispira, sostiene, incoraggia, conforta, critica. Non è necessario cercare un contatto fisico per sapere che fare. Lo si sente dentro; e basta. Qualche volta l'ispirazione viene soffocata, la voce è spenta. Allora però ci si sente colpevoli di tradimento.
    Ciascuno ha una sua autonomia di giudizio e di azione. La serietà dell'amore lo esige e l'intensità lo invoca.
    Ogni persona decide però alla luce dell'altra, impegnata quasi a rendere conto della propria decisione, per poterla difendere a testa alta. Egli decide autonomamente, ma decide sempre di fronte alla persona che ama.
    Non la deve interpellare. È già presente, come ispirazione ultima e decisiva.
    Questa è un po' l'esperienza dello Spirito.
    La parabola dell'amore non può essere forzata. Nell'ispirazione dell'amore il processo resta sempre sul piano intenzionale e affettivo. La presenza è solo 'come se' fosse presente.
    La presenza di Dio nella nostra vita è invece in fatto reale e concreto, anche se non lo possiamo sperimentare come facciamo di solito nei rapporti con amici.
    La differenza è notevole. Non abbiamo però altre parole per accedere al mistero di quelle povere delle nostre esperienze quotidiane. Le usiamo sempre con trepidazione. Un po' meno in questo caso. Non è lo Spirito di Gesù una profonda e intensa esperienza d'amore?

    Una pagina da leggere
    Dal Vangelo secondo Luca (7,18-23)

    Anche Giovanni venne a sapere di Gesù e delle cose che diceva dai suoi discepoli. Chiamò allora due di loro e li mandò dal Signore a chiedergli: «Sei tu quello che deve venire oppure dobbiamo aspettare un altro?».
    Quando arrivarono da Gesù quegli uomini dissero: «Giovanni il Battezzatore ci ha mandati da te per domandarti se sei tu quello che deve venire o se dobbiamo aspettare un altro».
    In quello stesso momento Gesù guarì molta gente dalle loro malattie e dalle loro sofferenze; alcuni li liberò dagli spiriti maligni e a molti ciechi restituì la vista.
    Poi rispose così ai discepoli di Giovanni: «Andate a raccontargli quello che avete visto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono, la salvezza viene annunziata ai poveri.
    Beato chi non perderà la fede in me».


    6. Due amici, che hanno vissuto in anticipo la nostra avventura

    Ho condiviso con te, attraverso le pagine di questa lunga lettera, un pezzo importante della mia vita. Prima di concludere, desidero farti un augurio e raccontarti un'ultima storia che serva da sogno sui tuoi progetti futuri.
    Per l'augurio faccio in fretta. Sul sogno mi allungherò un po' di più.

    L'augurio

    Finora ti ho parlato io del Vangelo, la bella notizia della storia di Gesù, e dei quattro Vangeli in cui quest'unica grande storia è stata raccontata dai suoi discepoli. Le mie parole avevano l'unica preoccupazione di farti crescere dentro la voglia di prendere tu personalmente tra le mani i testi del Vangelo. Per aiutarti in questa impresa, ti ho suggerito una specie di chiave di comprensione, condividendo con te le scoperte che anche à me hanno regalato amici preziosi.
    Ora tocca a te. Il mio servizio è terminato. Devo sparire rapidamente per fare spazio al tuo incontro con Gesù, il Signore della vita e della storia, e con i testi che parlano di lui.

    Il sogno

    Forse ti sei chiesto, come capita spesso a chi legge il Vangelo: «Beh... adesso cosa devo fare?». La domanda è intelligente... è il segno che l'hai letto bene. La risposta... non te la posso dare io. Non riguarda le cose da conoscere. Riguarda la vita.
    Un pochino, però, desidero aiutarti ancora.
    Lo faccio come piace a me: ti racconto una storia che viene dal Vangelo stesso, la storia di due discepoli di Gesù, che si sono posti la stessa domanda e hanno trovato una loro concreta risposta. Sono ricordati come i due discepoli di Emmaus, perché il Vangelo non ci dice il nome di questi due amici... ci dice solo il paese da cui venivano e verso cui stavano tornando.
    La loro avventura è così vicina alla mia e alla tua vita, che te la propongo come 'sogno' cui fare riferimento quando ci mettiamo a costruire progetti con lo sguardo lanciato verso il futuro.

    I due discepoli di Emmaus

    Ci avevano sperato tanto. Avevano accettato l'invito di Gesù con entusiasmo. Avevano lasciato tutto per seguirlo, affascinati dalla sua persona e convinti della sua causa.
    Ora però tutto sembrava finito. Nel peggiore dei modi.
    I suoi nemici avevano catturato Gesù. L'avevano sottoposto ad un processo che era tutto una presa in giro. L'avevano condannato, come fosse un malfattore, lui che aveva solo fatto del bene a tutti quelli che aveva incontrato. Poi, dopo averlo torturato, l'avevano ucciso. Tutto era finito così. Gesù aveva promesso di vincere anche la morte. L'aveva fatto con quella degli altri. Con la sua però... nulla da fare. Gesù era stato cancellato dagli occhi e dal cuore dei suoi amici. Avevano vinto i suoi nemici. Tutto doveva ritornare come prima.
    Pazienza... era stato un bel sogno, finito troppo presto e nel modo più tragico.
    Adesso non c'era proprio più nulla da fare. Bisognava tornarsene a casa, con l'amarezza della nostalgia e con un pizzico di vergogna. Era necessario riprendere in mano gli attrezzi del lavoro, abbandonati con troppa foga qualche mese prima.
    Ritornare... quelli di prima: come se nulla fosse accaduto, superando persino il sorriso beffardo degli amici di un tempo, che non avevano capito la strana voglia di mettersi dietro quel tipo di Nazareth, che stava facendosi un mucchio di nemici con le sue idee.
    Molti discepoli avevano già preso la strada del ritorno. Adesso toccava anche a loro. Buoni buoni, avevano deciso di ritornare ad Emmaus, a casa propria. Come se nulla fosse successo.
    Camminavano senza scambiarsi una parola. Non ne avevano più: le ultime si erano spente in gola con il saluto triste agli amici che restavano a Gerusalemme.
    All'improvviso, si avvicina un viandante, spuntato quasi dal nulla. Veniva come loro dalla direzione di Gerusalemme. Ma non l'avevano notato prima.
    «Buongiorno». «Salve». «Dove andate?». «Veniamo da Gerusalemme e torniamo a casa nostra ad Emmaus. Manca ormai poco, per fortuna».
    Insiste il pellegrino: «Posso unirmi a voi? Io vado oltre. La strada è lunga e, di questi tempi, anche un po' pericolosa. Possiamo farci compagnia?... Accidenti, che facce tristi avete. Non l'avevo notato prima. Mi sembrate appena spuntati da un funerale. Mi sbaglio?».
    La risposta è pronta. Le parole corrono come uno scroscio di pianto. «Veniamo davvero da un funerale. Ne parla tutta Gerusalemme. Come fai a non saperlo? Hanno ucciso Gesù di Nazareth. Era nostro amico e nostro maestro. Noi stavamo con lui, condividevamo la sua passione per la liberazione d'Israele e la sua speranza nel futuro di Dio. L'hanno ucciso, inchiodato sulla croce, dopo un processo che sembrava studiato apposta per condannarlo».
    Una pausa per prendere fiato e per riandare agli ultimi bagliori di quella speranza che aveva loro infiammato il cuore.
    «Aveva fatto solo del bene: guariva gli ammalati, trattava bene i poveri, aveva una parola buona anche per i peccatori. Ha risuscitato persino dei morti. Hai sentito parlare di sicuro di Lazzaro, quello di Betania. Gesù l'ha riportato in vita, tre giorni dopo che era morto. Purtroppo parlava con eccessiva libertà di Dio e della legge che Dio aveva dato al suo popolo. Voleva troppo bene alla povera gente.
    L'hanno ucciso. Chi? Lo sai di sicuro... i romani, ma con la complicità dei nostri sacerdoti e dei 'maestri della legge'...
    Prima di morire, aveva promesso che sarebbe ritornato in vita, anche lui, come il suo amico Lazzaro. Ma ormai sono passati tre giorni... e non è capitato proprio nulla».
    Il secondo incalza: «Proprio nulla... non è vero. Sai, nel nostro giro c'erano anche delle donne. Stavano con noi per servire Gesù. Un paio di loro dice di aver visto Gesù risorto. Nessuno ci crede. Sono donne fanatiche... Se lo sono immaginato, accecate dal dolore e dall'amore.
    I capi, Pietro e i dodici, non hanno visto nulla.
    Tutto è finito. Torniamo anche noi a casa».
    «Calma. Non correte troppo nelle conclusioni», riprende la parola lo strano compagno di viaggio. «State facendo una lettura scorretta degli avvenimenti. Vi fermate a quello che avete visto con gli occhi. Mi spiace per voi: siete un po' ciechi. Non sapete leggere dentro gli avvenimenti».
    «Aiutaci tu... se ci riesci». «Volentieri. Ascoltate».
    Un passo dopo l'altro si avvicinano a casa. Un passo dopo l'altro, il compagno di strada aiuta a rileggere gli avvenimenti dal mistero che si portano dentro. Cita brani della Scrittura. Ricorda profezie antiche e nuove. Rende attuali lontani ricordi.
    Neppure nei tempi in cui stavano con Gesù, avevano vissuto un'esperienza simile. Allora erano tutti proiettati verso il futuro. Si erano quasi dimenticati del passato. Il. presente e i progetti su esso erano troppo importanti per pensare ancora al passato.
    Adesso, invece, dal presente vanno verso il passato. Lo ricomprendono, immergendolo nel mistero di Dio. Le cose meravigliose che Dio ha compiuto per il suo popolo, diventano una specie di nuova lettura del presente. Anche il buio, l'incertezza e il dolore cambiano tono. Brillano di qualcosa che non avevano mai scoperto.
    Si guardano negli occhi. «Strano... ma allora non hanno ucciso la nostra speranza. Ce l'avevano spenta. Avevano tentato di spegnerla ed eravamo caduti nella trappola. Senza passato il nostro presente diventava disperato. Tornavamo a casa perché eravamo senza futuro. Invece... c'è speranza. Aveva ragione Gesù quando ci parlava del chicco di grano che deve morire per diventare spiga».
    «L'hanno ucciso... ma non hanno vinto. Dio vince la morte. Era tutto programmato nei piani misteriosi di Dio».
    Spontaneamente sulle labbra affiorano le parole dei Salmi. Hanno un sapore nuovo. Non se n'erano mai accorti prima.
    «E se tornassimo a Gerusalemme?». «Domani. Oggi è tardi. Non possiamo rifare il cammino di notte. È troppo pericoloso. Domani».
    Poi, ormai, ecco le prime case di Emmaus. Sono arrivati a destinazione: domani mattina, alle prime luci, si torna a Gerusalemme.
    Il compagno di viaggio fa finta di salutarli per rimettersi in cammino. «Prosegui? A quest'ora?». Insistono: «Fermati con noi. Nella nostra casa, un posto per te lo troviamo senza problemi. Dài... fermati».
    Erano rassegnati a tornare alla vita di prima. Avevano tirato i remi in barca, scoraggiati e delusi. Ma l'esperienza di Gesù li aveva segnati dentro. Respiravano l'esigenza dell'ospitalità, quella vera. Le loro parole non erano di circostanza. Venivano dal cuore. «Sta' con noi. Sei ospite nostro».
    Il viandante misterioso si ferma. Qualche resistenza, forse per saggiare l'autenticità dell'invito. Poi si ferma. Accetta l'atto di ospitalità.
    Si mettono a tavola.
    Ad un certo punto... si aprono gli occhi.
    Gesù ha fatto strada con loro. Ha pregato lungo la via con loro, aiutandoli a rileggere gli avvenimenti dal mistero che essi si portavano dentro. Li ha aiutati a pregare contemplando.
    Ora la preghiera esplode nella celebrazione. Gesù prende il pane e la coppa del vino. Li benedice e li condivide.
    Un grido: «È lui, il crocifisso è risorto. Possibile che non ce ne siamo accorti prima? Eravamo proprio ciechi, di dolore e di rassegnazione».
    Non c'è più. È tornato nel silenzio da cui è venuto.
    Le poche ore trascorse con loro, hanno lasciato il segno. Li ha guidati per mano in un'intensa esperienza di preghiera, che li ha cambiati profondamente.
    La speranza e la passione ritornano prepotenti nei loro cuori intorpiditi. La preghiera e la celebrazione si spalancano verso la vita.
    Adesso non è più tardi per tornare a Gerusalemme. Non ci sono più i pericoli del viaggio notturno. Partono, di corsa: l'esperienza vissuta va comunicata agli altri.
    Ritornano a Gerusalemme, per gridare a tutti: Gesù è risorto, la sua avventura per la vita e la speranza di tutti... continua. Anzi: ricomincia.

    Le storie belle devono continuare

    Noi a Gerusalemme ci abitiamo di casa. Gerusalemme è la nostra città, il paese in cui siamo nati, quello in cui ci siamo trasferiti con la nostra famiglia da piccoli. Non sorridere... lo so che sulla carta geografica e nella tua carta d'identità i nomi sono diversi: Torino, Roma, Napoli, Forlì, Messina...
    Gerusalemme è una specie di nome comune, che poi si specifica con i nomi propri dei nostri paesi. Gerusalemme è la città di tutti, dove abitano, vivono, gioiscono e soffrono tutte le persone. Per questo, ritornare a Gerusalemme significa immergersi di nuovo nella vita quotidiana di tutti, dopo un'esperienza che ha segnato.
    Era già capitato altre volte ai discepoli. I Vangeli ne raccontano parecchie di storie simili. La più famosa è quella della trasfigurazione. Te la ricordi?
    Gesù, un giorno, stanco di discutere con i suoi discepoli di questioni grossè, chiama Pietro e altri due dei più influenti. Se li tira dietro controvoglia. «Dove andiamo?». «Fidatevi... venite con me».
    In silenzio, a passi lunghi, si mettono a risalire il pendio del monte. Con il fiato grosso arrivano finalmente sulla cima. Gesù li invita ad una sosta di riposo e si allontana di qualche passo. All'improvviso, un lampo abbagliante squarcia la forte luminosità di una giornata di sole. Pietro e gli amici si voltano. Vedono Gesù in un turbine di luce accecante. Le sue vesti sono diventate bianchissime. Con lui, sbucati dal mistero, intravedono i profeti Mosè ed Elia. Stanno conversando con Gesù. Non c'è dubbio: quello è proprio Gesù. Il suo volto, il suo atteggiamento, lo splendore di cui è circondato... questo è nuovissimo. Una cosa del genere i discepoli non l'avevano mai vista.
    Pietro rompe il silenzio: «Gesù, stiamo sognando? Quello che gustiamo è un anticipo di quel posto di cui ci hai parlato tante volte. Questa è la tua casa. L'hai abbandonata per piantare le tue tende in mezzo a noi... Fermiamoci qui. È troppo bello quello che ci hai fatto sperimentare. Fermiamoci. Io costruisco tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. Di noi... non ti preoccupare. È sufficiente la gioia che sperimentiamo stando qui con te. Ci basta contemplarti. Gesù, restiamo qui per sempre...». Le parole gli uscivano di bocca come un fiume in piena. Questa volta era sincero fino in fondo.
    Una mano lo tocca sulla spalla. «Pietro, scendiamo. Non possiamo restare sul monte: la causa che il Padre mi ha affidato mi incalza. Devo correre. Non posso fermarmi. Troppe persone sono ancora avvolte nell'ombra della morte. Presto, scendiamo».
    Il ritornello è sempre lo stesso: tornare alla vita di tutti i giorni, dopo la bella esperienza.
    Pensando al modo di leggere il Vangelo con questa preoccupazione, ti voglio sottolineare due cose.
    La prima è questa: il Vangelo va letto 'con i piedi a Gerusalemme'. Lo devo dire in modo concreto. Sono convinto che sia importante leggere il Vangelo, lasciandoci provocare dai problemi che la vita quotidiana ci lancia. Per questo, non mi piacciono molto quelli che per leggere il Vangelo chiudono porte e finestre sulla vita e cercano uno spazio isolato, protetto dai rumori dell'esistenza, tutto tranquillo e ovattato. Ho l'impressione che, facendo così, tolgano al Vangelo la sua forza di provocazione e di speranza. Se invece leggiamo il Vangelo dentro la vita, esso risuona molto meglio come una 'bella notizia': ci aiuta ad intravedere indicazioni e suggerimenti per vivere la nostra vita in uno stile nuovo.
    La seconda cosa scaturisce proprio da quest'ultima annotazione. Ci sono dei libri da leggere con la testa, per capirli e per saperli ripetere. E ce ne sono degli altri, invece, che vanno letti con il cuore e con le mani... Non basta capirli, ma vanno tradotti subito in gesti e interventi nuovi. Il Vangelo è uno di questi, il più impegnativo di tutti. La lettura del Vangelo fa scaturire una qualità nuova e originale di vita.
    Chi ha letto il Vangelo, infatti, torna, come i due amici di Emmaus, a Gerusalemme per realizzare quello che ha incontrato e scoperto.
    In che direzione? Te lo lascio immaginare.
    Prova a meditare con calma il Vangelo, soprattutto nel silenzio della preghiera. Vedrai verso quali esigenze, impegnative ed affascinanti, la tua vita sarà trasformata. Tutti si accorgeranno che un'avventura nuova l'ha accesa, come la scoperta di un amore grande.
    Così, davvero, la bella avventura iniziata duemila anni fa, continua anche oggi. E domani.

    Una pagina da leggere
    Dal Vangelo secondo Luca (24,13-35)

    Quello stesso giorno due discepoli stavano andando verso Emmaus, un villaggio lontano circa undici chilometri da Gerusalemme.
    Lungo la via parlavano tra loro di quel che era accaduto in Gerusalemme in quei giorni.
    Mentre parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro.
    Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come accecati.
    Gesù domandò loro: «Di che cosa state discutendo tra voi mentre camminate?».
    Essi allora si fermarono, tristi.
    Uno di loro, un certo Clèopa, disse a Gesù: «Sei tu l'unico a Gerusalemme a non sapere quel che è successo in questi ultimi giorni?».
    Gesù domandò: «Che cosa è successo?».
    Quelli risposero: «Il caso di Gesù, il Nazareno! Era un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che faceva sia per quel che diceva. Ma i
    capi dei sacerdoti e il popolo l'hanno condannato a morte e l'hanno fatto crocifiggere. Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d'Israele! Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti. Una cosa però ci ha sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al sepolcro di Gesù ma non hanno trovato il suo corpo. Allora sono tornate indietro e ci hanno detto di aver avuto una visione: alcuni angeli le hanno assicurate che Gesù è vivo. Poi sono andati al sepolcro altri del nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù, non l'hanno visto».
    Allora Gesù disse: «Voi capite poco davvero; come siete lenti a credere quel che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?».
    Quindi Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti.
    Intanto arrivarono al villaggio dove erano diretti, e Gesù fece finta di voler continuare il viaggio. Ma quei due discepoli lo trattennero dicendo: «Resta con noi perché il sole ormai tramonta». Perciò Gesù entrò nel villaggio per rimanere con loro.
    Poi si mise a tavola con loro, prese il pane e pronunziò la preghiera di benedizione; lo spezzò e cominciò a distribuirlo.
    In quel momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù, ma lui sparì dalla loro vista.
    Si dissero l'un l'altro: «Noi sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia!».
    Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni. Questi dicevano: «Il Signore è risuscitato veramente ed è apparso a Simone». A loro volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino, e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.



     


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