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    Il compito della recezione. Le “Linee progettuali” per la pastorale giovanile italiana


    Editoriale

    Rossano Sala


    (NPG 2019-06-04)


    Noi di NPG siamo sempre contenti e onorati di accogliere, condividere e amplificare le parole dei Convegni Nazionali di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana. Quest’anno eravamo tutti a Terrasini (PA) dal 29 aprile al 2 maggio. Come sempre un’esperienza coinvolgente e luminosa, ben articolata tra le diverse relazioni, le qualificate esperienze sul territorio e un clima sempre amichevole e costruttivo.

    È stato un piccolo tassello del compito che non solo ci attende, ma che sta diventando in molti nostri ambienti educativo-pastorali una realtà tangibile: la ricezione del Sinodo. Ricezione viene da “ricevere”, da “fare proprio”. Il Sinodo è dunque un dono di cui dobbiamo appropriarci, facendolo diventare vita della nostra vita. È una dinamica di incarnazione operativa, quella della ricezione. Cioè bisogna ascoltare ciò che la Chiesa universale ha detto e fatto in questi ultimi tre anni per poterlo creativamente e coraggiosamente ritradurlo nelle nostre Chiese locali, mettendo in campo scelte educative e pastorali concrete.
    È evidente infatti che tra il livello mondiale, quello nazionale e quello locale va fatta un’opera di mediazione sapiente che non né semplice, né immediata, né automatica. Papa Francesco dice cose per tutti e porta nel suo cuore le gioie e le speranze della Chiesa universale, e al Sinodo ci siamo accorti che il mondo è sì piccolo ma anche molto diverso nei diversi contesti, nelle differenti sfide e nelle dissomiglianti opportunità. D’altra parte chi ha un minimo di conoscenza della situazione sociale, giovanile ed ecclesiale italiana sa che anche qui c’è molta continuità, ma insieme tanta discontinuità. Non si può proporre una cosa che vada bene per tutti senza metterci mano con sapienza e prudenza.
    La parola giusta nel tempo della ricezione è allora creatività. Per essere più precisi: fedeltà creativa. Ci può essere infatti una “fedeltà ripetitiva”, che applica senza intelligenza e senza criterio. E ci può anche essere una “creatività infedele”, incapace di inserirsi nei percorsi della Chiesa, sia universale che nazionale. Invece si tratta davvero di fedeltà creativa: cioè di quella capacità di liberare le proprie qualità innovative e i talenti ricevuti in un autentico spirito di continuità con i cammini ecclesiali in atto.
    Mi preme a questo proposito ricordare che la prima parola d’ordine del cammino sinodale di questi tre anni è stata discernimento. La Chiesa, in un cambio d’epoca dove non è possibile applicare delle ricette pronte (per il semplice motivo che non ne abbiamo!) deve mettere tutte le proprie energie in campo – energie del cuore, della mente e delle mani – per aprire cammini di rinnovamento pastorale:

    Non possiamo pensare che la nostra offerta di accompagnamento al discernimento vocazionale risulti credibile per i giovani a cui è diretta se non mostreremo di saper praticare il discernimento nella vita ordinaria della Chiesa, facendone uno stile comunitario prima che uno strumento operativo. Proprio come i giovani, molte Conferenze Episcopali hanno espresso la difficoltà di orientarsi in un mondo complesso di cui non hanno la mappa (Instrumentum laboris, n. 139).

    In tale direzione, la mia convinzione è chiara e radicata: la pastorale giovanile può e dev’essere un laboratorio permanente e un banco di prova per il rinnovamento della pastorale della Chiesa intera nel cambio d’epoca che stiamo vivendo. Se fallisce la pastorale giovanile, la Chiesa sta preparando il suo tracollo; se la pastorale giovanile riesce a trovare vie inedite e creative di coinvolgimento dei giovani, il rinnovamento ecclesiale sarà inevitabile e il cambio di passo avverrà con una certa naturalezza! Proprio perché avere a che fare con le giovani generazioni significa frequentare il futuro che ci attende come Chiesa nella società del nostro tempo.
    E questo bisogna farlo insieme. Per questo la seconda parola d’ordine al Sinodo è stata proprio sinodalità. Bisogna fare squadra, costruire relazioni lavorando in rete, è necessario cercare alleanze, soprattutto essere convinti che da soli non si va da nessuna parte. I giovani al Sinodo ce lo hanno ripetuto in mille declinazioni: siate davvero fratelli, lavorate insieme, prediligete la comunione come via regale della missione e così sarete credibili ai nostri occhi e anche noi potremo essere con voi come protagonisti del cambiamento che tutti auspichiamo:

    La pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una «valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte» (Christus vivit, n. 206).

    Discernimento e sinodalità. Queste due parole, all’inizio dell’anno pastorale che ci inserisce nel prossimo decennio 2020-2030, sono anche il programma di NPG. Vogliamo dare il nostro contributo alla pastorale giovanile italiana per discernere con intelligenza le sfide del nostro tempo; desideriamo così essere un luogo di comunione ecclesiale che coinvolge tutti coloro che vogliono fare squadra per il bene delle giovani generazioni, senza escludere nessuno. Anche noi ci apprestiamo ad affrontare questo nuovo decennio con saggezza, generosità e coraggio. Sapendo della nostra “vocazione” ad essere pungolo e impulso a pensare l’agire della Chiesa con e per i giovani, convinti che senza questo si rischia di agire senza pensare.
    Partiamo allora con il piede giusto. Faccio quindi due inviti forti a tutti e a ciascuno. Non solo a nome mio personale, ma a nome di tutto il gruppo di redazione della nostra Rivista.
    Il primo è il più semplice: rivedersi e studiarsi i testi del Convegno di Terrasini, pubblicati in questo numero. Per chi c’era i testi sono comunque una novità, perché ci aiutano a riflettere e riprendere le tematiche trattate con ordine e profondità critica. Per chi non c’era si tratta di entrare nella struttura del Convegno per comprenderne le scelte, le articolazioni e le logiche. Un Convegno apre strade, aiuta a trovare convergenze, offre chiavi di lettura, indica percorsi da fare insieme, solidifica la comunione tra noi, crea un clima positivo e costruttivo tra noi.
    Il secondo è più impegnativo, ma ci porterà lontano: lavorare – nella propria Chiesa locale, nella propria Congregazione religiosa o nel proprio Movimento apostolico – in maniera seria alla ricezione del Sinodo lasciandosi guidare dalle Linee progettuali per la pastorale giovanile italiana. Il testo è stato pensato come un sussidio che ci sostiene e ci accompagna a progettare: in negativo ci permette di evitare l’improvvisazione emotiva del momento e a superare l’incompetenza educativa e pastorale; in positivo ci abilita a lavorare insieme e a discernere in profondità, dando origine a “dinamismi di corresponsabilità” che edificano l’intera comunità. Proprio sulla progettazione pastorale l’Instrumentum laboris, che raccoglieva in sintesi l’ascolto ecclesiale in vista dell’Assemblea sinodale, così si esprimeva:

    Una denuncia trasversale da parte di molte Conferenza Episcopale è la disorganizzazione, l’improvvisazione e la ripetitività. Nella Riunione presinodale è stato detto che «a volte, nella Chiesa, è difficile superare la logica del “si è sempre fatto così”» (n. 1). Talvolta viene evidenziata l’impreparazione di alcuni pastori, che non si sentono all’altezza per affrontare le complicate sfide del nostro tempo e rischiano così di rinchiudersi in visioni ecclesiologiche, liturgiche e culturali ormai superate. Una Conferenza Episcopale afferma che «si nota spesso assenza di mentalità per progettare cammini» e per varie altre sarebbe utile chiedersi come accompagnare le Diocesi in questo campo, visto che oggi, afferma una Conferenza Episcopale, «emerge l’istanza di maggior coordinamento, dialogo, progettualità e anche studio, in rapporto alla pastorale giovanile vocazionale». Altre Conferenze Episcopali accennano a una sorta di contrapposizione tra progettazione operativa e discernimento spirituale. In realtà un buon progetto pastorale dovrebbe essere il frutto maturo di un autentico cammino di discernimento nello Spirito, che porta tutti ad andare in profondità. Ogni membro della comunità è chiamato a crescere nella capacità di ascolto, nel rispetto della disciplina dell’insieme che valorizza l’apporto di ciascuno e nell’arte di unire gli sforzi in vista di una progettazione che diventi per i membri della comunità un processo trasformativo (n. 206).

    Alla luce di queste riflessioni diviene chiaro che le Linee progettuali sono la risposta alla sollecitazione sinodale ad offrire strumenti di accompagnamento delle Chiese locali che non sempre sono attrezzate per affrontare la complessità del nostro tempo.
    Solo in questo modo possiamo gettare le basi per “dare casa al futuro” che non solo ci attende, ma che è già qui in mezzo a noi. Facciamolo fiorire insieme.


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