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    I laici nella chiesa: nodi non risolti a vent'anni dal Concilio



    Bartolomeo Sorge

    (NPG 1987-08-24)


    Pubblichiamo una conferenza tenuta da padre Bartolomeo Sorge ai superiori maggiori delle congregazioni religiose. Il tema trattato e il taglio con cui è stato affrontato interessano da vicino la pastorale giovanile.
    Parlare di «nodi non risolti» è mettere l'accento sui compiti che si impongono a vent'anni dal Concilio. Non si tratta solo di «applicare» il Concilio, ma di ripensarlo in modo creativo alla luce delle trasformazioni sociali e culturali avvenute da vent'anni a questa parte. I nodi possono essere raccolti attorno alla «vocazione» ecclesiale e alla «missione» nel mondo.
    Rispetto alla vocazione ecclesiale dei laici, le sfide del tempo e le acquisizioni teologiche del Concilio hanno messo in discussione il vecchio schema chierici-laici. È urgente definire con chiarezza questo rapporto in modo nuovo: lo esigono l'emergere dei movimenti nella chiesa, la necessità di dare vita a nuovi ministeri ecclesiali, la crescita della donna e del suo ruolo nella società e nella vita ecclesiale.
    Rispetto alla «missione» dei laici nel mondo, a vent'anni dal concilio appare tuttora non risolto il «modo» di rendersi socialmente presenti nel contesto secolarizzato e pluralistico del nostro tempo: rendersi presenti «al» mondo attraverso una testimonianza pura dell'utopia evangelica? impegnarsi a ricostruire «nel» mondo una nuova cristianità? incarnarsi «nel» mondo, immedesimandosi come sale della terra, mediando la fede nella cultura, rispettosi della laicità delle realtà temporali?
    Come si vede, sono interrogativi che toccano da vicino la pastorale giovanile, sia a livello del «ruolo» degli operatori laici che degli obiettivi e delle strategie formative delle nuove generazioni e del loro inserimento nell'attuale società.

    II nostro vuol essere non un discorso deduttivo che, partendo dalla definizione astratta di «laico», giunga a definire un modello; ma un discorso deduttivo che, muovendo dalla lettura dei «segni dei tempi», illumini e stimoli le riflessioni teologiche e pastorali. Una lettura sapienziale, quindi, seguendo le riflessioni teologiche e pastorali. Una lettura sapienziale, quindi, seguendo il metodo del Concilio. La ragione di questa scelta metodologica sta nel fatto che l'evoluzione del laicato appare come il frutto combinato di un processo parallelo: da un lato, delle trasformazioni storiche degli ultimi decenni e, dall'altro, delle acquisizioni teologiche del Vaticano II.
    La nostra esposizione avrà dunque due parti: nella prima, esamineremo le cause della evoluzione del laicato, sia quelle storiche, sia quelle teologiche; nella seconda parte, sarà possibile così individuare i nodi di fondo non ancora risolti a vent'anni dal Concilio.

    TRASFORMAZIONI STORICHE

    Le sfide del nostro tempo di transizione epocale che maggiormente hanno interpellato la Chiesa e che hanno condotto a una rivalutazione del laicato, sia nella vita interna del Popolo di Dio, sia nella specifica missione nel mondo, si possono ricondurre sostanzialmente a tre.

    La fine della «cristianità» e della secolarizzazione

    La prima è la fine della «cristianità», connessa col processo di secolarizzazione. La secolarizzazione consiste fondamentalmente in un mutamento di mentalità, di cultura e di costume che, iniziato con il mondo moderno, si è venuto affermando come reazione alla sovrapposizione che nel medioevo si era avuta del sacro sul profano, della fede sulla cultura, della religione sulla politica, della Chiesa sull'Impero, del Papa sul re, del sacerdozio sul regno. La secolarizzazione consiste nella rottura di queste identificazioni improprie; fenomeno esteso ormai a tutto il mondo contemporaneo, con effetti maggiormente traumatici nei Paesi di più antica cultura cristiana, ovviamente.
    La fine della «cristianità» va di pari passo con l'espandersi del processo di secolarizzazione, il quale si presenta come un fenomeno in sé ambivalente. Da un lato, la secolarizzazione può degenerare in secolarismo, con effetti disumanizzanti: può infatti condurre falsamente l'uomo a ritenersi autosufficiente, a credere che la storia è solo immanente, che la salvezza possa venire dall'una o dall'altra ideologia; può portare alla negazione stessa di Dio, della religione e delle realtà trascendenti, fino a considerarli «affari privati» della coscienza dei singoli, ma estranei e senza importanza (se non addirittura «alienanti») per la vita sociale.
    D'altro lato, la secolarizzazione rettamente intesa è un fenomeno positivo e di maturità culturale e spirituale, in quanto comporta il riconoscimento della legittima autonomia delle realtà temporali, della loro intrinseca laicità. La riaffermata validità dei valori umani e mondani, presi in sé, purifica i contenuti della fede, fa crescere la responsabilità storica dei credenti, stimola la creatività personale e sociale dei laici, porta a vivere il rapporto dell'uomo con Dio come risposta libera a una vocazione d'amore, apre la strada a un fruttuoso dialogo con ogni uomo.
    L'ambivalenza del processo di secolarizzazione - che quindi va guidato e orientato - risulta in modo sperimentale, è sotto gli occhi di tutti ed è confermata dalla coscienza di tutte le numerose analisi degli ultimi anni. Da un lato, sono impressionanti le cifre relative alla crisi religiosa; dall'altro, sono consolanti i dati relativi all'affermarsi di un nuovo bisogno religioso, più esigente, più personale, più maturo e convinto, proprio all'interno dell'avvenuto superamento della «cristianità» sociologica tradizionale. Basta vedere il fiorire di movimenti, soprattutto giovanili, nei diversi settori della testimonianza evangelica; basta vedere il crescente interesse dei laici (uomini e donne) per gli studi teologici e biblici. Senza dire delle straordinarie potenzialità che una sana concezione della «secolarità» e della «laicità» apre all'impegno storico dei cristiani e all'evangelizzazione.
    Quindi la sfida della secolarizzazione, connessa con la fine della «cristianità», si trasforma in stimolo di crescita di un laicato adulto nella società e nella vita stessa della Chiesa.

    La trasmutazione dei valori

    La seconda trasformazione storica che ha indotto una rivalutazione del laicato è il trapasso culturale, caratteristico del nostro tempo, connesso con un processo di trasmutazione di valori, al quale si mostrano più sensibili proprio i popoli di antica fede cristiana.
    Infatti, negli ultimi decenni, la omogeneità culturale (fondata sui valori cristiani e durata secoli) ha lasciato il posto - soprattutto in Occidente, ma il fenomeno è universale - a una pluralità di visioni della vita e della storia, alcune delle quali sono in contrasto con una antropologia illuminata dalla fede. Questa lacerazione dell'unità spirituale della nostra società, alimentata dal processo di secolarizzazione, è insieme causa ed effetto dello sfaldamento delle cosiddette «evidenze etiche», su cui poggiava fino a ieri la convivenza civile. Tutte le ricerche sociologiche coincidono nell'indicare che, ai nostri giorni, è in atto un processo di «trasmutazione di valori».
    Anche questo processo è ambivalente: può condurre all'autodistruzione dell'uomo, ma - debitamente compreso e guidato - può essere un'occasione di crescita morale. Infatti, mentre interi capitoli fondamentali dell'etica tradizionale minacciano di scomparire (si pensi, per esempio, a quelli riguardanti la morale sessuale e familiare), altri capitoli fino ad ieri praticamente disattesi, vengono riscoperti e proclamati (si pensi, per esempio, all'impegno per la giustizia, alla nuova coscienza di solidarietà, di pace, di rispetto dell'ambiente...).
    Come si è detto, si tratta di un processo ambiguo: può condurre a un mortale e pericoloso relativismo morale, per cui - come attestano recenti sondaggi d'opinione - si giunge a ritenere moralmente più grave non pagare il biglietto sui mezzi pubblici che togliersi la vita per tutelare il proprio «onore», oppure si equiparano il divorzio, l'aborto e l'eutanasia al comportamento biasimevole di chi non dichiara il danno fatto per caso a un veicolo in sosta! Nello stesso tempo, però, i nuovi valori emergenti dalla «trasmutazione dei valori» (quali, per esempio, la lealtà, la tolleranza, la qualità della vita, l'austerità e la razionalità nell'uso delle risorse, ecc.) possono essere l'occasione propizia per aiutare i contemporanei a riscoprire i valori tradizionali fondamentali offuscati o perduti.
    Ma questo lavoro delicato di ricomposizione morale sarà in gran parte l'opera di un'attenta mediazione culturale dei laici. Siamo di fronte a una sfida ambivalente che non si vince soltanto ribadendo con chiarezza e con fermezza i principi (sebbene ciò sia assolutamente necessario), ma soprattutto educando le coscienze, fino ad aprirle gradualmente a tutta la verità sull'uomo, e operando di conseguenza. Ora, la necessità di questa nuova «inculturazione» dei valori cristiani nel nostro tempo non solo esige una nuova presenza della Chiesa nel mondo, ma apre orizzonti nuovi all'azione di un laicato più maturo e adulto, impegnato strettamente nell'opera di evangelizzazione e di promozione umana.

    Il processo di mondializzazione

    Una terza sfida che ha condotto a ripensare e a riscoprire il ruolo del laicato nel mondo viene dai processi strutturali di cambiamento, in atto da alcuni decenni in forma sempre più rapida. Infatti, siamo in presenza di un processo di «mondializzazione» che chiede di essere animato culturalmente, se si vuole che nasca una società non priva d'anima e di valori. I laici cristiani, dunque, sono direttamente interpellati.
    Si pensi alle nuove strutture della comunicazione sociale e della informazione. In pochi decenni, grazie anche ai progressi rivoluzionari della tecnica e delle scienze, è possibile diffondere conoscenze, notizie e cultura a livello planetario e di massa, in tempi rapidissimi. Processo, esso pure, ambivalente, perché può servire alla comprensione tra i popoli, alla pace, allo sviluppo, alla promozione dei diritti umani, ma se non motivato eticamente potrebbe creare nuovi paurosi colonialismi e nuove disuguaglianze, specialmente nel rapporto tra Paesi avanzati e altri più arretrati nell'evoluzione culturale e tecnica. Questa necessità di dare un'anima etica e culturale al nuovo ordine mondiale della comunicazione richiede soprattutto l'impegno di laici coerenti moralmente e professionalmente validi. Si pensi ad altri processi di mondializzazione, che stanno modificando strutturalmente la convivenza umana. Basti accennare qui alla progressiva realizzazione di un nuovo ordine economico internazionale.
    Ebbene, tutti questi processi in atto, che stanno maturando strutturalmente la vita della famiglia umana, interpellano in modo nuovo la missione del laicato, come mai era avvenuto prima. La società del duemila sarà certamente una realtà unificata, universale, planetaria. Ma i processi che la stanno preparando non sono meccanici; sono ambivalenti. Vanno perciò guidati e orientati. urgente dare a essi un'anima etica e culturale, affinché la mondializzazione abbia un esito umano di vita e di liberazione, non di morte o di schiavitù. In questa opera, i fedeli laici hanno un compito insostituibile.

    ACQUISIZIONI TEOLOGICHE

    Parallelamente a queste esigenze storiche, sono maturate con il Concilio alcune acquisizioni ecclesiali fondamentali che hanno portato a una rivalutazione dei laici e della loro vocazione e missione sia su piano dottrinale, sia sul piano pastorale. Le acquisizioni più decisive, che hanno prodotto una profonda rivalutazione della vocazione e della missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, si possono ridurre soprattutto a tre.

    La Chiesa mistero di comunione

    La prima acquisizione riguarda la concezione stessa della natura e della missione della Chiesa, spostando l'accento da una visione della comunità ecclesiale intesa come «società perfetta» con i propri organismi dottrinali e amministrativi, ricalcati sul modello di quelli degli stati moderni assoluti, a una Chiesa intesa in primo luogo come «mistero» di comunione degli uomini con Dio e tra di loro, fondata sul mistero stesso di Dio Trinità (cf Lumen gentium, n. 4). Di conseguenza, la Chiesa è il nuovo «popolo di Dio», «sacramento (segno e strumento) dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n. 1). In questo «popolo messianico» nuovo, comune è la dignità di tutti i membri, comune è la vocazione alla perfezione; non c'è nessuna disuguaglianza, dovuta alla razza, alla nazione, al sesso, alla condizione sociale. E, quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo» (Lumen gentium, n. 32). Così il Vaticano II taglia il clericalismo alla radice: la gerarchia si colloca all'interno del «popolo di Dio», al suo servizio; i laici non sono più da considerare come «minorenni» nella Chiesa, ma «per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano» (Lumen gentium, n. 31). Questa acquisizione teologica apre ai fedeli laici orizzonti finora chiusi e inesplorati.

    La dimensione storica della salvezza

    Una seconda acquisizione, che ha prodotto effetti rivoluzionari nella comprensione della vocazione e della missione dei laici, è la rivalutazione che il Concilio ha fatto della dimensione storica nell'economia della salvezza. Cristo è Dio che entra nella storia del mondo, l'assume e la ricapitola in sé (cf Gaudium et spes, n. 38). Resta la verità oggettiva dei dogmi e del depositum fidei da custodire e da tramandare intatto (come aveva insistito Trento contro il soggettivismo della Riforma), ma la verità cristiana non è atemporale, non è asettica.
    L'evento dell'Incarnazione si compie pienamente nella storia del mondo, attraversa tutte le epoche dell'umanità, agisce nel variare delle culture e delle civiltà. Non esistono, dunque, due storie diverse; ma c'è una storia sola. La salvezza cristiana, e la Chiesa che la realizza, hanno una intrinseca dimensione storica. Viene di qui la necessità di superare l'occidentalismo nella Chiesa e di aprirsi al problema della «inculturazione» del Vangelo e della «mediazione» della fede nelle diverse culture, in forme adeguate alla società pluralistica di oggi. Viene di qui la necessità del metodo del dialogo, del rispetto della libertà di coscienza e della buona fede personale, del riconoscimento che anche fuori della Chiesa cattolica esistono «parecchi elementi di verità» (Lumen gentium, n. 8): sia presso le religioni non cristiane (cf Nostra aetate, n. 2), sia addirittura presso i non credenti (cf Gaudium et spes, n. 92).

    L'autonomia e secolarità dell'ordine temporale

    Infine, c'è una terza importante acquisizione teologica del Concilio che ha indotto una vera e propria rivoluzione nella concezione del laicato e del ruolo ecclesiale e sociale: il riconoscimento dell'autonomia e della secolarità dell'ordine temporale.
    La realtà temporale non ha soltanto valore strumentale nei confronti dell'ordine soprannaturale. La cultura, la politica, l'arte, la scienza... hanno fini, leggi e strumenti propri, che non sono mutuati dalla fede e dal fine ultimo soprannaturale. E ciò per volontà stessa del Creatore, nella quale va quindi riposta la radice stessa di una sana laicità. Certo, tutti i fini naturali sono «intermedi» e l'autonomia dell'ordine temporale è «relativa», essendo ogni cosa ordinata a Dio, fine ultimo; tuttavia la promozione umana non si può confondere con la salvezza soprannaturale: sono realtà distinte, sebbene non separabili, anzi integrate tra loro.
    Questa importante acquisizione del Concilio pone al fedele laico nuovi gravi problemi: quello di realizzare in se stesso la necessaria sintesi tra fede e vita, e quello di mantenere distinti il piano della fede dal piano delle realtà temporali nell'unità dell'agire. Infatti, dalla fede non è possibile dedurre un unico modello sociale o politico, né una cultura determinata; ma la fede può legittimamente ispirare e animare modelli e culture diversi. Ciò significa che i laici hanno una loro autonomia e una responsabilità propria nelle scelte che compiono; che devono agire, perciò, senza attendersi dalla gerarchia la soluzione di problemi anche gravi che nascessero. L'insegnamento sociale della Chiesa deve poter trovare nei laici non solo gli esecutori fedeli, ma ancor prima i collaboratori responsabili nell'elaborazione stessa del pensiero sociale del Magistero.

    Nodi di fondo non risolti a vent'anni dal Concilio

    Se ora passiamo a chiederci a che punto siamo, dopo vent'anni dalla conclusione del Concilio, per quanto riguarda la recezione tecnica e pratica di questa evoluzione del laicato, non si può negare che si siano fatti notevoli passi in avanti; ma dobbiamo ammettere che i grandi temi della laicità e dell'impegno secolare del cristiano non sono stati ancora sufficientemente approfonditi e accolti, a differenza di quanto è avvenuto in altri campi. Sul tema dell'impegno secolare del laico cristiano e della laicità siamo oggi ancora poco più che al confronto tra diverse metodologie di presenza e di servizio al mondo: ma è mancato il necessario chiarimento teorico-pratico su alcuni punti fondamentali del rapporto Chiesa-mondo, fede-storia.
    In particolare, rimangono non risolti due nodi di fondo, che sono tuttora fonte di incomprensione e di divisione all'interno della stessa comunità ecclesiale.

    PRIMO NODO NON RISOLTO: IL RAPPORTO CHIERICI-LAICI

    Il superamento dello schema tradizionale chierici-laici, che riduceva i laici al ruolo di esecutori passivi delle decisioni prese dal clero, è richiesto dalla spinta carismatica di questi anni. Nella vita della Chiesa la dimensione carismatica continuamente s'incontra e spesso si scontra con la dimensione istituzionale, quale si esprime nelle strutture dell'ordine ecclesiastico.
    La dimensione carismatica è fonte continua di rinnovamento, e mette in crisi sintesi dottrinali, schemi mentali, stratificazioni istituzionali, modelli pastorali.
    Essa provoca sempre una tensione dialettica nella vita ecclesiale, certamente feconda, ma non senza far nascere difficoltà e incomprensioni.
    Infatti, da un lato, la tensione carismatica rinnova la Chiesa e la ringiovanisce aprendola al nuovo; dall'altro lato, la componente istituzionale (a cui, tra l'altro, spetta il compito di verificare l'autenticità dei carismi) è istintivamente tesa a contenere eventuali spinte devianti, a salvaguardare l'ortodossia dottrinale, a far sì che i diversi carismi servano all'unità e alla crescita dell'intero corpo ecclesiale.
    Dunque non c'è opposizione tra carisma e istituzione, ma sintesi armonica, essendo entrambi costitutivi di una Chiesa che come insegna S. Paolo è edificata «sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti» (Ef 2,20), cioè sull'istituzione apostolica e sul carisma profetico.
    La Chiesa sarà sempre istituzionale e insieme carismatica; sempre tradizionale e insieme nuova, in continuità col passato eppure aperta al futuro; collegata al Cristo storico mediante la successione apostolica e la tradizione, ma sempre sotto l'influsso creativo e rinnovatore dello Spirito.
    Ciò avviene pure in quanto riguarda il superamento del vecchio schema chierici-laici, sotto la spinta di alcuni eventi appartenenti alla dimensione carismatica della vita della Chiesa, i quali hanno indotto la necessità di una riflessione teologica più profonda, non ancora del tutto compiuta.

    I movimenti ecclesiali

    Il primo evento, di natura carismatica, che dopo il Concilio ha imposto un ripensamento del rapporto chierici-laici, è certamente l'irrompere dell'associazionismo laicale e dei movimenti ecclesiali. Accanto all'Azione Cattolica e ad altre associazioni più antiche, sono fioriti numerosi gruppi spontanei, comunità ecclesiali di base e movimenti, che costituiscono oggi una vasta gamma di presenze dei fedeli laici nella storia della Chiesa. Si va da aggregazioni che si propongono prevalentemente «l'incremento di una vita più perfetta o la promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana o altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà e di carità» ad aggregazioni che perseguono invece forme diverse di «animazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano» (Codice Diritto Canonico, can. 298,1). Questo incremento della presenza laicale nella Chiesa ha prodotto notevoli frutti buoni: la riscoperta di Cristo e del gusto della preghiera, la gioia della fede vissuta e testimoniata, la generosità del servizio cristiano reso ai poveri, il rifiorire di vocazioni sacerdotali e religiose. D'altro lato, però, come avviene ogni volta che s'afferma un fenomeno carismatico, si sono prodotte tensioni sul piano pastorale e istituzionale; soprattutto si è prodotta una radicalizzazione tra esperienze diverse. Al fondo sta la necessità di chiarire il modo di intendere il rapporto Chiesa-mondo, proposto dal Concilio, che rende superato il vecchio tipo di rapporti chierici-laici.
    La mancanza di un chiarimento teologico definitivo su questo punto non è certo l'ultima causa delle polarizzazioni esistenti, per esempio, tra cosiddetti «cattolici della presenza» e «cattolici della mediazione». Infatti, nessuno nega che la molteplicità e la varietà dei movimenti e dei gruppi laicali siano una ricchezza per tutta la Chiesa e un segno dello Spirito che la anima; nessuno nega che ogni autentica esperienza ecclesiale sia una «autorealizzazione della Chiesa». Ma quando si giunge a pretendere che la propria esperienza esprima essa sola la totalità del messaggio evangelico e l'autenticità dell'esperienza cristiana; quando l'uno o l'altro gruppo pretende di essere «la» Chiesa e di realizzarne da solo la «pluriformità», fino a cadere in forme inaccettabili di intolleranza verso altre forme non meno legittime di esperienza ecclesiale, allora si deve dire che c'è una distorsione grave nella comprensione dell'ecclesiologia del Concilio, alla quale tutti fanno riferimento.

    I nuovi ministeri laicali

    Il secondo impatto sullo schema tradizionale chierici-laici viene dalla necessità di approfondire il discorso sui nuovi ministeri laicali.
    Da un lato, le trasformazioni sociali e, dall'altro, le acquisizioni teologiche del Concilio, aprono possibilità nuove per i fedeli laici di esercitare ministeri non ordinati, nel pieno rispetto dell'indole secolare a essi propria, cioè evitando ogni forma di neoclericalismo e ogni confusione con i ministeri ordinati. Anche in questo caso, l'urgenza pastorale stimola la riflessione teologica. All'origine rimane la riscoperta della Chiesa come mistero di comunione. La comunione e la partecipazione di tutte le componenti del popolo di Dio all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa fanno sì che i ministeri, ordinati e non, vecchi e nuovi, si debbano intendere come servizio reso all'utilità comune di tutto il corpo, all'evangelizzazione e alla promozione umana del mondo. Ciò comporta il riconoscimento che i fedeli laici hanno un campo ministeriale proprio, rispondente all'indole secolare della loro vocazione e missione. Quindi, nella società che cambia e nella Chiesa che cresce, vanno accolte con gratitudine e vanno favorite nuove forme di presenza, di responsabilità e di servizio dei fedeli laici, nel contesto di una nuova visione organica e unitaria della identica vocazione cristiana.

    Il ruolo della donna

    Per questo, la necessità di ripensare il ruolo della donna nella Chiesa e nella società è il terzo problema importante, la cui soluzione suppone un chiarimento di fondo circa il nodo del rapporto chierici-laici. Infatti, solo alla luce di tale approfondimento ecclesiologico si potrà dare una risposta agli interrogativi sul ruolo della donna, quali sono stati posti da diversi episcopati in vista del prossimo Sinodo. È giunto il momento, sulla base della ecclesiologia di comunione ribadita dal Concilio, non per benigna concessione della gerarchia ma come doveroso riconoscimento del sacerdozio dei fedeli, di studiare concretamente le forme di accesso delle donne (al pari degli uomini) ai ministeri non ordinati, anche istituiti, e le forme di una sua collaborazione responsabile negli organismi ecclesiali consultivi, di ricerca e di programmazione pastorale, ai diversi livelli (parrocchiale, diocesano, nazionale, universale). A questo stimolano altresì i progressi più recenti dell'antropologia teologica che indaga lo stretto rapporto che unisce la donna all'uomo nel disegno divino della creazione e della redenzione.

    SECONDO NODO NON RISOLTO: IL RAPPORTO FEDE-VITA

    Ma il nodo principale oggi da sciogliere in tema di evangelizzazione del mondo contemporaneo è, senza dubbio, il nuovo rapporto che siamo chiamati a instaurare tra fede e vita, tra fede e cultura, tra fede e storia nel contesto di una società secolarizzata e pluralistica.
    A vent'anni dal Concilio, dobbiamo ammettere che nella Chiesa c'è divisione proprio su questo punto, cioè sul come farsi socialmente presenti (come Chiesa e come cristiani) nel nostro tempo. Non si tratta di una divisione di poco conto, perché dalla corretta impostazione del rapporto Chiesa-mondo dipende in gran parte l'evangelizzazione dell'uomo contemporaneo. Nello stesso tempo il modo I corretto d'intendere il rapporto fede-vita costituisce la verifica più concreta della effettiva recezione della ecclesiologia del Concilio. utile, quindi, indicare brevemente i diversi modi di intendere il rapporto Chiesa-mondo che oggi si confrontano all'interno della comunità ecclesiale, e mettere in luce le ambiguità che in materia nascono da un mancato chiarimento teologico di fondo.

    La «fuga mundi» o «diaspora»

    È un primo atteggiamento oggi presente nella Chiesa, che introduce un indebito dualismo tra fede e vita, tra fede e storia, tra fede e cultura. Se Dio è il «totalmente altro» - si dice - l'unico modo di testimoniarlo è la fede pura. Ogni mediazione razionale, culturale o sociale risulta inadeguata e mistificante. Il Vangelo deve rimanere «progetto puro», «utopia»; volerlo incarnare storicamente nella vita culturale, politica e sociale equivale a corromperlo. La storia, la cultura, la politica costituiscono un ambito separato e totalmente autonomo dalla fede, la quale quindi non avrebbe nulla da suggerire al cristiano sul piano delle scelte temporali. Rivelazione cristiana e impegno temporale del cristiano sarebbero ambiti del tutto separati.
    Non occorre insistere sulla inaccettabilità di una simile posizione che conduce a un evangelismo disincarnato e intimistico; che, se mette bene in luce la dimensione messianica e trascendente della salvezza cristiana, ne trascura però gravemente la dimensione d'incarnazione ed escatologica, quale si attua nella storia degli uomini. Invitando i credenti a pensare solo al cielo, e lasciando all'uomo «naturale» la gestione del mondo e della cultura, si finisce di fatto con l'estromettere Dio dalla vita e dalla storia.

    Lo scontro o «crociata»

    È la tendenza opposta, che si allontana ugualmente dal Concilio e cede invece alla tentazione dell'integrismo. Muovendo dalla premessa che la verità cristiana è un intero e che di essa nulla si può tacere o non accogliere senza compromettere la propria identità, si sostiene la coestensibilità dell'ambito della fede con quello della vita sociale, politica e culturale. Così, ambito religioso e ambito civile sarebbero non solo separabili, ma addirittura coincidenti, dato che la verità sull'uomo coincide con la verità di Cristo, si creda o non si creda in lui. Pertanto ogni «mediazione» tra fede e culturale, tra Chiesa e mondo comprometterebbe l'identità cristiana, sarebbe necessariamente riduttiva del messaggio evangelico.
    Manca, in questa seconda posizione, il senso della storia, che il Concilio invece ha rivendicato come dimensione integrante dell'annuncio della salvezza. Difetta altresì una comprensione adeguata della natura e della missione della Chiesa, che il Concilio definisce essenzialmente religiosa e, solo in quanto tale, capace di offrire luce e forza alla promozione umana; è insufficiente, infine, la visione teologica della laicità e dell'autonomia delle realtà temporali. In una parola, in chi sostiene la tesi dello scontro con il mondo, non c'è sufficiente chiarezza proprio su quelle acquisizioni di fondo, compiute dalla teologia del Concilio.

    La «nuova cristianità»

    Le argomentazioni che si portano in favore di una visione pessimistica della storia e del mondo e, quindi, in favore della tesi dello scontro necessario con la cultura e con la società contemporanea, sono sostanzialmente le medesime con le quali si vorrebbe fondare l'impegno dei fedeli laici per la costruzione di una «nuova cristianità», sul tipo di quella ipotizzata da J. Maritain negli anni '30. Ma le acquisizioni del Concilio hanno reso ormai superata la tesi maritainiana, secondo la quale i due piani distinti della fede e della realtà temporale s'incontrerebbero in un terzo piano intermedio là dove fede e storia si toccano il quale apparterrebbe all'ordine etico e spirituale, e sarebbe quindi di spettanza della gerarchia; così l'iniziativa e l'orientamento in campo sociale sarebbero ancora riservati alla gerarchia, che si servirebbe del laicato come del suo braccio secolare nell'evangelizzazione e nella costruzione della città terrestre. In realtà, come ha spiegato il Concilio, le necessarie mediazioni culturali, sociali e politiche non appartengono al «piano spirituale» (come pensava Maritain), ma a quello temporale, proprio dei laici. Di conseguenza, l'iniziativa culturale, politica e sociale - anche là dove la fede e storia si toccano - spetta non alla gerarchia, ma all'impegno autonomo dei fedeli laici; i quali è chiaro agiranno sempre in coerenza con la loro coscienza cristiana rettamente formata, ispirandosi al Vangelo e all'insegnamento della Chiesa.

    Una «nuova inculturazione» della fede

    Certo, la Chiesa è e deve restare visibile (così ha voluto il suo divin Fondatore), e non può non avere una sua chiara «presenza sociale». Tanto meno essa potrebbe rinunciare all'annuncio integrale e alla testimonianza coraggiosa della verità evangelica. Ma il problema che oggi si pone è come annunciare, quale metodo pastorale privilegiare. Escluse le posizioni estreme, non resta che la via del dialogo e della mediazione: solo attraverso un'attenta opera di «inculturazione» si eviterà che la «presenza sociale» della Chiesa si traduca in forme di neo-integrismo, di «ghetto», o di rottura e di separazione col mondo contemporaneo.
    La ragione è che la fede non suggerisce un modello concreto di società cristiana, alternativa ai modelli profani. La fede non supplisce, ma «anima» la ricerca e le scelte dell'uomo. Ora, «animare» significa appunto «mediare»; significa impregnare evangelicamente le diverse mentalità, i differenti costumi e comportamenti, rispettandone l'originalità, la pluralità, la laicità, per aprirli gradualmente alla verità globale, quale risplende in Cristo. Ciò non può avvenire che attraverso il dialogo, facendosi sale della terra. E non si tratta soltanto di una esigenza storica contingente, oggi richiesta dalle peculiari difficoltà del nostro tempo. La categoria del dialogo e della mediazione è intrinseca e centrale nella stessa rivelazione cristiana, come ribadisce ancora Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam suam: «La relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l'iniziativa di instaurare con l'umanità può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell'Incarnazione e quindi nel Vangelo (...). Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto dialogico offerto e stabilito con noi da Dio (...), per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare di instaurare e promuovere con l'umanità» (n. 193).
    Dal canto suo il Concilio aggiunge un'altra considerazione: il dialogo è possibile, perché Dio agisce pure fuori della Chiesa; è presente e opera nell'evoluzione storica e nei profondi mutamenti della società, nonché in tutti quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più giusta e più umana la propria vita (cf Gaudium et spes, n. 26,38). Certamente il dialogo va condotto nella verità e nel rispetto della norma etica, che risplendono nel mistero del Verbo incarnato (cf Gaudium et spes, n. 22); certamente la Chiesa, manifestando il mistero di Dio, «svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda dell'uomo» (Gaudium et spes, n. 41); ma da ciò non segue che incontrarsi anche con chi non accetta tutta la verità sia tradire o annacquare il Vangelo, mettere la verità tra parentesi! Lo sforzo di trovare punti comuni di contatto e valori comuni con chi non crede, per ricercare insieme e per progredire verso una conoscenza più piena della verità, non offusca affatto la verità integrale che risplende in Cristo; anzi come dice Giovanni XXIII «gli incontri e le intese, nei vari settori dell'ordine temporale, fra credenti e quanti non credono o credono in modo non adeguato, perché aderiscono a errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio» (Pacem in terris, n. 159).
    Questi sono dunque i nodi non ancora sciolti a vent'anni dal Concilio in tema di laicato e di laicità. Problemi gravi e decisivi per l'evangelizzazione e per la verifica della effettiva recezione della ecclesiologia del Vaticano II da parte della comunità cristiana. Il futuro servizio della Chiesa al mondo dipende in gran parte dalla loro soluzione.


    T e r z a
    p a g i n A


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